martedì 31 maggio 2022

31 maggio 1972 - 31 maggio 2022

Igor Komel, Vincenzo Compagnone, Felice Casson
50 anni. Sono passati 50 anni dalla strage di Peteano e il primo pensiero va alle vittime, i carabinieri Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni.

L'orrore di quell'evento è ancora vivo nella memoria, soprattutto la telefonata che invitava al controllo della 500 abbandonata nella frazione di Sagrado, sotto il Monte San Michele. Quella voce calma, con una leggera inflessione dialettale, decretava di fatto la condanna a morte di tre persone e il grave ferimento di altre due.

Se ne è parlato lunedì sera al Kulturni dom di Gorizia, in un interessantissimo incontro. Dopo l'introduzione del direttore Igor Komel, è intervenuta da remoto la senatrice Tatjana Rojc che ha inquadrato l'evento nel contesto della situazione di quel periodo sul confine orientale d'Italia. Il giornalista Vincenzo Compagnone ha poi sintetizzato gli aspetti più rilevanti del fatto e di tutto ciò che ne è seguito. Ha poi avviato un'avvincente conversazione con il magistrato ed ex senatore Felice Casson, protagonista di primo piano nella ricerca e nell'individuazione della verità.

Il racconto ha tenuto con il fiato sospeso i tanti presenti, ma al di là dei singoli episodi, quello che ha colpito è stato lo scandaloso depistaggio che ha portato a dilazionare incredibilmente le conclusioni. E' stato delineato un quadro estremamente inquietante di quel periodo, tra infiltrazioni neofasciste nella magistratura e nel comando dei carabinieri e ruolo attivo di personaggi politici assai in vista in quel tempo. Interessante è stato anche il riferimento alla Gladio e alla strategia della tensione. Dietro le quinte di un mondo democristiano apparentemente tranquillo, le trame eversive neo fasciste agivano con inquietanti connivenze, proponendo la strategia della tensione. L'obiettivo era quello di puntare a un vero e proprio colpo di stato, da "giustificare" come ritorno all'ordine minacciato dai gruppi della sinistra, accusati come ideatori ed esecutori degli attentati.

Certo che se un generale dei carabinieri colluso con l'extra destra arriva a sparare gigantesca menzogne per "coprire" gli assassini dei suoi stessi colleghi, vuol dire che il veleno fascista era arrivato a inquinare gli strati più influenti della società. In questo senso, le vicende di cinquanta anni fa, trascinate avanti per decenni e risolte proprio grazie a personaggi coraggiosi come il giudice Casson, sono molto emblematiche.

Anche quella volta il pericolo di un ripristino dell'"ordine" fascista era sottovalutato, se non volontariamente marginalizzato. All'insaputa e sulla pelle della stragrande maggioranza dei cittadini si stavano giocando partite che avrebbero provocato tanti morti e feriti, una guerra aperta contro la democrazia. Occorre aprire gli occhi, affinché tragedie del genere non si ripetano più. I morti di Peteano e delle troppe stragi di quel periodo di tensione siano un monito a chi anche oggi sembra sorridere con colpevole superficialità di fronte agli attuali gruppi che fanno proprie le stesse teorie ideologiche che avevano generato Ordine Nuovo, i Nar e tanti altri arcipelaghi neofascisti e neonazisti.

Grazie a Felice Casson per la sua straordinaria testimonianza, a Vincenzo Compagnone per l'ottima conduzione della serata, a Tatjana Rojc per l'intervento da Roma, a Igor Komel e al Kulturni dom di Gorizia per l'ospitalità.

lunedì 30 maggio 2022

Hvala Boris Pahor! Grazie di tutto...

In queste ore si sta scrivendo molto ovunque, sulla figura e sull'opera del grande scrittore sloveno Boris Pahor che ci ha lasciato oggi, a 108 anni. Le parole più emozionanti e coinvolgenti le ha pronunciate la senatrice Tatjana Rojc, in un suo straordinario e appassionato discorso al Senato. Ecco la registrazione completa del suo intervento: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10222037353664888&id=1292796707 

A Boris Pahor un commosso saluto e un grazie, hvala! per ciò che è stato per tutti noi.
 

sabato 28 maggio 2022

Il "fascismo islamico" a èStoria

Nel sabato di èStoria c'è tempo per un colloquio straordinario. Nel Teatro Verdi sarà infatti possibile ascoltare Hamed Abdel-Samad, storico e politologo nato in Egitto, da anni impegnato presso l'Istituto di Storia e cultura ebraica dell'Università di Monaco in Germania. 

Inizialmente vicino alla corrente islamista dei Fratelli Musulmani, approfondisce il suo pensiero allontanandosi sempre di più dal fondamentalismo, avviando una profonda riflessione sulle relazioni tra il fascismo, il nazismo e alcuni autori e correnti islamici.

Dopo aver presentato il suo punto di vista in una conferenza nella capitale egiziana, viene minacciato di morte dagli islamisti e da allora - siamo nel 2013 - vive sotto stretta scorta.

Nel suo libro, tradotto dal tedesco in molte lingue, propone molti spunti, tutti particolarmente avvincenti e interessanti.

Prima di tutto analizza storicamente i rapporti tra fascismo e islamismo, riconoscendo alcune impressionanti somiglianze: la convinzione di essere superiori a tutti gli altri, un malcelato senso di inferiorità che conduce a riconoscere complotti di "nemici" ovunque, un forte antisemitismo e la volontà di distruzione di qualsiasi oppositore. Sono inoltre dimostrati i contatti e le manifestazioni di simpatia tra Hitler, Mussolini e molti ideologi dell'Islamismo nella prima metà del XX secolo.

In secondo luogo, viene evidenziato come la posizione islamista sappia sfruttare abilmente il disagio delle masse, dimostrando poi ogni volta che in qualche modo essa riesca a raggiungere il potere, di essere incapace di mantenerlo, se non con un'estrema violenza distruttiva ma anche autodistruttiva. Gli esempi relativi a ciò che è accaduto dopo le cosiddette primavere arabe non si contano, con la destabilizzazione completa dei Paesi del Medio Oriente a opera del califfato e del cosiddetto stato islamico.

La radice di questa violenza estrema, coniugata con l'incapacità di governare che costringe a rovesciare le colpe sugli avversari esterni - in primo luogo le stesse correnti musulmane diverse dalla propria -, è secondo Abdel Samad da ricercarsi nelle origini della religione. E' infatti il Corano, insieme alle idee e alle azioni del Profeta, a postulare una relazione fra fede e politica che necessità, in nomine Dei, la supremazia della parte "amata da Dio" nei confronti degli "altri", da sopprimere o da tollerare imponendo a essi ogni sorta di vessazioni.

C'è stato chi ha cercato di aggiornare la visione originaria, cercando collaborazione e non guerra con ebrei e cristiani. In Andalusia come a Damasco si riscontrano periodi di relativa pacificazione, tuttavia ogni tentativo del genere è sempre stato soffocato dal risorgere delle pretese assolutiste dell'islamismo. Per esso infatti è necessario attuare alla lettera il dettato coranico e seguire pedissequamente l'esempio del Profeta. Ogni tradimento è tradimento di Dio e deve essere severamente punito.

Interessante è il rapporto con il cristianesimo, il cui approccio con il mondo viene completamente trasformato dall'invenzione della stampa e dall'accesso di un maggior numero di persone all'istruzione e alla conoscenza dei libri sacri. Si avvia un processo di laicizzazione e di interpretazione che consente - inizialmente soprattutto grazie alla Riforma luterana - una sempre più netta separazione tra le ragioni della fede e quelle della politica. Il cristianesimo riesce in parte a realizzare questo passaggio, da una parte trovando spazio nel mondo moderno e postmoderno, dall'altro purificando gli elementi di Potere che avevano rischiato di paralizzarlo e riproponendosi - almeno come prospettiva - come una proposta essenzialmente spirituale, non determinante le scelte e le modalità con le quali gestire e portare avanti una legislazione statale.

L'Islam nel suo insieme non ha percorso la stessa strada, impedendo perfino fino alla fine del 1800 l'utilizzo della stampa, nel timore di un travisamento globale della parola di Dio trasmessa attraverso il Corano. A questo mancato processo di modernizzazione si deve l'instabilità dei Paesi musulmani, costantemente in bilico fra tentativi di avvicinamento al vituperato Occidente e successivi rovesciamenti di fronte con l'eliminazione, spesso violenta, dei Capi e la sostituzione con altri più accondiscendenti al "verbo" dei custodi dell'Islam tradizionale.

Forse con la rivoluzione informatica, non del tutto controllabile da chi gestisce le leve del potere, qualcosa potrebbe cambiare. Anche all'interno dell'Islam potrebbero germogliare dei semi di rinnovamento che potrebbero portare a un autentico cambiamento. Sarebbe però necessario abbandonare il tradizionale e radicale divieto di interpretare o modernizzare il messaggio originario e soprattutto sarebbe indispensabile purificare la religione da ogni incrostazione politica, affinandone il messaggio spirituale e rinunciando a qualsiasi interferenza nelle sfere di qualsiasi forma di Potere.

Insomma, religione di pace o fenomeno violento preconizzatore di qualsiasi forma di fascismo? L'Islam non è né questo né quello e il miglior servizio che si può rendere a una forma di fede che coinvolge quasi due miliardi di persone nel mondo, è quello di aiutarla a inserirsi nei gangli vitali del mondo globalizzato come proposta capace di dare risposte ai problemi più profondi e intimi dell'uomo. Ma deve dimenticare e cancellare la sharìa, la jihad e tutto ciò che la legge sacra e la guerra santa hanno comportato in termini di perdita di vite umane e di rovina della stessa idea e immagine non solo dell'Islam, ma di tutte le "religioni del Libro".

venerdì 27 maggio 2022

29 maggio 1944 - 27 maggio 2022, a Prosek, per dire ancora "No al fascismo"!

Mentre a Gorizia si apre oggi il Festival èStoria, dedicato significativamente al tema dei "fascismo", stasera alle 19.30, presso la stazione di Prosecco si ricordano le undici persone impiccate per rappresaglia, il 29 maggio 1944. L'episodio, inserito in un'impressionante serie di eccidi e violenze perpetuate dai nazisti e dai fascisti contro membri della Resistenza e anche semplici cittadini nel corso della seconda guerra mondiale.

I morti di Prosecco sono stati scelti tra persone detenute al Coroneo per motivi politici, del tutto indipendenti dall'azione partigiana svolta nella fabbrica Todt del paese del Carso. L'undicesimo è stato assassinato per il solo fatto di essere transitato nella zona in biciletta.

Perché questa inaudita violenza?

Perché nello stesso concetto di "fascismo" e di "nazismo" è insita una violenza brutale, crudele e disumana. La venefica convinzione di essere assolutamente dalla parte della "Verità" e che tutti coloro che non fanno parte della "cerchia" sono di per sé pericolosi nemici, porta inevitabilmente al progetto criminale di voler distruggere l'altro.

Non si tratta quindi semplicemente di punti di vista diversi che si confrontano, anche dialetticamente, fra loro, bensì di una vera e propria sistematica cancellazione di chi si oppone, rivendicando i propri diritti e una giustizia incentrata sul valore e la dignità della persona.

Per questo motivo, come diceva Pertini, il fascismo non è un opinione ma un crimine e per questo deve essere bandito da qualsiasi consesso democratico. Il fascismo, nero maestro del nazismo, ha ampiamente sparso in Italia e nel Mondo i demi dai quali sono germogliati eccidi, campi di sterminio, impiccagioni e fucilazioni d massa, stragi, per non parlare della tragedia immane della seconda guerra mondiale.

In questo tempo in cui, anche se c'è chi tende incoscientemente a minimizzare il problema, stanno ritrovando spazio nella società gruppi e ideologie direttamente o indirettamente neo fascisti e neonazisti, è necessario riaffermare con forza il proprio no. No alla violenza sistematica e alla guerra, fomentate da ideologie simili a quella neofascista e neonazista. No alle armi, strumento principe degli interessi macroeconomici e antisociali. No alla schiavitù, al razzismo e a ogni sorta di discriminazione, altri frutti velenosi e inaccettabili del modo di essere e di sentire "fascista".

Sì invece alla pace e alla nonviolenza, sì al dialogo e alla capacità di trattare, sì all'accoglienza di chi fugge dalle guerre e dalla fame, sì ai costruttori di giustizia e di fraternità.

giovedì 26 maggio 2022

Tra Žižek e Sever: Antigone, eroina della Libertà?

C'è sempre un altro punto di vista. E' evidente nell'assai interessante film di Jani Sever, ispirato e raccontato da Slavoj Žižek. Il tema è Antigone, alla quale sono dedicati sia un libro del filosofo sloveno, scritto intorno al 2016 che l'opera cinematografica attuale.

Tre sono i livelli narrativi, tutti ispirati alla celebre tragedia di Sofocle. 

La storia della sfortunata figlia di Edipo, condannata dallo zio Creonte per aver osato seppellire il fratello Polinice morto in battaglia, è raccontata con tre possibili diversi finali. Nel primo, tradizionale, Antigone muore nell'antro nel quale è stata rinchiusa e il figlio di Creonte, innamorato di lei, si uccide dopo aver sputato in faccia al crudele tiranno. Nel secondo Creonte si impietosisce e libera Antigone, recuperando l'affetto del figlio, ma viene ucciso in un colpo di stato, conseguenza dell'anarchia seguita alla cessazione dello stato di diritto. Nel terzo è un tribunale del popolo ad assumere il potere, condannando sia Creonte che Antigone a una morte certa, in quanto nemici dell'ordine sociale.

Il secondo livello è la lezione di Žižek che offre una visione del tutto alternativa a quella tradizionale. Antigone non appare come l'eroina della libertà che obbedisce alle leggi della coscienza e muore per aver sfidato il Potere. E' invece l'emblema del tradizionalismo, dell'ottuso rifiuto di qualsiasi forma di novità. Creonte incarna invece la necessità della Legge, in un certo senso è il simbolo della burocrazia e di un Potere incentrato soltanto sulle forme. E' il coro che offre uno sguardo innovativo, dando voce alle istanze del popolo. Senza alcuna semplificazione e con un senso di disincanto che caratterizza l'attuale fase del suo pensiero, il filosofo sembra coinvolto nel fascino di una liquidità contemporanea che confina con il caos.

E il caos è il terzo livello narrativo, una sapiente silloge di documenti post-moderni. La tragedia della guerra si coniuga con la fine delle ideologie, il Parlamento europeo sembra costituirsi come nuova corte della città di Tebe, l'inquinamento e i cambiamenti climatici sembrano sul punto di soffocare il mondo, ma c'è sempre la possibilità di fuggire dalle sue minacce imbarcandosi su qualche improbabile astronave da dove si può contemplare la Terra dall'alto, stringendosi all'inverosimile nella cabina di pilotaggio. I personaggi si mescolano vorticosamente e tra Putin, Juncker, Merkel, Lagarde, papa Francesco e Greta Thunberg si rischia di annegare in un oceano di dubbio e di incertezza, dal quale solo una Rivoluzione sembra in grado di affrancare.

Rivoluzione sì! Ma quando, come e quale Rivoluzione potrebbe cambiar effettivamente le cose, senza limitarsi semplicemente a sostituire una forma di Potere con un'altra?

Comunque sia, un film da vedere, in un tempo in cui sembra assai difficile trovare parole e immagini che consentano il nobile esercizio del pensiero.

martedì 24 maggio 2022

Tacere bisognava e andare avanti...

Ricoveri sul Monte Sabotino
Il Piave mormorava calmo e placido, al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio. Muti passaron quella notte i fanti, tacere bisognava e andare avanti... 
E' un anniversario tragico quello odierno, tanto più inquietante se si pensa che fino a non molti anni fa la data era considerata festa nazionale e che in molte città una delle vie principali è tuttora dedicata al XXIV maggio.
Secondo alcuni, la memoria dell'avvenimento coincide con la presa di coscienza della dignità degli italiani, dal momento che ancora fino a quel momento non si era compiuta quell'unità del Regno già conquistata militarmente e politicamente meno di cinquanta anni prima.
Ci vuole una certa fantasia nell'immaginare che serva una terribile guerra per offrire a un popolo l'occasione per sentirsi coeso, come se l'identità dipendesse soltanto dallo stringersi gli uni agli altri, dall'essere pronti a perdere la propria vita e a toglierla quanto più possibile al "nemico", identificato con una reale o più frequentemente inventata minaccia.
In fondo le dinamiche sono sempre le stesse. In nome di un immaginario collettivo, sapientemente costruito da chi gestisce le leve del Potere, si scatenano i più violenti istinti che albergano nel cuore dell'uomo, trasformando normali controversie risolvibili con l'intelligenza e la trattativa, in tremendi bagni di sangue, dove i contendenti fanno a gara per dimostrare di essere più crudeli e più efferati degli altri.
La guerra non è solo combattimento sul campo, già questo impressionante per la sua insensatezza e follia, ma è anche un corollario spaventoso di orrori dipendenti da una forza di Male del tutto sconosciuta nell'ambito del resto del regno animale.
E allora? Allora in questo 24 maggio è giusto pensare a chi ha perso la vita, a causa della scellerata decisione di portare l'Italia nel cuore dell'inutile strage e orrenda carneficina che è stata la prima guerra  mondiale. Dai sacrari di Oslavia, Caporetto e Redipuglia, come dalle centinaia di piccoli cimiteri ancora in parte visibili nelle valli dell'Isonzo e del Vipacco, si leva una potente voce che all'unisono, in tante diverse lingue, grida "mai più la guerra, mai più generazioni di giovani mandate al macello da governanti insipienti e generali troppo obbedienti". E' un urlo purtroppo inascoltato, coperto ancora dal sibilo delle bombe e dal fragore delle distruzioni, in Ucraina come nello Yemen, nel Tigray e in troppi altri luoghi del mondo. E mentre sembrano aggiungersi altri possibili capitoli in questa storia di massacri infiniti, il pensiero corre a ogni vittima, con un moto di compassione e di pietà.
Tra il 24 maggio 1915 e il 4 novembre 1918 il tristo mietitore ha avuto molto lavoro. Solo per ciò che concerne l'Italia, si calcolano circa 1.200.000 morti, quasi metà dei quali - numero dimenticato! - civili non impegnati in trincea. Sono una piccola parte del numero di 17 milioni di morti, quasi tutti giovani falciati sui campi di battaglia della prima guerra mondiale.
L'unico ricordo sensato è quello che induce a bandire la guerra dalla storia, a cancellare gli arsenali militari e a istituire un efficace arbitrato internazionale in grado di dirimere i conflitti con la forza dell'intelligenza, del dialogo e della nonviolenza.

domenica 22 maggio 2022

Una mattina a Vrhovlje, tra vigneti, musica e affreschi...

Quanti pensieri oggi, ascoltando musica rinascimentale nella stupenda chiesetta di Sant'Andrea a Vrhovlje pri Kozbani! Dopo l'ottima illustrazione degli affreschi proposta dalla storica dell'arte Andrea Bojic, Alessandra Cossi, Fabio Accurso, Marco Ferrari e Fabio Tricomi hanno incantato tutti i presenti. Si sono mescolati voci e suoni di un'altra epoca, magistralmente spiegati dagli artisti che hanno svelato i segreti di composizioni difficilmente comprensibili nel loro insieme senza una guida. Il Progetto di Dramsam vuole far conoscere piccole cappelle, situate ordinariamente fuori dalla città o comunque dagli ordinari giri turistici, accomunate da rappresentazioni pittoriche che presentino angeli musicanti, con strumenti in uso negli anni tra la fine del '400 e l'inizio del '500.

In questo modo vengono sollecitati sia la vista che l'udito. Nel caso di Sant'Andrea gli affreschi coprono tutto il presbiterio e narrano la gloria di Dio con tanti angeli che presentano con orgoglio gli strumenti con i quali innalzano la loro lode a Dio. C'è una bella Annunciazione, sopra l'angelo la gioia di Abele che vede la mano di Dio chinarsi a raccogliere l'offerta gradita di un capretto. Sopra una Maria meditativa che riceve le parole di Gabriele è invece rappresentata la rabbia di Caino che scopre, guardando il cielo a lui precluso, che il dono delle sue messi non è accettato da Dio. Un grande mistero e forse una grande ingiustizia divina, dalla quale secondo il mito biblico sarebbe scaturito il primo omicidio/fratricidio della storia. Per chi vuole un'interpretazione avvincente e riabilitante del figlio reietto di Adamo ed Eva, si consiglia la lettura dell'intramontabile Caino di José Saramago.

Ci sono poi teorie di santi e di sane, gli immancabili apostoli e le martiri della prima chiesa. Tra un testimone e l'altro, compaiono i simboli dei quattro evangelisti e soprattutto tanti angeli multicolori che non sembrano tanto far parte di un'orchestra, quanto di un insieme di solisti, ciascuno intento a suonare o ad accordare il proprio strumento. Ci sono i tamburi, le trombe marine, le vielle e anche un salterio, suonato da un messo celeste dal volto simpatico. Sembra sia stato disegnato un piccolo occhio, nella parte mediana del corpo, forse un invito a rendersi conto di come no sia possibile vedere veramente, se non con il cuore. Tutto sembra voler concorrere nell'aiutare le persone a guardare in alto, verso il volto del Redentore che costituisce la chiave di volta degli archi gotici. Insomma, una meraviglia!

La musica degli affreschi ha preso vita attraverso il concerto, eseguito in parte con gli stessi strumenti raffigurati. Il canto e il suono si sono diffusi anche al di là del tempietto, sposandosi con il paesaggio suggestivo della Goriška Brda, vigneti, ulivi, boschi a perdita d'occhio e verso sud, oltre il Quarin, la campagna friulana e lontano, il sottile scintillio del mare. Una meraviglia! Guardando verso le verdi colline e intuendo i paesini disseminati tra le valli, ascoltando la musica celestiale proveniente dall'interno, è stato naturale chiedersi perché la Bellezza non appartiene a tutti, perché mentre il cuore gioisce davanti all'esplosione della primavera e alla dolcezza della musica, tante persone soffrono e muoiono, molto spesso nell'atroce dolore della tortura e della guerra. Perché questa incredibile ingiustizia, una piccola parte dell'umanità può godersi una splendida domenica mattina di pace mentre in tanti altri luoghi del mondo la terra brucia e la gente muore nella guerra? C'è forse un rapporto tra il "troppo bello e troppo bene" riservato ad alcuni e il "troppo brutto e troppo male" che attende la stragrande parte degli altri?

Sì, c'è di sicuro un rapporto, non tanto perché qualcuno si può permettere il creativo lusso di contemplare l'arte e di godere della Natura, quanto perché la società del cosiddetto benessere capitalista ha creato questa insanabile divisione tra i pochissimi privilegiati straricchi e la stragrande moltitudine degli umani, alle prese con la fame, i conflitti, le persecuzioni ideologiche o religiose provocate dagli stessi pochissimi che gestiscono le sorti del mondo. 

Divisione "insanabile"? Forse anche no. Gustando l'estrema bellezza, un po' ci si sente in colpa perché non è per tutti, ma un po' rinasce nel cuore la speranza e soprattutto il desiderio di impegnarsi. Questo mondo può essere equo, giusto e solidale, non l'ha voluto così ingiusto un qualche dio. Siamo noi, ciascuno di noi, nei piccoli o grandi gesti di ogni giorno, che dobbiamo colmare l'abisso, l'enorme distanza. Solo così si elimineranno le guerre e non ci sarà più bisogno delle armi, quando ci renderemo conto che la Bellezza deve appartenere a tutti, nessuno escluso e che solo a questa condizione "la Bellezza salverà il mondo". Altrimenti altro non sarà che l'ennesima merce di consumo.

sabato 21 maggio 2022

Con Dramsam, a San Martino di Terzo e a Vrhovlje pri Kozbani

Terzo e quarto appuntamento, nel fine settimana, della rassegna Rammenta chiaro Isonzo/Takrat se spomni, bistra Soča, proposta da Dramsam per far conoscere splendide poco note gemme artistiche del Goriziano, in Italia e in Slovenia e per gustare da vicino la musica rinascimentale.

Sabato 21 maggio, alle ore 18, ci si incontra nella chiesa di San Martino di Terzo.

Il 16 luglio 1036 il patriarca Popone donava alla chiesa e al monastero di Aquileia una decina di agglomerati, chiamati ville, tra i quali Terzo e san Martino. Da quel momento inizia la storia ufficiale di questo territorio, sicuramente abitato anche prima e dedicato a un santo che, con san Michele e san Giovanni Battista, è stato particolarmente venerato dai Longobardi, il che spiega la grande diffusione del suo culto in tutta la zona. 

Gli affreschi della chiesa, rigorosamente orientata, sono stati realizzati in tre fasi, relativamente recentemente riscoperti in quanto in precedenza erano stati nascosti dagli intonaci e dai rifacimenti barocchi.

I primi, nella navata sinistra, abbastanza mal conservati, risalgono al XII secolo e rappresentano Maria in trono circondate da sante e santi. I secondi, in parte staccati e collocati di fronte per poter far vedere quelli più antichi, sono del XIII secolo, con soggetti legati al mistero pasquale, la crocifissione e la discesa agli inferi, l'ascensione. Manca, ma era certamente presente, la scena della risurrezione. Al centro della navata c'è un monumentale san Cristoforo, rappresentato secondo la tradizione del centro Europa con il bambino Gesù sulle spalle, in atto di attraversare un fiume. Seguono gli affreschi del presbiterio e della navata destra, con cicli iconografici ben riconoscibili. Ci troviamo a cavallo tra la fine del '400 e l'inizio del '500 (lo stesso periodo di Sant'Acazio in Duomo e di Sant'Ulderico/Urh a Tolmin che abbiamo visitato nella precedente occasione) e l'impianto iconografico è in questo caso facilmente decifrabile. Oltre alla Trinità e ad alcuni santi abbastanza riconoscibili (Santo Stefano con i sassi in testa e sulle spalle o San Lorenzo con la solita graticola), si ha una significativa scelta di episodi biblici. Ci sono Adamo ed Eva, con il famoso frutto, il sacrificio di Isacco da parte di Abramo e, interessante, sotto l'arco trionfale, la scena dell'Annunciazione, da una parte Maria con sopra il sacrificio (pastorale) gradito a Dio di Abele, dall'altra l'angelo (purtroppo deteriorato) con sopra il sacrificio (agricolo) rifiutato da Dio di Caino. E' una tipologia che si ritrova un po' ovunque, segno di contatti stretti tra le varie maestranze al servizio di una concorde committenza (in zona troviamo lo stesso schema a Sveti Urh, a Vrhovlje pri Kozbani, a Britof nella valle dello Judrio, ma anche a Gris di Bicinicco). Dietro l'altare, si possono riconoscere le scene evangeliche della nascita di Giovanni Battista, della visitazione di Maria a Elisabetta, della natività di Gesù e dell'arrivo dei re magi. Negli spazi creati dagli archi ci sono i quattro evangelisti, annunciatori terreni della salvezza cristiana e tanti angeli musicanti, con gli strumenti musicali che ci saranno illustrati dopo, annunciatori celesti della gloria di Dio. Nella volta a crociera sopra l'altare coram populo siedono i quattro grandi padri della chiesa occidentale (Gerolamo, Ambrogio, Agostino e Gregorio). Vi sono poi gli apostoli, quasi colonne che stanno alla base del presbiterio, i volti di molti martiri e soprattutto martire, tra le quali si possono ben riconoscere Lucia, Apollonia, Caterina d'Alessandria, Ursula e Lena, figure molto amate nella fede popolare tra la fine del Medioevo e l'inizio del Rinascimento.

Diverse sono le maestranze che hanno lavorato nella chiesa. Il rialzo delle mura delle navate è molto più tardo, come evidente soltanto a un primo sguardo. probabilmente si può intravvedere la mano di scuole note come, nel caso dei dipinti del XIII secolo, quella ispirata a Vitale da Bologna. In generale però il valore di queste opere sta proprio nella loro apparente semplicità. E' arte popolare e non di élite, destinata a istruire le persone più semplici, a proporre delle vere e proprie catechesi audiovisive, dove presentare l'alta teologia biblica in un linguaggio iconografico immediatamente comprensibile ai fedeli (un po' forse come accade nell'ambito musicale in quello stesso periodo).

Ci sono anche i due santi cui è dedicata la Chiesa. Nel presbiterio, sulla sinistra, si riconosce San Martino, ancora soldato, quando vede in sogno Gesù che lo ringrazia per il mezzo mantello donato al povero e quando compie uno dei suoi tanti miracoli. Nato in Pannonia, a Savaria, Martino percorre più volte, avanti indietro, la strada verso la Gallia, passando anche per Aquileia. La sua è stata una vita straordinariamente avventurosa narrata dal biografo Sulpicio Severo. Lungo il suo cammino sono innumerevoli le chiese a lui dedicate, così celebre forse anche per la concomitanza della sua festa con quella per eccellenza dell'autunno, con la chiusura dell'anno agrario e l'inizio del riposo invernale della Natura. Il compatrono, meno noto, è Dionigi l'Aeropagita. Lo si vede in trono mentre insegna. la tradizione lo riconosce come un discepolo convertito da san Paolo nel suo famoso discorso all'Aeropago. Fino al tempo dell'umanesimo si riteneva fosse autore di scritti patristici, in realtà composti intorno al VI secolo da un altro autore, più correttamente definito successivamente lo "pseudoDionigi". Difficile comprendere il perché di una dedica in questo caso molto originale e rara se non unica nel territorio Goriziano preso in esame da questa rassegna.

Domenica 22 maggio, alle 11, ci sarà l'incontro artistico-musicale nella stupenda chiesetta di Vrhovlje pri Kozbani, nel cuore del Collio sloveno. E' collocata su un'altura, con vista mozzafiato fino al mare e custodisce preziosi affreschi, sempre del periodo tra il XV e il XVI secolo. Altre pitture, altri angeli musicanti, altra meravigliosa musica. Da non perdere!
 

venerdì 20 maggio 2022

Biciclette, ombra d'alberi frondosi, un treno carico di...

Ecco una città molto ciclabile, una capitale europea a caso, a non più di cento chilometri da Gorizia. C'è un ampio centro storico dal quale sono estromesse le automobili che peraltro non potrebbero circolare, essendo quasi sempre pieno di gente che cammina o che va in biciletta.

E' bello correre anche nei dintorni, si raggiunge facilmente il parco periferico, dove ci si può sbizzarrire tra percorsi solo per bici, sentieri da affrontare a piedi tra i boschi, perfino salite mozzafiato sui colli circostanti. E' un'esperienza da non dimenticare, possibilmente da riportare nella nostra "stara" Gorizia.

Un po' come questi ciclisti che dal parco si dirigono verso il cuore della capitale. Che invidia, vero? Beh sì, ma...

Il paesaggio è attraente, particolarmente in questo momento di improvvisa irruzione dell'estate. Cosa meglio di una scavallata nell'ombra di alberi gentili? Il selciato è ordinato, senza buche o sconnessioni dei cubetti di porfido, è un vero piacere pedalare. La città attende e apre le sue braccia accoglienti, da una parte la splendida Galleria d'arte moderna, dall'altra si intravvede la chiesa ortodossa dalle tante cupole. Eppure? Eppure qualcosa stride, una punta di disagio, un pensiero opprimente che si vorrebbe allontanare ma è sempre lì...

Cosa c'è che non va? Un rumore, c'è un treno che passa, sopra il breve tunnel ciclabile. Che cosa trasporta? Se riuscite a ingrandire la foto forse lo scoprirete. E dove sta andando? A questo punto si fa chiaro il perché del disagio. E il malessere cresce, si trasforma in protesta e in speranza di pace.

giovedì 19 maggio 2022

Un mercoledì sera in Transalpina...

Si è svolta sul Piazzale della Transalpina la seconda manifestazione proposta dal Comitato permanente per la pace di Gorizia e Nova Gorica.

Nel ricordo commosso di Pierluigi Di Piazza, si è chiesta ancora una volta l'immediata sospensione della guerra in Ucraina e delle altre guerre che si combattono nel mondo. Solo l'intelligenza, la diplomazia e la volontà di dialogare trattando, possono contribuire ad affrontare e risolvere le controversie tra i popoli e le nazioni. L'aumento delle spese militari, l'invio di armi in Ucraina e l'allargamento della NATO non rispondono alla volontà di difendere gli abitanti, ma di stare dalla parte degli interessi statunitensi. 

Si è denunciata la discriminazione in atto contro artisti e personaggi pubblici russi, una vera assurdità senza alcuna giustificazione, come nel caso dell'esclusione di tre musiciste dal concorso organizzato dall'associazione Lipizer di Gorizia. Se sulle ragioni dell'incontro, presentate in lingua italiana e slovena, c'è stato fondamentalmente l'accordo di tutti, interessanti sono state le varie proposte emerse "a microfono aperto", tra le quali quella di trasformare Nova Gorica e Gorizia in città dell'accoglienza e della pace. Non è mancata anche qualche diversità di opinione, soprattutto relativamente alle posizioni dei partiti nazionali rispetto alle modalità di intervento in Ucraina.

Purtroppo anche in questa occasione non c'è stata l'internazionalità dell'incontro, segnale di allarme del quale il Comitato deve prendere atto. Senza un dialogo costante e una costruzione insieme di percorsi e di progetti, la collaborazione rischia di ridursi a formale stima reciproca, non a quell'essere insieme, uniti nelle diversità linguistiche e culturali, che dovrebbe caratterizzare il prossimo futuro di Nova Gorica e Gorizia.

mercoledì 18 maggio 2022

Nel ricordo di Pierluigi, mercoledì 18 maggio, in Transalpina per la pace in Ucraina e nel Mondo

Igor Komel, Giacomo Tolot, Pierluigi Di Piazza, Andrea Bellavite
Correva l'anno 2006, precisamente la sera del 6 agosto si era in tanti nel Piazzale della Transalpina. La Comunità Arcobaleno, guidata in quel tempo dal fondatore, don Alberto De Nadai, aveva organizzato l'annuale commemorazione dei morti a causa della prima bomba atomica, sganciata sulla città di Hiroshima.

Avevano aderito anche il Kulturni dom di Gorizia, il centro Balducci di Zugliano e i Beati i Costruttori di Pace di Pordenone. Tra canzoni e riflessioni, si era voluto evidenziare quanto la guerra fosse una follia e quanto la minaccia nucleare fosse un'insensata e irrazionale espressione di un'immensa volontà autodistruttiva.

Pierluigi Di Piazza aveva infiammato i presenti con la sua parola e con la forte testimonianza dell'incontro con Suzuko, una sopravvissuta di Hiroshima che aveva regalato al centro di Zugliano un ramo di albero rifiorito proprio nella martoriata città giapponese. Con lei, ridotta in carrozzina dall'esplosione e colpita da malattie dovute alle radiazioni, si era stati anche davanti alla base USAF di Aviano, quale monito e esistenziale protesta contro tutte le guerre del mondo.

Proprio in questo giorno, nei ricordo vivo di Pierluigi, si torna alle ore 19 in Transalpina, per protestare contro le guerre, in Ucraina e in tutto il mondo. Chi avrebbe potuto pensare al risorgere della paura di un terzo conflitto mondiale o della minaccia di usare di nuovo le bombe atomiche? L'incontro di oggi, promosso dal Comitato permanente per la pace di Gorizia e Nova Gorica, vuole affermare anche la totale contrarietà all'uso delle armi, quale strumento per la risoluzione dei conflitti fra i popoli e le nazioni. Si chiederà ancora una volta che trionfino l'intelligenza e la volontà di trattativa, riproponendo Gorizia e Nova Gorica come luoghi in cui intraprendere efficaci negoziati di pace.

lunedì 16 maggio 2022

Pierluigi Di Piazza...

Ho conosciuto personalmente Pierluigi Di Piazza nell'autunno del 1989, durante un incontro sulla pace organizzato dalla comunità parrocchiale di Gradisca d'Isonzo. Da allora ho avuto il dono dalla vita di camminare insieme a lui, in un'amicizia intensa e creativa che ci ha permesso di condividere molti momenti importanti.

La preparazione e la realizzazione delle "via crucis" annuali, da Pordenone ad Aviano, non soltanto hanno rafforzato il legame, ma hanno creato anche una delle tante reti che intorno alla sua persona sono state tessute. E' stato capace di generare relazioni fra i giovani studenti delle scuole superiori che hanno avuto la fortuna di averlo come insegnante di religione, fra le donne e gli uomini impegnati nei percorsi di richiesta di giustizia e pace nel mondo, fra le persone e i gruppi che si impegnano ogni giorno nell'accoglienza di migliaia di persone che fuggono dalla fame e dalla guerra, addirittura fra un gruppo di preti e affini che si sono incontrati regolarmente nella sua casa per condividere i percorsi di vita, per sostenersi nelle difficoltà, per scrivere ogni anno alle genti del Friuli-Venezia Giulia una lettera natalizia piena di spunti e di motivi di riflessione.

Pierluigi ha amato tanto. Ha amato la sua terra, Tualis in Carnia e la sua famiglia, della quale non si stancava di condividere semplici insegnamenti e momenti di intensa e profonda commozione, come quando volle rendere partecipi tutti gli amici del dolore per la perdita della madre. Ha amato ogni comunità, o meglio ogni componente delle tribù di quello che spesso chiamava "il pianeta Terra". Ha viaggiato molto per conoscere e partecipare alla vita dei più poveri, soprattutto nell'America Centrale e Meridionale, intessendo rapporti con i protagonisti di molte lotte per la liberazione dall'oppressione di un sistema che strangola la Natura e gli esseri umani. Ha trasformato la sua casa nella casa di tutti, allargando progressivamente l'orizzonte di un'accoglienza illimitata, soffrendo soltanto l'impossibilità di fare ancora qualcosa di più. Ha saputo trattare ognuno come un dono prezioso, dedicando il suo tempo all'incontro e all'ascolto di chiunque, sempre con il rispetto dell'umana dignità, si trattasse di papa Francesco, del Dalai Lama o di un filosofo acclamato, di un politico o di un vescovo, soprattutto di una persona semplice, impegnata nell'avventura della quotidianità. Ha amato ciascuno per sé stesso, facendolo sentire importante, parte integrante della sua vita, tutta proiettata nella costruzione di relazioni di autentica pace.

Se Pierluigi non può essere identificato solo con l'esperienza del Centro Ernesto Balducci, è impossibile non collegare la sua storia personale con quella di questo straordinario luogo, da lui voluto e costruito, con l'aiuto di tanti volontari, mattone dopo mattone fino alle ragguardevoli dimensioni attuali. La grande intuizione operativa, perseguita fin dal suo arrivo come parroco a Zugliano negli anni successivi al terremoto del 1976, è stata quella di unire la dimensione dell'Accoglienza a quella della Cultura. La sua abitazione è diventata un po' alla volta tetto, stanza e cucina per migliaia di poveri, impegnati nella lotta per la sopravvivenza, fuggiti da condizioni molto difficili provocate dalla mancanza di cibo, di lavoro e di pace, provenienti da tanti posti dimenticati dei diversi continenti. Accanto all'alloggio, c'è stato sempre il racconto riflesso e approfondito delle storie delle persone accolte, ancor di più della Storia attuale di un sistema che produce ingiustizia e rigetta da un giorno all'altro intere Nazioni nello spettro dell'assoluta povertà. Come dimenticare i sempre eccezionali Convegni di settembre, prima a Pozzuolo poi nella sala Petris di Zugliano, insieme alle innumerevoli conferenze, presentazione di libri, incontri ad ogni livello?

E' stato anche un grande e instancabile comunicatore. Ha scritto molti libri, criticamente costruttivi nei confronti un po' di tutte le istituzioni che determinano l'andamento della vita sociale. E' stato ottimo giornalista, scrivendo molto spesso i suoi pensieri sui quotidiani e sulle riviste, divenendo anche referente regionale della splendida realtà di giornalismo alternativo denominata Articolo 21. Nei suoi scritti è sempre presente l'anelito alla libertà, personale e dei popoli, così come emerge una forte esigenza di impegnarsi - fino al limite delle forze - per costruirla giorno dopo giorno insieme a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. In una simile visione dell'umana avventura, è facile comprendere come la parola "pace" sia stata quella da lui più volte pronunciata. La convinzione che la guerra sia una follia e che le armi non possano risolvere mai alcun vero problema tra Stati e Nazioni, lo ha portato a contestare ogni politica degli armamenti, a diffondere i messaggi inequivocabili di Gandhi, di don Milani, di Padre Ernesto Balducci, di mons. Romero e di molti altri. Citandoli, spesso ripeteva che "se il XXI non sarà il secolo della pace, non sarà". E anche in questo senso, la sua scomparsa proprio nel momento in cui oscure ombre si vanno proiettando sul destino di tutti, è una specie di segno simbolico e profetico da tenere in attenta considerazione.

Un'ultima parola, almeno in questo contesto, va alla sua inquietudine. Ho lasciato deliberatamente per ultimo un aspetto peraltro fondamentale, l'essere prete all'interno della Chiesa cattolica. La sua umanità delicata, sensibile, scevra da qualsiasi tentazione di protagonismo e una diffidenza innata nei confronti di qualsiasi forma di Potere, non potevano essere facilmente compatibili con il sentirsi parte importante di una delle più potenti strutture planetarie. In effetti questa appartenenza è stata alla base di una profonda sofferenza interiore. Da una parte si è sempre sentito parte integrante di questa famiglia, anche dentro le numerose critiche costruttive finalizzate a proiettarla "fuori dal tempio", nella piena condivisione con le gioie e le speranze, le angosce e le preoccupazioni del tempo. Dall'altra si è spesso sentito incompreso e marginalizzato, percependo quanto l'attuazione del Vangelo di Gesù di Nazareth fosse distante dalle forme e dai progetti strategici del presbiterio diocesano e della chiesa italiana. Il suo spirito ecumenico, la passione per il dialogo interreligioso, la partecipazione convinta alla laicità della fede cristiana e alla ricerca della verità che caratterizza ogni essere umano, non gli hanno impedito di essere fedele fino all'ultimo, costi quel che costi, alle promesse e agli impegni - anche quelli da lui stesso messi in discussione - dell'ordinazione sacerdotale. Forse il suo dolce sorriso sempre velato da una sottile tristezza, derivava da questa lotta interiore fra ciò che percepiva come consono al Vangelo e ciò che vedeva nello svolgersi concreto della "pastorale". Solo negli ultimi anni, con l'avvento di papa Francesco, sembrava aver riconosciuto un afflato nuovo, come se la guida attuale della Chiesa incarnasse finalmente le istanze di rinnovamento che erano state portate avanti in passato da preti che avevano dovuto pagare con tante umiliazioni e denigrazioni la loro passione per Dio e per l'umanità. 

Insomma, parafrasando il vangelo di Matteo, non si può non pensare alle parole del giudizio finale, rivolte a chi ha vissuto come lui: "Vieni benedetto dal Padre mio, perché avevo fame e mi hai dato da mangiare, sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito, forestiero e mi hai ospitato, carcerato o malato e mi hai visitato, avevo un problema e lo hai condiviso".

Grazie Pierluigi, caro amico e compagno di strada...

sabato 14 maggio 2022

Pensieri girando intorno al Sole...

 

Il futuro scorre nel passato con una velocità vertiginosa. Eppure tutto accade nell'istante, un frammento infinitesimale, incalcolabile. In questo minuscolo atomo del tempo si compie tutto il mistero dell'Essere. In esso si realizza una storia d'amore o si scatena una guerra planetaria, si porta a compimento un'opera d'arte o si distrugge un immenso tempio, si concepisce una nuova vita o si oltrepassa l'ultima soglia. La teoria degli istanti forma un ponticello fragilissimo, proiettato sull'abisso del ni-ente, sospeso tra le colonne d'Ercole di un inizio e di una fine, al di là dei quali permane eternamente il Tutto o non-esiste altro che il Nulla. Si percepisce il respiro di un'immensa Compagnia o si ascolta il silenzio di una Solitudine arcana.

Tutto scorre e tutto permane, come avevano intuito Eraclito e Parmenide, è difficile che il pensiero riesco a sfuggire alle intuizioni fondanti della filosofia occidentale. C'è forse un dio trascendente, custode di una Verità che nessuna ragione potrebbe mai avvicinare? C'è un senso verso cui tende il nostro procedere oppure c'è un luogo nel quale già si è, "come bimbo svezzato in braccio a sua madre"? C'è qualcuno su cui scaricare l'enorme responsabilità di determinare la qualità dell'istante? O uno spirito che tutto permea, senza giudicare e senza rispondere, soltanto accompagnando, con il suo soffio lieve?

Nel nomadismo dialettico o nella stabilità stanziale, c'è una realtà che sfugge al controllo della razionalità o della spiritualità. E' il dolore universale che coinvolge tutto ciò che partecipa all'imprevedibile avventura della Vita. La ricerca e il perseguimento della felicità universale costituiscono la madre di tutte le sfide. Sperimentare l'istante come lo spazio infinitesimale ma anche immane nel quale alleviare la sofferenza del mondo è il fondamento di qualsiasi impegno, nella scienza, nella politica, nella cultura, nello svolgersi sereno o turbinoso di ogni giorno. In questa storia, ogni frammentario successo - sia una tessera nel mosaico della pace come un mattone nell'edificazione di una fragile giustizia oppure l'indebolimento momentaneo della forza del male - costituisce una piccola vittoria della Vita contro la Morte.

Intanto procediamo a una velocità indescrivibile - 108.000 chilometri all'ora intorno al nostro Sole - e ruotiamo su noi stessi aggrappati a questa nostra trottola impazzita - 1700 chilometri all'ora! - a questa zattera solitaria nell'Oceano di una galassia minore, alla periferia di uno degli infiniti universi possibili.

venerdì 13 maggio 2022

Mercoledì 18 maggio, "Ritorno in Transalpina per la pace". Sreda, 18. maja, "Vrnitev na Trg Evrope za mir"

Il Comitato permanente per la pace di Gorizia e Nova Gorica invita nuovamente le cittadine e i cittadini a incontrarsi in Piazza della Transalpina, mercoledì 18 maggio, dalle 19 alle 20.

Stalni odbor za mir iz Gorice in Nove Gorice zopet vabi občanke in občane na srečanje na Trgu Evropa, v sredo, 18. maja, od 19h do 20h.

Perché si scende di nuovo in piazza?

Perché la guerra in Ucraina continua e ogni giorno giungono notizie di grandi sofferenze tra la popolazione, perché gli altri conflitti nel mondo si intensificano nel silenzio generale dei media, perché nonostante le parole il governo italiano sembra intenzionato ad aumentare ancora l'impegno di inviare armi a Kiev, perché le trattative e la diplomazia sembrano minacciate dalle continue prese di posizione provocatorie, perché la ventilata accoglienza di Svezia e Finlandia nella NATO potrebbe portare ad allargare catastroficamente il già triste bilancio di guerra, perché si vuole dare un sostegno ai movimenti nonviolenti che in Russia e Ucraina chiedono l'immediata cessazione dell'uso delle armi e una risposta alternativa fondata sul dialogo...

Insomma, non mancano le motivazioni e neppure, purtroppo, l'urgenza degli eventi. Ci si incontra anche per esprimere una volontà di pace e amicizia fra i popoli, proprio partendo da Nova Gorica e Gorizia, chiedendo ancora che questo territorio, insanguinato nel passato da tante guerre e ora capitale europea della cultura, diventi laboratorio di pace e giustizia. Qui le delegazioni dei Paesi in guerra si posso o incontrare per avviare le trattative. Qui è il luogo ideale per la formazione dei corpi civili di pace europei, giovani professionisti in grado di intervenire "là dove la terra brucia" senza altra arma che non sia quella dell'intelligenza e della creatività.

A tutti l'invito a essere presenti e, se si vuole, a comunicare la propria opinione e il proprio punto di vista. Incontrarsi, parlare e inviare messaggi al Governo è l'unico modo per far pressione su chi deve decidere, perché non si parli più con il rombo delle rami ma con la forza del dialogo e della consapevolezza di far parte della stessa umanità.

giovedì 12 maggio 2022

Pensieri nel silenzio della sera

E' difficile pensare al tempo che passa, alle ore solenni che decretano l'inizio e la fine, alla breve passerella che attraversiamo, sospesi sull'abisso del non essere.

Ci si tuffa negli affanni quotidiani, ci si preoccupa per le guerre vicine e lontane, si ama, si odia, si perdono istanti preziosi e e ne riempiono altri. Si dicono e scrivono parole importante, si condivide il cammino con i propri compagni di avventura, ci si impegna, ci si stanca, si protesta e ci si acquieta, si è felici, malinconici o profondamente tristi.

Poi arriva lui, il più prevedibile degli imprevisti, il gioco del tempo che passa, la clessidra che comincia a svuotarsi, lo spazio superiore ormai trasparente. Pur essendo una delle poche certezze, la prospettiva della morte irrompe ogni volta nella fragile struttura dei pensieri, nella corazza dell'indifferenza e della dimenticanza.

Eppure tutti si muore, a milioni di fame o nelle guerre dimenticate e apparentemente assurde, nel mare o nei boschi cercando la chimera di una solida libertà, nei campi di sterminio di ogni tempo e negli incidenti. Ma sono sempre le morti degli altri, di coloro che comunque sono lontani, di cui possiamo vedere un volto su una pagina strappata di giornale o anche sforzarci di offrire una mano, un aiuto prezioso. Sono "notizie" interessanti, toccanti, stimolanti, ma pur sempre messaggi la cui portata emotiva scompare al volgere della pagina successiva o al partire verso l'ignoto della persona incontrata.

Poi c'è la malattia, psicologica o fisica. E c'è un amico, un familiare, una persona che si ama. E' lei o lui che affronta la più importante delle prove, la grande sfida. L'universo intero ruota intorno al buco nero dove tutto sembra essere inesorabilmente inghiottito.  Chi si sente vicino percepisce l'ansia del nulla o dell'infinito, mentre chi non lo è ancora cerca di aggrapparsi alla scialuppa fragile dell'attivismo. Sì, perché se la morte fosse sempre davanti ai nostri occhi, sarebbe assai difficile vivere la normalità e la maestà dell'istante. Ma se non ci si ricordasse mai del prevedibilissimo imprevisto, si sarebbe tentati di credersi i padroni del cosmo, conquistatori di un mondo inventato soltanto dalla nostra immaginazione.

Quanto si vorrebbe condividere, abbracciare, stringersi nell'infinità e nell'eternità del più loquace dei silenzi! E invece si tace sì, ma perché non si sa che cosa dire e il vuoto che si crea spaventa e fonda un senso di impotenza e a volte di rabbia nascosta. Resta vero solo lo spazio di ciò che ci trascende, qualunque nome abbia, un dio o un pensiero, la natura o ciò che è al di là di ogni parola. Sì, proprio lo spazio della Preghiera. Ed è in questo spazio che stasera vorrei incontrare chi soffre, chi affronta quello che forse è l'ultimo rettilineo, chi cerca con angoscia o curiosità l'irraggiungibile Verità. 

Il "giro del Sabotin", una bella pedalata!

Per chi ama i percorsi in bicicletta, vive a Gorizia e non ha molto tempo a disposizione, tra i tanti possibili si consiglia senz'altro il "tour du Sabotin". E' un anello di circa 32 chilometri e 550 metri complessivi di dislivello, che possono diventare 47 e 870 metri di dislivello se si aggiunge la splendida deviazione verso i rifugi e la cima del monte, come indicato nella cartina.

Si sale da Pevma, attraversando Oslavia e le colline vinifere di San Floriano, si entra in Slovenia a Hum, dopo breve discesa si risale a Kojsko, poi a Gonjače. La strada sale non troppo ripidamente fino alla "cima Coppi" del passo di Vrhvolje, a circa 400 metri slm. Segue una lunga discesa tra i boschi, fino a un bivio, qualche centinaio di metri a monte dell'abitato di Prilesje pri Plavah. Inizia in quel punto la ciclabile ufficiale della Soča che con molti saliscendi "taglia" tutto il versante nord del Sabotino, sempre con lo sguardo attratto dal fiume vicino o dal Santuario di Sveta Gora che si affaccia, alto sulla valle. Si passa accanto al famoso ponte ferroviario con l'arco di pietra più grande del mondo e sotto il ponte della cosiddetta strada di Osimo. Un'ultima ripidissima salita e si è a Solkan, da dove, passando per la piazza della ferrovia Transalpina, in brve tempo si chiudo l'anello.

Molte sono le memorie importanti che il percorso offre, ben sottolineate nei vari passaggi, soprattutto dagli ottimi cartelli della "Pot miru - Via della pace". Tante sono le possibilità di fermarsi a scambiare qualche parola con gli abitanti dei paesi attraversati, gustando un bicchiere di vino o qualche ciliegia appena raccolta dall'albero. Molte sono le opere d'arte, soprattutto luoghi di culto e memorie difensive dai turchi. Da non perdere senz'altro sono l'antica chiesa della Santa Croce a Kojsko e il gioiello che è la chiesa cimiteriale di Sv. Ahac a Prilesje.

Tra tanti ricordi storici e artistici, c'è anche lo spazio per le curiosità. Una di queste si trova davanti alla chiesa parrocchiale di Kojsko, nel centro del paese. Fino a poco tempo fa c'era una colonna addossata alla parete esterna, ora smantellata e riposta per terra, presso un alberello. L'iscrizione recita: columna infamiae furibus calumniatoribus meretricibus destinata. Non ho trovato riferimenti storici e bibliografici, per cui non mi è stato possibile risalire all'epoca in cui è stata realizzata, se si tratti effettivamente dei tempi cupi in cui le categorie citate venivano additate in modo umiliante al pubblico ludibrio o solo di un ricordo reperito chissà dove. Sulla facciata della parrocchiale c'è inoltre una lunga lapide che ricorda la sosta a Kojsko addirittura di un papa, Pio VI in viaggio da Gorizia a Vienna lungo la vecchia strada maestra.

Insomma, tante suggestioni, tutte da incontrare e da scoprire. Buona pedalata!

martedì 10 maggio 2022

Kozjak slap, a Kobarid

La “Kozjak”, presso Kobarid, è una piccola cascata, ma capace di suggerire la percezione del mistero. La si raggiunge con una breve passeggiata, particolarmente suggestiva nei colori caldi dell’autunno. Dalla passerella sospesa sulla Soča ci si arriva in venti minuti di cammino. Si costeggia un torrente rilucente di incredibili colori, con l’aiuto di qualche delicato ponte di cemento si passa dall’una all’altra riva fino a quando un sentiero di legno, ancorato alla roccia, invita ad andare oltre, verso una cavità oscura dalla quale proviene un crescente frastuono.

Si giunge così sul fondo di un’ampia voragine, nella quale si getta il ruscello sovrastante. Il salto è solo di qualche decina di metri e la portata richiama più la stabilità di una colonna che l’avanzare travolgente di un’onda che prorompe dalla montagna. Le pareti levigate sembrano volersi chiudere sul visitatore e il lago alimentato dal fiotto è profondo e scuro, qui il sole non riesce mai a trasmettere i suoi raggi. Si è come attratti dal desiderio di assaporare quelle acque, troppo lontane per essere alla portata delle mani e troppo fredde per tuffarsi in esse, per lasciarsi coinvolgere in un abbraccio che potrebbe essere fatale.

Ecco, per un momento tutto scompare, con l’eccezione della cascata, del rumore, dei vapori freschi che pizzicano la pelle. L’antro si trasforma in un’immensa cattedrale dove la Natura offre la più armoniosa delle sue sinfonie. Il battito del cuore entra a far parte del concerto e l’emozione prende lentamente il sopravvento: qui le speranze e le delusioni, le scoperte e le preoccupazioni, i sentimenti eterni dell’odio e dell’amore, la costruzione della pace e la distruzione della guerra, qui tutto sembra mescolarsi in una superiore armonia. Ci si sente davvero “uno”, con tutto ciò che sembra quasi ruotare intorno; centro dell’universo o incontro sublime tra diversi centri.

E’ solo un istante, poi tutto ritorna al suo posto, il vortice si ferma e rimane soltanto la nitida percezione di una bellezza straordinaria. E ci si può rimettere in cammino, colmi di nuova energia e scendere di nuovo verso l’Isonzo, attraversarlo ancora e risalire la collina, ritrovando i segni dell’agire umano: le strade che uniscono e le trincee che dividono, le case che si impregnano di vita familiare e i templi che trasmettono il loro incessante richiamo ai valori della trascendenza, le attese intense di un futuro migliore e le memorie del tempo e di tante vite per sempre trascorse. (Dal libro L'Isonzo)

lunedì 9 maggio 2022

I campi di confinamento del XXI secolo. Importante convegno a Zugliano.

Il 9 maggio è la Giornata dell'Europa. Oltre al giustamente accorato invito alla pace, è necessario che sia caratterizzata anche dalla riflessione su altre importanti tematiche che riguardano direttamente il vecchio Continente. Per esempio, nel tempo in cui sembra che le notizie possano essere assimilate soltanto una alla volta, prima la pandemia e ora la guerra hanno cancellato dall'orizzonte uno dei problemi planetari più importanti e tragici.

Per vincere la dimenticanza, sabato 7 e domenica 8, è stato organizzato a Zugliano un grande convegno internazionale riguardante "i campi di confinamento del XXI secolo". Attraverso approfondite relazioni di esperti e coinvolgenti testimonianze di chi si trova direttamente coinvolto, si è voluto portare alla luce un dramma di fatto sparito dalle pagine di giornali.

Si è parlato dei campi in Libia e in Turchia, non-luoghi dove vivono decine di migliaia di persone, senza neppure la definizione giuridica del loro status. Sono confinate fuori dal mondo, spesso sono oggetto di violenze e torture di ogni tipo. Non hanno alcuna prospettiva di uscire dalla loro situazione che non sia il tentativo di fuga, per mare o per terra ,che molte volte finisce con il respingimento al punto di partenza o, purtroppo fin troppo spesso, con la morte incontrata lungo le cosiddette rotte della speranza. L'Unione europea può tollerare che esistano luoghi nei quali è palese la violazione dei più elementari diritti? Non soltanto tollera, ma anche finanzia il governo turco o le bande che si contendono il dominio sulla Libia, in modo da poter esternalizzare la questione dei richiedenti asilo, spostando al di fuori dei suoi confini la necessità di sopperire alle loro richieste.

Anche all'interno dell'Unione, tuttavia, la situazione è delicata. Lo è in Grecia, dove i campi sulle isole e quelli sulla terraferma vengono realizzati lontano dalle città e circondati da mura, ufficialmente per proteggere gli ospiti, praticamente per isolarli dal resto del mondo. Anche in questo caso, pur esistendo in teoria un perimetro fornito dalle legislazioni europea, le persone rinchiuse non hanno alcuna prospettiva di futuro e passano il tempo in un attesa snervante di qualcosa che probabilmente non accadrà. 

Chi riesce a sfuggire ai veri e propri lager libici e turchi o all'isolamento delle isole greche, risale in qualche modo i Balcani per giungere nel cuneo di Bihac, l'ansa della Bosnia proiettata verso il cuore dell'Europa. La storia dei campi di Lipa e Velika Kladuša è abbastanza nota, con altre decine di migliaia di richiedenti asilo che fuggono dalla guerra e dalla fame, tentano di entrare nell'Unione e vengono ripresi, picchiati e restituiti dalla polizia croata a quella bosniaca. Qualcuno riesce a farcela e in qualche modo raggiunge perfino l'Italia. Qui, dopo un periodo in cui, prima che fossero dichiarati ufficialmente illegali e quindi sospesi, si sono attuati senza troppi problemi i respingimenti in Slovenia, eufemisticamente chiamati "riammissioni". Tuttavia per chi arriva si aprono le porte dei cas e dei sai, in attesa che venga definito il diritto di permanenza sul territorio, con eventuale nuova reclusione nei Centri per il rimpatrio, strutture inique e indegne di un Paese che si definisce democratico.

Questa è la teoria, unita alla delineazione giuridica e divulgativa dei diritti e dei doveri. La pratica, raccontata dai diretti interessati  da chi si prodiga per alleviare le sofferenze di chi è in cammino verso il presunto Eldorado, è impressionante e suscita l'inevitabile domanda sul dove tutti ci troviamo. Come è possibile essere così indifferenti davanti a chi muore nel Mediterraneo o nei boschi dei Balcani? Come è possibile non indignarsi di fronte all'esistenza di nuovi campi di concentramento, con il loro carico di umiliazioni e torture?

E' un tema che l'Europa deve urgentemente affrontare, dal momento che ancora non si è riusciti a proporre una comune politica di accoglienza - e non di difesa - dei migranti, fondata su nuove concezioni del diritto al lavoro, alla casa, al ricongiungimento familiare, alla cultura, alla religione, alla reciproca integrazione con i sedicenti autoctoni. Occorre aprire la porte e costruire una nuova società multiculturale, senza paure e senza ipocrisie. Il tema, in prospettiva politicamente costruttiva e non rozzamente disumana, deve essere riportato in primo piano, oggetto di dibattiti a tutti i livelli, compreso le campagne elettorali, anche locali. 

Sì, perché al fondo, la domanda è riportata a ogni cittadina e cittadino, ai responsabili di ogni Comune, Regione o Stato: cosa stiamo facendo per affrontare tutto ciò con serenità e rispondere con intelligenza e umanità al grido di chi fugge dalla propria terra per cercare un avvenire migliore?

domenica 8 maggio 2022

Un ricordo di Gaetano Valenti, per dieci anni sindaco di Gorizia

Gaetano Valenti è stato per dieci anni sindaco di Gorizia. 

Il ricordo è molto vivo, un uomo che non passava certo inosservato. Sicuramente ha amato profondamente la sua città, servendola con entusiasmo e passione. Molto convinto delle sue idee - detto per inciso, generalmente agli antipodi delle mie - ha saputo dare un volto umano all'impegno politico. Ha saputo affrontare con forza e coraggio anche grandi momenti di sofferenza, riuscendo a conciliare con sapienza la vita familiare e il desiderio di rispondere ai problemi dei cittadini.

E' stato uomo disponibile all'ascolto, ma deciso ad attuare i suoi programmi, aperto al rapporto con gli antagonisti, ma autorevole e a volte ferreo con i compagni di partito, espressione di una società colta ed elegante, ma immerso volentieri nella quotidianità delle strade e dei percorsi goriziani.

A livello personale, lo ricordo nell'ambito ecclesiale ai tempi in cui era arcivescovo padre Bommarco, con il quale aveva una profonda intesa che andava al di là dei ruoli e trovava fondamento nelle comuni radici sociali e culturali. In Consiglio Comunale ci siamo spesso scontrati su molti temi sui quali avevamo opinioni diverse, sempre con un rispetto che non escludeva i toni accesi e quella che eufemisticamente il giornalismo definirebbe una "vivace dialettica". Finito il tempo dell'impegno diretto nelle istituzioni, era facile incontrarlo lungo le strade cittadine e, ormai lontani dalla necessità di far valere ciascuno le proprie ragioni, si trovava volentieri il tempo per qualche sereno scambio di opinione, sul presente e sul futuro della nostra bella città.

La Politica (con la P maiuscola) dovrebbe essere sempre lo spazio del dialogo e del confronto, tanto più intensi e autentici là dove democraticamente si sostengono idee differenti. Purtroppo non è sempre così e facilmente chi si adopera per il bene comune finisce in un vero tritacarne che mette a dura prova la pazienza e spesso anche la salute fisica. Il ricordo di Gaetano Valenti suscita la nostalgia per una politica cittadina nella quale la diversità dei punti di vista non porti mai a denigrare le persone o a trattarle come nemici, bensì a rispettare la loro dignità e a confrontarsi costantemente con le loro opinioni.

sabato 7 maggio 2022

Con Dramsam, alla scoperta della musica e dell'arte nel territorio Goriziano

 

Inizia sabato 7 maggio alle 18 nella cappella di sant'Acazio nel Duomo di Gorizia e domenica 8 maggio alle 11 nella chiesa di Sv. Urh a Tolmin, un ciclo di interessanti incontri dedicati alla musica e all'arte e nelle valli dell'Isonzo. La rassegna porta il significativo titolo, riportato da un verso della poesia Soča di Simon Gregorčič, Takrat se spomni, bistra Soča, Rammenta chiaro Isonzo. 

L'iniziativa, organizzata dal Centro Giuliano di Musica Sacra Dramsam, si articola in sei incontri, tutti nel territorio Goriziano, tre nella parte in Italia e tre in Slovenia. L'originalità della proposta consiste nel collegamento tra le opere pittoriche presenti in alcune tra le più belle chiese e cappelle della zona e la musica del '400 e del '500. Ciò che unisce infatti la scelta dei luoghi è la presenza di rappresentazioni di angeli che tengono in mano, accordano o suonano gli strumenti musicali maggiormente utilizzati in quell'epoca.

Si inizia con la cappella di sant'Acazio (in sloveno Sv. Ahac), all'interno del complesso della cattedrale dei santi Ilario e Taziano in Gorizia. L'inconfondibile struttura gotica, realizzata nel 1471 come parte aggiunta alla già esistente chiesa dedicata al vescovo e al diacono aquileiesi, consente di riconoscere, nella volta, una serie di affreschi dedicati al mistero centrale della fede cristiana. Anche se in parte deteriorati dal tempo, sono ben riconoscibili i simboli degli evangelisti, presentati secondo l'interpretazione antica fra l'altro fatta propria anche da Cromazio di Aquileia, che collega l'immagine alla scena iniziale di ciascun vangelo. Matteo è rappresentato con l'angelo, perché nei racconti dell'infanzia è protagonista l'angelo che dialoga soprattutto con Giuseppe, rivelandogli la volontà di Dio. Marco ha il leone, che ricorda la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, mentre Luca è simboleggiato dal toro, raccontando nelle prime pagine la vita del tempio di Gerusalemme, dove appunto venivano sacrificati i tori e altri animali. Giovanni ha l'aquila, in onore del suo Prologo che invita il lettore o l'ascoltatore ad alzare lo sguardo verso le alte vette dello spirito. Portano tra le mani un cartiglio con il nome di ciascuno dei quattro. Al centro uno degli stemmi della contea di Gorizia, ormai avviata al tramonto della sua storia.

Attorno agli evangelisti, annunciatori del Vangelo della morte e della risurrezione del Cristo, ci sono otto angeli, con vesti di vario colore, che mostrano al visitatore i segni della passione. Sono ben riconoscibili la lancia e la canna, la colonna della flagellazione, naturalmente la croce, gli unguenti preparati per la sepoltura, la corona di spine. Altri angeli, con strumenti musicali, fanno da contorno annunciando gioiosamente la vittoria sulla morte e la liberazione dal sepolcro.

Da non perdere sono i peducci delle colonnine, forse sapientemente inseriti nello stesso contesto delle pitture. Il mistero cristiano della redenzione è strettamente congiunto a quello del peccato originale, rappresentato con il bassorilievo della caduta, Adamo ed Eva, sollecitati da un serpente dal volto umano e da lui sedotti, mangiano il frutto della conoscenza del bene e del male, identificato nell'antichità con una mela (dal latino malum) o con un'arancia. Un'altra scena è quella con tre uomini con le vesti episcopali, uno con in mano una chiave, gli altri due con il bastone pastorale. Sono riconoscibili ai lati il primo vescovo di Aquileia Ermagora e il vescovo Ilario, al quale è stata dedicata in origine la chiesa. Al centro qualcuno propone san Nicola, ma forse la chiave richiama maggiormente san Pietro e il legame tra la chiesa aquileiese - non esisteva ancora l'Arcidiocesi di Gorizia - e quella di Roma. Un terzo peduccio è dedicato alle donne. Sia pur con qualche difficoltà, si possono riconoscere santa Caterina e sant'Anna. Interessanti anche le lastre tombali che sono state incastonate nella parete, ricordano importanti dignitari e benefattori. I gradini conducono alla cripta, nella quale sono sepolti molti degli Arcivescovi di Gorizia.

Ma chi era sant'Acazio, il cui nome deriva probabilmente dal greco e significa "il buono"? Non si hanno dati storici sufficienti per ricostruirne adeguatamente la vita. Secondo gli atti dei martiri venerati sia dalle chiese orientali che da quella latina, era un soldato romano, un centurione che aveva compiuto gesta eroiche come militare, ma non aveva accettato di rinunciare alla propria fede cristiana. Sarebbe morto a Bisanzio intorno al 304, durante la persecuzione scatenata da Diocleziano, secondo alcune versioni più o meno leggendarie sarebbe stato impalato su un albero di noce, insieme a una numerosa schiera di compagni, certi documenti arrivano a segnalare addirittura il numero di 10.000! E' ricordato in un ampio territorio nel Centro Europa, in particolare nella Carniola e nella Carinzia, ma anche nella valle dell'Isonzo/Soča. A Prilesje pri Plavah, neanche dieci chilometri da Solkan, c'è una magnifica chiesetta cimiteriale, con un delizioso presbiterio affrescato. In questo caso, tra le varie raffigurazioni, si fa ben notare la scena del martirio di Ahac e dei suoi compagni, in un bosco dagli alberi appuntiti e insanguinati.

Una volta contemplata con la vista questa preziosa opera d'arte, custodita nella chiesa Metropolitana di Gorizia, è tempo di gustare con l'udito la musica rinascimentale, un salto indietro di oltre 500 anni reso possibile dalla maestria dei musicisti dell'Ensemble Dramsam. 

venerdì 6 maggio 2022

Pensieri di un camoscio errante

Ecco, sono arrivato quassù. Mi fermo un attimo, volto la testa e guardo indietro. Ci sono solo rocce, abissi che sprofondano nell'ombra, minuscoli sentieri e balze coperte di fragile ghiaia.

E' bello saltare da una cengia all'altra, provare quell'istante di ansia che ti soffoca il cuore, quando non sai se la zampa resterà stabile su quella cornice, se quella neve sopravvissuta all'estate non ti farà scivolare.

Immagino un ultimo passo in avanti, le gambe trasformate in ali e l'inizio di un lungo volo, scrutando dall'alto i segreti irrisolti della parete alpina.

Conosco i miei limiti, so bene che non potrò mai sfidare il vento che ripulisce i sassi frammentati delle cime. Non ho paura del vuoto, ma accetto che a segnare il mio destino sia la forza di gravità.

Non mi sento solo, ci sono altri amici che sfidano l'impossibile, celebrano ogni giorno la maestà della Vita. Gareggiamo nello spingerci sempre più in là, fino al momento segnato dal destino, il giorno dell'abisso, dell'errore fatale o dell'incontro con ciò che avevamo sempre desiderato e temuto.

A volte ci amiamo, altre volte ci scontriamo e lo schianto delle corna produce un sinistro rumore che riecheggia lugubre fino alla valle lontana. Pretendiamo la felicità, il diritto di esserci che la Natura ha assegnato a ognuno di noi. Stranamente qualche volta qualcosa ci spinge a soffocare la gioia dell'altro.

Ci vogliamo bene poi ci odiamo, combattiamo e torniamo a volerci bene, in un ciclo ininterrotto, ieri toccava ai genitori, oggi a noi, domani ai figli e così via, fino a quando chissà.

Fino a quando il Sole spegnerà la sua luce, il cielo azzurro piomberà sulla terra e la soffocherà nell'ultimo respiro anelante ancora Amore infinito e Bellezza eterna.

Ora basta pensare, con un balzo provo a raggiungere lo sperone superiore. Se ci riesco...

mercoledì 4 maggio 2022

"Piccolo corpo", grandissimo film

 

Piccolo corpo è un grande film del 2021, della giovane regista Laura Samani, nota a Gorizia per la sua costante collaborazione in occasione dell'annuale Premio Amidei. Ha vinto proprio ieri il prestigioso premio David di Donatello.

In un clima di pura poesia, si svolge una storia che sembra essere senza spazio e senza tempo, pur svolgendosi in un periodo culturalmente riconoscibile e in un territorio chiaramente individuabile.

Il passato è tutto nella storia, una vicenda che fa venire alla mente tradizioni ben note nel Friuli, in particolare le leggende legate a chiesette miracolose dove i bambini morti prima di essere battezzati, risuscitano per il tempo necessario a dare a essi un nome e a liberarli dalla condanna del limbo. La sensazione opprimente di regole umane e di riti religiosi la cui memoria sopravvive ancora nelle persone più anziane, viene cancellata dalla determinazione eroica della protagonista. Contro quasi tutto e tutti, essa affronta un viaggio difficile, dall'esito imprevedibile, incrociando tipologie di umanità sempre cariche di una forza inquietante, a volte indisponente, a volte accogliente. La sua immensa solitudine non è alleviata da nessun incontro, neppure quello con un'altrettanto misteriosa amica/amico che l'accompagna lungo il cammino senza riuscire a penetrare nel suo sconvolgente segreto. L'unica vera compagnia è il "piccolo corpo", vero co-protagonista della vicenda, centro di gravità di un'opera che svela nascondendo e che nasconde svelando.

Particolarmente interessante, senza scendere troppo in dettagli e lasciando allo spettatore la scoperta di tanti piccoli quadretti che coinvolgono e avvincono, rendendolo emozionato, commosso e partecipe, con il fiato ininterrottamente sospeso, del dramma, è l'ambientazione. La prime scene richiamano le isole della Laguna, con alcune suggestioni che ricordano la Medea di Pasolini. Quelle girate nella Bassa Friulana evocano inevitabilmente i contadini di Ermanno Olmi ma anche gli indimenticabili "ultimi" del friulano David Maria Turoldo. Gli incontri lungo il percorso verso il nord sembrano echeggiare le suggestioni dello Specchio di Tarkovskj o del Paradzanov della "Fortezza di Surami", mentre i passaggi onirici possono in qualche modo avvicinare il pensiero al piccolo uomo della grandi pianure di Akiro Kurosawa. Ma tutti questi riferimenti a Maestri indiscussi del cinema del XX secolo, non tolgono nulla all'assoluta originalità e alla straordinaria creatività della Samani, aiutata dall'affascinante recitazione dei suoi giovanissimi attori, Celeste Cescutti e Ondina Quadri.

Una nota va anche alle lingue. Si sente parlare il graèsano mescolato al veneto, il friulano legato a un faticoso italiano lontano dall'ufficialità, lo sloveno classico e quello delle valli orientali e carniche, un omaggio alla bellezza della diversità che caratterizza la nostra terra, ma anche un inno alla fatica e alla laboriosità di chi deve ricavare con molto sudore della fronte il minimo necessario per vivere e sopravvivere.

Insomma, un film affascinante, che merita il David di Donatello ricevuto ieri in Sicilia, gli apprezzamenti alla Settimana della critica al Festival di Cannes, l'entusiasmo del pubblico al Trieste film festival e nelle programmazioni che si sono susseguite in tutte le città d'Italia. In ogni caso, da non perdere!

Pot spominov in tovarištva. In cammino perché la memoria diventi impegno.

Almeno una volta nella vita, vale la pena di partecipare alla “Pot ob ziči” che si celebra ogni anno, il sabato più vicino all’anniversario del 9 maggio (nel 2022 , il 7 maggio). Durante tutta la giornata, decine di migliaia di abitanti di Ljubljana e del vicinato si riversano sul sentiero che circonda la città, percorrono chi tutti, chi una parte dei 33 chilometri, illustrano volentieri ai visitatori da lontano, anche dall’Italia, gli avvenimenti legati alla chiusura ermetica della capitale slovena, nel quadriennio di oppressione nazi-fascista. E’ un giorno di triste ricordo, ma anche di festa, nella consapevolezza che il miglior modo per fare memoria è quello di passare dalla vergogna all’impegno, nella concordia tra i popoli e nell’edificazione della vera pace. Le radici dell'evento annuale sono molto lontane...

Lo scorso 6 aprile, piazza Transalpina/Trg Evrope ha ospitato un flash mob dedicato all’81mo anniversario dell’inizio dell’invasione nazifascista della Jugoslavia. E’ stato proposto di dichiarare tale occasione “Giornata nazionale della vergogna”, nel ricordo della vergognosa azione di guerra che ha portato alla spartizione anche della Slovenia, dilaniata e divisa tra Germania, Ungheria e Italia mussoliniana.

In realtà, di “giornate della vergogna” ce ne sarebbero tante da celebrare e quella del 6 aprile potrebbe essere una tappa simbolica con la quale sintetizzare tutte le altre.

Per quanto riguarda la via crucis del popolo sloveno della Primorska, la regione che si appresta a celebrare con Gorizia la capitale europea della cultura, la prima stazione è senz’altro il 13 luglio 1920, con l’incendio del Narodni dom di Trieste che è stato il punto di avvio della feroce persecuzione fascista nei confronti degli sloveni. Un secondo passo è stato il Trattato di Rapallo, altra giornata della vergogna internazionale, 12 novembre 1920, con il quale una parte importante del regno degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi veniva assegnata al Regno d’Italia, avviato a essere dominato dal regime fascista. Da allora i motivi di rossore si sono moltiplicati, come testimoniato da France Bevk, Zorko Jelinčič, Ciril Kosmač, Drago Bajc e tanti altri autori che hanno vissuto e raccontato quell’oscuro periodo di oppressione e soffocamento di ogni libertà. Come dimenticare i due processi di Trieste, con l’esecuzione delle condanne a morte dei quattro “eroi di Basovizza”, il 6 settembre 1930 e di Pinko Tomažič e altri quattro compagni a Opicina, il 12 dicembre 1941? Sono state tutte condanne emesse da tribunali illegali, che hanno suscitato indignazione sulla stampa internazionale dell’epoca, come documentato nell’ottimo libro di Milan Pahor, Borba, recentemente tradotto in lingua italiana e dedicato proprio alle sistematiche vessazioni del regime nella zona del litorale.

Se possibile, ancora più tragica è stata la vicenda di un’intera città, Ljubljana, divenuta provincia militarmente occupata dagli italiani tra l’11 aprile 1941 e l’8 settembre 1943. La capitale slovena e i paesi del circondario hanno assistito a una guerra feroce, non soltanto combattuta tra fronte di liberazione jugoslavo e forze occupanti, ma anche caratterizzata da fucilazioni di gruppo, incendio di paesi inermi, deportazione di decine di migliaia di persone condotte nei campi di concentramento, costrette a subire ogni sorta di disagi, fino ai limiti della morte per fame.  La città è stata circondata da una lunga cortina di filo spinato, “inaugurata” il 23 febbraio 1942 su un perimetro originario di 29663 metri, larghezza di 8-10 metri, con decine di torri di controllo e migliaia di guardie pronte ad aprire il fuoco su chiunque avesse cercato di uscire o entrare senza autorizzazione. La situazione è perdurata anche dopo la caduta del fascismo, quando il territorio è stato preso sotto la dominazione nazista e Ljubljana è stata ufficialmente liberata solo il 9 maggio 1945.

La vergogna dell’impenetrabile filo spinato realizzato dagli italiani e mantenuto per ben 1171 giorni, è stata trasformata alla fine degli anni ’50 in un percorso dedicato al ricordo di quei tragici eventi. Un ring che oggi misura 33 chilometri è divenuto un lungo sentiero, circondato da un parco verde, significativamente chiamato “Pot spominov in tovarištva”, il percorso dei ricordi e della fratellanza. Chi percorre la via, oggi facilmente accessibile a piedi e in bicicletta, può incontrare cartelli illustrativi delle vicende storiche, monumenti dedicati alle numerose vittime dei feroci occupanti, pietre della memoria e segni della presenza ebraica, quasi totalmente cancellata dallo sterminio. Potrebbe davvero essere un cammino nella vergogna per chi vive in uno Stato come l’Italia che non ha ancora del tutto fatto i conti con questo e con gli orrori della seconda guerra mondiale, voluta da Hitler e da Mussolini. In realtà, là dove c’era la recinzione di quello che potrebbe essere definito il più grande campo di concentramento a cielo aperto in Europa, ora si può camminare, correre, giocare, ammirare il bel panorama verso la città, il barje e le colline circostanti. Si è immersi nel verde e si possono incontrare sempre tante persone, di diverse nazionalità, una specie di passeggiata permanente, plurilingue e pluriculturale. E’ molto bello “ricordare” in questo modo, celebrare il sacrificio di chi ha perso la vita o ha subito l’onta della deportazione o ha visto il proprio villaggio bruciare inesorabilmente, non con un pensiero cupo e portatore di vendetta, ma con la valorizzazione della bellezza, dell’amicizia e della vera pace.