sabato 30 aprile 2022

Ricordando le sorgenti...

Dal grembo della terra, limpido come un cristallo e azzurro come il cielo, erompe silenzioso, abbondante, l'Isonzo, la meravigliosa Soča. Non ostenta la propria nascita, preferisce una pudica riservatezza. Chi vuole vederlo neonato, deve affrontare la fatica del salire, l'assaggio della pietra, il rischio dello strapiombo, anche se con la sicurezza di una corda di ferro e di qualche gradino intagliato nella roccia. Lo spettacolo è incomparabile, con le meravigliose montagne d'intorno, le vette nude, d'inverno coperte da una candida coperta di neve, i fianchi fasciati dai toni del verde, macchie scure di boschi incantati e chiari sprazzi dei pascoli erbosi. E' forte soprattutto l'energia vitale, il Deus Aesontius risale dagli inferi e visita la terra, percezione del sacro »tremendum et fascinans« che suscita timore e di stupore, dell'inquietante »sublime« che genera l'emozione e sollecita l'etica della responsabilità.

Questione di istanti, momenti del tempo che riempiono di significato il tempo; la profondità silente e cristallina si trasforma subito in cascata e l'acqua si precipita nella vertiginosa fessura da essa stessa scavata, sciogliendo paziente, nei millenni, la roccia. La Soča infante, riflettendo gioiosa i raggi del Sole o sfidando impertinente il fragore del temporale, ricorda ancora i misteri nascosti nel ventre del monte e li racconta a chi lo sa ascoltare: il mare che diventa vapore, la pioggia che scende dal cielo, la neve attesa dal suolo per il riposo invernale, le immense grotte e le fonti remote, da cui scendere di nuovo verso il mare. Il fiume è l'allegoria dell'esistenza, dell'immensa avventura dell'essere e del divenire.

Pochi, entusiasmanti salti, qualche centinaio di metri e un quinto del dislivello compessivo è già »bruciato«. Sono solo pochi minuti, che riescono a incantare i sensi in un ambiente grandioso, con la musica dell'acqua che canta la salmodia della bellezza, battendo i tasti umidi delle rocce levigate. La fonte dell'Isonzo/Soča è situata a m.1087, nel cuore del gruppo montuoso della Mojstrovka, separato dal massiccio del Prisojnik e del Razor dall'ameno Passo Vršič. Il primo ponticello in legno – con esso il rifugio, l'asfalto e il parcheggio – è a quota 886: da qui l'istintività della Natura comincia a intrecciarsi con la consapevolezza della Storia. Dopo il prologo impressionante, dove perfino i sentieri sassosi si arrestano intimoriti davanti all'impeto della nuova vita, ora l'impronta dell'Uomo diventa evidente: ed è Trenta, villaggi abbarbicati sui pendii ed eroiche memorie di bracconieri alla caccia del camoscio sulle cenge ardite, graziosi cimiteri nella valle remota con i  nomi che ricordano l'epopea delle Giulie, ardite terrazze arginate dalla pietra dura per strappare alla terra un pezzo di pane quotidiano e croci disseminate dalle guerre, decine di migliaia di giovani vite falciate. Riposano per sempre qui, sempre senza un volto, spesso senza un nome. (Da antiche letture...)

venerdì 29 aprile 2022

Le meraviglie di Sveti Ahac, a Prilesje pri Plavah

Chi percorre la bellissima ciclabile, sulla riva destra della Soča, che collega gli abitati di Plave e Solkan, non sempre si accorge di un piccolo gioiello seminascosto dagli alberi.

Il piccolo paese che si incontra poco prima del ponte si chiama Prilesje pri Plavah. Dista meno di dieci chilometri da Gorizia. Ci sono pochi abitanti, vivono presso il fiume in una zona silenziosa e pacifica, lontano dal traffico della Soška cesta, la statale che unisce Nova Gorica al passo del Predil. Accolgono volentieri il visitatore rispettoso delle persone e dell'ambiente, rispondendo con legittimo orgoglio alla domanda su dove si trovi la chiesetta di sant'Acazio. Chi custodisce le chiavi non soltanto spesso si offre gentilmente per accompagnare, ma anche è disponibile a fornire preziose indicazioni e informazioni.

Si tratta di una piccola cappella cimiteriale, graziosamente collocata con il presbiterio rivolto a oriente. Un piccolo atrio, un tempo dipinto, introduce all'aula principale. Il colpo d'occhio è impressionante, sembra di entrare in una cattedrale gotica in miniatura. Il ciclo di affreschi, tra i più importanti della Slovenia, risale alla fine del 1400 e segue la tipologia iconografica del cosiddetto "presbiterio carniolano". Sul retro-arco trionfale è rappresentato il Cristo benedicente, circondato da angeli musicanti e dai simboli degli evangelisti, sulla lunetta sud è inconfondibile sant'Elena con il ritrovamento della santa croce, su quella nord la scena del martirio di Sant'Acazio e dei suoi compagni, crudelmente infilzati sulle punte degli alberi. Attorno all'arco è da notare la singolare vicinanza - riscontrabile anche nelle pitture coeve della Valle dell'Isonzo/Soča e del Collio/Brda - tra la scena dell'Annunciazione a Maria e quella delle offerte di Caino e Abele. Sarebbe interessante scoprire le ragioni etiche e teologiche di tale frequente accostamento, forse il richiamo al Cristo come "nuovo Abele" che offre la vita come sacrificio gradito a Dio?

Volto di apostolo
La teoria degli apostoli circonda la base del presbiterio, quasi a sostenerlo come colonne viventi. Ciascuno ha l'attributo che lo contraddistingue, ma il deterioramento dell'opera non rende facile l'identificazione. Ciò vale anche per le sante martiri che circondano l'arco principale, delle quali è riconoscibile solo Caterina d'Alessandria, con la corona regale e (forse) la ruota, secondo un'iconografia abbastanza tradizionale che allude alla dignità nobile e allo strumento di supplizio della santa. I volti sono tratteggiati con delicatezza e precisione, segno della presenza di maestranze esperte, collegate con i pittori italiani e transalpini. L'impianto generale suscita un senso di profonda suggestione e devozione, là dove le dimensioni esigue ma ben proporzionate dell'aula e del presbiterio invitano a inchinarsi davanti alla bellezza dell'arte e al fascino della storia da essa rappresentata.

Data la grande importanza di questa gemma preziosa, sarebbe forse opportuno immaginare un adeguato e rispettoso restauro, anche in vista dell'appuntamento del 2025 che potrebbe consentire a tanti di avvicinarsi a questi segni di una fede popolare che fa parte della cultura di questo straordinario territorio inter-nazionale.

mercoledì 27 aprile 2022

Anno Domini 2022. Voci di strada... Un dialogo (non) immaginario

- Ciao Andrea, posso parlarti un attimo?

- Sì, volentieri, che cosa c'è di nuovo?

- Ho letto sul giornale la tua proposta di cambiare tutti i nomi italiani con altri sloveni nelle vie di Gorizia. Non sono per niente d'accordo!

- Hai letto male, io ho proposto di cambiare alcuni nomi di persone o brigate legate alla prima guerra mondiale con qualcosa di più aggiornato. E di aggiungere qualche ricordo di artisti o personaggi significativi anche, ma non solo del mondo sloveno, tenendo conto che Gorizia è città plurilingue e pluriculturale. Tra l'altro, se tu avessi potuto leggere il mio intervento iniziale, avresti visto che oltre a poeti letterati politici e sacerdoti sloveni, ho proposto anche Celso Macor, Cecilia Seghizzi, Gino Strada e Rosa Parks, tanto per citare alcuni che hanno dato molto a Gorizia e non sono certamente sloveni.

- Si vede che vieni da fuori e che non conosci la storia di Gorizia. Gli slavi hanno distrutto Gorizia e ucciso gli italiani nelle foibe e tu vorresti ricordare il loro nome sui cartelli che indicano le vie?

- Veramente mi sembra che siano stati gli italiani a distruggere Gorizia nella prima guerra mondiale...

- Sì, ma gli slavi stanno conquistando Gorizia pian piano, comprando tutti gli appartamenti e tra un po' ci butteranno fuori dalla città.

- Scusa, ma tu sai chi è Valentin Stanič?

- No, mai sentito nominare.

- Bene, è il fondatore e costruttore della scuola per sordomuti a Gorizia, un'istituzione che ha permesso a migliaia di persone di poter comunicare con gli altri. Non ti sembrerebbe giusto che quella scuola, che esiste ancora, fosse dedicata a lui e non a D'Annunzio che non ha nulla a che fare con la storia della città?

- Scherzi? Non vorrai paragonare il vate D'Annunzio a qualche poeta sloveno? E poi, perché dovremmo dedicare le strade agli sloveni, comincino a Nova Gorica a dedicare qualche strada a Dante o a Manzoni, quelli sì che sono veri letterati!

- Mai sentito parlare di Simon Gregorčič?

- No, mai. E chi era?

- Strano che non ne hai mai sentito il nome, lo chiamavano l'"usignolo del Goriziano". E di France Prešeren?

- Oddio, e chi è? Da dove ti inventi questi nomi?

- e Primož Trubar? e France Bevk? e Lojze Bratuž? e Ljubka Šorli?...

- Ma dai, adesso fai apposta a inventarteli... Mai sentiti nominare. Comunque, contento tu! Ci rivedremo quando gli slavi avranno occupato definitivamente Gorizia. Ciao, adesso devo proprio andare, mi sono stufato di sentirmi dare dell'ignorante.

- Ciao ciao. E buon 2025 a te e a tutti i cittadini, Novo e Staro Goričani!

martedì 26 aprile 2022

Un 25 Aprile celebrato nella dialettica democratica

La Festa della Liberazione non è mai stata così tormentata come quest'anno. Non c'è stata solo la "tradizionale" polemica goriziana, con in testa il sindaco che vorrebbe staccare la Venezia Giulia dall'Italia rifiutandosi di accettare la data unitaria della festa nazionale.

Di nuovo c'è il contesto internazionale che ha portato divisione anche negli schieramenti politici del centro sinistra e della sinistra, oltre che all'interno della stessa Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani. Dopo le numerose polemiche, si è assistito a cortei frammentati, con bandiere e cori inneggianti alla cosiddetta "resistenza" ucraina e al ruolo della NATO da una parte, dall'altra a slogan antiimperialisti e contrari all'invio di armi nel calderone del conflitto russo-ucraino.

Non c'è da stupirsi, la memoria del 25 aprile appartiene a tutti (esclusi coloro che la rifiutano, non riconoscendo giusto celebrare con una data simbolica la fine del nazi-fascismo in Italia) e la discussione interna al movimento antifascista fa parte della dialettica, anche vivace, che deve essere presente in qualsiasi ambito democratico. Del resto il tema è molto importante e assai delicato, mette in gioco convinzioni ritenute poco meno che dogmatiche fino a qualche anno fa e ha a che fare con l'enorme sofferenza di chi soffre sotto le bombe seminate da una guerra tanto sanguinosa quanto incomprensibile.

C'è chi interviene, anche molto autorevolmente come nel caso del Presidente della Repubblica Mattarella, sostenendo di aver pensato agli ucraini, cantando la prima strofa di Bella Ciao. Chi la pensa così, sostiene la necessità di inviare armi per accompagnare e sostenere la lotta contro gli invasori. E ritiene anche che l'Alleanza militare Atlantica debba essere ampliata ai Paesi confinanti con la Russia per ridimensionare le prerogative e le pretese di Putin. Tra i sostenitori del riarmo ci sono anche il Presidente del Consiglio Draghi e i partiti che sostengono l'attuale Governo, con in prima linea un Partito Democratico che sembra - in questa scelta - volersi assicurare il ruolo di loro capofila.

E c'è chi la pensa in modo diametralmente opposto, appoggiandosi anche al forte e non equivocabile magistero di papa Francesco, ritenendo che l'articolo 11 della Costituzione non dovrebbe essere contraddetto da un intervento armato in Ucraina. Per motivi etici, politici e strategici, i contrari all'invio delle armi - tra i quali buona parte di coloro che si riconoscono nella galassia pacifista e ambientalista, anche se con molti distinguo - ritengono un errore clamoroso prendere decisioni in questo senso. Essi pensano che il paragone con la Resistenza sia irriverente, dal momento che la Russia di Putin non è la Germania di Hitler, così come l'Ucraina di Zelen'sky non è paragonabile alle nazioni invase dalla Germania prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Ritengono inoltre che si debbano tenere presenti di più i contesti, dall'oppressione delle popolazioni russofone del Donbass e della Crimea alla provocazione di un allargamento della NATO che sembra più una necessità imperialistica americana che una reale attenzione alle esigenze di Kiev. Come soluzione alternativa all'invio delle armi essi propongono l'intensificazione - o meglio l'avvio, constatata la finora quasi del tutto assente volontà diplomatica - dei tavoli di trattative per cercare soluzioni onorevoli e condivise. Ritengono inoltre che l'accrescimento degli armamenti porterebbe solo a due conseguenze possibili, il prolungamento del calvario del popolo ucraino oppure - con una presenza ben più massiccia degli eserciti internazionali, finalizzata a sconfiggere definitivamente l'invasore russo - una pericolosissima escalation che potrebbe facilmente culminare nella terza guerra mondiale.

Nessuno prende alla leggera le argomentazioni di una parte e dell'altra, tuttavia ognuno, anche sulla base delle pochi informazioni attendibili che si hanno, deve prendere una posizione che si traduce in precise e concrete decisioni politiche, riguardanti chi governa ma anche ogni cittadino chiamato a scegliere i propri rappresentanti e a manifestare pubblicamente il dissenso nei confronti dei governanti. E' una decisione difficile, portando negli occhi i volti di coloro che stanno tremendamente soffrendo a causa di questo conflitto e condannando senza alcuna giustificazione l'aggressione russa. Tuttavia è necessario dire da che parte si sta, se dalla parte delle ragioni della nonviolenza attiva di ispirazione gandhiana o della triste necessità di derogare al principio secondo il quale la guerra non può mai essere uno strumento per risolvere i conflitti fra i popoli e le nazioni.

Personalmente ribadisco la mia posizione. Sono contro l'invio delle armi, a favore dell'intensificazione delle trattative, possibilmente con la mediazione dell'ONU o delle diplomazie europee, dalla parte di chi ancora crede che la nonviolenza attiva possa essere l'unico nuovo e vero mezzo per far vincere l'umanità e non la barbarie. 

Srečno pot, Slovenija. Buon cammino...

Il giorno dopo, quello di Robert Golob in Slovenia sembra proprio essere un vero trionfo. L'uomo nuovo della politica slovena ha vinto praticamente ovunque, con percentuali minori in ambiti rurali, quasi da plebiscito nelle città. E' un segnale importante, con alcune conseguenze di non poco conto.

Prima di tutto, è riuscito nell'intento di creare un enorme consenso, indipendente dai "poteri forti" che troppo spesso condizionano le tornate elettorali. Golob è stato davvero eletto dal popolo e non dovrà mai dimenticare questo fatto. Ha certamente rastrellato voti anche dagli schieramenti tradizionali, ridimensionando fortemente le aspettative del centro sinistra (SD) e della sinistra (Levica) nonché provocando l'estromissione delle liste di Marjan Šarec e Alenka Bratušek. Le dichiarazioni post voto del nuovo premier hanno tranquillizzato subito tutti, dal momento che è stato garantito il coinvolgimento di tutti i raggruppamenti che si erano coalizzati per sconfiggere la destra, come pure delle organizzazioni non governative di base che hanno mantenuto alta in questi anni la voce di chi ha difeso la democrazia, l'accoglienza, la natura e la pace. Ci si può legittimamente attendere una linea di Governo progressista, europeista, ma anche aperta alle istanze sociali e ambientali, particolarmente delicate e importanti. Sarà inoltre necessario provvedere in tempi rapidi alla non semplice sostituzione di dirigenti improvvisati e capitati in ambiti decisivi, grazie a un sistematico incredibile repulisti di ottimi tecnici, colpevoli solo di non condividere le posizioni filo-orbaniane dell'ormai ex capo del governo.   

In questo modo, con l'inevitabile e anche prevedibile accordo di Governo con i Socialisti Democratici e quello prevedibile con la Levica, Golob potrà in ogni caso contare su una maggioranza forte e stabile, in grado di portare la Slovenia fuori dalle paludi nelle quali si era impantanata nel corso degli ultimi due anni di governo "janšista", bocciato senza appello dal voto popolare. Si respira un clima di grande speranza e aspettativa, tenuto anche conto dell'esperienza tecnica e imprenditoriale del premier. C'è anche molta curiosità - e qualche leggera preoccupazione - nell'attesa di comprendere come si muoveranno i tantissimi neoparlamentari, alcuni dei quali sicuramente alla prima importante esperienza politica. Anche Levica, certamente delusa da un risultato al di sotto delle attese e dei sondaggi della vigilia, può comunque sorridere. Ha centrato l'obiettivo di entrare in Parlamento con 5 rappresentanti e si è fatta conoscere a livello internazionale, come una delle più significative e attuali alternative al neoliberismo europeo. Il principale referente, Luka Mesec, ha dimostrato la statura, l'equilibrio e la decisione dell'uomo di stato. E' ancora molto giovane, avrà molto da dire nella legislatura che sta iniziando e di lui sentiremo ancora molto parlare. I nostri Rusjan e Pelicon, pur non essendo riusciti a centrare l'obiettivo del Parlamento, se la sono cavata piuttosto bene e il rapporto con loro  con gli altri compagni di Nova Gorica, sarà molto significativo anche in vista del prossimo appuntamento elettorale con le "comunali" nella vecchia Gorizia.

C'è molto territorio Goriziano nel nuovo Parlamento. In particolare il neo-premier è originario della zona e si è distinto anche per le idee e le capacità dimostrate in una rimpianta presidenza del GECT/EZTS. L'ex sindaco di Nova Gorica Matej Arčon ha avuto l'onore di essere in percentuale il più votato di tutta la Slovenia, una bella soddisfazione che lo ripaga dell'inattesa sconfitta nelle amministrative comunali di quattro anni fa. La città ha permesso alla lista Svoboda di raggiungere la maggioranza assoluta, inferiore, ma sempre molto alto, il consenso ottenuto nelle zone periferiche, dove il partito SDS dell'ex uomo forte di Lubiana ha limitato un po' di più i danni. SD ha ottenuto risultati abbastanza in linea con quelli nazionali, come pure Levica. Interessante il dato di Anhovo, dove il partito ambientalista Vesna, a livello nazionale rimasto sotto il punto e mezzo percentuale, è arrivato all'11%, dimostrando l'esasperazione della gente per la situazione irrisolta del co-inceneritore e delle frequenti perdite di materiali industriali che inquinano non solo le acque dell'Isonzo ma anche quelle  dell'acquedotto.

Auguri dunque Slovenija! Buon cammino...

domenica 24 aprile 2022

Slovenija bo obrnila list. La Slovenia volta pagina.

Cartina della Slovenja (da Wikipedia)
Il quadro dei risultati è per ora quello degli exit poll, ma sembra ormai difficilmente modificabile dai dati ufficiali. Robert Golob ha stravinto le elezioni, raggiungendo oltre il 35% dei voti, un risultato al di là di ogni aspettativa. Al secondo posto, staccato di oltre tredici punti percentuali, il partito dell'ormai ex premier Janez Janša. Al terzo posto, con l'8%, il raggruppamento filoJanša di Nova Slovenija. Seguono SD (simile al nostro Partito Democratico), con il 7% e una un po' delusa Levica (Sinistra) che raggranella il 4,5% ma riesce in ogni caso a entrare in Parlamento, a differenza di tutti gli altri raggruppamenti, tutti rimasti sotto la soglia limite del 4%.

A questo punto, il gruppo di Robert Golob avrebbe già i numeri per governare quasi da solo, ma sarà sicuramente sostenuto dalla Socialna Demokracija e forse anche da Levica, tenuto presente che molti elettori di questi ultimi due partiti hanno probabilmente voluto andare sul sicuro, sostenendo con entusiasmo il nuovo nome del panorama politico sloveno. 

La voglia di cambiamento si respirava da molto tempo, portata avanti anche con molta vivacità dai ciclisti dei venerdì di Lubiana. Il risultato, insieme a un'alta percentuale di votanti, indica una scelta popolare senza possibilità di equivoco. Ora ci sarà da attendere lo scontato conferimento dell'incarico da parte del Presidente Pahor e i primi passi di questa nuovo cammino della repubblica di Slovenia. Ci si augura un governo veramente democratico, filoeuropeo, ma anche aperto alle istanze della giustizia sociale, della tutela dell'ambiente, dell'autentica libertà e della pace.

Con il "Libro delle 18.03", in cammino sull'Iter Aquileiense

Sabato 23 aprile si è celebrata la Giornata internazionale del Libro. L'edizione Primavera 2022 della rassegna "Il libro delle 18.03" l'ha celebrata con una suggestiva passeggiata nel grande libro della Natura.

Da Vencò a Mernico, una quarantina di viandanti ha percorso un breve tratto dell'"Iter Aquileiense", l'ormai famoso "cammino" da Aquileia al Monte Lussari, descritto nella bella "Guida al Cammino Celeste" edita da Ediciclo per la prima volta nel 2011, successivamente ampliata e aggiornata.

E' stata una passeggiata tra i vigneti dove hanno origine alcuni tra i più pregiati vini - rossi  soprattutto bianchi - in Italia e in Europa. Si è potuto ammirare lo sforzo umano di adattare la terra del Collio alle esigenze della produzione, mantenendo comunque un profondo rispetto per il ritmo della natura. Ci si è immersi in bei boschi profumati dalla nuova stagione e resi ancor più affascinanti dai colori vivificati dalla pioggia dei giorni precedenti. Si è marciato serenamente, chiacchierando del più e del meno, senza dimenticare le grandi preoccupazioni del tempo presente, la fame nel mondo, le migrazioni e le profuganze, la guerra che infuria in Ucraina e in tante altre lande, purtroppo dimenticate dai media. 

Grazie alla collaborazione di alcuni abitanti della zona, si sono trovate aperte tutte le chiesette votive sparse sul percorso, Sant'Haelena a Vencò, San Giacomo ai Casali Zorutti, dove il sindaco ha amabilmente offerto un buon bicchiere di bianco a tutti i partecipanti e dove si è parlato del grande poeta friulano Pietro Zorutti, San Leonardo a Scriò e di nuovo Sant'Elena a Mernico. Sono tutte semplici testimonianze di una fede fortemente radicata nella coltivazione della terra e nella celebrazione dell'importanza del lavoro umano.

C'è stato il tempo anche per qualche assaggio enogastronomico, ma anche per raccontare l'Iter, più conosciuto con il nome di Cammino Celeste. E' una proposta per chi cerca di approfondire la propria fede o vuol coltivare interessi culturali, per chi lo utilizza come occasione per un turismo ecologico che fa bene a chi lo pratica e all'ambiente, per chi vuole conoscere paesaggi ed espressioni artistiche in zone meno note e frequentate della bella regione europea che comprende il Friuli Venezia Giulia, la Primorska slovena e la Carinzia austriaca. Sì, perché l'iter prevede ben tre tracce, una sul confine tra Italia e Slovenia, una da Brezje, sopra Lubiana e una dallo storico santuario di Maria Saal, a nord di Klagenfurt.

Molti dei camminatori hanno espresso il desiderio di affrontare i circa 200 chilometri e i dieci giorni necessari, magari durante la prossima estate. Saranno alcuni degli oltre 2000 viandanti che si attendono sulle vie della regione, portatori non solo della ricchezza della loro esperienza, ma anche di un autentico messaggio di pace e di armonia, con gli altri, con la natura e con sé stessi.

La mattinata del "Libro delle 18.03" si è conclusa con un brindisi alla meravigliosa realtà che è il "Libro" e con l'augurio generalizzato di "Buon Cammino".

venerdì 22 aprile 2022

Volitve... Elezioni in Slovenia, con un "in bocca al lupo!" ai goričani Rusjan e Pelicon...

Domenica 24 aprile ci saranno le elezioni in Slovenia. O meglio, saranno conosciuti i risultati, perché già nel corso della settimana un numero record di persone ha già depositato la scheda nell'urna. Ci sono alcuni problemi con i voti che dovrebbero pervenire dall'estero, una situazione che crea qualche previa preoccupazione relativa alla possibilità di eventuali ricorsi.

Due sono i principali antagonisti che puntano alla carica di Capo del Governo. Sono Robert Golob, illuminato imprenditore e volto nuovo della politica slovena e Janez Janša, camaleontico uomo forte nelle stanze del potere dai tempi della Jugoslavia, primo ministro uscente e nome di spicco della neo-destra europea. Non c'è un'elezione diretta. La Slovenia ha un sistema misto. Da una parte è repubblica presidenziale, dal momento che il Presidente viene eletto direttamente dal popolo (tra l'altro, quest'anno, nel mese di giugno). Dall'altra le prerogative del Presidente sono limitate come in una Repubblica parlamentare e il suo compito ordinario principale consiste proprio nella nomina del Capo del Governo, sulla base degli equilibri numerici che le elezioni assegnano al Parlamento.

Negli ultimi anni, dopo il cambio di maggioranza avvenuto all'inizio del 2020, il Governo Janša ha inanellato una serie di decisioni che hanno fortemente limitato alcuni aspetti della vita democratica e hanno reso molti settori produttivi dipendenti dall'estero, soprattutto dalla vicina Ungheria di Orban. Il sistematico attacco alla libertà di stampa e la sostituzione di personalità tecniche di grande competenza con altre "asservite" al potere in vari settori economici e culturali, hanno suscitato una lunga serie di proteste. Tra esse sono da ricordare quelle che da oltre due anni si ripetono ogni venerdì sera sulle strade e sulle piazze di Lubiana.

I sondaggi sembrano premiare la volontà di cambiamento. Il partito di Golob (Svoboda) sembra riuscire nell'intento di raggiungere la maggioranza relativa, seguito a distanza da quello di Janša (SDS). Se così fosse, dovrebbe farcela ad avere i  numeri sufficienti, tenuto conto dell'appoggio diretto e convinto del partito Socialni Demokrati (SD, più o meno l'italiano Partito Democratico), dei già premier Marjan Šarec e Alenka Bratušek. La vera sorpresa, sempre secondo i sondaggi, sembra essere la Sinistra (Levica) che, guidata dal giovane e assai bravo Luka Mesec, potrebbe fare il botto assestandosi al terzo posto con oltre il 13% dei consensi. Se tale risultato fosse confermato, l'appoggio al nuovo premier potrebbe essere accompagnato dalla richiesta di una forte svolta nelle politiche del lavoro, dell'ambiente, della giustizia e della pace.

C'è molto territorio Goriziano, con buone possibilità di rappresentanza, nelle elezioni slovene. A sostegno del novogoričano premier in pectore Golob, si trova tra gli altri anche l'ex sindaco di Nova Gorica Matej Arčon.

Ma anche Levica propone due ottimi candidati, Marko Rusjan per la città e Andrej Pelicon per i dintorni, compagni e amici con i quali si è già compiuta un po' di strada insieme e ai quali anche da questo blog si invia un forte "in bocca al lupo". Una rappresentanza così significativa e umanamente coinvolgente come quella di Marko e Andrej in seno al Parlamento di Lubiana, potrebbe portare un'ulteriore contributo al cammino di autentica sinergia e collaborazione tra le due Gorizia (Gorici). Nell'anno super-elettorale sloveno è prevista anche la tornata amministrativa nei Comuni, in autunno. In questa luce assumerà ancor maggior interesse il nuovo assetto istituzionale che sarà determinato dalle scelte dei cittadini sloveni. 

Non resta che aspettare domenica sera.

mercoledì 20 aprile 2022

Voglia di Pace...

Tutti vogliono la pace. No, forse non tutti, c'è anche chi, come qualche corrente futurista, ha esaltato in passato la guerra, definendola l'igiene del  mondo. Ma la maggior parte degli esseri umani vuole la pace, pur ritenendo la guerra una triste necessità, alla stregua di una malattia, di un terremoto o di qualsiasi altra inevitabile sciagura naturale.

Vogliono la pace anche quelli che scatenano la guerra, pensano che non ci siano altri mezzi perché siano garantite le loro ragioni. Naturalmente, almeno generalmente, le vere motivazioni di un'aggressione devono essere conosciute soltanto da pochi, per questo occorre attribuire al nemico ogni sorta di minaccia nei confronti degli intoccabili dio padre e famiglia. Diversa è la situazione di chi è attaccato, vive in situazioni di evidente oppressione e persecuzione, vede costantemente soffocate la libertà e la giustizia. In questo caso, i motivi per cercare di rovesciare la contingenza sono maggiormente evidenti, anche se è sempre comunque forte la possibilità di una strumentalizzazione da parte di chi vorrebbe soltanto sostituire una forma di oppressione con un'altra o semplicemente continuare a garantirsi un potere non meno oppressivo di quello portato dagli aggressori.

In tutto questo dichiararsi per la pace ed essere contemporaneamente in guerra, di sicuro c'è soltanto la sofferenza. Che il missile sia stato sparato da una parte o dall'altra, che il giovane sia un soldato o un civile, che i bambini siano utilizzati per la propaganda o meno, che siano stati usati ordigni sofisticati o fucili da museo, ciò che c'è di vero è l'orrore della morte, l'urlo dei feriti, il pianto disperato di chi perde le persone amate. Questo grido, come ogni strage degli innocenti, sollecita la coscienza e invita a domandarsi se si siano realmente compiuti tutti gli sforzi possibili per raggiungere una pace vera e duratura.

Nel caso dell'attuale conflitto fra Russia e Ucraina, chi vuole davvero la pace si deve porre domande drammatiche e nel contempo deve cercare di darsi delle risposte sufficientemente convincenti. Non è facile, anche perché finora, a parte gli strateghi politici e militari che governano i militarmente più forti Paesi del mondo, sono molto pochi gli strumenti per comprendere ciò che stia davvero accadendo. All'inizio sembrava che si trattasse di riportare alcune regioni russofone nella sfera della Russia e di impedire l'inserimento dell'Ucraina nella NATO. Dall'altra parte sembrava esserci un irrigidimento e un rifiuto a trattare su tali argomenti a prescindere, mentre gli USA e parte dei Paesi europei soffiavano sul fuoco con parole, opere e (molte) omissioni. Dopo due mesi, oltre a quella dell'umano dolore, l'unica certezza è che se tutti vogliono la pace, sono ben pochi quelli che si stanno adoperando per raggiungerla. Brillano per la loro assenza l'ONU, i diplomatici europei e gli altri arbitrati internazionali. Le chiese si annullano a vicenda, con posizioni antitetiche e spesso contradditorie anche al loro interno, tenendo conto che il loro ruolo non dovrebbe andare al di là di un forte richiamo etico. Nel frattempo, lo scontro sul campo si è trasferito nei talk show dell'Occidente e, grazie anche al martellamento mediatico, nell'ennesima partita tra "buoni e cattivi" ci si divide in tifoserie le une contro le altre scatenate.

Anche il tradizionale mondo pacifista vacilla sotto i colpi delle opposte "ragioni" e anche della non peregrina accusa di "svegliarsi" soltanto in alcune occasioni, sparendo dalla storia nei tempi intermedi. Non è del tutto vero, c'è chi ha sempre tenuta accesa la fiammella, pur essendo quasi del tutto ignorato dagli organi di informazione. In generale la diffidenza attuale potrebbe essere considerata anche un bene, l'unanimismo del passato ha consentito a immense manifestazioni partecipate da milioni di persone di scomparire dalla storia come i titoli di coda di un film. Questa volta occorre maggiore consapevolezza, l'aggressione non può trovare alcuna possibile giustificazione o comprensione e il diritto di un popolo a difendersi da qualsiasi violenta oppressione non può essere liquidato come forma di incoscienza di fronte a un avversario ritenuto militarmente superiore.

Quindi? Quindi una volta affermato - con la stragrande maggioranza della popolazione mondiale - che si è per la pace, occorre prendere una posizione faticosa ma convinta sulla strada per realizzarla.

E qui si torna alla già più volte richiamata alternativa. O si risolve il tutto con la vittoria di una delle due parti in guerra oppure con la trattativa diplomatica. Là dove finisce la Politica inizia la Guerra, si diceva un tempo. Se gli USA e l'Unione Europea ritengono che l'Ucraina debba vincere la guerra non hanno altra alternativa che inviare per ora armi, ma ben presto anche gli eserciti, innescando una spirale di ritorsioni dagli esiti tragicamente immaginabili. Se invece vogliono effettivamente evitare la terza guerra mondiale, l'unica strada possibile è un'efficace, competente e convincente mediazione, cogliendo le istanze degli uni e degli altri, inviando corpi civili di pace, offrendo collaborazione per la ricostruzione delle città distrutte e per il ripristino delle relazioni. 

Facile dirlo stando seduti sul divano a vedere la tv? Forse, ma perché vediamo solo azioni militari e non percepiamo alcun segno di diplomazia? Perché sembra che i cosiddetti "grandi" della Terra gettino continuamente benzina invece che acqua? Perché non affrontare anche ciò che sta dietro a questa ormai interminabile battaglia e a questi orrori che fanno da inevitabile contorno di ogni guerra? Perché la Politica, anche in Italia, si lascia soffocare dalla scorciatoia dell'invio degli armamenti e dell'asservimento alle istanze americane?

Il modo migliore per onorare chi è stato trascinato nella sofferenza e nella morte non è quello di fomentare la vendetta dei sopravvissuti, ma di seminare parole di pace, di dialogo e di perdono.

lunedì 18 aprile 2022

Dai ponti di Vipava alle colline di Scriò, con "Il libro delle 18.03".

Sabato 16 aprile, si è tenuta la prima delle due "uscite" dell'edizione primaverile del "libro delle 18.03".

Il tema conduttore è stato quello dei ponti di Vipava, svolto con l'aiuto di una guida d'eccezione, l'ingegnere e professore Gorazd Humar.

Prima di giungere alle sorgenti dell'omonimo fiume, ci si è fermati nei pressi di Ajdovščina, per conoscere la storia del "ponte di Napoleone". Perché questo nome? Forse il  Bonaparte è passato da queste parti, magari nel periodo dei cinque giorni di presenza a Gorizia, all'inizio dell'800?

No, il ponte in pietra ha sostituito un precedente manufatto in legno, non è stato visto o attraversato dall'imperatore, bensì dai francesi del suo seguito. Lo hanno realizzato per consentire a decine di carri trainati da cavalli, di trasportare il mercurio dalle miniere di Idria al porto di Trieste. Con questo minerale, Napoleone in persona si è arricchito a dismisura, avendo sufficienti risorse per ingraziarsi i suoi generali e per finanziare gli amici (e, naturalmente, le amiche). 

A Vipava si è potuta conoscere meglio la storia dei Lantieri e del loro sontuoso palazzo estivo, attualmente sede dell'Università di Nova Gorica. Ci si è soffermati davanti al ponte al centro del paese, il secondo esistente più antico della Slovenia, con l'interessante pietra miliare austro-ungarica, indicante le 11 miglia austriache (circa 77 chilometri) di distanza di Laibach (Lubiana) e le due miglia dalla più vicina stazione postale di Črniče. Non è mancato lo stupore dei partecipanti davanti alla bellezza delle sorgenti, con le acque raccolte dal Mont Nanos che scaturiscono da ogni parte, donando una sensazione di limpidezza e freschezza senza pari.

Particolarmente interessante è stata la spiegazione del Ponte Lantieri, che collega il giardino e le case "della servitù" con il corpo centrale del palazzo, un piccolo capolavoro per ciò che concerne la cura artistica e la scelta dei materiali. Dopo uno sguardo agli altri numerosi ponticelli e alle numerose risorgive, ci si è soffermati in piazza sul monumento ai caduti realizzato da Jože Plečnik, con una forma che richiama inconfondibilmente una croce e il bassorilievo dell'uva per celebrare una delle principali attività della valle.

Nel cimitero del paese sono stati presentati due elementi interessanti e importanti. Nella cappella tombale Lavrin-Hrovatin ci sono due massicci sarcofagi egizi, trovati nei pressi della piramide di Chefren a Giza. Risalgono a circa 4500 anni fa e sono stati portati a Vipava dall'illustre cittadino Anton Lavrin. Si è ripercorsa la vita avventurosa di questo personaggio importante che durante il periodo dell'impegno diplomatico ad Alessandria ha seguito con interesse gli scavi archeologici del tempo, non dimenticando di portare con sé numerose opere del tempo dei faraoni. Una di esse è la sfinge di Miramare. Poco distante, c'è la tomba di Drago Bajc. Vi è sepolto un ottimo poeta, nato nel 1904 e morto nel 1928, conosciuto per il suo intenso impegno antifascista. Il bel monumento funebre è stato costruito molto alto per poter scrivere, in un tempo in cui ne era impedito l'uso, in lingua slovena il nome e il cognome dell'artista che lo ha realizzato, anche nel ricordo dei cupi giorni durante i quali era stato perfino impedito il solenne funerale del giovane attivista.  

La prossima "uscita" sarà molto diversa, un'amena camminata sui colli di confine, tra la valle dello Judrio e le pendici del Korada. Si potranno vedere chiesette votive, casali un tempo molto abitati, vigneti a perdita d'occhio e inattesi panorami mozzafiato. Saranno circa 9-10 chilometri, da percorrere in circa quattro ore, non senza gustare la fragranza del frutto della vite. Partenza alle ore 10.03 in corriera, dalla Transalpina, rinfresco intorno alle 14.15 presso il Cjant del rusignul a Mernico, rientro verso le 15.45. Ci si può prenotare telefonando, martedì e mercoledì, dalle 15 alle 17, al numero 371.5848955.

domenica 17 aprile 2022

Buona Pasqua, Vesela Velikanoč, Buina Pasca

Un bell'arcobaleno sul monte Nanos è l'augurio di pace in questo tempo tormentato.

Mentre la guerra infuria, in Ucraina e in tante altre parti del mondo, mentre poche sono le voci che si levano nel contesto internazionale, a favore di una trattativa diplomatica fra i contendenti, mentre la guerra e le armi tornano a essere ritenute metodo di risoluzione delle controversie tra le nazioni, mentre si fa tanta fatica a percepirsi e accogliersi reciprocamente come parte della stessa umana famiglia,...

...mentre tutto questo e tanto altro, l'augurio di quest'anno ha un senso ancora più forte e pregnante, pieno della speranza che prevalgano la bellezza della vita e la forza della ragione.

Buona Pasqua, vesela Velikanoč vsem, buina Pasca a duc's.

sabato 16 aprile 2022

Gorici (le due Gorizia), i love you

Dal momento che, con mia sorpresa, una delle mie 25 priorità alfabetiche è balzata improvvisamente agli onori delle cronache, credo sia utile approfondirne il tema. Si tratta della lettera V come Vie, dedicata lo scorso 8 aprile alla toponomastica goriziana.

In premessa, vorrei ricordare che questo è un blog del tutto personale. Non sono iscritto a nessun partito e  e le idee espresse non rappresentano nessun gruppo politico presente in città o altrove. Ritengo quindi un onore il fatto che un sindaco si confronti con il blog di un privato cittadino, per esprimere la propria contrarietà. Lo colgo come un segno di una reciproca conoscenza e oserei quasi dire anche amicizia che ha radici nei lontani tempi in cui io frequentavo Stella Matutina e lui san Giusto. Tutto ciò che è scritto in questo blog è utilizzabile liberamente, quindi non c'è alcun problema nel prenderne un post, copiarlo nella propria pagina facebook o twitter, commentandolo secondo il proprio punto di vista.

Ecco infatti, il problema sta proprio nel punto di vista.

Intanto non ho proposto di cambiare tutti i nomi delle vie dedicate agli italiani sostituendoli con altri sloveni. Ho proposto sì la riduzione di alcuni nomi relativi alla storia militare della prima guerra mondiale, tra i quali quello del generale Cadorna, la cui figura è descritta da una parte della storiografia come un vero macellaio, anche se non mancano storici che ne riabilitano il ruolo. In ogni caso, è stata una persona che ha avuto una parte fondamentale in quella orrenda carneficina che è stata la cosiddetta Grande Guerra. Chi potrebbe negare che a Gorizia le intitolazioni a persone, brigate ed eventi di quel periodo sono in numero sproporzionato rispetto alla storia millenaria precedente e centenaria successiva al 1918? Sì, è vero, ho anche suggerito di modificare Piazza "Vittoria" riportandola all'antico nome di Piazza Grande o di Travnik, ricordando le conseguenze funeste che quella "Vittoria" ha portato. Si può ovviamente dissentire, ma chi ritiene che la guerra non possa mai essere uno strumento per la risoluzione del conflitti fra le Nazioni può almeno auspicare che i luoghi che caratterizzano la città richiamino, oltre cento anni dopo quell'inutile strage, ricordi di pace e non di guerra?

Ho poi citato alcune scuole, pensando in verità di dire delle ovvietà e proponendo degli esempi del tutto integrabili o sostituibili, dal momento che il nome di un istituto dovrebbe indicare un modello di vita per gli scolari e per gli studenti. Dubito che De Amicis sia ancora un punto di riferimento attuale per chi, come scrive il sindaco, crede nei valori di dio patria e famiglia, per cui non mi sembrava assurdo immaginare una scuola di Lucinico dedicata a Celso Macor (il quale, detto per inciso, pur avendo una visione universale della società, non potrebbe essere definito propriamente un poeta "sloveno"!). Così come non mi pare irriverente ritenere che l'Istituto D'Annunzio possa essere invece dedicato a Valentin Stanič, geniale sacerdote, ingegnere, alpinista, educatore, nativo di Bodrež e a tutti gli effetti "Goriziano". L'attuale struttura scolastica di Via Brass è stata infatti costruita utilizzando il precedente edificio, la benemerita scuola da lui stesso  voluta che, nel corso di oltre 150 anni, ha consentito di poter comunicare con gli altri a chi aveva problemi di sordità e mutismo, donando a essi il nobile strumento della parola.

Non ho mai scritto che si debba sostituire i nomi dei poeti italiani con quelli sloveni. Ho piuttosto indicato una strada opposta, sostenendo che in una città nella quale vivono insieme coloro che si riconoscono nella cultura italiana, in quella slovena e in quella friulana, sarebbe importante che ciascuno possa offrire all'altro la ricchezza della propria storia. Nessuno, sano di mente, può mettere in dubbio i pilastri su cui è edificata la grande cultura italiana, Dante, Petrarca, Boccaccio, Manzoni, Leopardi, Francesco d'Assisi, Michelangelo e così via. Ma cosa ci sarebbe di male ad affiancare a essi altri nomi di straordinari artisti e letterati che hanno costruito la cultura slovena e quella friulana. Per questo, sarebbe interessante dedicare degli spazi cittadini a France Prešeren, a Primož Trubar, a Ivan Cankar, a Simon Gregorčič, poeta sacerdote definito "l'usignolo di Gorizia", a France Bevk, a Lojze Bratuž, a Ljubka Šorli o anche a personaggi che recentemente hanno testimoniato altre tragedie del XX secolo, come per esempio Vilma Brajni. Certo, si possono aggiungere tantissime altre proposte, rappresentative anche degli altri ambiti che hanno caratterizzato la storia goriziana, quello tedesco, quello ebraico e quello delle numerose comunità regionali che si sono installate in città dopo la seconda guerra mondiale. Ma come fa un sindaco di una realtà plurilingue e pluriculturale a ritenere che la "sua" città sia soltanto "italiana" e che non sia invece il suo valore specifico proprio quello dell'unità nella diversità che si deve esprimere anche attraverso i suoi simboli toponomastici? Non è un buon biglietto da visita per una "Capitale europea della Cultura", riconosciuta proprio per la sua caratteristica inter-nazionale, iniziare denigrando la cultura slovena come meno degna di essere rappresentata nello spazio cittadino rispetto a quella italiana. 

Ecco tutto, con la soddisfazione di aver aperto un dibattito su un tema delicato. Mi piacerebbe che il sindaco, dal momento che trova il tempo per onorare il mio blog, esprima un parere anche sulle altre 24 priorità indicate (lavoro, accoglienza, welfare, urbanistica, viabilità, biblioteca, sanità, lavori pubblici, ecc., tanto per portare qualche esempio). 

Alla sua domanda, "che cosa mi ha fatto di male Gorizia italiana?", rispondo che Gorizia - italiana, slovena, friulana, ma anche veneta , sarda, pugliese, ebraica e ora pakistana, afghana, ecc. - mi ha accolto con ricambiato amore e mi ha ospitato per quasi 60 anni. L'ho preferita alla mia bellissima città natale, Verona, la amo profondamente e le ho dedicato pensieri, parole, interi libri. La amo proprio per la sua originale multiculturalità e da quando, fin da bambino, frequento anche la sua parte "nuova" della città, non amo solo Gorizia, ma anche Nova Gorica, o meglio amo le due Gorizia, Gorici, per usare il numero duale presente solo nella lingua slovena.

giovedì 14 aprile 2022

Accoratamente, no all'invio delle armi, sì alla trattativa di pace!

 

La guerra è orribile. Ogni guerra è in sé orribile. 

Spesso si nota con orrore il coinvolgimento dei civili. Ma anche il massacro di giovani soldati, anche di quelli che hanno scelto liberamente di combattere, è sconvolgente. Che dire poi dei bombardamenti che distruggono case scuole, ospedali o delle quotidiane stragi di innocenti, con il carico di ulteriori violenze, anche contro i bambini, esercitate con inaudita ferocia da uomini resi dai conflitti bruti irrazionali e incontrollabili.

E' veramente importante conoscere le cause e le responsabilità, quelle immediate e quelle remote, anche se nessuna di esse può giustificare l'immenso dolore delle vittime. I morti e i feriti sono morti e feriti, con il loro carico di sofferenza fisica e morale, siano stati colpiti da armi "convenzionali" o di "distruzione di massa". La differenza sta solo nella quantità, non nella qualità, perché ogni attentato all'integrità fisica e alla vita è in realtà espressione dell'incapacità dell'Uomo di essere degno di tale nome, di usare il proprio raziocinio per edificare e non per distruggere, per amare invece che per odiare.

Come evitare che la guerra sia considerata strumento per risolvere i conflitti fra i popoli e le nazioni? Come avviare una modalità diversa da quella che - come si suol dire - c'è sempre stata ma non necessariamente per sempre ci sarà? Una risposta semplice, fin troppo semplice è quella di smantellare tutti i mezzi che servono per combattere, il disarmo generale, comprendente tutti i tipi di ordigni atti a provocare devastazione e morte. Accanto a questa, c'è un'altra risposta, altrettanto semplice al punto da sembrare ingenua, costituire un organismo di arbitrariato internazionale - più efficace dell'attuale Organizzazione delle Nazioni Unite - al quel ogni Stato dovrebbe conferire una parte importante del proprio potere.

In attesa che ciò avvenga, come risolvere un conflitto in atto? Come impedire che dilaghi, portando con sé l'enorme potenza distruttiva che in poco tempo cancella storie, culture, esistenze inermi? Logicamente, ci sono solo due possibilità. La prima è che una delle parti risulti più forte dell'altra e "vinca la guerra", risolvendo apparentemente i problemi e sradicandoli, lasciando ordinariamente uno strascico di lutti e di desideri di vendetta che si prolungano per molto tempo, diventando spesso il terreno fertile per la realizzazione di nuovi e anche più tragici contrasti. La seconda è che ci si sieda attorno a tavoli di trattativa, cercando con tutti gli sforzi possibili di trovare soluzioni diplomatiche in grado di garantire una stabilità duratura fondata sulla giustizia e su una sufficiente condivisione della "verità". Più si lascia tempo alla voce delle armi, meno è facile trovare accordi.

Alla luce di queste premesse, cosa dire dell'attuale conflitto tra Russia e Ucraina? Una prima affermazione non può che essere la condanna senza attenuanti dell'aggressione voluta da Putin contro un Paese e contro il suo diritto all'autodeterminazione. Le indiscutibili contestualizzazioni che inchiodano anche Zelen'sky e i governanti ucraini alle loro responsabilità, non sminuiscono la gravità e l'assurdità dell'intervento armato delle armate di Mosca. La giusta ricerca di colpevolezza e di adeguata informazione riguardo alle terribili stragi di Bucha, di Mariupol e purtroppo presumibilmente di molti altri luoghi, non cancella la tragedia delle vittime, conseguenza ineluttabile di ogni guerra. Che sia colpa degli uni o degli altri, la sofferenza è sempre sofferenza, le vittime sono vittime e i carnefici sono carnefici. In ogni caso, chiunque li abbia compiuti, i massacri di guerra sono un conseguenza dell'infausta decisione di chi l'ha scatenata.

Ma allora, cosa fare per fermare l'aggressore? Come impedire a Putin di continuare questa invasione armata che tanto dolore provoca tra gli abitanti dell'Ucraina? Come bloccare questa semina di morte che alimenta l'orrenda pianta della guerra?

Piaccia o meno, ci sono solo due possibilità. La prima è che uno dei due contendenti vinca e perché questo possa accadere occorre che i Paesi contrari alla Russia rendano militarmente più forte possibile l'esercito e quella che alcuni definiscono la resistenza popolare ucraina. Essendo le forze in campo evidentemente dispari, accrescere la potenzialità di vittoria significa anche non limitarsi al rifornimento di armamenti ma intervenire direttamente sul campo di battaglia, con le conseguenze inevitabili di un allargamento del conflitto, con probabile ulteriore intervento di altri attori importanti, schierati presumibilmente dalla parte opposta. In altre parole, la moltiplicazione delle armi, anche nel caso in cui contribuisca ad alleviare la solitudine dei resistenti, non può provocare altro, nel migliore dei casi, che una cronicizzazione delle operazioni belliche. E' quello che reclamano i caduti, armati o inermi? Prolungare a tempo indeterminato questo stillicidio è il modo migliore per vendicare l'orrore che li ha colpiti?

La seconda possibilità è la trattativa a oltranza. Facile a dirsi, quando non si è sotto le bombe e quando la minaccia non è rivolta contro il proprio Paese o i propri cari. Sì, facile a dirsi, ma quale alternativa c'è? Si può dire che in questi 40 giorni ci sia stata una pressione internazionale per una svolta diplomatica almeno altrettanto forte rispetto alla condanna inequivocabile della Russia e al contestuale invio di ulteriori armamenti a sostegno delle ragioni di Zelen'sky? Dove sono l'ONU e i negoziatori della diplomazia europea? Perché non sono stati ancora attivati i "corpi civili di intromissione nonviolenta", chiamati a intervenire per collocare i primi mattoni su cui edificare l'edificio della Pace? Perché questo unilaterale asservimento alla volontà di Biden e agli interessi geopolitici ed economici dell'attuale amministrazione americana?  Perché non si innalzano altre voci e proposte di mediazione, oltre a quella di papa Francesco e di alcune personalità del tormentato mondo pacifista, anch'esso alle prese con discussioni e contraddizioni interne?

Non "senza se e senza ma", è comunque necessario ribadire la convinzione che la guerra non può mai essere considerata strumento per la risoluzione delle controversie, rinnovare l'adesione allo spirito del "ripudio della guerra" solennemente codificato dall'art.11 della Costituzione, credere nella forza risolutrice della nonviolenza, là dove il sacrificio della propria vita si rivela ben più potente che la soppressione di quella degli altri. Ci si crede ancora? O pensiamo che non ci sia altra possibilità che inviare oggi armi - domani chissà? - e relegando we shall overcome, peace and love, Genova 2001, Perugia-Assisi, i ponti durante i bombardamenti in Serbia, le marce contro l'intervento in Iraq... nella soffitta delle belle illusioni, svanite nel tempo insieme alla primavera della nostra vita?

martedì 12 aprile 2022

Verso le elezioni comunali: Z come Zaino. Srečno pot, buon cammino Nova Gorica e Gorizia.

Zaino significa cammino, avventura, novità, ma anche essenzialità, delicatezza, rispetto dell'ambiente e degli altri.

E' con questa indispensabile "casa" del viandante e del pellegrino che si conclude questo "alfabeto goriziano", umile pro-memoria per coloro che si impegneranno nella prossima campagna elettorale e anche per chi non vorrà o potrà presentarsi alle elezioni, ma sarà comunque coinvolto nella costruzione del futuro di Nova Gorica e Gorizia, capitale europea della Cultura.

Zaino vuol dire percorsi a piedi o in bicicletta. Ce ne sono già molti sul territorio e sono una grande risorsa, per chi vive nella zona e conosce poco la sua bellezza naturale e il suo fascino storico, come anche per un turismo intelligente, sostenibile e portatore di ricchezza umana e anche materiale.

C'è la Pot miru, lo splendido itinerario storico da Log pod Mangartom a Duino, attraverso i siti più noti del "fronte dell'Isonzo". Là dove i soldati hanno perso la vita in guerre assurde, oggi ci si può incontrare, conoscere, amare, godere dei colori del fiume e dello splendore delle montagne. C'è il Vipavški dolina trail, spettacolare alta via sulle creste del Čaven, dell'Ojtlica, del Nanos, del Trstelj e naturalmente dei monti goriziani. Ci sono percorsi ciclistici da est a ovest. Da Lubiana si può arrivare e Gorizia attraverso il passo Ad Pirum, tra boschi immensi, reliquie archeologiche romane, graziose cittadine e sorgenti affascinanti. Da Grado si può risalire lungo l'Isonzo e sulla ciclabile in via di completamento sarà presto possibile risalire fino alla val Trenta e alle meravigliose sorgenti. Il turismo lento è uno scrigno da aprire, per il rispetto ambientale, per la moltiplicazione di relazioni che consente e anche per le attività produttive e sociali che da esso possono germogliare e realizzarsi.

Ma lo zaino ha anche un valore simbolico. Chi affronta lunghi cammini sa quanto sia importante scegliere con cura cosa e quanto portare. Se è poco, ci si trova poi in difficoltà nella gestione della quotidiana sopravvivenza, se è troppo, diventa impossibile camminare e già al terzo giorno il corpo comincia a protestare e a rendere problematico continuare.

Cosa deve mettere nello zaino la/il sindaco? Cosa la sua giunta e chi è sostenitore? Quali sono gli elementi essenziali, senza i quali non si può andare da nessuna parte? questo lungo elenco di temi e di proposte vuole essere una specie di magazzino, ancora tutto da riempire, dal quale trarre ciò che si ritiene urgente per poter andare avanti. L'opportunità offerta dalla comune responsabilità di essere capitale europea nel 2025 è enorme e non deve essere perduta. Lo staff organizzativo si è presentato ai cittadini in Transalpina e senz'altro ha dato l'impressione di essere ampiamente all'altezza delle aspettative. Ma ora la politica deve fare la propria parte, con slancio e convinzione. Nessuno dei temi affrontati è secondario, dal lavoro all'ambiente, dall'accoglienza all'arte, dall'attenzione ai più deboli alla valorizzazione delle categorie commerciali, dalla filosofia alla storiografia. Si tratta di decidere cosa mettere prioritariamente nello zaino.

Si tratta anche di rendersi conto dell'urgenza delle idee. I soldi non mancano, le fonti di finanziamento sono accessibili, mancano invece spesso le idee e quasi sempre il personale tecnico con il quale trasformarle in progetti esecutivi. Per questo i primi passi determinanti dovranno essere la determinazione delle linee fondamentali dell'amministrazione e la pressione perché siano riaperte le assunzioni, a tutti i livelli. Si può risparmiare su tutto, ma non sul lavoro, in particolare in ambito tecnico e amministrativo. Senza un adeguata relazione tra "visio" politica e "actio" tecnica, veramente ogni prospettiva diventa un semplice libro dei sogni.

Su lo zaino, allora! In marcia, procedendo con entusiasmo e passione, verso il futuro. Srečno pot, buon cammino Nova Gorica e Gorizia...  

lunedì 11 aprile 2022

Le uscite delle 10.03, edizione primaverile del "Libro delle 18.03"

Veno Pillon, Ponte a Vipava 
Nell'ambito dell'edizione di primavera della rassegna del "Libro delle 18.03", sono previste anche due "uscite" transfrontaliere, entrambe con partenza alle ore 10.03 dal Piazzale della Transalpina/trg Evrope e rientro nello stesso luogo intorno alle 15.30. Sabato 16 aprile si andrà a Vipava, per scoprire i ponti del caratteristico paese collocato sulle sorgenti del fiume che porta lo stesso nome. Sabato 23 aprile si percorrerà invece un breve tratto del Cammino Celeste, da Vencò a Mernico sulle dolci colline di confine coperte da vigneti e ulivi.

La prima gita sarà guidata dal prof. Gorazd Humar, ingegnere tra i massimi esperti di costruzione di ponti, autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue. Con lui si potranno ammirare i tanti manufatti che varcano i numerosi rami del principale affluente dell'Isonzo, che scaturiscono come d'incanto dalle rocce sottostanti il monte Nanos. Si potranno quindi ripercorrere con la mente alcuni importanti eventi storici, accaduti proprio intorno alle sponde di quello che i romani chiavano Frigidum, per il gelo delle sue acque, soprattutto sarà possibile ammirare l'ingegno di chi ha costruito i numerosi ponti, interessanti per la loro storia, caratteristici e belli per la loro architettura.

Primavera a Scriò
La seconda uscita, non meno bella anche se un po' più faticosa, condurrà i partecipanti a camminare lungo le strade sterrate e i sentieri di una parte del Collio abbastanza poco conosciuta. Sulla distanza di circa 10 km e un tempo di percorrenza previsto intorno alle tre ore di marcia, si visiteranno piccole e graziose chiese che punteggiano il territorio, da Sant'Helena a Vencò a San Giacomo a Lonzano, da san Leonardo a Scriò a sant'Elena a Mernico. Sarà possibile conoscere il borgo natio del grande poeta friulano Pietro Zorutti, immergersi nei vigneti e camminare tra gli ulivi, gustare nelle piccole frazioni il frutto della vite. Ci sarà anche il tempo per conoscere qualcosa di più sulla nascita e lo sviluppo del Cammino Celeste o Iter aquileiense che dir si voglia, il suggestivo itinerario a piedi che da Aquileia permette ai pellegrini e ai viandanti di raggiungere in una decina di giorni il Monte Lussari. Oltre al titolare di questo blog, sarà presente un altro dei fondatori del cammino, l'esperto cartografo e priore della confraternita di san Giacomo Marco Bregant. 

In entrambi i casi, alla fine sarà possibile consumare un breve spuntino, per stare ancora un po' insieme e confrontare le impressioni. Per le necessarie prenotazioni, occorre telefonare, nelle giornate di lunedì e martedì, dalle 15 alle 17, al num. 371.5848955.

Già che ci si è, si ricordano anche i due appuntamenti letterari di questa settimana, entrambi alle ore 18.03. Mercoledì 13 aprile, presso il Kulturni dom, sarà presentato il libro di Francesco Tomada e Anton Špacapan Vončina Il figlio della lupa. Dialogherà con gli autori Federica Marzi. Il giorno dopo, giovedì 14 aprile, presso il Museo di Santa Chiara in Corso Verdi, sarà la volta di Jacopo De Michelis che illlustrerà il suo libro La stazione, dialogando con Martina Delpiccolo. 

Verso le elezioni comunali: Y come yoga. A Sveta Gora un centro filosofico internazionale?

 

Y come yoga. Cosa c'entra yoga con Gorizia? E con il ponte di Solkan?

Non c'entra quasi niente, ma non è così facile trovare una parola adatta al tema che inizi con la y. Tuttavia, proprio forzando un po' la mano, un collegamento, scavando a fondo, lo si può anche trovare...

...ed è ancora una volta di ordine culturale. Nel 1992 papa Wojtyla visitò Gorizia e nella piazza Grande tenne un significativo discorso, definendo la zona "cerniera di collegamento fra Oriente e Occidente". L'espressione, in un tempo nel quale i nazionalismi europei fanno nuovamente sentire la loro funesta voce, assume un particolare valore, confermando la posizione geopolitica come elemento simbolico di altor rilievo.

Ecco allora cosa c'entra yoga. Da una parte è una pratica che viene dall'Oriente e si innesta armoniosamente nell'orizzonte occidentale, dall'altra il significato stesso della parola rimanda all'"unione", non solo tra le visioni del mondo e le persone, ma anche tra queste e l'universo nel quale sono collocate.

Ed ecco cosa c'entra il bellissimo Solkanski most, "collegamento" tra le due sponde del fiume nel quale tanto sangue è stato versato nel corso della prima guerra mondiale, attorno al quale tanta ingiustizia è stata consumata durante l'occupazione fascista. 

La missione storica delle Gorizia/Gorica è oggi quella di dimostrare che la differenza è ricchezza e non ostacolo alla convivenza. Ciò anche sul piano strettamente filosofico, là dove ancora si attende un'indispensabile sintesi tra la visione occidentale e quella orientale, tra l'oggettivismo medievale e il soggettivismo moderno e postmoderno. L'occidente richiama la dualità, la distinzione tra il soggetto e l'oggetto, nella sua accezione attuale anche il primato del soggetto sull'oggetto. E' evidente il fascino che promana dal fondamento della libertà ab-soluta, cioè sciolta da qualsiasi riferimento al di là di sé. Ma sono evidenti anche le debolezze del relativismo, la difficoltà di trovare punti di riferimenti saldi su cui edificare la pacifica e armonioso convivenza, le fragilità di una democrazia basata essenzialmente soltanto sul consenso generato dai mezzi a disposizione del più potente. E' tuttavia impensabile, oltre che impossibile, un ritorno a un sistema aristotelico-tomista, fondato sulla logica, sull'estetica e sull'etica dell'Assoluto. Anche qua, c'è chi ha nostalgia dei tempi in cui si riteneva che piacesse ciò che è bello e non fosse quindi bello ciò che piace o che fosse così chiaro ed evidente distinguere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Altri tempi, dominati dalla monarchia assoluta teocratica o imperiale, dove l'essere umano, dal concepimento alla sua fine, non poteva che subire le conseguenze dell'identificazione tra l'essere vivente e l'essere suddito. Pena, come scriveva l'imperatore Teodosio nell'editto di Tessalonica (380), la punizione dei giudici imperiali sulla terra e del giudice celeste dopo la morte. C'è ben poco di cui essere nostalgici!

L'oriente d'altra parte, almeno nella sua comunicazione tradizionale espressa in modo articolato nel buddhismo e nell'induismo, richiama la visione unitaria, là dove fondamentale è la consapevolezza dell'unitarietà. Nella consapevolezza dell'apparenza della realtà diversificata e nell'ascesi che consente di liberarsi dal suo condizionamento per sentirsi parte dell'eterno e infinito Nulla (o Tutto), come direbbe Leopardi, si sente la dolcezza del naufragare in questo mare. Ma si rischia anche l'estraneazione dalla vicenda storica, una "fuga dal materiale" che può portare al totale disimpegno, al fatalismo e a un'indifferenza cosmica che ha provocato la vera rivoluzione di Gandhi. Sì, proprio il profeta della nonviolenza ha messo in discussione la sua stessa radice e la sua appartenenza etnico religiosa, per proclamare l'autentica interpretazione delle "vie" dell'Oriente. Il legame indissolubile tra il mondo umano e tra questo e quello animale, vegetale e minerale, non si configura come indifferenza, ma come corresponsabilità. Il legame con il divino trascendente e immanente non implica la dimenticanza, al contrario presuppone una vera e propria lotta - rifiutando costantemente ogni forma di coercizione fisicamente violenta - per l'affermazione della dignità di ogni essere umano e di ogni essere vivente. Sia la visione più tradizionale che l'innovazione gandhiana sono messe in seria discussione dalla globalizzazione che insieme alle questioni macroeconomiche porta con sé la rapida eliminazione di giganteschi e longevi sistemi di comprensione e interpretazione della realtà. E' evidente quanto sia urgente riprendere in mano questi temi, cercando una gigantesca e estremamente complessa sintesi, dalla quale sostanzialmente dipenderà il futuro della Terra. Sì, perché dietro a ogni scelta di questa o quella forma di Potere esercitata nel mondo, c'è sempre un pensiero e una delle grandi speranze di questo periodo è basata sull'attesa di un nuovo, plurale e convincente ruolo della Filosofia. Sperando di essere ancora in tempo.

Riformulando la domanda iniziale, cosa c'entra tutto questo con il territorio Goriziano? 

C'entra eccome! Se deve essere "cerniera tra oriente e occidente", deve essere luogo i cui questi temi vengono affrontati, studiati ed elaborati. In questo campo, forse più che in tutti gli altri, l'occasione del 2025 potrebbe essere vantaggiosa e significativa. Che cosa hanno da dire Nova Gorica con Gorizia (e ovviamente tutto il territorio circostante, dalle valli dell'Isonzo e del Vipacco al Carso e all'area storica aquileiese) all'Europa? Che cosa di così importante da giustificare il titolo di Capitale della Cultura? La risposta sta proprio nella nobile e altra parola Filosofia. E c'è anche un luogo simbolico che potrebbe diventare il luogo della riflessione, il santuario di Sveta Gora (Monte Santo), che svetta come punto di riferimento per le città che vivono alla sua base e per i paesi che punteggiamo l'altopiano e la pianura, fino al mare. A Sveta Gora si potrebbe costituire una specie di "scuola filosofica", partecipata dai più interessanti pensatori del periodo, a livello internazionale e locale. Si potrebbero costituire dei laboratori di riflessione e approfondimento, si potrebbero moltiplicare occasioni di ascolto e di incontro tra chi va elaborando il "pensiero" della nostra epoca e le persone che vivono quotidianamente la loro esperienza esistenziale. Senza un simile contatto, il pensatore diventa un intellettuale arido e astratto, il cittadino un inconsapevole e ottuso numero nel gigantesco ingranaggio del capitalismo. U-topia o eu-topia? 

sabato 9 aprile 2022

Verso le elezioni comunali: X come x. Un segno da apporre sulla scheda elettorale.

 

E' il segno dell'ignoto, da rivelare attraverso la soluzione di un'equazione.

E' la terzultima lettera dell'alfabeto italiano, anche se sono poche le parole che iniziano con essa. Quelle che ci sono provengono dal greco, come per esempio "xenofobia", la paura dello straniero. E' un tema che dovrebbe essere molto approfondito, in una città nella quale centinaia di richiedenti asilo sono stati costretti ad "alloggiare" per mesi nella Galleria Bombi, umida, fredda e maleodorante, perché non c'era posto per loro in altre strutture. E' un tema urgente in una città che ha perso in 50 anni un quarto della sua popolazione, cosicché, là dove si viveva comodamente in 40mila ora si è in poco più di 30mila. 10.000 posti vuoti, ma "non c'è abbastanza spazio per gli stranieri". Mah...

Ma la x è anche il segno da apporre sulla scheda elettorale. Guai se fosse l'unico momento di partecipazione democratica, la corresponsabilità di ciascuno dovrebbe essere uno dei fondamenti di un'autentica democrazia. Ciò non toglie che quella x conti, eccome. Già la scelta se andare o meno ad apporla sulla scheda elettorale è fortemente politica. Consapevolmente o meno, chi non vota lascia ad altri il compito di scegliere i propri rappresentanti oppure dichiara la propria estraneità non all'unico, ma certamente a uno dei più importanti appuntamenti della democrazia rappresentativa. La disaffezione clamorosa al voto che si va manifestando negli ultimi anni è molto preoccupante, non denota tanto superficialità o disimpegno, quanto una delusione e una disillusione sulla reale capacità di trasformazione della realtà di coloro che vengono eletti.

Anche il sistema partitico, non ancora uscito dalla grave crisi che lo attanaglia ormai da decenni, non sembra riuscire ad autoriformarsi, lasciando spazi molto ampi a movimenti assemblearisti e populisti che spesso confondono la protesta con la proposta. In questo modo hanno facilmente consensi elettorali da una base sempre più gravata dalla crisi economica e morale, ma quando riescono a raggiungere il potere incontrano enormi difficoltà nel gestirlo in modo adeguato e consono alle loro promesse.

Nei livelli internazionali e nazionali diventa sempre più difficile comprendere quanto realmente conti il parere di una persona o del partito a cui appartiene. Si ha piuttosto l'impressione che i veri "giochi" si svolgano in altre sedi, quelle del governo economico multinazionale del Pianeta e dei cosiddetti poteri forti, siano essi legalizzati o meno. Certo, se lo spazio di azione è limitato, gli eletti possono cadere facilmente nella tentazione di fare della pseudopolitica un ambito di arricchimento personale o di gruppo, dimenticando totalmente che la rappresentanza dovrebbe essere prima di ogni altra prerogativa, servizio umile, totalmente disinteressato al bene comune. Per assumere qualche cavallo di battaglia dell'antipolitica, si può dire difficile che non sia così, quando in un Paese il cui reddito medio si aggira al di sotto dei 20.000 euro annui, un parlamentare (ma anche un consigliere regionale), se ne porta a casa pochi di meno ogni mese! In questo complesso e assai inquietante periodo di pre-guerra questa situazione sembra diventare sempre più evidente. Ci sono responsabili delle Nazioni, spesso non eletti dal popolo ma portati al governo da accordi molto lontani da ciò che era stato promesso e prospettato agli elettori, certamente asserviti alle decisioni dei più forti e inadeguati a prospettare accordi di pace piuttosto che moltiplicazione di parole e di armi finalizzate ad accelerare il cammino verso una catastrofe generale annunciata. Si può capire il disamoramento degli elettori, ma forse la risposta alle debolezze umane non sta nel chiamarsi fuori, ma nel tuffarsi dentro, cercando di cambiare le cose dall'interno, senza nel contempo lasciarsi cambiare dal nuovo, inatteso e incredibile stile di vita. Insomma, chi si estranea dalla lotta... sì, proprio puntini puntini...

Detto questo, dopo aver sperimentato il grande onore di essere stato sin-daco, posso testimoniare che la presenza nelle istituzioni a livelli numericamente inferiori, è ancora molto importante. Un sindaco può "fare" molto per la propria comunità. Può garantire un indirizzo culturale, dando all'azione della propria giunta un orientamento specifico, che può essere "di destra" o "di sinistra". Può favorire un welfare fondato sulle relazioni tra le persone e sulla valorizzazione di tutti, cominciando dai soggetti più fragili e deboli. Può garantire la giustizia e l'equità nei lavori pubblici, può proporre innovazioni importanti nella viabilità, favorendo (o penalizzando) gli incontri interpersonali, per chi abita nel territorio l'andare a scuola o al lavoro in bicicletta senza rischiare danni, ampliando le zone pedonali e ponendosi al servizio delle esigenze del commercio e di tutte le categorie produttive. Può anche essere una specie di "confessore", ascoltando le persone e i loro problemi e cercando di risolverli, per quanto possibile e in rigoroso e ovvio ossequio alle normative che inquadrano le azioni nell'ambito dell'equità e dell'onestà. Può soprattutto, perché questo è compito precipuo di un "amministratore", utilizzare i fondi pubblici per rendere il territorio di competenza più bello, accogliente, attrattivo. In una parola, luogo di "bene essere" per il singolo e per la comunità.

Perché ciò possa avvenire, c'è bisogno di un gruppo di rappresentanti eletti che lo circondino, supportino, consiglino e aiutino. Sono gli assessori, gli altri partecipanti al consiglio comunale, tutti coloro che hanno contribuito a creare le liste elettorali a sostegno della sua candidatura. La "squadra" è molto importante, così come il programma sulla base del quale essa trova unità e aggregazione. Attenzione a non correre il rischio di "unirsi per vincere", come se l'unico obiettivo politico di un'elezione fosse il rovesciamento dell'amministrazione precedente. Sarebbe un grande sbaglio, sia perché un semplice contrasto tra addetti a lavori non gioverebbe certo alla necessaria raccolta dei consensi, sia soprattutto perché, ammesso che una coalizione molto diversificata riesca a raggiungere la maggioranza, senza "patti chiari" non c'è "amicizia lunga". Non si può certo pensare a portare avanti cinque anni carichi di contrasti interni, ricentrature quotidiane degli obiettivi, malumori personalistici. Basterebbero poche ore, dopo aver stappato lo spumante, per accorgersi di essere finiti in una vera via crucis, tanto per rimanere in tema quaresimale! Se c'è un sindaco entusiasta e intelligente, una compagnia appassionata e competente, una dialettica tra diversità sempre rispettosa, ma anche intensa ed efficace, allora davvero "l'unione fa la forza" e una città, più città, un intero territorio possono veramente trasformarsi in fari di democrazia, di bene stare e di bene essere.

Un'ultima nota. E' ormai sfumata, per mancanza di tempi ed energie, la possibilità di presentare alle "comunali" di Gorizia e Nova Gorica una lista con lo stesso simbolo e la condivisione di un programma. Ciò non può impedire, anzi deve intensificare lo sforzo di costruire tavoli di incontro e collaborazione che portino qualche soggetto politico a "pensare insieme" il territorio, uniti in un lavoro da cominciare, portare avanti e realizzare in piena sinergia e solidarietà.

Ma perché tutto ciò possa accadere, quella X proprio occorre segnarla sulla scheda elettorale, per scegliere come e da chi essere rappresentati.

Verso le elezioni comunali. W come Welfare. Per il benessere di tutti e di ciascuno.

Welfare e Stato sociale. Cosa significa "benessere"? Non soltanto "stare bene", ma soprattutto "essere bene". Ciò vuol dire creare le condizioni perché la vita di ogni persona sia consona alla dignità, alla giustizia e al diritto.

E' la sfida più importante di ogni politica, ad ogni livello, ma tanto più determinante quanto più vicina alla realtà quotidiana, come accade nell'amministrazione di un ente locale.

Ogni persona, come dice Rovatti, è un enigma. La comunicazione tra le persone è tanto più efficace quanto più si è in grado di cogliere i segni che in qualche modo avvicinano i soggetti, senza mai esaurire la distanza che li separa. L'eccesso di lontananza provoca la solitudine e l'isolamento, l'annullamento di essa porta all'assimilazione e all'asservimento. Il segreto di un'adeguata relazione consiste nell'individuare e nell'allargare progressivamente lo spazio dell'incontro, in modo da abitarlo evitando costantemente i due poli del rifiuto e del soffocamento.

Cosa c'entra tutto questo con la "politica"? C'entra tantissimo, perché l'attenzione ai cittadini, dalla loro nascita alla naturale fine del loro percorso esistenziale, deve rispettare i medesimi criteri, evitando da una parte il disinteresse - si potrebbe anche dire menefreghismo - come pure l'assistenzialismo. In altre parole, un'autentica politica del "benessere" dovrebbe investire fondi e cercare proposte creative per porre ogni abitante nelle condizioni di essere nel contempo soggetto e oggetto nella costruzione dell'intera Comunità. Dai bambini appena nati agli scolari dell'infanzia e delle primarie, da quelli delle scuole secondarie agli studenti delle Università e ai giovani che si aviano al primo lavoro, dagli adulti alle prese con le determinanti scelte professionali e affettive agli anziani chiamati a mettere a frutto la saggezza maturata nel corso della loro esistenza, da chi soffre a chi è in salute, da chi è autoctono ai nuovi arrivati... ciascuno deve trovare il proprio spazio per esercitare il compito che la Costituzione gli affida, quello di costruire "con il lavoro" (qualunque esso sia!) il bene comune e di sentirsi corresponsabile dei beni comuni.

Occorrono dunque azioni concrete. Si tratta da una parte di accrescere quanto più possibile il numero di operatori e assistenti sociali adeguati alle diverse necessità, sbloccando i blocchi assunzionali che - sotto la sibillina maschera del risparmio - penalizzano oltremodo questo e tutti gli altri settori della Pubblica Amministrazione. Il paradosso attuale consiste nelle adeguate potenzialità finanziarie in un contesto che rende difficile la loro traduzione progettuale, stante la cronica mancanza di tempo ed energie del personale sovraccarico di lavoro. Dall'altra parte, nella consapevolezza che il bene essere del cittadino corrisponde al bene essere dell'intera comunità (e viceversa), è necessario rilevare le necessità del territorio, per individuare percorsi di risposta centrati sulla particolarità delle situazioni. Per esempio, se si rileva (attraverso sondaggi, questionari e soprattutto incontri con la popolazione) una situazione di marginalizzazione giovanile, occorrerà cercare validi operatori di strada capaci di incontrare e valorizzare questa fascia d'età, proponendo itinerari personalizzati e collettivi finalizzati a ricostruire fiducia, impegno e sano protagonismo. Se ci sono difficoltà di integrazione con nuovi arrivati, occorrerà investire in mediazione culturale e costruzione di ambiti di autentica reciproca socializzazione. Naturalmente tutto il procedimento, dalla rilevazione dei bisogni alla loro risoluzione, dovrà essere condiviso a livello sia politico che tecnico, con il Comune di Nova Gorica e limitrofi. Cosa potrebbe maggiormente c'entrare con la capitale della cultura europea, rispetto al bene essere delle città e dei cittadini?

Come fare? Tra tante, ci sono almeno due condizioni perché si realizzi questo "welfare di comunità".

La prima è che tutti siano trattati con uguale suprema dignità, in quanto esseri umani. Non  ci possono essere in questo campo primogeniture o privilegi, il criterio gerarchico d'interesse non può essere altro che quello di stare "dalla parte dell'ultimo", come diceva don Lorenzo Milani. Anche perché, se l'ultimo si sente accolto e coinvolto, significa per logica che si sentirà altrettanto bene anche il penultimo, il terzultimo e così via.

La seconda è che si crei una sinergia "umana" fra gli attori dello stato sociale, cioè tra il soggetto politico, quello "tecnico" costituito dai servizi sociali, quello pubblico incarnato soprattutto oggi nelle aziende sanitarie ed enti paralleli, quello privato che deve essere preso in considerazione esclusivamente come "servizio" in alcun modo sostitutivo a quello pubblico, quello relativo al volontariato, anche in questo caso respingendo ogni tentazione di utilizzo improprio  di sottrazione di importanti risorse lavorative e infine - ma viene prima di tutto il resto - l'impegno di ogni singolo individuo, secondo le modalità e le forme a lui consone.

Ci sarebbe molto da dire su questo punto, tanto più in una città che ha visto nascere il più importante e riuscito tentativo di welfare di comunità del XX secolo, con l'azione di Franco Basaglia e dei suoi collaboratori a Gorizia. Ciò che egli ha realizzato nell'ambito della salute mentale, potrebbe diventare il modello dell'ordinaria convivenza all'interno dei meandri visibili e nascosti della città. Si, anche quelli nascosti e quasi del tutto sconosciuti, come il carcere di via Barzellini, in centro che più in centro non si può e totalmente estraneo alla vita dell'intera cittadinanza. Altro luogo importante è proprio il Parco Basaglia che potrebbe diventare il vero centro propulsivo di una nuova etica della responsabilità collettiva, da costruire insieme, da una parte e dall'altra della vecchia linea di frontiera.

Insomma, ciascuno è reciprocamente responsabile dell'altro, tutti sono responsabili di tutto. 

venerdì 8 aprile 2022

Verso le elezioni comunali: V come Vie. L'urgenza di una nuova toponomastica.

Vie, piazze, scuole, ecc. Non è forse giunto il momento di cambiare un po' di nomi?

No, non a quella che si vede nella foto, tratto finale di Via Cappella, immediatamente prima del confine tra Italia e Slovenia sulla bellissima passeggiata che conduce al colle della Kostanjevica. E' uno dei non molti toponimi antichi di Gorizia, di quelli svincolati dall'inevitabile condizionamento del tempo che passa e della storia che cammina.

I nomi da cambiare riguardano invece gran parte dei riferimenti alla prima guerra mondiale. Quando, nel 2025, molte persone, dall'Europa e dal Mondo, giungeranno nella vecchia Gorizia, cosa potranno pensare?

In una città con-capitale con Nova Gorica della cultura, le intitolazioni a persone di lingua slovena sono meno del 5%, ancora meno quelle riferite a donne. Pochi sono i toponimi geografici tradizionali e la stragrande maggioranza dei "ricordi" è dedicata agli irredentisti, ai combattenti italiani della prima guerra mondiale, perfino a fascisti dichiarati che hanno operato nel periodo fra i due conflitti. Al di là del Parco della Rimembranza, con rimembranze a senso totalmente unico, senza riferimenti nemmeno ai tanti caduti goriziani sotto le divise dell'esercito austro-ungarico, si possono portare numerosi esempi. Si celebra ancora il generale Cadorna, vero macellaio che porta la responsabilità di decine di migliaia di giovani assurdamente uccisi nella guerra di trincea. Non sarebbe meglio sostituirlo, come qualcuno ha proposto, con il pacifista Gino Strada o anche - perché no? - con un'intitolazione ai cosiddetti disertori che hanno preferito farsi fucilare dai carabinieri per non uscire all'assalto e uccidere altri coetanei altrettanto sfortunati? Si ricordano le Brigate che hanno "conquistato" nel 1916 Gorizia, ma non gli eserciti pacifici che hanno gestito nell'intero XX secolo la sanità goriziana. Si ricorda Armando Diaz con la dedica di un'importante via del centro e si relega a un largo sconosciuto la memoria del grande Franco Basaglia, l'abbattitore per eccellenza dei muri della segregazione. Si concede alla più importante e grande piazza cittadina il riferimento a una "Vittoria" sul mito della quale è stata edificata la parte più vergognosa della storia italiana moderna, dopo aver cancellato il logico termine di Piazza Grande o il più poetico Travnik. 

Si potrebbe andare avanti a lungo, notando l'assenza di letterati sloveni altrettanto importanti di Leopardi o Manzoni. Come non dedicare una via a Simon Gregorčič, a France Prešeren o a Primož Trubar? Come non ricordare la sposa di Lojze Bratuž, la valente poetessa Ljubka Šorli? Perché, non menzionare, come propone giustamente l'anpi, la nobile e pacifica figura di Vilma Brajni, deportata nei campi di sterminio, miracolosamente sopravvissuta e insigne testimone della tragedia più orribile del XX secolo? Perché infine non riscoprire anche alcune intitolazioni antiche o inventarne di nuove, legate alla particolare configurazione e storia internazionale del territorio? Per esempio, non sarebbe logico che la Via D'Annunzio torni a essere ciò che effettivamente è, "Salita al Castello"?

Suvvia, si capisce l'obiezione dei cittadini che dovranno cambiare i documenti - molto pochi e con minimo disagio fra l'altro, nell'epoca dell'anagrafe informatizzata - ma almeno da qualche parte è davvero urgente cominciare. Forse non è il più grave dei problemi possibili, ma è comunque una carta d'identità della città. Appena insediata, la nuova amministrazione dovrebbe riformare la commissione toponomastica comunale, affidandole la missione di procedere a una serie di proposte che se non elimineranno tutte le ormai anacronistiche e inopportune dedicazioni guerrafondaie, potranno almeno contribuire a rendere meno evidente una palese ingiustizia.  

Nello strano caso in cui si ritenga impossibile superare la fragile obiezione dei cittadini interessati, ci sono comunque altre istituzioni che possono essere indicate con un nuovo nome, senza alcun problema di cambiamenti di carta d'identità o libretto di circolazione. Sono gli istituti scolastici, i cui riferimenti dovrebbero essere anche dei modelli per gli scolari e gli studenti del XXI secolo. Anche da questo punto di vista, si possono offrire dei consigli, tra i tanti possibili. E' davvero ancora così importante ricordare Edmondo De Amicis, nel paese abitato e tanto amato dal poeta friulano Celso Macor? E se si togliesse il titolo al generale morto nella prima guerra mondiale Adalberto Pecorini sostituendolo con quello di Rosa Parks? Oppure, con tutto rispetto del soldato Vittorio Locchi, al quale comunque sono dedicate una via centrale e una statua nel parco della Rimembranza, non si potrebbe intitolare a Cecilia Seghizzi quella che un tempo era chiamata scuola media? Ancora, non sarebbe logico che l'istituto Vitaliano Fumagalli - il "bibliotecario" di Mussolini - diventi "Istituto Fratelli Rusjan", tenuto conto che si trova proprio di fronte al cortile nel quale è stato costruito il primo aereo dei pionieri del volo europei? E l'Istituto "D'Annunzio"? Pochi sanno che è stato costruito sul precedente edificio - se ne possono vedere ancora alcune parti - realizzato come scuola per dare voce e chi non ha letteralmente voce, i ragazzi non udenti. Lo ha edificato quel grande personaggio, precursore di don Milani, che fu Valentin Stanič (Bodres pri Kanalu 1774 - Gorizia 1847), sacerdote, alpinista, poeta, ingegnere, educatore, artista e maestro. Non meriterebbe forse qualcosa di più che l'intitolazione dello squallido parcheggio adiacente?

Ecco, sono solo alcune idee, sommessamente affidate a chi dovrà prendere delle decisioni, si spera prima che poi, in attesa dell'ormai vicino 2025.