lunedì 28 febbraio 2022

Pacifisti di tutto il mondo, unitevi!

L'allerta nucleare riempie il Mondo di ulteriore paura. I negoziati odierni in Bielorussia aprono un minimo barlume di speranza, anche perché forse l'imprevisto coinvolgimento cinese potrebbe offrire una via d'uscita dal vicolo cieco nel quale sembra che la Russia si sia cacciata. I paesi europei hanno risposto alle minacce di Putin approvando il riarmo dell'Ucraina, giungendo non solo a ventilare l'ingresso nella NATO ma perfino nell'Unione Europea. Si distingue la "qualità dei profughi", porte aperte, anzi apertissime senza neppure la necessità di chiedere asilo, ai "bianchi", respingimenti e maltrattamenti ai "neri", avanti i cristiani indietro i musulmani! Il rozzo per eccellenza dichiara in Parlamento che ci sono profughi veri e profughi finti. Lo dice in modo stupido e odioso, ma purtroppo inquadra la realtà di ciò che sta accadendo ai confini con la cattolicissima Polonia.

Insomma, la realtà è in rapidissimo movimento e di momento in momento gli scenari possono cambiare, in peggio oppure - si spera ardentemente - in meglio. In questo contesto, è da prolungare il pensiero espresso nei post precedenti, riguardo soprattutto al ruolo del movimento per la pace e della chiesa cattolica. Entrambi infatti, se vogliono essere efficaci al di là dei numeri cospicui di partecipanti alle manifestazioni sulle strade e sulle piazze di quasi tutte le città europee, devono prendere una posizione che non si limiti soltanto al dire un "no alla guerra".

La nonviolenza si propone di essere "attiva", ovvero di porre gesti concreti e impegnativi, alternativi alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Come tale, piaccia o no, è scomoda e non si fonda (soltanto) su masse multicolori, ma su prese di posizione scomode e svincolate dal politically correct. L'essenza del metodo, come descritto da Gandhi, è semplice e nello stesso tempo drammatica: meglio essere uccisi guardando in faccia l'offensore che ucciderlo, meglio essere feriti che ferire.

Venendo allo specifico, si può marciare dietro alle bandiere arcobaleno sostenendo contemporaneamente i diritti del popolo ucraino invaso dai russi, quelli dei russi del Donbass bombardati da otto anni dagli ucraini, la NATO che deve entrare in campo per difendere gli ucraini, l'uscita dalla NATO ritenuta corresponsabile di ciò che sta accadendo, la diplomazia fino allo stremo delle forze, la consegna degli armamenti sofisticati alla "resistenza" ucraina, la difesa di tutti gli oppressi o l'abbandono degli stessi al loro destino, l'accoglienza senza se e senza ma dei profughi ucraini, il respingimento alle frontiere di quelli asiatici o africani. Senza porsi da una parte piuttosto che dall'altra, il messaggio - anche di milioni di esseri umani - non funziona, se non come la testimonianza che coloro che stanno fuori dalla mischia non sono d'accordo che la mischia ci sia. In questo senso, i pochi manifestanti russi arrestati a San Pietroburgo e a Mosca hanno una voce enormemente più forte dei milioni che lodevolmente occupano le piazze europee.

Per quanto riguarda i cattolici, c'è da ricordare un precedente tragico ma emblematico. nel corso del XX secolo, un solo Papa ha parlato esplicitamente contro la guerra e contro i suoi artefici, da un Vaticano collocato nel cuore della Capitale di uno Stato direttamente impegnato in una guerra. Si tratta di Benedetto XV che dal 1914 al 1918 non ha smesso di denunciare l'orrenda carneficina, l'inutile strage, la distruzione della bella Europa determinata dagli interessi dei ricchi e dei potenti realizzati sulla carne di milioni di esseri umani. Aveva proposto il disarmo totale delle Nazioni, la costituzione di un arbitrato internazionale sovrano per la pace e si era battuto ininterrottamente per riuscire a ottenere un minimo di ascolto dai "capi dei popoli". Mentre lui parlava di pace, i "suoi" vescovi e preti cattolici predicavano l'esatto contrario, giustificando la guerra della propria parte contro quella dell'altra e benedicendo le armi che avrebbero maciullato, nel nome del dio dei cattolici, i cattolici che stavano da una parte o dall'altra del confine tra i belligeranti. Il popolo e i capi dei Paesi parte dell'Impero austro-ungarico non hanno ascoltato minimamente il Papa, ma i loro vescovi e preti. Il popolo e i capi dei Paesi nel Regno d'Italia non hanno ascoltato minimamente il papa, ma i loro rispettivi vescovi e preti guerrafondai.

Papa Francesco ha certamente un'autorità sulla Chiesa cattolica più incisiva rispetto a quella dei pontefici dell'inizio del XX secolo. Ha inoltre mezzi di comunicazione mille volte più potenti per potersi far ascoltare. Per questo ha anche la responsabilità di orientare le scelte, soprattutto dei molti cattolici uniati che vivono in Ucraina e dei pochi che sono in Russia, oltre che dei tantissimi che scendono nelle piazze. Ha anche il compito di ritessere le relazioni da lungo tempo praticamente indebolite con la Chiesa autocefala ortodossa di Mosca per prendere una posizione comune, autenticamente evangelica e cristiana. Lo può fare non soltanto invitando alla preghiera e al digiuno, ma anche proponendo concrete indicazioni a chi si trova sul campo. E' l'ora della nonviolenza? Bene, allora gli ucraini e i russi che si riconoscono nelle parole del Vangelo si rifiutino di combattere, i vescovi e i preti cattolici e ortodossi denuncino i soprusi dei loro governanti, dall'oppressione del Donbass all'orribile invasione armata dello stato libero dell'Ucraina, le chiese cattoliche, ortodosse e protestanti in Europa si aprano senza esitazioni all'accoglienza dei profughi dall'Ucraina e da tutte le parti del Mondo, ovunque si chieda un disarmo generale, senza che un soldato o un pezzo di artiglieria proveniente dall'Europa occidentale varchi i confini, andando ad alimentare un fuoco che sta diventando sempre più difficile da controllare.

Forza allora, pacifisti di tutto il Mondo unitevi!

domenica 27 febbraio 2022

E se si riconciliassero, i Cattolici "uniati" di Ucraina e gli Ortodossi di Russia?

Giovanni Kuncewics, san Giosafat
Si parla molto di Putin e di Zelens'kyj, di Biden e di Stoltenberg, ma da che parte stanno i popoli di Ucraina e di Russia? 

Bene ha fatto Papa Francesco a farsi ricevere presso l'ambasciata di Russia presso la Santa Sede. "Per quello che posso", ha detto inoltre, si è anche proposto come mediatore nel grave conflitto tra Russia e Ucraina. 

"Per quello che posso"... In realtà può molto, anche se il suo compito è senz'altro particolarmente delicato, non tanto per i ripetuti e un po' rituali appelli a favore della pace, quanto per un necessario intervento diretto nei confronti dei cattolici di Ucraina e per un'auspicabile accelerazione del dialogo con gli ortodossi russi. 

Infatti storicamente il Papato non è neutrale, ma è parte in causa. Certo, le ragioni o disragioni di questa guerra sfuggono all'osservazione anche dei più preparati e competenti esperti. Tuttavia c'è un aspetto propriamente storico che non deve essere sottovalutato. In Ucraina ci sono i cattolici di rito orientale, i cosiddetti "uniati". Essi nel XVII secolo lasciarono la chiesa autocefala ortodossa russa per dichiarare la propria obbedienza al Papa, ottenendo in cambio un particolare diritto canonico, con alcune prerogative che li distinguono dai cattolici "latini". Il più noto, ma non l'unico elemento distintivo, è l'ammissione al sacramento dell'ordine (al sacerdozio ministeriale) di uomini sposati. Talmente importante è stato per loro questo "passaggio" al cattolicesimo  che il principale artefice della ri-unione, sei secoli dopo lo scisma del 1054, Giovanni Kuncewics, non esitò ad accettare il martirio, da parte degli ortodossi rimasti fedeli alla "madre Russia", pur di rimanere fedele alla causa. E' venerato come santo dall'intera chiesa cattolica, latina e ovviamente orientale.

Certo, è vero che le dinamiche della post-modernità presentano aspetti che possono oscurare elementi un tempo molto più importanti e incisivi sullo scacchiere internazionale. Tuttavia non si può sottovalutare la fede del popolo che ancora coinvolge milioni di ucraini e bielorussi, abitanti dell'antica Rutenia. Così come non si può dimenticare come in questo e in altri casi la specificità del fattore religioso crea ancora oggi un profondo e radicato senso di appartenenza, ancor più rafforzato dalle persecuzioni subite nel corso della storia dell'Unione Sovietica. Come non tener conto di questa consapevolezza che contesta a Putin l'idea che l'Ucraina (meglio dire in questo caso la Rutenia!) sia soltanto una parte della Russia e che rafforza fortemente il sentimento antirusso e anche anti-ortodosso?

Per questi motivi Papa Francesco potrebbe realizzare un'efficace opera di mediazione soltanto convincendo i Vescovi uniati dell'Ucraina a togliere ogni appoggio e a ridurre a migliori consigli l'attuale Presidente Zelens'kyj, invocando il totale rispetto delle comunità russe presenti nello Stato. E invitando il Patriarca di Mosca Kiril a fare altrettanto con Putin. Non c'è momento più urgente e opportuno, nel quale le due confessioni cristiane possano trovare un punto di incontro, dopo un periodo non particolarmente entusiasmante per ciò che concerne i rapporti ecumenici tra cattolici e ortodossi. Quindi, al di là di gesti più o meno efficaci, il Vescovo di Roma e il Patriarca della Chiesa autocefala di Mosca, potrebbero parlare, con forza, efficacia e precisione, ai rispettivi fedeli cattolici uniati di Ucraina e ortodossi di Russia. L'esplicita condanna congiunta della guerra e l'invito a ricercare soluzioni eque e rispettose da entrambe le parti potrebbe avere un'enorme importanza per due Nazioni la cui base popolare è ancora fortemente influenzata dall'appartenenza religiosa.

Dove sono i pacifisti? Per esserci ci sono, ma...

"Nella guerra gli Stati perdono i loro cannoni, i ricchi i loro buoi, i poveri i loro figli. Dopo la guerra gli Stati si riprendono i loro cannoni, i ricchi ricevono nuovi buoi e i poveri cercano le tombe dei loro figli" (detto popolare serbo)

Disarmare, trattare, accogliere. 

Questi tre verbi, riproposti autorevolmente ieri dal quotidiano Avvenire, sintetizzano bene il "sentire comune" di una parte dell'opinione pubblica italiana e mondiale che vede la guerra come un male assoluto, da disinnescare nel più breve tempo possibile. In effetti, l'immediato cessate il fuoco, la parola ritornata alla diplomazia e la disponibilità ad alleviare le sofferenze delle persone, sono gli obiettivi che tutti vorrebbero vedere realizzati nel più breve tempo possibile. Anche il gesto concreto del digiuno, proposto per il prossimo 2 marzo da papa Francesco, è riempito di questi auspici e significati.

Le piazze in questi giorni si stanno di nuovo riempiendo, le bandiere arcobaleno sventolano davanti a molti davanzali e si moltiplicano le voci preoccupate che gridano a gran voce "no alla guerra", "guerra mai più!" E' importante che il popolo faccia sentire la propria voce, anche con la forza dei numeri e dei simboli. Tuttavia c'è da segnalare qualche evidente fragilità, non per indebolire la forza della contestazione, ma per farne memoria nel prossimo futuro, sempre che non sia troppo tardi.

La prima consiste nel mettersi in movimento con obiettivi precisi soltanto in alcune situazioni e non in altre. Di guerre, purtroppo, ce ne sono state tante e continuano a esserci nel mondo attuale. si pensi ai conflitti africani, nel Sud Sudan e nel Tigray per esempio, ma anche allo stesso Donbass bombardato da otto anni senza grandi scandali da parte di nessuno, alla democrazia soffocata nel sangue in Rojava, alla persecuzione dei Rohingya in Myanmar o agli infiniti focolai del Medio Oriente. E' vero, c'è ogni anno la Perugia-Assisi, ci sono altre iniziative qua e là per l'Italia, ma anch'esse un po' sembrano un po' troppo ritualizzate, lontane dall'incidere sulle scelte politiche ed economiche. Si ha come l'impressione che a dettare gli impegni del cosiddetto "popolo della pace" siano le mosse della grandi potenze e non la quotidiana consapevolezza insita nel concetto stesso di nonviolenza attiva.

La seconda consiste nel percepire una forte lontananza da proposte sostenibili che anni fa sembravano a portata di mano. Si pensi per esempio alla riforma generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e soprattutto alla costituzione delle forze di interposizione nonviolenta, i "corpi civili di pace", da immaginare non fondati su un peraltro lodevole volontariato dei più sensibili, ma su vere e proprie istituzioni alternative quelle militari, pronte a intervenire nei conflitti offrendo la competenza per risolverli in modo radicalmente alternativo all'uso delle armi. E' facile dire "no alla guerra", quando si è lontani dall'orrore, ma senza un organismo in grado di produrre una lettura nonviolenta della situazione del mondo attuale, c'è il serio rischio di rimanere a un livello di superficialità poco, se non per nulla utile all'affronto di cause, ragioni e disragioni per lo più del tutto sconosciute.

La terza riguarda il conflitto attuale, nel quale le manifestazioni pacifiste di questi giorni dimostrano il loro limite. Non essendo chiaro il quadro, manca quella semplificazione a volte certamente un po' ingenua che in altre occasioni ha trascinato milioni di esseri umani sulle strade delle Capitali europee e mondiali. In piazza si incontrano coloro che vogliono difendere il governo ucraino e quelli che stanno dalla parte del Donbass, c'è chi invoca l'uscita dalla NATO e chi al contrario ritiene che una buona difesa possa prevenire qualsiasi attacco. Ci sono rappresentanti di partiti che sostengono il "senza se e senza ma" e di altri che invece propongono di armare militarmente la "resistenza" ucraina (tra questi l'incredibile Letta, per i momento non contestato all'interno del "suo" Partito Democratico). E' inevitabile che quando i variegati partecipanti alle marce e ai sit-in si esprimono, una parte applauda e l'altra fischi, come accaduto ieri a Trieste. Non c'è da scandalizzarsi di ciò, anzi, forse questo potrebbe anche essere interpretato come un buon segno, l'unanimismo di fatto a volte confina con l'insignificanza.

Dunque, è bene scendere in piazza e collocare davanti alle finestre le bandiere della pace. I pacifisti ci sono, non sono spariti nel nulla. Tuttavia la loro attuale debolezza si può davvero tramutare in forza, se sapranno rinnovare contenuti e metodi della loro azione, se riusciranno a sostenere una politica nazionale e internazionale concreta del disarmo nucleare e generale, dei corpi civili di pace e dell'accoglienza senza limiti secondo il principio della libertà di movimento per tutti gli esseri umani, se ritroveranno la strada di un'analisi finalizzata alla costruzione di "un altro mondo possibile", se saranno più uniti, pur nelle loro diversità, se...

Nel frattempo, contro la guerra tra Russia e Ucraina, va bene tutto, anche il più piccolo segno, come il digiuno del mercoledì delle ceneri, sperando che serva, come piccolo tassello nel mosaico generale, a silenziare quanto prima l'urlo macabro delle armi.

sabato 26 febbraio 2022

Ripensare insieme l'Europa, il caso Gorizia/Nova Gorica

Una parte dei partecipanti al workshop, presso units a Gorizia
Mentre i gruppi partitici goriziani discutono, nell'università di Trieste a Gorizia si fa Politica. Grazie a un bando europeo, una trentina di giovani studenti di Architettura, coordinati dal prof. Sergio Pratali, hanno ragionato un'intera settimana sulle dinamiche di relazione tra Gorizia e Nova Gorica, anche in vista dell'appuntamento del 2025.

Procedendo da un'analisi dei concetti di "limes" e "finis", sei relatori - docenti italiani e sloveni impegnati "sul confine" - hanno introdotto il tema da un punto di vista teorico e da quello dell'approfondimento relativo allo specifico "caso" della zona tra il valico del Rafut e quello di Via San Gabriele/Erjavčeva ulica.

Gli studenti sono stati poi i protagonisti della mattinata finale, aperta a tutto il pubblico goriziano. Con l'aiuto della prof.ssa Elisa Polo, sono stati avviati cinque tavoli congiunti di approfondimento, dedicati all'integrazione intercittadina, alla valorizzazione dell'ambiente naturale, alle infrastrutture, alla progettazione partecipata e naturalmente alla Cultura.

E' sorprendente constatare quante idee possono scaturire da poche persone che si parlano e ascoltano reciprocamente, procedendo da criteri scientifici che costituiscono come dei paracarri all'interno dei quali la creatività di ciascuno diventa patrimonio di ricchezza per l'intera comunità. Una decina tra cittadine e cittadini si è così confrontata con  i giovani futuri architetti, rilevando criticità, proposte per superarle e immaginando un futuro sostenibile per questo territorio "di confine".

Senza voler criticare nessuno, a tutti i partecipanti queste poche ore di lavoro sono sembrate un vero e proprio confronto autenticamente politico, con la composizione di un'"agenda" di temi, urgenze e prospettive da sottoporre al vaglio di chi sarà chiamato ad amministrare la/le città nei prossimi anni. Si è parlato anzitutto di cultura - intesa nello specifico come valorizzazione di tutte le tante diverse culture - come fondamento di tutte le scelte conseguenti i  ogni ambito. Si è sottolineata la necessità dell'apprendimento delle lingue, con corsi curriculari in tutte le scuole e proposte efficaci per adulti. Si è auspicata una progettazione comune dell'urbanistica e della viabilità del futuro, procedendo proprio dalla necessità ornai imprescindibile di pensare e pensarsi insieme. Ovviamente si è insistito sulla necessità di creare spazi di movimento ecologici e in grado di favorire gli incontri tra le persone, approvando con convinzione le idee che suppongono un collegamento ciclabile tra le due stazioni delle/della città. Si è parlato di infrastrutture, dell'utilità del GECT/EZPS, della Capitale europea della Cultura, del compito degli istituti accademici, in modo particolare si è accentuata la ricerca di modalità innovative di partecipazione alla progettazione e gestione del bene comune e dei beni comuni. Si è fortemente sottolineata la necessità che ogni cittadina e cittadino si sentano non solo ascoltati, ma anche resi protagonisti della "città futura". Molto interessante è stato l'accento posto sulla Natura nella quale è immerso il Goriziano, al punto da poter immaginare una pianificazione che collochi in primo piano l'ambiente, individuando in esso anche gli elementi antropici da collocare in modo armonico e non viceversa.

Insomma, sono stati giorni di grande confronto e conforto, l'ennesima dimostrazione di quanto sia importante uscire dalle solite stanze di piccoli anacronistici poteri per ascoltare le istanze e le sollecitazioni di mondi più mentalmente "giovani", come quello delle università e degli istituti di ricerca sociologica e scientifica. 

venerdì 25 febbraio 2022

Digiuno e silenzio, dalla parte di chiunque sia nel Dolore

Improvvisamente, il fulcro mediatico, dopo due anni di quasi incessante martellamento sulla pandemia globale, si sposta sulla guerra tra la Russia e l'Ucraina. 
Lo scenario è diverso, ma il metodo è lo stesso. Gli "esperti" spuntano come funghi nelle mille trasmissioni-spettacolo, dove la tragedia bellica viene vivisezionata e teatralizzata fino a trasformarla in una nuvola opaca di indistinto disagio nella quale è molto difficile individuare i particolari. Naturalmente ci sono tutte le posizioni possibili e i pochi che ne sanno veramente qualcosa tendono a mantenere una certa discrezione, se non suggerendo delicatamente di non sparare troppo facilmente giudizi. C'è che si schiera con Putin e chi con Zelensky, chi con la NATO e chi contro, chi con i diritti dei russi del Donbass, chi con quelli degli ucraini di Kiev e dintorni. Ci sono i pacifisti, tanti, che scendono in piazza chiedendo con  forza la sospensione delle operazioni militari. C'è chi minimizza e chi annuncia l'imminente terza guerra mondiale. C'è chi invoca il dialogo, chi le sanzioni più aspre possibili, chi addirittura (Letta!?!?!) propone di sostenere l'impegno militare dell'Ucraina per respingere il russo invasore. 
L'Italia, già paese di decine di milioni di commissari tecnici della Nazionale di calcio, poi di schiere innumerevoli di virologi e sedicenti scienziati d'ogni sorta, ora si dimostra dimora di infiniti strateghi e generali d'armata che indicano ai combattenti il modo migliore per risolvere problemi dei quali fino a dieci giorni fa non avevano nemmeno lontanamente sentito parlare.
Non sono certo un "papista", ma questa volta mi sembra che la proposta più sensata tra quelle ascoltate finora sia quella del giorno di digiuno e di silenzio. Per i credenti, si tratta di un atto tradizionale, all'inizio del tempo della quaresima, al quale dare l'intenzione di un'assunzione di consapevolezza da parte di tutti - dalla singola famiglia allo scacchiere internazionale - di come ci sia sempre uno spazio per il dialogo e di quanto sia vero che "niente è perduto senza la guerra e tutto è perduto con la guerra". Per chi crede in modo diverso rispetto ai cristiani, è un modo - anche se molto limitato - per condividere l'ansia e la paura di chi concretamente sta sotto le bombe.
Sì, perché in mezzo al diluvio di pseudo-certezze che sommergono i nostri punti di vista, l'unica verità è che delle persone stanno soffrendo, sono ferite, uccise, vedono le loro case devastate, sono costrette a fuggire verso un futuro ignoto. E questo immenso dolore non riguarda solo gli ucraini o i russi finiti. loro malgrado, sotto i riflettori internazionali, ma anche tantissimi altri esseri umani, donne, uomini e bambini che nel silenzio generale subiscono le stesse tragedie. Si pensi al genocidio in atto nel Tigray, per esempio, o a tanti luoghi in cui le invasioni di Paesi inermi non ricevono senz'altro lo stesso interesse o le stesse sanzioni.
Preghiera - laica o religiosa che sia - e silenzio, dunque, sono forse l'unica azione concreta che ogni persona può porre e proporre, anche scendendo nelle strade a manifestare il proprio "no alla guerra" e necessariamente la neutralità di un'Italia e di un'Europa libere dal giogo della NATO. Insieme a questo impegno individuale, è indispensabile prepararsi all'accoglienza - questa sì, senza se e senza ma - di coloro che lasceranno la loro terra per raggiungere l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea. 

giovedì 24 febbraio 2022

Un silenzio che impegna...

E' proprio il momento del Silenzio. Per questo espongo dalla mia finestra la bandiera della Pace, penso a tanti popoli in guerra, lontani dai riflettori planetari, mi approprio e condivido le parole di Tonio dall'Olio su Mosaico di pace: 

Quando le bombe fanno rumore e le esplosioni urlano l'odio, a nulla serve gridare più forte, imprecare, levare la voce. Quando la politica, il dialogo e la diplomazia cedono il passo allo stato maggiore e alla tattica militare, le parole, le dichiarazioni tardive e le buone maniere non fermano la distruzione. Insomma la guerra si vince sui decibel. La pace è questione di silenzio. Per questo serve qualcosa di più profondo piuttosto che di più urlato. E questo è il tempo del silenzio che si fa preghiera, come le lacrime e il dolore delle vittime. Questo è il tempo di pensare con gli occhi e con l'anima. Con gli stessi sentimenti della mamma di Kiev che guarda il proprio bambino di pochi mesi. Con un tempismo dello Spirito, Papa Francesco ha invocato il digiuno: "E ora vorrei appellarmi a tutti, credenti e non credenti. Gesù ci ha insegnato che all'insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno". E ha convocato una "Giornata di digiuno per la pace" per il prossimo 2 marzo, Mercoledì delle ceneri. Un silenzio che è esattamente il contrario della connivenza e della rassegnazione di fronte alla "insensatezza diabolica della violenza". 

Tonio Dell'Olio

da https://www.mosaicodipace.it/index.php/rubriche-e-iniziative/rubriche/mosaico-dei-giorni/2853-il-tempo-del-silenzio

mercoledì 23 febbraio 2022

No alla guerra, con i se e con i ma...

No alla guerra. D'accordo, senza alcun dubbio, ieri, oggi e sempre. Talmente d'accordo da ritenere necessario, ma un po' troppo poco dire semplicemente "no alla guerra". 

E l'ONU? Dov'è l'ONU?

Molti si chiedono dove sia sparito l'organismo preposto alla conservazione della pace e alla risoluzione delle controversie internazionali.

La risposta è molto semplice. L'ONU non è da nessuna parte. E non c'è, non per cattiva volontà dei suoi attuali responsabili, ma per il suo obsoleto Statuto, sostanzialmente fermo all'indomani della seconda guerra mondiale. Per essere concreti, l'organismo principale è il Consiglio di Sicurezza, formato da cinque membri permanenti e cinque eletti per due anni a rotazione fra tutti gli altri. I permanenti sono gli Stati vincitori della seconda guerra mondiale, tra i quali - guarda un po' - la Russia e gli Stati Uniti. Stando così le cose, il tavolo dell'ONU, anche se esistesse, sarebbe del tutto ininfluente sulle decisioni dei singoli Stati.

Il secondo elemento di estrema debolezza è il sistema del voto. Ammesso e purtroppo non concesso che si arrivi a una riforma che limiti l'importanza del Consiglio di Sicurezza a vantaggio dell'Assemblea generale, quali sarebbero i rapporti di forza? Uno vale uno? Se così fosse, la repubblica di San Marino, con i suoi neppure 30.000 abitanti, conterebbe come la Cina, con un miliardo e mezzo. Valore del voto proporzionale agli abitanti? Se così fosse, la Cina possederebbe in partenza la maggioranza relativa, con il potere di bloccare di fatto qualsiasi iniziativa, anche congiunta, di tutti gli altri messi insieme. Insomma, l'ONU non c'è perché il meccanismo decisionale è da lungo tempo inceppato. Sono passati quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Non si è riusciti a trovare un modo efficace e democratico per una reale riforma e quindi è inutile domandarsi dove sia l'ONU in questa e in tutte le crisi internazionali degli ultimi decenni.

Un altro capitolo riguarda le divisioni intrinseche all'interno dell'Unione europea, non nuove ma particolarmente significative in questa fase della controversia tra Russia e Ucraina. Emergono chiaramente gli schieramenti, da una parte i filoNATO, tra i quali gli italiani che senza un voto parlamentare hanno già pensato bene di inviare truppe verso i possibili fronti orientali (ma è possibile???), dall'altra i filoRUSSI, protesi verso il massimo guadagno possibile dalla situazione di instabilità.

La stragrande parte dell'opinione pubblica segue attonita gli avvenimenti. Come accaduto recentemente con il covid, ora gente che fino a ieri non aveva neppure sentito nominare il "Donbass" e aveva saputo dell'esistenza dell'Ucraina grazie alla nazionale di calcio, ora pontifica sulle ragioni degli uni o degli altri, schierandosi dalla parte di Putin o di Biden. Purtroppo anche il movimento per la pace, frettolosamente mobilitato nell'ultimo paio d settimane, non sa bene come comportarsi. "Fate l'amore, non fate la guerra!". Sì, ma si sa come vanno a finire i buoni consigli se accanto a essi non c'è una conoscenza reale della situazione e soprattutto se non sono accompagnati da proposte precise e concrete. Queste ultime, piaccia o meno, non possono evitare di entrare nel merito delle questioni.

Fate la pace! Vuol dire accettare lo status quo e soffocare ulteriormente le istanze autonomiste della popolazione russa del Donbass? Oppure sostenere la politica imperialistica e la violazione dei diritti che caratterizzano l'attuale "zar" di Mosca? Vuol dire garantire l'impunità al governo Ucraino per le sue vessazioni nei confronti dei fermenti indipendentisti e barattare il silenzio con l'allargamento della NATO? Oppure chiedere che gli USA fermino la loro campagna destabilizzante contro la Russia, rinunciando ad allargare la NATO e non accettando le richieste pressanti dell'Ucraina? Oppure ancora, vuol dire che anche l'Italia debba uscire immediatamente dalla NATO proclamando un'assoluta neutralità rispetto al possibile conflitto, con una gesto che però sa tanto di pilatesco lavarsi le mani?

La situazione è assai complessa e anche qua vale il discorso riguardante l'ONU. Il movimento per la pace in realtà ha tentato di proporre un'alternativa che non fosse semplicemente il rifiuto della guerra, ma la costruzione di un nuovo sistema economico e politico, "un altro mondo possibile", si diceva alla grande settimana precedente il G8 di Genova del 2001. La soppressione nel sangue delle istanze dibattute in quei giorni è una delle (tante) responsabilità dei governi Berlusconi. Tuttavia, la paralisi della ricerca dei gruppi allora sbrigativamente definiti "no-global", non era stata obiettivo solo dello squallido clan di potere italico, ma di tutte le espressioni degli interessi economici e politici multinazionali. Da allora sono passati più di venti anni e il pacifismo non ha compiuto altri passi in avanti, se non attraverso il richiamo di lodevoli realtà di testimonianza - impegnate anche sui fronti dell'accoglienza, dei diritti e dell'affronto delle antiche e nuove povertà -, di interventi puntuali di isolati esponenti religiosi e laici, di gesti sempre meno partecipati e sempre più rituali.

Che fare allora, sempre che non sia troppo tardi? Nel caso della situazione contingente, non c'è molto altro da proporre che incrociare le dita e - per chi ci crede - affidarsi a un'Autorità divina, sperando che si tratti solo di una dimostrazione di muscoli finalizzata a ottenere più guadagni possibili dalla minacciosa tensione che come si è creata, così anche si stempererà. In tempi più lunghi occorre invece cogliere questa occasione per rilanciare l'urgenza di una riforma e di una ripresa. La riforma urgente è quella dell'ONU e spetta alle nuove generazioni di governanti. La ripresa è quella di un pacifismo attivo e costruttivo e questo impegno spetta a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà. Occorre ricominciare a incontrarsi, in comunità di base, nei paesi e nei quartieri cittadini. Occorre ripensare un intero Sistema, sollecitati dalla necessità di difendere la giustizia e la verità, di sostenere le istanze ambientaliste, di avviare percorsi produttivi e occupazionali rigorosamente equi e solidali. Come agire perché ciò che oggi è prerogativa di pochi, maggiormente attenti e sensibili a tutto ciò che è umano,  possa diventare autentico Progetto Politico alla base delle Costituzioni e delle Legislazioni nazionali e internazionali?

martedì 22 febbraio 2022

Un gioiellino da salvare...

La figura dell'angelo è talmente imponente da oscurare l'immagine più importante. Con le sue braccia forti, anche se di bambino, sostiene una cornice di rose all'interno della quale campeggia la Madre con il Figlio Gesù. Dalla loro testa scaturiscono aureole che irraggiano la luce del Sole divino. Altri angioletti stanno a guardare, due in alto si affacciano come quelli del Mantegna nella stanza degli sposi di Mantova, uno ha le ali a forma di cartiglio poco sopra la testa della Madonna e un altro è rimasto semi schiacciato dai fiori di marmo e sembra cercar di scaturire dalla testa del primo...

L'anno di realizzazione è il 1705. Si è in Via della Cappella, presso l'incrocio con la Via del Poligono, a cinquanta metri dal confine più poetico dell"a" due città. Nonostante diversi restauri, anche recenti, il monumento non è in buone condizioni. E' uno dei tanti gioiellini di Gorizia e si trova su una via di pellegrinaggio. Non è un grande cammino, una mezz'ora al massimo, dal Travnik al Colle della Kostanjevica, là dove riposano Carlo X e gli ultimi esponenti della corte imperiale di Francia.

Interessante la scritta, delicatamente indicata dal piede in libertà dell'angelo. SISTE VIATOR (Fermati, viandante!) HIC AGE GRATIAS (Qui rendi grazie) VEL PETE GRATIAS (Oppure domanda grazie) IESUM ADORA (Adora Gesù) MARIAM EXORA (Prega Maria) DIC MATER AVE (Pronuncia un "Ave, Madre") UT TE LIBERET (Affinché ti liberi).

La preghiera è prima di tutto ringraziamento, ovvero consapevolezza e gratitudine dell'"esserci". Poi è anche richiesta, cioè l'umiltà di chi sa di non  essere onnipotente. Solo il divino Iesus può essere degno di "adorazione", la Madre indica il cammino e accoglie l'invocazione del pellegrino. L'esito della preghiera non è il suo esaudimento, ma la LIBERTA' (ut te liberet) da tutto ciò che tine l'essere umano in schiavitù.

Ecco. è un piccolo, dolce capolavoro dal salvare, testimonianza residua di una fede intensa e popolare che rischia di scomparire per sempre nel vortice inarrestabile della post-modernità.

lunedì 21 febbraio 2022

Auguri ai palindromi e agli ambigrammi...


Martedì 22 febbraio è giorno palindromo e ambigramma, si legge da una parte e dall'altra ottenendo la stessa cifra, lo stesso ruotando il numero di 180 gradi. La somma delle cifre è 12 (o 66). Cosa significhi tutto ciò non lo so, mi sembra una cosa curiosa. Auguri, che sia una giornata ricca di pace per tutto il mondo e per ogni suo abitante.

Pregare per la Pace...

E' bello pregare per la Pace. Ma perché lo si fa?

Intendendo con "preghiera" una relazione con ciò che trascende la nostra individualità, qualunque nome si voglia attribuire a tale "ciò", ogni essere umano prega, unendosi umilmente a un Dio creatore o immergendosi in un divino cosmico del quale si sente parte oppure assumendo la consapevolezza e la responsabilità di essere "semplicemente" uomo.

Si prega nella solitudine o in compagnia, in particolari momenti o nell'esercizio della vita quotidiana, nella luce o nelle tenebre interiori, nel fascino del bello e nella tragedia dell'orrore.

Si prega ovunque nel mondo, perché ovunque dal 1945 in poi ci sono state guerre e violenze. Si prega quando ci si sente toccati da vicino, minacciati nell'ordinarietà della propria vita, si tratti dell'ombra pesante di un conflitto imminente o del diffondersi di un virus globale.

La parola "preghiera", dalla lingua latina, prima ancora che richiesta significa desiderio e in effetti senza consapevolezza di un'assenza non è possibile in-vocare (cioè chiamare dentro di sé) una presenza.

E' giusto allora in questo momento di tensione pregare, in diversi modi, da soli o in compagnia, per la Pace nel mondo, preoccupati nella contingenza dello spazio europeo, per la situazione che si è venuta a creare ai confini tra Ucraina e Russia. Cosa significa in questo contesto pregare?

Significa riconoscere un problema, abbracciarlo con ragione e sentimento, sperimentare la forza dello spirito, divino o umano che sia, nel suo svelare o almeno aiutare a percepire il mistero nascosto dentro tutto ciò che è che avviene.

Questa compartecipazione al segreto dell'Essere fonda la necessità che la preghiera continui a essere tale trasformandosi in azione, da essa suscitata. Altrimenti rischia di essere addirittura sacrilega. Come pensare infatti che un qualsiasi Dio abbia a che fare direttamente con le vicende umane? Perché dovrebbe intervenire per scongiurare la guerra in Ucraina quando non ha ascoltato le preghiere incessanti che avrebbero voluto scongiurare le due guerre mondiali o i campi di sterminio? Ammesso che si possa ancora parlare di Dio dopo Auschwitz - come si chiedeva Hans Jonas - di certo questo "Dio" non risponde alle chiamate a nostro piacimento. Anzi, constatando l'entità permanente del Male, della sofferenza dell'innocente abbandonato sulla croce delle guerre o delle catastrofi naturali, forse sarebbe meglio lasciarlo in pace nell'alto dei cieli, senza renderlo il benefattore da lodare negli istanti felici o il colpevole da maledire in quelli tragici.

Ben venga allora, da parte di ognuno, la preghiera per la pace in Ucraina. Ma non può limitarsi a una sequela di parole rivolte verso un cielo vuoto, deve necessariamente trasformarsi nella maestà e nella fragilità di quel solenne atto umano che si chiama "scelta". Pregare non esime dal prendere posizione, purtroppo non semplicemente dalla parte di chi "non vuole la guerra", ma di chi cerca una soluzione ai problemi che potrebbero scatenarla. Dalla parte degli ucraini che si sentono minacciati dall'invasione russa? Dei russi in territorio ucraino che temono che la loro minoranza sia cancellata? Degli americani e di parte degli europei che vorrebbero armare l'Ucraina per essere più sicuri da un intervento russo? Di Putin e dei russi che non vogliono avere puntati contro i missili della NATO sulle porte di casa? Degli industriali che si fregano le mani attendendosi grandi affari dalla produzione e vendita delle armi, poi dalla ricostruzione dopo le devastazioni belliche? Degli ormai pochi sopravvissuti convinti "nonviolenti" pronti a farsi scudi umani, mettendo a repentaglio la vita pur di innalzare la protesta nei confronti dell'umana insipienza?

Ecco, questa è la preghiera. E' la forza interiore che rende tremendamente inquieti, perché impedisce di starsene tranquilli, a osservare dall'esterno gli avvenimenti, profondendo magari buoni, ovvi e per questo inutili consigli. E' la passione del cercare, l'intelligenza di scoprire, la disponibilità a confrontarsi gli uni con gli altri. Guardando alle cose grandi del mondo, ma anche alle piccole e spesso irrisolte controversie interpersonali.

sabato 19 febbraio 2022

Verso le elezioni amministrative. Qualche spunto...

Gorizia dal San Gabriele (foto Massimo Crivellari, da "Gorizia tra le nuvole")
Mentre Monfalcone è già in campagna elettorale e i principali protagonisti sono molto attivi nel presentare programmi e collaborazioni, a Gorizia non è ancora stato realizzato l'importante passo della (o delle) nomination delle varie coalizioni. 
Tenendo conto delle difficoltà di "far quadrare il cerchio", si auspica che la scelta non sia determinata (prioritariamente) dall'impedire la vittoria del gruppo antagonista. Il centro sinistra è paralizzato dai lontani tempi del Berlusconi I dal tentativo di ostacolare il centro destra e la destra, senza proporre programmi sostenibili e veramente alternativi. In questo modo ha ottenuto il risultato opposto, cioè quello di rafforzare la di per sé assai debole destra di governo.
Lo stesso, anche se in altra forma, vale anche per il Comune di Gorizia, dove alla critica sistematica dell'operato prima di Romoli e poi di Ziberna, non si è riusciti ad aggiungere nell'opinione pubblica i pur esistenti e approfonditi contenuti culturali e autenticamente politici.
In particolar due sono gli elementi che - tra i tanti altri - dovrebbero essere presi in considerazione, come prova di questa difficoltà di incidere sull'elettorato. Il primo è senz'altro la cronica assenza di molti giovani nelle file delle formazioni civiche e partitiche del centro sinistra e della sinistra. Perché un programma amministrativo costruito da anni di riflessione, confronto e valore ideale non riesce a coinvolgere ed entusiasmare le nuove generazioni, come invece sembra accada nell'ambito opposto? 
Il secondo è il rapporto con Nova Gorica, fattore questo decisivo nelle votazioni del 2022, che vedranno singolarmente concomitanti i rinnovi dei due sindaci e dei due consigli comunali, soprattutto in vista dell'imperdibile appuntamento del 2025. Al di là delle buone intenzioni, il dialogo politico tra Nova Gorica e Gorizia è ancora in fase embrionale, mentre le relazioni "ordinarie" tra i cittadini sono ben lontane da quella "normalità" che dovrebbe essere scontata in un territorio in cui si parlano lingue diverse, ma si ha la stessa collocazione geopolitica e si condividono gli stessi problemi e gli stessi obiettivi. Si può criticare giustamente il centro destra goriziano per il ritardo con il quale ha capito l'importanza del sentirsi uniti nella diversità, ma si deve anche ammettere che sono state un importante successo la realizzazione del GECT/EZTS GO (con tutti i limiti e le opportunità del caso), insieme alla straordinaria candidatura unitaria di Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della Cultura 2025. Più che criticare quindi l'operato altrui, sembra importante proporre vie nuove e modalità avvincenti per utilizzare nel migliore dei modi questi strumenti che non devono avere soltanto lo scopo di convogliare fondi dalle istituzioni superiori, ma di accompagnare un modo nuovo di essere città, a misura di ogni persona, soprattutto dei più piccoli e dei più deboli.
Chiunque sia la o il sindaco, sarà importante che tenga presenti queste urgenze, prima di tutto culturali, insieme a una squadra efficace che comprenda giovani donne e uomini competenti e soprattutto entusiasti, alcuni dei quali con esperienze amministrative pregresse e, se non tutti, almeno qualcuno con un'ottima conoscenza di almeno tre lingue (italiano, sloveno e inglese).

martedì 15 febbraio 2022

Sofia Goggia, un successo tenace...

Splende il Sole sulle nevi di Sofia Goggia.
Sono molte le emozioni che le Olimpiadi suscitano nelle persone che amano praticare o guardare le competizioni sportive. Alcune di queste, quando travalicano l'immediato obiettivo di vincere una gara, meritano di essere segnalate, chiunque ne sia protagonista.
Per questo oggi merita un convinto applauso la bravissima sciatrice bergamasca.  
Quasi estromessa dalla più importante competizione internazionale dopo la rovinosa caduta di tre settimane fa a Cortina, l'atleta si è ripresa e con la forza di volontà è riuscita ad arrivare al cancelletto di partenza della Discesa Libera.
La sua gara è stata entusiasmante e la medaglia d'argento il più giusto dei riconoscimenti. A vederla correre a quasi 110 chilometri orari, a capofitto dall'alta montagna alla valle profonda, venivano i brividi. Come non immaginare i sacrifici, i timori, i dolori vissuti in quei quasi due minuti di pura adrenalina che l'hanno consegnata a una grande impresa? 
Poco importano le nazionalità. Già campionessa olimpica nella precedente edizione dei Giochi, ora si è riconfermata in Cina, con un abbraccio da podio alla fortissima vincitrice Corinne Suter e alla terza classificata, Nadia Delago.
Insomma, è stata una dimostrazione di volontà e di tenacia, anche una semplice ma intensa lezione di vita.

Ucraina, tra paura della guerra e impotenza della democrazia

Cosa succede in Ucraina? Ci sarà la guerra o si riuscirà a evitarla? E se ci sarà, che conseguenze potrà avere?

Una volta focalizzata la questione, meglio tardi che mai, l'opinione pubblica italiana si è resa conto che "Houston, abbiamo un problema!". Perfino il sonnacchioso movimento per la pace, sostenuto da una parte del centro sinistra alla ricerca di consensi, sembra un po' scosso e "lancia" l'idea di scendere di nuovo in piazza, rattoppando le bandiere arcobaleno ormai consunte.

Se non che, più che in altre situazioni, è difficile distinguere i cattivi dai più cattivi, dal momento che tra gli interessi statunitensi del vecchio Biden (vedesi allargamento della NATO) e quelli dello zar Putin, non si sa da che parte stare. A differenza del solito, l'ovvio auspicio che le controversie si risolvano con la diplomazia e non con le armi, si scontra con un'abissale e generale ignoranza delle motivazioni degli uni e degli altri.

Per questo l'invito al ritorno alle grandi manifestazioni dei tempi precedenti la guerra in Iraq sembra scaldare pochi animi. I vescovi italiani intervengono ricordando il famoso Catalano di Alto Gradimento, "è meglio fare la pace che fare la guerra". Il PD con in testa Laura Boldrini rispolvera il detto "senza se e senza ma". Ma tutto sa un po' di stantìo e di deja vu.

La realtà è che settanta anni di pacifismo, dopo la fine della seconda guerra mondiale, non hanno contribuito a creare un mondo migliore. Le sacrosante rivendicazioni non si sono trasformate in proposta politica e la forza delle armi non è stata indebolita da vere e concrete alternative. I corpi civili di pace sono rimasti proposta a livello di un sano e coraggioso volontariato di pochi, subito estromessi dagli scenari di guerra, non appena si comincia a fare sul serio. La critica al capitalismo, vera sorgente di tutti i conflitti attualmente in atto, non è andata oltre al generico appello al rispetto della persona, non raggiungendo che in rari momenti la forma di un'autentica e sostenibile alternativa al sistema.

Per questo, in questo contesto, più che invocare la piazza è indispensabile tornare alla Politica, possibilmente dando spazio ai giovani. Non è che la giovane età automaticamente significhi freschezza e desiderio di sano cambiamento, si sono visti giovani in grado di trascinare intere Nazioni sull'orlo e anche dentro l'abisso. Tuttavia non si può pretendere che la generazione che ha portato il mondo fino al punto in cui siamo, sia la stessa chiamata a fare ammenda dei propri stessi errori. Sarebbe più opportuno ritirarsi dai centri di potere, a qualsiasi livello, aiutando i nuovi arrivati con il racconto - per quanto possa servire - della propria esperienza e con la trasmissione delle proprie indubitabili conquiste a livello scientifico e sociale.

Solo per portare qualche esempio, Putin, settantenne, è a capo della Russia dal 1999 (23 anni!). Biden di anni ne ha quasi 80 e veleggia nella politica americana dal 1979. Draghi sfiora i 75 e Mattarella ha già oltrepassato gli 80. Non è per fare i conti con la carta d'identità, ma una troppo generalizzata occupazione senile dei posti chiave della politica internazionale rischia di favorire eccessivamente l'arrembaggio delle nuove generazioni ai ben poco democratici Poteri economici multinazionali, in mano a chi ha dimestichezza con la rivoluzione informatica e la gestione dei flussi migratori mondiali. Qualcuno invoca ancora l'ancora di salvezza dell'ONU, i cui statuti non sono stati ancora aggiornati e non si è andati oltre alle debolezze di un Consiglio di Sicurezza anacronistico e all'impasse sui complessi criteri di rappresentanza. In queste condizioni, l'istituzione non può che essere espressione del più forte di turno.

Detto questo, ci si augura davvero che la crisi in Ucraina non degeneri in una spirale di torti e ritorsioni dalle conseguenze poco prevedibili. Con un senso di profonda impotenza si ha la sensazione che in questo momento, al di là di questo ovvio augurio, sia quasi impossibile andare, né nelle "stanze" del potere, né sulle comunque tiepide piazze.

15 febbraio, tra dubbi e timori

E' arrivato il fatidico 15 febbraio. Qualche milione di italiani, dopo essere stati esclusi da una parte importante della vita sociale, seguendo la sorte di coloro che sono al servizio diretto delle persone, da oggi non possono più lavorare e stanno per ricevere una cartella esattoriale con una "sanzione" di 100 euro. Si può pensarla come si vuole riguardo ai vaccini, da sufficientemente convinto trivaccinato ritengo tuttavia questa situazione incongrua, pericolosa e inefficace.

E' incongrua perché in assenza di un obbligo vaccinale, in questa fase la moltiplicazione di restrizioni appare come un vero e proprio ricatto e la multa comminata a chi di fatto non ha trasgredito una legge sarà la fonte di un immenso fiume di ricorsi che paralizzerà il già asfittico sistema burocratico italiano. Del resto l'obbligo avrebbe creato ancora più complessi problemi, dovendo trovare una giustificazione in grado di aggirare le chiare norme della Costituzione. Sarebbe stato meglio insistere sui mezzi di protezione individuale, sul rafforzamento dei sistemi di cura, sulla gestione degli spazi pubblici e anche su un'informazione molto meno confusa e molto più convincente riguardo all'importanza e alla validità del vaccino "per il bene proprio e altrui".

E' pericolosa perché contribuisce a innalzare ulteriormente un clima di divisione tra vaccinati e non vaccinati che non aiuta certamente ad affrontare e a risolvere gli innumerevoli problemi legati al post pandemia e alla contingenza internazionale. Tutto ciò sulla base di notizie contradditorie e posizioni di parte che, di qua e di là della barricata, ormai sono molto difficili da controllare dal punto di vista sia politico che scientifico. Ciò che oggi di fatto si impone a chi legittimamente, anche se certo discutibilmente, decide di non vaccinarsi, domani potrà essere imposto con lo stesso metodo a chiunque esprima un dissenso nei confronti del Governo di turno, tanto più se onnicomprensivo e garantito dall'"uomo forte" come è quello attuale.

E' inefficace, perché perfino la pluriinvocata Scienza indica un allentamento abbastanza prossimo della pandemia e molti Stati hanno iniziato il percorso di revoca delle varie restrizioni. Difficilmente chi ha ritenuto di non vaccinarsi e di sfidare il virus "a proprio rischio e pericolo" cederà ora non tanto per obbedienza al ridicolo slogan "non si molla mai", quanto perché ormai si intravvede la linea del traguardo. Finito lo stato d'emergenza, il permanere di simili penalizzanti restrizioni sarebbe assai problematico in qualunque sistema di governo sedicente democratico.

Lungi dal sostenere le tesi dei cosiddetti no-vax, condannata senza esitazione qualsiasi forma di protesta violenta contro il green pass, prese le distanze da ogni assurda equiparazione con tragedie spaventose del passato, preso atto del generale miglioramento della situazione attestato dai numeri sulla diffusione della pandemia, ci si chiede se questo innalzamento al massimo livello delle misure di contenimento abbia effettivamente un senso. Invece di inasprire gli animi con una coercizione che sa più di punizione che di prevenzione, non sarebbe meglio affrontare i temi con maggior serenità, valutando con saggezza, scienza e coscienza come proseguire insieme - non gli uni contro gli altri - fino alla piena cancellazione del Covid-19?

lunedì 14 febbraio 2022

Hvala, grazie Alexander Gadjiev!

Questa sera, presso il Kulturni dom di Nova Gorica, davanti a un pubblico numeroso, attento e competente, il giovane pianista goriziano Alexander Gadjiev si è esibito in uno straordinario concerto di pianoforte.

Mentre le note di Chopin e di Schumann riempivano le volte della sala, danzando armonicamente con suggestivi silenzi, lo sguardo era rapito dall'artista, talmente coinvolto da sembrare un tutt'uno con la musica. I concerti sono certamente noti, ma nell'aria si respirava quella sensazione unica di trovarsi di fronte a una di quelle esecuzioni che in qualche modo fa sentire come se fossero presentati per la prima volta. La bellezza sublime ha lasciato tutti senza fiato e a tratti ha prevalso un'emozione tale da suscitare lacrime di stupore. Ammesso abbia un senso cercare di "com-prendere" la musica, se c'è stata una sensazione dominante è stata quella dell'Amore. Sì, come quello che ha ispirato la prima composizione di Chopin presentata questa sera.

A 28 anni Gadjiev ha vinto alcuni tra i più importanti premi musicali ed è già un pianista affermato a livello internazionale. La sua fama ha varcato gli spazi degli addetti ai lavori e nelle interviste di quest'ultimo anno ha dimostrato anche una notevole simpatia e intensa empatica maturità umana. Sentiremo ancora a lungo parlare di questo genio goriziano e potremo imparare da lui la lingua dell'arte e della bellezza, quella che unisce i popoli e le persone in un unico afflato di amicizia e di pace.

domenica 13 febbraio 2022

Onstran okna, al di là della finestra...

Otliško okno
Se non ci si vuole arrivare seguendo i bellissimi sentieri, lo si può raggiungere agevolmente anche in bicicletta e perfino con l'automobile.

Prima di raggiungere Ajdovščina, si raggiunge Lokavec e con ardito percorso, scavato in parte nelle rocce sotto gli ultimi contrafforti del Čaven, si sale fino a Predmeja. Gli sguardi sono attirati dalla magnifica Vipavška dolina, ma non possono passare inosservati alcuni particolari. I tunnel che perforano la pietra carsica sono dei veri e propri cimeli di archeologia industriale, i fragili segni del sacro si alternano alle memorie della Liberazione dal nazifascismo. C'è perfino una statua moderna dedicata alla "Madre". Potrebbe essere un inno alla bellezza della maternità, come pure alla vita faticosa delle genti dell'altopiano. Ma non sarebbe sbagliato interpretarla come una celebrazione della Madre Terra, la Natura particolarmente aspra e affascinante che rende possibile anche in queste zone selvagge il miracolo della Vita.

Oltrepassata Predmeja le formazioni calcaree offrono i migliori spettacoli. E' tutto un susseguirsi di massi scavati e tagliati pazientemente dallo scorrere delle rare acque di superficie, dolci doline e improvvisi inquietanti inghiottitoi, ammassi candidi che ricordano greggi improvvisamente pietrificate. Poi si arriva a Otlica, un villaggio con poche case aggregate l'una all'altra per evitare di rubare spazio agli aridi campi, un tempo unica fonte di sostentamento per uomini e animali. Bisogna mettersi in cammino, il percorso è breve, in poco più di un quarto d'ora si raggiunge il crestone che domina l'alta valle del Vipacco. 

Febbraio nel tempo del riscaldamento globale apre le porte di queste lande anche ai visitatori invernali, la neve sta sparendo dalle zone d'ombra. Si attraversano pascoli ancora addormentati in attesa del risveglio primaverile e si raggiunge l'aereo limite, dove il terreno finora sostanzialmente piano, sprofonda improvvisamente verso il fondovalle, con un salto di 700 metri, in una cascata di rocce strapiombanti scavate dalle radici di coraggiosi abeti e faggi superstiti. 

E' lì che tra gli alberi appare improvvisamente. Un chiarore strano buca il grigiore carsico, avvicinandosi svanisce la malinconica e avvincente monotonia del bosco. Al di là del foro, quasi come attraverso un immenso cannocchiale naturale, si riconoscono le sagome evanescenti dei paesi adagiati placidamente sulle sponde dell'Hubelj e della Vipava. Sembra quasi di osservare la vita degli altri dal buco di una chiave. Ma questa grande fessura che vince la forza di gravità, sembra invitare anche a guardarsi dentro, a scoprire la propria fragilità di fronte alla potenza misteriosa dell'essere, a percepire ancora una volta il fascino del sublime, il "sacro" tremendum et fascinans che riempie l'Essere di significato e lo proietta al di là del tempo e dello spazio. C'è chi dice che sia stato un corno del diavolo a incastrarsi nella montagna formando questo strano buco, c'è chi spiega il tutto con criteri più scientifici e oggettivi. Ma è difficile sfuggire all'energia che scaturisce, insieme al vento impetuoso, da questa apertura, vera porta spalancata che dalla terra invita a slanciarsi verso il cielo. 

Il Nanos da Podnanos
Ci si stacca a fatica da questo spettacolo naturale. Ma è tempo di procedere. Più avanti, verso Col, una deviazione conduce sul Sinji Vrh, oltre i mille metri d'altezza. Qualcuno ha voluto trasformare la bellezza solenne in realtà di accoglienza solidale e condivisione dell'arte. Ciò rende ancora più attraente il panorama che permette di abbracciare il cuore dell'Europa, dalle montagne dell'Istria al maestoso Nanos, dal divino Triglav alle Giulie occidentali, dalle valli profonde alla luce sfolgorante del mare di Grado. Le campane lontane si rincorrono nell'annunciare il vespero. Sopra i paesi nella Valle, le balze montuose si tingono dei colori caldi della sera. 

Ci si chiede perché non si possa vivere sempre in tanta straordinaria Pace. I venti di guerra sembrano - purtroppo soltanto sembrano! - così lontani, la pandemia un incubo strano che aleggia nell'etere, la Sofferenza si stringe in un eterno abbraccio con la Bellezza. Nasce spontaneo il desiderio di concludere con le parole di Ivan Denisovič, "ti ringrazio Signore, è finito un altro giorno".

sabato 12 febbraio 2022

I ciclisti dimenticati, tra Scilla e Cariddi...

La questione delle piste ciclabili ha suscitato molto interesse a Gorizia, ma anche a Nova Gorica. Il quotidiano locale ha saggiamente contribuito a mantenere desta l'attenzione, valorizzando le diverse posizioni e informando puntualmente sulle vicende legate al referendum. E' giusto che sia così, perché la maggior parte dei cittadini ha compreso che non si tratta soltanto della peraltro già ampiamente prevista collocazione della ciclabile nei Corsi centrali, ma di un modo di concepire l'"abitare" nella città.

Chi propone di realizzare ciò che già da anni avrebbe dovuto essere progettato ed eseguito, lo fa perché crede in una concezione sostenibile ed ecologica. La mobilità a piedi e in bicicletta, infatti, favorisce i contatti tra le persone, abbatte il sempre più preoccupante inquinamento, consente anche ai bambini di potersi muovere senza pericolo e naturalmente riduce la minaccia di un traffico automobilistico sempre più invasivo. Inoltre, come dimostrato da tutte le zone a traffico limitato in Italia e in Europa, ci sono numerose conseguenze benefiche collaterali. Il piacere di uscire a piedi o in bici incentiva la frequente "gita" in centro, a tutto beneficio del commercio minuto, oltremodo penalizzato dalla grande distribuzione. Se ne è già parlato abbondantemente, ma vale la pena di ricordare anche le ricadute su un turismo sempre più ricercato e apprezzato, quello appunto alla ricerca di percorsi ciclabili e pedonabili di alto valore paesaggistico e storico. Verso il 2025, quale proposta migliore che quella di un itinerario sull'Isonzo/Soča, dalla sorgente alla foce oppure di un'"Alta via" dei monti goriziani sopra la magnifica Vipavška dolina?

Ecco allora che la realizzazione del già progettato ponte sulla ferrovia a Campagnuzza, la conclusione dei lavori sulla passerella di Salcano e la sistemazione dell'ossatura principale tra le due stazioni di Gorizia e Nova Gorica non sono frutto della fantasia di chi ama pedalare o camminare, ma sono l'espressione di un'ampia e generale concezione del vivere insieme in città e di una visione moderna e innovativa delle attività produttive territoriali.

Al di là delle ondivaghe scelte dell'attuale amministrazione comunale e del destino del referendum "apprezzato" da quasi 1700 sottoscrittori rigorosamente residenti, occorrono scelte sapientemente coraggiose a favore di una città che con i fatti e non solo a parole, metta al centro della sua attenzione la "persona", la sua salute, il suo benessere fisico, relazionale e psichico.

In attesa di futuri auspicati sviluppi, si prende atto che la fine della "sperimentazione" dei mesi scorsi ha comportato la cancellazione non solo della pista ciclabile sulla carreggiata principale, ma anche di quella già esistente sui controviali. Come infatti si può facilmente constatare dalla fotografia, non esiste più neppure l'antica "ciclabile" sulla parte più "logica" del controviale ovest, da San Giusto fino al Palazzo della Provincia. Parafrasando un famoso detto popolare, insieme al bambino (il neonato esperimento) è stata gettata via anche l'acqua sporca (la non ideale, ma almeno esistente situazione precedente). E i ciclisti si trovano tra Scilla (portiere che si aprono improvvisamente) e Cariddi (automobilisti impazienti che si arrabbiano per la lentezza dei malcapitati a due ruote). Quanto durerà questa pericolosa contingenza?

venerdì 11 febbraio 2022

In ricordo di Marjan Premrl. Naj počiva v miru...

Ero capitato a Podnanos, quasi per caso, una decina di giorni fa, accompagnando un amico di Merano nella ricerca di notizie su alcuni personaggi che erano nati o vissuti nel paese che un tempo veniva chiamato San Vito di Vipacco.

Abbiamo raccolto tante notizie, incontrato interessanti testimoni e il resoconto è contenuto negli ultimi due post, dedicati alla Giornata della cultura slovena e a quella del ricordo.

Più di tutto ci aveva colpito l'incontro con Marjan Premrl, nella casa dove erano nati don Stanko Premrl e il partigiano Janko-Vojko Premrl. A 91 anni ci ha accolto con una ventata di dolcezza, raccontandoci la sua vita più con gli sguardi che con le parole. Nipote di don Stanko, ha potuto condividere un paio d'anni con lui a Lubiana. Lo zio era organista e maestro di coro nella Cattedrale, lui giovane studente ginnasiale. Era cresciuto insieme al fratello maggiore Janko e alla sorella Božena, morti in circostanze tragiche durante la seconda guerra mondiale. Era stato vicino all'altra sorella, Radoslava-Rada, moglie dello scrittore Boris Pahor. Sotto il ritratto dei suoi cari ci ha comunicato una grande serenità, una forza profonda che lo ha accompagnato in tutta la sua vita, la forza interiore di una fede forte, concreta, molto salda.

Ora se ne è improvvisamente andato, certamente con la matura consapevolezza di tornare alla Casa dalla quale tutti si proviene, nella speranza di riabbracciare i suoi cari, soprattutto quelli strappati, come fiori appena sbocciati, da una violenza tremenda e insensata che ha insanguinato l'Europa e il Mondo. Lo voglio ricordare e ringraziare, per l'ora di profonda umanità che ha voluto donarci, con le sue poche parole, con il dolce sorriso, con gli occhi limpidi e penetranti, capaci di rivelare un cuore puro.

mercoledì 9 febbraio 2022

Giornata del Ricordo. Il Dolore non abbia colore...

Podnanos, ponte e casa Premrl
La Giornata del Ricordo, così come è, non può che essere ogni anno un'occasione di scontro e divisione. Non è la memoria a causare disagio, ma il suo utilizzo strumentale che sottolineando a senso unico le sofferenze di una parte provoca la dimenticanza di quelle dell'altra. Si innesca così una macabra evocazione di episodi ed eventi, raccontati con un metodo che ha poco a che fare con la storiografia e a volte sconfina nella propaganda. La Giornata del ricordo dovrebbe essere invece la Giornata del Dolore, accomunare tutti coloro che in qualsiasi modo hanno perso la vita, soprattutto le vittime innocenti di una violenza cieca e disumana. Il Dolore innocente non è italiano, tedesco, ebraico o sloveno. E' solo e semplicemente "umano", per questo l'unico modo costruttivo di "ricordarlo" è lasciarsi interrogare da esso, conoscerne le cause e radici profonde, disinnescare l'odio che lo ha provocato, trasformando l'ingiustizia subita in fondamento di una nuova civiltà. In questo spirito, nella "Giornata" del 2022, si propone alla riflessione un altro di quei racconti che ci riportano all'ultimo tragico capitolo della seconda guerra mondiale, il terribile conflitto scatenato dalla criminale ideologia nazifascista.

Il luogo è Podnanos, suggestivo paese nell'alta Vipavška dolina. Lasciando la strada maestra, fino alla costruzione dell'autostrada principale collegamento tra Gorizia e Lubiana, si scoprono interessanti particolari. La bella chiesa dedicata a san Vito, fino a qualche decennio fa dava il nome al paese. L'impostazione barocca non deve ingannare, all'interno l'antica abside del '400 è stata trasformata in cappella laterale e consente di ammirare splendidi affreschi di sante e santi martiri, padri della chiesa e vicende bibliche.

Quella dietro al ponte medievale è casa Premrl e ha visto nascere personaggi importanti, il musicista Stanko, compositore della musica dell'inno nazionale sloveno, il nipote Janko - Vojko, comandante partigiano ucciso in battaglia a soli 23 anni sui monti di Idria e tanti altri.

In un villaggio così ricco di storia e così accogliente, la guerra ha seminato tante sofferenze, come ovunque, prima durante e anche dopo la sua ufficiale conclusione. La vicenda da ricordare è quella di un'altra Premrl, Božena. Nata il 25 luglio 1926, è vissuta sempre a Podnanos. Dopo un'infanzia trascorsa sotto l'occupazione italiana e il regime fascista, è costretta a subire l'onda violenta del conflitto. Il fratello Janko, chiamato alle armi con l'esercito italiano, riesce a raggiungere i partigiani divenendo per loro addestratore e punto di riferimento ideale. L'intensa religiosità della famiglia si accompagna a una forte coscienza di appartenenza al proprio popolo e in questo contesto diventa naturale schierarsi, offrendo per quanto possibile sostegno ai combattenti per la libertà della Nazione. La famiglia è costretta anche all'esilio, più di un anno a Omegna, in provincia di Novara. La morte del giovane Janko non attenuta la volontà di riscatto, anche se l'impegno per la giustizia e la libertà porta un'ulteriore conseguenza, la devastazione e l'incendio della casa da parte delle milizie italiane fasciste. Purtroppo non è l'ultima delle tragedie. A guerra ormai quasi finita, tra gli eserciti sconfitti in disordinata fuga verso la terra d'origine, ci sono anche i cetnici, collaborazionisti serbi delle forze nazifasciste. Un gruppo si ferma per una notte a Podnanos e un soldato, meglio dire un criminale, si avvicina a Božena con cattive intenzioni. Di fronte al suo deciso rifiuto si infuria e la trapassa a fil di spada, lasciandola morire nel proprio sangue. Non ci sono vie a lei dedicate, non sono stati girati dei film sulla sua vita. Dei suoi diciotto anni rimane soltanto la tomba, al centro del cimitero di Podnanos e il dolce, immutato ricordo dei suoi cari, di coloro che l'hanno conosciuta e dei loro discendenti. Tra essi c'era e ha scritto parole commoventi su Božena e Janko, anche la sorella Radoslava Premrl (1921-2009), maestra e scrittrice, moglie del famoso autore sloveno Boris Pahor.

Il dolore non ha colore, o meglio ha tutti i colori dell'arcobaleno dell'umanità. Forse per questo, invece della Giornata nazionale del Ricordo che, così come è, nella giusta memoria di chi ha perso la vita in circostanze terribili, rischia di equiparare vittime e oppressori, sarebbe molto più opportuno celebrare la Giornata internazionale del Dolore, nella quale piangere tutti coloro che sono morti innocenti, senza per questo dimenticare le cause storiche della guerra e della violenza che hanno provocato la loro fine.

lunedì 7 febbraio 2022

8 febbraio, Kulturni praznik in ricordo di France Prešeren

L’8 febbraio, giorno della morte di France Prešeren (1800-1849), la Slovenia celebra ogni anno Kulturni praznik, la Festa nazionale della Cultura. Molti Stati ricordano ufficialmente eventi bellici e storie di condottieri, quasi tutti esaltano giustamente il lavoro nella festività del Primo maggio. Sembra che solo la Slovenia proponga una pausa festiva per sottolineare come la Cultura sia il vero fondamento su cui innalzare le strutture portanti di ogni società.

Anche la scelta dell’inno nazionale si adegua a questa impostazione.

Il titolo è Zdravljica, in italiano Brindisi. L’autore è proprio Prešeren che nelle sette strofe vuole esaltare la grandezza dei valori della patria e la bellezza di una vita trascorsa nella gioia dello stare insieme. Vale la pena di riportare la parte che viene cantata nelle occasioni solenni, un auspicio di speranza e fratellanza tra tutti i popoli: Vivano tutti i popoli/ che anelano al giorno/in cu la discordia verrà sradicata dal mondo/e in cui ogni nostro connazionale/sarà libero/e in cui il vicino/non un diavolo sarà, ma un amico.

Fin qua l’augurio universale di pace. Molti goriziani ormai lo conoscono, anche senza parlare la lingua slovena. Ma non tutti sanno che in qualche modo la composizione ha a che fare con il nostro territorio.

Per sapere perché, occorre andare a Podnanos, un interessante paese nell’alta Vipavška dolina, come dice il nome, ai piedi del monte Nanos, una trentina di chilometri da Gorizia, sulla strada che conduce a Lubiana, molto frequentata prima dell’inaugurazione dell’autostrada. Chiamato un tempo San Vito di Vipacco, ha visto nascere o esercitare il proprio servizio personalità importanti, tra le quali in particolare sono da annoverare due sacerdoti.

Il primo, in ordine di apparizione, è Matija Vertovec (1784-1851). Come molti preti sloveni vissuti nell’Arcidiocesi di Gorizia in territorio asburgico, si è distinto non soltanto come “pastore d’anime”, ma anche come scienziato e insegnante. Aveva compiuto approfonditi studi di storia, letteratura, astronomia, filosofia e teologia. Parlava correntemente cinque lingue e soprattutto conosceva i segreti dell’agronomia. Parroco a Podnanos negli ultimi 38 anni della sua esistenza, aveva insegnato alla gente come coltivare la vite e produrre il vino nel migliore dei modi, avviando la tradizione vinicola che ha portato in particolare i “bianchi” del Vipacco a una fama internazionale che non si è affievolita fino i nostri giorni. Nel 1843 Vertovec scrive un articolo su una prestigiosa rivista slovena, nel quale invita i poeti a dedicare un’ode al lavoro del viticoltore, al vino e alla civiltà di gioia e di pace che un corale brindisi può contribuire a edificare. France Prešeren, sollecitato proprio da tale articolo, scrive un anno dopo la famosa poesia. Ed ecco a noi le parole dell’inno nazionale sloveno!

E la musica?

Occorre tornare di nuovo al piccolo ma sorprendente Podnanos, dove, in una semplice casa situata nel centro, accanto a uno splendido ponte medievale, il 28 settembre 1880 è nato Stanko Premrl. Anche in questo caso la vocazione al presbiterato si è accompagnata a un’altra passione e straordinaria competenza, quella per la musica. Chiamato a Lubiana, si distingue come ottimo organista della cattedrale, professore e direttore della scuola di musica sacra, tuttora indimenticato maestro di coro. Continua la sua attività anche durante i brevi periodi di vacanza a Podnanos, insegnando in chiesa canto e musica ai compaesani. Pur se dedito soprattutto alle armonie religiose, si cimenta con l’arte cosiddetta profana e compone la musica da accompagnare alle parole di Zdravljica. Non è un’idea solo sua, sono ben 14 i musicisti che propongono una propria versione dell’ode al vino e alla bellezza dello stare insieme. Tuttavia, nel 1991, dopo il raggiungimento dell’indipendenza, viene scelta la versione di Premrl ed è quella che si ascolta nei momenti ufficiali dell’anno civile, nonché nelle attualmente frequenti occasioni di vittorie sportive internazionali ottenute dagli atleti sloveni. Stanko Premrl muore a Lubiana nel 1965. Podnanos ha molte altre storie importanti da raccontare, di guerra, di pace e di cultura. Alla prossima occasione…

Francesco, una voce nel deserto?

Prima di essere cancellato dal rapidissimo tritacarne mediatico, tra la fine del Festival di Sanremo e le ormai prossime "restrizioni delle restrizioni" pandemiche, fa discutere ancora per oggi l'intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco. 

Le parole del Vescovo di Roma non sono nuove, i concetti sono quelli più volte ripetuti nel suo alto Magistero. Ha parlato delle tragedie del mondo attuale, del virus globale, soprattutto delle difficili situazioni provocate dalle guerre e dell'imprescindibile necessità di garantire i diritti dei migranti e di accoglierli ovunque come a casa propria. Sono proposte note, assolutamente nuovo è stato il contenitore, la trasmissione Che Tempo Che Fa, un vero e proprio salotto televisivo capace di portare la parola degli ospiti in milioni di case degli italiani.

C'è chi si è scandalizzato per questa scelta, ritenendola espressione di un impoverimento spirituale se non di una vera e propria desacralizzazione del ruolo apicale del cattolicesimo romano. E c'è chi si è entusiasmato, sia dell'umiltà di un Pontefice volontariamente affidato alle domande di un sia pur famoso conduttore che soprattutto dei contenuti pregni di sacrosanta denuncia e di autorevole speranza.

Condividendo fin dall'inizio , e anche prima! le idee e le prospettive di questo Pontificato, ritengo che esagerino sia i pochi denigratori - alcuni dei quali si spingono a ipotizzare la nullità del conclave seguito alle "dimissioni" di Ratzinger - che i tantissimi estimatori.

I primi sognano un tempo ormai definitivamente superato dallo scorrere del tempo e della storia. Non è più sostenibile la figura di un "pontefice" inteso come mediatore tra il cielo e la terra, staccato dalla base dei fedeli credenti e appartato nel silenzio e nell'assoluto distacco delle stanze vaticane. Francesco corre sulla strada dei suoi predecessori, accentuando intuizioni e atteggiamenti già sdoganati, in particolare da Giovanni Paolo II del quale si ricorda un intervento telefonico in (vera) diretta durante la trasmissione condotta da Bruno Vespa. In questo modo la comunicazione oltrepassa la sfera di coloro che sono d'accordo e raggiunge le case di tutti, credenti o non credenti, convinti o non convinti che siano. 

I secondi, forse anche preso atto del basso livello medio delle proposte ordinarie, sembrano cadere dalle nuvole, esprimendo a gran voce le lodi sperticate nei confronti di colui che "come un buon Padre, sa emozionare le persone", smascherando le terribili violenze del nostro tempo irrorandole con parole piene di impegno e di speranza. In realtà, analizzando il suo dire, si naviga nel mare tranquillo dell'assoluto buon senso e si ha la sensazione di non poter essere altro che d'accordo con ciò che si ascolta, senza quei sobbalzi sulla sedia senza i quali nulla può veramente cambiare, nel profondo delle coscienze come pure in una prassi politica in grado di sovvertire un sistema così ramificato e potente come quello capitalista.

La questione rimane aperta, non certo quella se un papa faccia bene o male ad andare in televisione, ma quella che riguarda la specificità del suo ruolo e di conseguenza dell'incidenza delle sue parole. Francesco, come il Dalai Lama e non molte altre personalità nel Mondo, essenzialmente esprime un richiamo di ordine etico e morale. Quali sono i fondamenti dell'azione umana e in che modo essi devono influenzare il modo di agire di ciascun individuo e dell'intera collettività?

La concezione del mondo radicata nel cristianesimo presuppone la fraternità e sororità universali, per questo l'enciclica Fratelli tutti può essere considerata la sintesi centrale del cattolicesimo "francescano". Se questo è il fondamento etico, la consapevolezza di appartenere alla medesima umana famiglia collocata nello tesso spazio vitale che è la madre Terra, la condanna della guerra, della violenza, del rifiuto dell'accoglienza e della catastrofe ecologica è soltanto un'ovvia e immediata conseguenza morale. Ben venga chi porta questo richiamo a un Pianeta soffocato dalla stretta imperialista delle multinazionali, dalla crescente fame e dalle mille minacce di conflitto generalizzato che da un momento all'altro potrebbero concretizzarsi.

Ciò che non funziona nell'eccessivo entusiasmo dei sostenitori è la mancata distinzione tra il livello etico e quello politico. Non che le due dimensioni siano del tutto separate, ma è necessario guardarsi dall'identificarle. La politica è la traduzione in termini di concreta convivenza civile delle istanze etiche. In un contesto democratico, essa deve per definizione tenere conto delle diverse sensibilità, anzi proprio delle diverse etiche esistenti su un determinato territorio. In questo modo, ciò che sembra ovvio, l'invito a fare la pace piuttosto che la guerra, ad accogliersi reciprocamente piuttosto che rifiutarsi, a trasformare le lance in falci e a contemplare il lupo che pascola beatamente con l'agnello, deve essere attraversato dal vaglio micidiale del consenso, senza il quale le più belle idee restano patrimonio di un'insignificante minoranza. 

Che fare allora? 

Il papa dovrebbe sollecitare quanto prima la fine dello Stato della Città del Vaticano. Solo libero dal ruolo di Capo di uno Stato che possiede enormi capitali e proprietà, totalmente e anche ben inserito nelle dinamiche economiche, politiche e finanziarie del Capitalismo attuale, potrebbe pronunciare discorsi in grado di trascinare in modo nonviolento oltre un miliardo di esseri umani nella contestazione di un ordine planetario gigantesco e disumano.

Il compito dei politici che l'ascoltano con tanto entusiasmo e si spellano letteralmente le mani ascoltando Mattarella nell'intervento di re-insediamento presidenziale, appare decisamente più facile, almeno all'apparenza. Devono chiedersi perché ciò che ascoltano non si trasforma in legge da essi stessi preparata e approvata, in progetto politico riguardante il diritto al lavoro, alla salute, alla libera circolazione in Italia e in Europa, a un'autentica pace fondata sulla giustizia sociale. Se non lo fanno, tutti insieme, sia pur provenendo da diverse visioni della vita e della socialità, gli unanimi entusiasmi difficilmente travalicano il vaso colorato dell'ipocrisia. E le parole mediatiche di un alto magistero quale quello di Francesco si perdono nel vento dell'etere che tutto omologa, riduce e fa sparire dal tempo.  

domenica 6 febbraio 2022

Il bio è davvero bio?

Quante volte ci siamo chiesti se il prodotto che si presenta come "bio" lo sia veramente? O quello che proclama l'assoluto rispetto della sostenibilità ambientale sia veramente in buona fede?

In realtà da diverso tempo la pubblicità ha calpestato spesso le buone intenzioni, mentre la sempre più marcata consapevolezza dei consumatori ha portato a un forte incremento della ricerca di prodotti sani e non nocivi, non solo per l'acquirente ma per tutti. L'"equo, ecologico e solidale" costituiva un tempo una nicchia nel settore commerciale, poi ha trovato posto nelle maggiori catene di commercio, con la conseguente necessità di un maggior discernimento.

La questione è sintetizzata da un termine inglese ormai abbastanza familiare, il greenwashing, cioè l'uso distorto della sostenibilità ambientale a fini promozionali. Si tratta cioè di quelle forme di presentazione che non corrispondono alla realtà, sviando così l'attenzione del consumatore, attratto e nel contempo ingannato da una sensibilità ecologica limitata soltanto alle parole.

C'è la possibilità di intervenire? Sì, c'è e per la prima volta una sentenza di un tribunale civile italiano si è pronunciata contro il greenwashing. Da adesso in poi, le pubblicità sulle presunta qualità sostenibili di un prodotto o di un'azienda non potranno più essere "vaghe, generiche o esagerate"!

Quindi, di fronte a presentazioni accattivanti, occorre prestare attenzione. Nel caso in cui si abbiano buoni motivi per ritenere di essere stati presi in giro, non c'è che da segnalarlo, forse ci si trova proprio in un greenwashing!

Ah, un'ultima cosa. Sapete dove è stata emessa questa prima sentenza in Italia? A Gorizia, naturalmente!

sabato 5 febbraio 2022

Del Corpo e delle sue violazioni

Firenze, Cappella Brancacci
Perché la questione dei vaccini ha inciso così fortemente sulle relazioni politiche, culturali ma anche familiari e interpersonali, suscitando contrasti capaci di accendere gli animi e generare divisioni profonde? Perché ciò è accaduto al di là dei tradizionali schieramenti di "destra" o di "sinistra", ma dentro nuove inedite convergenze, da una parte e dall'altra della "barricata"?

Una risposta potrebbe essere cercata nel concetto di "corpo". Tutto si può discutere, cercando convergenze o approfondendo divergenze, ma quando le questioni toccano il nostro "corpo" improvvisamente si alza il livello dello scontro. Ciascuno ritiene indispensabile difendere il proprio corpo e ritiene pericolosa una qualsiasi legge dello Stato che pretenda di interferire sulla gestione del proprio corpo.

Chi non vuole essere vaccinato ritiene che uno Stato non debba imporre al cittadino un intervento che comporti l'inserimento nel corpo di sostanze indesiderate. Chi pretende l'obbligo vaccinale ritiene che lo Stato abbia anche il dovere di proteggere i corpi da un possibile contagio batterico o virale. In un caso o nell'altro, la preoccupazione è quella che il corpo entri in sofferenza e che quindi non possa più essere efficiente. Da una parte si dice che "il corpo è mio e lo gestisco io", dall'altra che esiste una scienza superiore al parere individuale che in certi casi può giustificare l'intervento coercitivo dello Stato.

Perché si ritiene che sia così importante salvaguardare la salute del proprio corpo? Perché il corpo, finche ospita la Vita, è parte integrante della soggettività e fondamentale, se non addirittura unico ambito della comunicazione spazio temporale. In altre parole, è vero che il concetto di persona non può essere esclusivamente ridotto all'elemento corporale, ma è altrettanto vero che non esiste altra possibilità di identificazione e di caratterizzazione dell'"io" e della relazione dell'io con il "tu", l'"egli", il "noi", il "voi" e il "loro" (aggiungendo l'intuizione greca antica e slovena moderna del duale "noi due", "voi due" e "loro due"), che non sia condizionata da esso.

Intervenire sul corpo significa irrompere nella sfera più intima e più profonda del soggetto. La manipolazione del corpo, indipendente dalla libera volontà della persona, è sempre un atto di violenza, anche quando viene realizzata "a fin di bene". Se in certi contesti e nella concezione ordinaria della cultura contemporanea è facile distinguere il fin di bene dall'esplicita volontà di violare i diritti umani, la questione resta inevitabilmente aperta. Crea ovviamente orrore il pensiero della guerra, del genocidio, del femminicidio, dello stupro, cioè della violazione devastante del corpo dell'altro. Non c'è nessuna persona che abbia un minimo di capacità razionale che non ritenga indispensabile la legge che punisca questi crimini, forse perfino chi li compie si rende conto dell'ingiustizia e prova istintiva vergogna, trincerandosi dietro all'ingiustificabile "obbedienza agli ordini" o a presunte "finalità superiori".

Diverso è il caso in cui sia molto meno semplice distinguere ciò che è "bene" e ciò che è "male", soprattutto nel caso in cui la gigantesca alluvione di informazioni che i mezzi attuali rendono possibile renda quasi inaccessibile al singolo un giudizio di verità e di libertà. Che fare in questa situazione? Torna nel sottofondo il dibattito decisivo tra oggettivismo e soggettivismo, dal quale dipendono anche le visioni del mondo, etiche e politiche, del nostro tempo.

Il dibattito sarà molto interessante. Nel giro di poche settimane, se non giorni, la situazione tornerà alla completa normalità e non ci sarà più alcuna penalizzazione per i non vaccinati che usciranno da questa vicenda avendo raggiunto il proprio scopo, ma a un prezzo molto caro, almeno quelli sopravvissuti. Sarà necessario riprendere con maggior serenità il tema, perché effettivamente - la si pensi come si vuole rispetto ai vaccini e agli obblighi conseguenti - la delega allo Stato dell'intervento sul corpo del cittadino può essere a lungo andare (e forse neanche troppo lungo) senz'altro problematica se non pericolosa. Da riflettere...