domenica 6 luglio 2025

La Messa è finita...

 

Quando una persona decide volontariamente di farla finita con la vita, si provano diverse sensazioni: si vorrebbe capire, si è coinvolti in pesanti (e quasi sempre vani) sensi di colpa, si lascia spazio alla compassione, si invita alla contemplazione del mistero, ci si propone il silenzio, ci si impegna nella parola, perché il grido di quell'ultimo gesto non resti inascoltato.

Il suicidio del giovane prete di Bergamo non poteva passare inosservato e molti hanno voluto ricordarlo, normalmente con molto rispetto e con il desiderio di comprendere. Il presbitero è un personaggio che vive un'esistenza in pubblico e qualsiasi suo gesto che trascenda il tran tran quotidiano, non può che diventare oggetto di approfondimento e di riflessione, al di là della conoscenza o meno del soggetto del quale si parla. A lui quindi, che non ho conosciuto se non dalle fotografie, un pensiero affettuoso, fraterno e pieno di profonda pietas. Le parole che seguono non hanno a che fare direttamente con l'evento, nessuno potrà mai spiegare il come e il perché possa venir meno in un essere umano l'elementare istinto di sopravvivenza. 

Quella della guida della cattolicità è questione complessa, radicata da una parte nelle parole e nelle azioni delle prime comunità cristiane, dall'altra nella sistemazione organizzativa derivata dalla sostanziale identificazione tra il potere politico imperiale e quello essenzialmente religioso, verificatasi nella sua essenza nel corso del IV secolo. Si procede da un fondamentale passaggio, il fatto che nei testi fondanti non si parla di sacerdozio, se non nella rielaborazione teologica della lettera agli Ebrei che identifica nel Cristo l'unica possibile realizzazione del "dono del sacro" (etimologia di sacer dos). L'organizzazione della prima Chiesa sembra rifuggire dal termine, utilizzando maggiormente i sostantivi presbitero (l'anziano, il saggio coordinatore della comunità), diacono (servitore delle mense, protagonista dell'esperienza della condivisione fraterna), episcopo (il sorvegliante, punto di riferimento e di unità fra le diverse realtà sparse nelle città affacciate al bacino mediterraneo). Sarà l'epoca postcostantiniana e soprattutto quella post teodosiana (fine IV secolo) a recuperare la distinzione tra sacro e profano, a sacralizzare il ruolo del sacerdote e del pontefice (vescovo che costruisce ponti tra divino e umano), sulla scia dell'investitura divina riconosciuta al ruolo dell'Imperatore.

Nel tempo questa distinzione si è sempre più intensificata, tanto più nella conferma "quasi dogmatica" di un sacerdozio cattolico riservato esclusivamente a maschi e dell'imposizione del celibato obbligatorio ai candidati al ministero presbiterale.

Questa visione ha creato un'oggettiva separazione tra il clero (la parola stessa significa di per sé "separazione") e la comunità dei fedeli, definiti "laici" e di fatto esclusi dai processi decisionali della Chiesa. Ha funzionato nell'epoca della cristianità, ma ha cominciato a essere messa in discussione con l'avvento della modernità. Tra la Rivoluzione Francese e il Concilio Vaticano II c'è stato un tempo di forte contrasto: da una parte le nuove filosofie, la mondializzazione, la conoscenza e diffusione di nuove forme religiose, gli stessi contrasti intracristiani hanno invitato a una revisione completa dell'idea di leadership; dall'altra le cose sono andate avanti sostanzialmente senza alcun rilevante cambiamento, fino a oggi. Il Vaticano II, da questo punto di vista, ha affrontato alcune tematiche inerenti, ma non ha indicato linee di cambiamento o adeguamento ai tempi nuovi particolarmente significative.

E così il giovane che desidera diventare prete, sinceramente innamorato della figura di Gesù di Nazareth e in principio convinto di trovare la realizzazione del Vangelo nella Chiesa cattolica, si trova incanalato in una miscela micidiale di svariate identità: per una parte cospicua si dovrebbe riconfermare il sacerdos della tradizione medievale, per un'altra parte al contrario ci si dovrebbe immergere fino al collo nella postmodernità, secondo alcuni deve mantenere il potere non soltanto spirituale, secondo altri deve diventare un democratico presidente di piccolo gruppo, possibilmente scelto attraverso democratica elezione. Si prepara a inserirsi nei gangli vitali della società, immaginando un eroismo fatto di coraggiose prese di posizione portate avanti a rischio della propria vita, di un'identificazione con l'esperienza storica e teologica di Gesù, della passione di comunicare la sua bellezza a tutti... E si ritrova invece immerso in un noiosissimo martirio quotidiano fatto di ininterrotte celebrazioni molto più "sociali" che "religiose", di conti da far tornare per mantenere in piedi almeno le strutture fisiche, di baciapile interessati a tenere il prete più lontano possibile dai problemi reali delle persone. Il tutto al prezzo di una vita segnata da una rinuncia esplicita al più elementare e coinvolgente sentimento umano che solo per pochi eletti si trasforma in sperimentazione attiva e passiva dell'amore universale.

La sofferenza dei preti, soprattutto dei più sensibili, deve essere presa in considerazione. La Chiesa cattolica non può chiudere gli occhi e una ridefinizione dell'identità e del ruolo del presbiterato deve essere urgentemente presa in considerazione. Il tempo della Cristianitas non è finito solo nei dibattiti filosofici, ma anche nella vita ordinaria della gente. Il mondo del III millennio, con tutte le sue problematiche dolorose, drammatiche o affascinanti, è radicalmente diverso da quello medievale. Occorre una nuova riflessione che non può prescindere dal superamento del patriarcato attraverso il riconoscimento del presbiterato femminile, dalla definizione di un celibato volontario e non più obbligatorio, da un nuovo coinvolgimento dell'intera comunità nelle problematiche relative alla sua gestione, da una vera e propria laicizzazione del prete, non più costretto dai fatti a essere funzionario del sacro, ma essere umano (donna o uomo che sia) fra altri esseri umani, insieme in ascolto della Parola del Maestro, insieme attenti a tradurla in parole e opere di pace, di condivisione e di solidarietà universali.

venerdì 4 luglio 2025

Salvare la data: in ricordo di Pierluigi Di Piazza, 11 luglio in piazza Capitolo ad Aquileia

 

Ecco un comunicato stampa, con un invito veramente da tenere in considerazione:

Venerdì 11 luglio, alle ore 21, nello straordinario scenario di piazza Capitolo in Aquileia, si terrà l’atteso concerto dedicato a Fabrizio De André e alla sua indimenticabile Buona Novella.

Prima della presentazione musicale, ci sarà un importante momento di ricordo di don Pierluigi Di Piazza. Vito Di Piazza e Andrea Bellavite, rispettivamente fratello e amico di Pierluigi, presenteranno infatti il libro “Le dieci grandi parole. Indicazioni per la vita”. In questo testo, il fondatore del Centro Balducci di Zugliano accompagna i lettori nella scoperta della saggezza profonda insita in quelli che un tempo si chiamavano “comandamenti”, ma che nella dolcezza di don Di Piazza diventano meravigliosi insegnamenti per la vita di ogni persona e per l’armonia dell’intera società. Il linguaggio del testo è sempre intriso della caratteristica umanità di una persona che ha costruito relazioni fino agli estremi confini della terra. Ciò non toglie la forza della denuncia dell’ingiustizia e l’inequivocabile scelta di stare – nell’orizzonte del Dio di Gesù di Nazareth – sempre dalla parte dell’ultimo.

Terminata la presentazione del libro, inizierà la musica, perfettamente integrata con il tema della parte introduttiva. Sarà portata sul palco davanti alla splendida Basilica dall’associazione culturale Le Colone di Castions di Strada, con la collaborazione della Fondazione Fabrizio De André e l’organizzazione del Comune di Aquileia. La Buona Novella, dello stesso De André e di Gianpiero Reverberi, ripercorre la vita di Gesù con gli occhi di Maria, con un’attenta analisi dei testi evangelici canonici e apocrifi e con la meravigliosa ispirazione poetica del cantautore genovese. Tra gli altri pezzi, c’è una celebre rivisitazione dei Dieci Comandamenti, molto vicina al punto di vista di Pierluigi Di Piazza.

La partecipazione è gratuita e l’ingresso in piazza è libero.

domenica 29 giugno 2025

Pater Bogdan Knavs, 25 let duhovnik. La celebrazione a Sveta Gora.

 

Oggi a Sveta Gora c'è stata una grande festa. Si sono ricordati i 25 anni dall'ordinazione sacerdotale di pater Bogdan Knavs, rettore del Santuario che sovrasta le Gorizia. La Messa, particolarmente emozionante, cantata dal coro parrocchiale di Miren, è stata molto partecipata da persone provenienti da ogni parte della Slovenia, che hanno voluto testimoniare il loro affetto e la loro gratitudine nei confronti di un uomo che sta donando la propria vita per diffondere intorno a sé fede, luce, pace e vita. La bella omelia è stata dettata da pater Pavel, del Convento Francescano della piazza Prešeren di Ljubljana. Ha evidenziato come con le capacità che gli sono proprie Bogdan avrebbe potuto essere un elettricista, un allenatore sportivo, un cardiochirurgo. Ha invece deciso di essere francescano e sacerdote, essendo in questo modo nello stesso tempo portatore di luce come un elettricista, educatore e formatore delle coscienze come un allenatore dello Spirito e curando le ferite dell'anima, fasciando il cuore di chi soffre. Anche lo stesso pater Knavs ha voluto offrire al termine della liturgia una sua parola di lode e di ringraziamento, a Maria di Monte Santo, ai suoi genitori, ai confratelli, agli amici e ai compagni i viaggio e di avventura nella vita. Il pomeriggio di preghiera si è prolungato nella condivisione della mensa, con tutti coloro che sono saliti sul monte per partecipare alla liturgia. La commozione di momenti di rito si è trasformata nell'allegria dello stare insieme, stringendo mani e conoscendosi al di là della differenza di lingue, storie e culture esistenziali.

Ho conosciuto Bogdan ad Ajdovščina, il 15 settembre 2019, nel corso dell'annuale celebrazione dell'annessione della regione Primorska alla madre patria slovena. C'era tanta gente e l'intero rito, con i canti, le parole delle autorità, il discorso dell'allora presidente del Consiglio della Repubblica di Slovenija Miro Cerar, era stato estremamente coinvolgente. Mi viene fatto notare che la persona che sta camminando a pochi passi da me è un sacerdote, il rettore del santuario di Sveta Gora. un po' incredulo, mi avvicino e leggo la scritta stampata sul retro della sua maglietta rossa (quella che si vede nella foto accanto) che, in italiano, si potrebbe tradurre così: "Grazie a voi abbiamo difeso la lingua slovena e la nostra Primorska. Grazie a voi, cari partigiani." Seppi parecchio tempo dopo che quelle parole e l'idea di proporre a tanti quella maglietta era stata proprio sua! Con un po' di trepidazione ho chiesto se fosse vero quello che mi era stato detto di lui. Si voltò verso di me, con un sorriso intelligente, simpatico e accogliente. Confermò e ci fu solo il tempo per scambiarsi un abbraccio e un saluto. Rimasi molto colpito, a parte don Alberto De Nadai nel Goriziano e i preti della Lettera di Natale nel Friuli Venezia Giulia, da molti anni non incontravo preti in contesti diversi da quello liturgico, catechistico o pastorale. Mi portai dentro uno splendido ricordo e una domanda sulla possibilità di rivedersi ancora. A quei tempi, sindaco di Aiello piuttosto lontano dalle "cose della Chiesa", mi avrebbe fatto davvero piacere conoscere un prete votato all'incontro con gli altri, fuori dal tempio, come avrebbe detto Pierluigi Di Piazza.

L'occasione arrivò, quando meno me lo sarei aspettato. Si era all'inizio di settembre del 2021. Erano gli ultimi strascichi del tempo delle mascherine e distanziamenti. Era appena finita la festa della città di Nova Gorica, presso il Teatro Nazionale. Mi vide da lontano e il suo immediato "Ciao Andrea" mi colpì molto. Mi aveva visto per non più di un minuto due anni prima e tanto gli era bastato per ricordarsi il mio nome. Da lì inizio una lunga serie di incontri e di colloqui. A livello personale, ho trovato in lui un vero fratello, una persona con la quale aprirmi senza alcuna paura, condividendo pensieri, azioni, come pure dubbi e ricerche interiori. In breve tempo ci si è reciprocamente confrontati e confortati. abbiamo anche iniziato a collaborare, fino a costruire insieme quel bellissimo progetto che è l'Iter Goritiense, il cammino da Aquileia a Monte Santo. Da lui non ho mai sentito una parola di giudizio, sempre invece la profonda valorizzazione di scelte e decisioni forse non del tutto in linea con il pensiero ufficiale della Chiesa. Grazie al suo incoraggiamento, ho ritrovato molti dei sentieri abbandonati da diversi anni, ricomprendendo le scelte e i cambiamenti esistenziali non come un tradimento, ma ala contrario come una grande conferma delle intuizioni originarie: vivere nella dimensione trascendente per amare con tutte le forze possibili ogni persona che vive sula faccia della terra. Grazie caro Bogdan, per ciò che mi hai donato, soprattutto la consapevolezza della verità più profonda della vita cristiana: tutto vince l'Amore.

A livello più ufficiale, ho trovato in pater Knavs un prete profondamente radicato nella tradizione cattolica. Innamorato del Vangelo di Gesù di Nazareth, molto devoto alla Madre Maria, anche nei momenti di difficoltà trasmette una tal gioia di essere cristiano, francescano e prete, da contagiare con il sorriso chiunque abbia la fortuna di incontrarlo. Vero sacerdote di Cristo, è anche un testimone di una ricchissima umanità. Per questo non è uno che si possa rinchiudere in una cella e nemmeno in un Santuario, per quanto importante e frequentato come quello che incombe sulla media valle della Soča. Bogdan incontra l'essere umano nella sua dimensione ordinaria e straordinaria. Ha una speciale missione che è quella di andare a cercare e a comunicare l'amore di Dio a coloro che sono più lontani dalla frequenza alla messa o dalla partecipazione alla vita delle parrocchie. Maestro nell'indicazione delle strade di Dio, in particolare quelle più complesse e alternative, ha trovato nel mondo dei partigiani un campo fecondo. Pieno di gratitudine per coloro che hanno rischiato e spesso perso la vita per liberare l'umanità dalle dittature, pater Knavs ricorda come il loro sacrificio, oltre a contribuire alla cancellazione del mostro nazifascista, ha anche permesso di salvare la lingua, la cultura e la stessa coscienza di essere popolo del mondo sloveno. Viene chiamato ovunque e ovunque con la sua semplicità, con il suo sorriso, con il sommesso invito a condividere la preghiera del Padre Nostro, ha aperto spazi che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensati. E' l'immagine concreta di una comunità "in uscita", tanto cara a papa Francesco, una Chiesa nella quale la predicazione delle "verità" non soffoca in alcun modo la verità suprema delle relazioni, l'importanza eccezionale dell'incontro con l'altro. Un po' come è stato il Maestro, Gesù: non gran frequentatore di sinagoghe o del tempio, ma annunciatore della "buona notizia", della liberazione dei poveri e dei prigionieri da ogni possibile schiavitù.

Grazie dragi Bogdan, najlepša hvala za vse, ker si krasen človek in čudovit Božji duhovnik!

venerdì 27 giugno 2025

Si vis pacem..., rovescia i potenti dai troni

 

C'è una grande differenza tra le lotte per i diritti dei lavoratori degli anni '60 e '70, tra le manifestazioni contro la guerra del Vietnam e le attuali azioni di protesta contro il genocidio di Gaza, i conflitti planetari, le leggi che reprimono libertà fondamentali e la sistematica umiliazione dei migranti.

Cinquant'anni fa era il pianeta dei giovani a trascinare nelle piazze milioni di persone, gli studenti avevano iniziato e gli operai li avevano seguiti. La Cultura con la C maiuscola se ne era fatta carico e creava arte, musica, letteratura, per accompagnare i moti e le speranze di autentica rivoluzione. Mettete dei fiori nei vostri cannoni! C'era stato il '68, un fenomeno unico nel Novecento, con tutte le speranze possibili in un mondo nuovo, in un mondo migliore, che si sarebbe potuto cambiare da un momento all'altro, alla prossima svolta della strada della Storia.

Oggi il movimento per la pace, messo ko dal G8 di Genova 2001, dalle conseguenze degli attentati alle Twin Towers e dall'inincidenza della immensa manifestazione contro la guerra in Iraq del 15 febbraio 2003, è del tutto marginale. Lo guidano più o meno gli stessi che quella volta avevano 20 anni e ora ne hanno 70, non creano in alcun modo opinione e sono seguiti da sparuti gruppi di no-boomers, molto volonterosi, che sembrano attendere il giorno propizio, con la stessa disperata passione del protagonista del celebre libro di Buzzati che attendeva l'arrivo dei Tartari al di là del suo misterioso deserto.

Eppure, moralmente parlando, ci sono tutte le ragioni: la violazione sistematica dei più elementari diritti è evidente, in Italia e in tante altre parti del mondo, la crescita al 5% degli investimenti in armi è scelta molto preoccupante e potenzialmente catastrofica, quanto una presidente del consiglio che spara cavolate del tipo "si vis pace para bellum", le leggi europee sul diritto d'asilo e sull'accoglienza die migranti sono ogni giorno più disumane. Anche in sede locale ciò che accade a Trieste, riguardo alla prima accoglienza dei reduci della rotta balcanica e la crociata indetta a Monfalcone contro i residenti musulmani, sono segni di un degrado politico senza limiti. Nonostante tutto questo, le "ragioni" della pace, del disarmo, dell'accoglienza, dei diritti civili collettivi e individuali hanno sempre meno voce e più si contesta - per quanto possibile vivacemente, stante il silenziamento da parte dei principali media -più crescono nei sondaggi proprio coloro che propugnano, in cambio della cosiddetta "sicurezza", la privazione della libertà.

Che fare allora? Vale la pena continuare a gridare su un palcoscenico, davanti a gran parte di spettatori che non solo non sembrano gradire o condividere, ma anche non si tirano indietro nel fischiare sonoramente ogni passaggio? Tra quel pubblico non ci sono soltanto i fascisti più o meno dichiarati o i guerrafondai inveterati, ma quell'altissima percentuale di persone che vogliono vivere serenamente la loro esistenza e si fidano dell'uno o dell'altro, a seconda che prometta o meno la tranquillità dello status quo. Ci sono quelli che temono che le armi del vicino possano causare danni irreparabili al proprio Stato, quelli che pensano che sì, i migranti hanno il diritto di vivere perché sono nostri fratelli, ma vivaddio, occupano tutte le case con le loro famiglie numerose, riempiono di odori d'oriente i condomini e portano via posti di lavoro. Ci sono quelli che hanno paura dei borseggiatori, se non altro perché poi tocca rifarsi tutti i documenti e che quindi invocano maggiori controlli di polizia, coloro che vogliono pene lunghe e sicure per chi ha commesso crimini gravi, quelli che temono che le case possano essere occupate da chi non le ha e poi dovremo andremo a dormire? Come faremo a buttarli fuori? Ecc. ecc. Chi la pensa così sono lavoratori, operai, contadini, studenti, ma anche opinionisti, scrittori, giornalisti che li sostengono, enfatizzando i singoli casi e universalizzando ciò che suscita paura.

L'umanesimo è soffocato da mille timori, efficacemente indotti da un sistema di Potere sempre più agguerrito e tecnologicamente avanzato. Se la mentalità fascista e razzista vince perché offre maggiore certezza di poter rimanere nella sicurezza, forse la si deve combattere cercando di comprendere, prima di giudicare e deridere, il meccanismo della paura. E se la madre di tutte le paure è quella della morte, ogni minaccia di privazione di ciò che si possiede, appare come una piccola morte. Per uscire dal tunnel, occorre forse offrire una nuova, credibile e sostenibile idea di sicurezza, essenzialmente antitetica a quella fasciorazzista. Occorre una nuova filosofia e una conseguente nuova politica che superi l'attuale fase del sistema capitalista, deprivando la forza del dio denaro e immaginando relazioni sociali alternative a quelle dei corto circuiti classici tra padrone e servo, tra ricco possidente e povero indigente. E' necessario superare la funesta identificazione tra Nazione e Stato, ritornando a proporre un internazionalismo di livello mondiale. La strada passa per garantire una sicurezza maggiore rispetto a quella dominante: l'insicurezza della guerra si combatte con il disarmo generale e lo smantellamento di tutti gli arsenali nucleari, l'insicurezza provocata dalla ghettizzazione dei migranti si supera costruendo spazi di gioiosa familiarità e condivisione, l'insicurezza determinata dai cambiamenti epocali che coinvolgono l'ambiente si vince attraverso l'analisi dei fenomeni e lo studio attento di ciò che può servire l'intera umanità e non solo una minima parte di essa, l'insicurezza delle proteste di massa si oltrepassa nella libertà piena di espressione e si pensiero, garantita in ogni istante della vita individuale e sociale. L'insicurezza dei confini si cancella abolendo le linee di frontiera, non moltiplicando i controlli per penalizzare ancora una volta i più deboli.

Già, è necessaria una nuova filosofia, un tavolo su cui negoziare e incontrarsi, su cui elaborare una nuova magna charta del vivere mondiale, la legge della fraternità e della sororità come fondamento di un nuovo modo di essere. Fermiamoci un attimo, ma solo un attimo e poi ripartiamo. Ha senso la parola e la manifestazione profetica. Ma almeno qualche volta, occorre anche avere la sensazione - o la pretesa - di vincere, cioè di riuscire a cambiare il mondo.

domenica 22 giugno 2025

Lepa Pokljuka

 

Un momento di respiro, tra tante preoccupazioni che attanagliano il mondo.

Tra i laghi dell'alta valle della Sava Bohinjka e il massiccio del Triglav, si stende un meraviglioso altopiano, coperto da sani, freschi boschi di conifere, alternati a larghi pascoli. E' la Pokljuka. In inverno è un rinomato centro di sport cosiddetti "nordici", soprattutto ospita spesso i campionati mondiali e le gare di coppa del mondo di biathlon.In estate offre splendide passeggiate, dalle brevi camminate tra un alpeggio e l'altro alle impegnative verso le montagne circostanti. 


La montagna sa parlare a chi la ama, si tratti di giornate calde e limpide, come pure di periodi di pioggia o di drammatici momenti in cui si incappa in un temporale nei pressi di una vetta rocciosa. Anche la vita degli abitanti dei monti è particolare, apparentemente lontana da ciò che accade in altri angoli del Pianeta Terra. E' un duro lavoro quello di chi trae con fatica dalla terra il proprio sostentamento e ti offre con orgoglio e umiltà il frutto della sua azione. Ma gli occhi sono pieni di rude dolcezza e la parola è sempre pregna di una saggezza antica. La Slovenia non finisce mai di stupire, con la costante cura del verde e con un rispetto profondo dell'ambiente.

Quando si vive in città, lo sguardo è sempre attratto da ciò che è molto vicino, non sempre si riesce a cogliere la realtà nella sua complessità. Sui monti accade il contrario, si aprono alla vista paesaggi immensi, catene di cime ancora coperte dalle ultime nevi, enormi valli scavate nei millenni dai ghiacciai, delle quali si può soltanto intuire l'esistenza di un fondo. Forse si può anche perdere qualche particolare, anche se il montanaro è costantemente richiamato alla realtà dalla semplice legge della sopravvivenza. Per carpire qualche segreto nascosto oppure, semplicemente, per vivere.

sabato 21 giugno 2025

Solstizio d'estate 2025. Buona estate al Mondo intero!

 

Il Sole questa mattina, intorno alle 4, si è fermato (solis statio) e subito dopo ha iniziato il suo percorso di ritorno. Le ore di luce da qui a Natale saranno sempre meno, anche se per percepire le conseguenze dei raggi ci vorranno ancora un paio di mesi.

E' l'estate nell'emisfero nord di questo meraviglioso e drammatico Pianeta, che ruota su sé stesso e intorno al Sole ininterrottamente. Ed è tanto importante per noi esseri umani questo movimento che abbiamo dato alla rotazione il nome "giorno" e alla rivoluzione il nome "anno".

E' una pallina minuscola nel Sistema Solare, un granello di polvere invisibile nella Galassia, uno dei miliardi di miliardi di corpi celesti che fluttuano nell'universo, sospinti su un biliardo incommensurabile da un Giocatore appassionato di energie gravitazionali.

Siamo piccolissimi e fragili, in balia delle incontrollabili potenze che ci sovrastano e ci circondano. Invece di unirci in una sola Terra, ci impegniamo a sottrarre lo spazio e il tempo della vita degli esseri umani. Soffochiamo nel nulla l'anelito all'essere, inventiamo ordigni orrendi di ogni tipo per farci del male. L'uomo delle caverne uccideva con la clava il suo vicino di grotta per sottrargli quel poco che aveva, gli invincibili rimani preferivano la Legione, imbattibile con le sue lance e gli scudi, qualcuno poi inventò la polvere da sparo e si intuì subito che le cose non sarebbero finite bene, il 6 agosto 1945 iniziò una nuova era e per la prima volta dal magmatico formarsi del pianeta l'Uomo può distruggere tutto ciò che vive, compreso sé stesso. Premendo semplicemente un bottoncino..

"Uh, che pessimista!" Commenterebbe Bruno Bozzetto! "No, realista", rispondo io. Ma non privo di Speranza, perché convinto che ce la possiamo ancora fare a salvare il tutto. Basterebbe solo invertire la rotta, come il Sole al solstizio. Cominciando con lo smantellare, ovunque e in ogni angolo della Terra, le bombe atomiche e poi via via tutto il resto, trasformando le lanci in falci e i carrarmati in pacifici autobus per portare tutte le persone del mondo a scoprire la bellezza dell'arte e della natura. In una piccola ma stupenda casa che appartiene a tutti e a ciascuno, nessuno, ma proprio nessuno, escluso.

Buona estate, allora!

martedì 17 giugno 2025

Magari esistesse, il diritto internazionale!

 

Io non capisco. Non capisco chi parla di diritto internazionale. In realtà non esiste alcun documento che obblighi qualunque Stato a compiere o non compiere qualunque azione. In realtà l'unico diritto internazionale e la preistorica legge della giungla, chi è più forte vince e sottomette il più debole. Bisognerebbe ammetterlo senza ipocrisie e false ingenuità. Il diritto internazionale non esiste. E' quello che si sarebbe dovuto fare dopo le catastrofi della prima metà del XX secolo, creare un'organizzazione transnazionale, dotata di leggi non derogabili da nessuno, alla quale gli Stati avrebbero dovuto cedere parti importanti della loro rispettiva autorità. In un secolo nulla è stato fatto e quindi è inutile invocare un inesistente diritto internazionale di fronte alle cose che succedono.

E' la legge della giungla che permette ad alcune Nazioni di possedere le bombe atomiche, mentre le altre, se osano pensare di realizzarle, vengono bombardate senza pietà dalle prime. Alcune si sentono la missione di essere gendarmi del mondo, senza alcun mandato da parte di nessuno, altre invece sono costrette a subire le operazioni di polizia cosiddette "preventive". Eppure, sarebbe così semplice, se esistesse il diritto internazionale, stabilire il divieto a qualsiasi Stato del mondo - indipendentemente dalla sua ricchezza o dalla sua influenza sui meccanismi di potere planetari - di costruire e custodire ordigni nucleari. 

E' la legge della giungla che consente ad alcuni Stati, come Israele o gli Stati Uniti - giusto per portare due esempi - di intervenire in altri Stati militarmente, bombardando siti industriali, terrorizzando i cittadini, togliendo la vita con interventi mirati a personalità della politica, della scienza, della cultura di altri Paesi, senza alcuna possibilità di difesa o di replica, senza alcun accenno a motivazioni discusse davanti a tribunali regolari. Immaginiamoci cosa accadrebbe se l'Iran o qualsiasi altra Nazione si comportasse nello stesso modo. Non è difficile, basti pensare ai titoli dei giornali occidentali all'indomani dell'11 settembre 2001: "Attacco alla civiltà". Ecco, proprio così, i civili bombardieri contro gli incivili missili balistici. Che mondo si è creato, tutto incentrato sulla difesa dei "propri" dall'attacco degli "altri". E viceversa, naturalmente.

E' la legge della giungla a stabilire che l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia debba essere condannata e respinta con l'invio delle armi più sofisticate inviate da USA e Unione europea, mentre quella terribile di Israele nei confronti della Palestina debba essere accettata, se non addirittura esplicitamente sostenuta, come un'inevitabile necessità.  

Sì, perché anche questa è legge della giungla, pensare che da una parte ci sia la civiltà, dall'altra la barbarie. La concezione del mondo coltivata nell'occidente influenzato dalla filosofia greca suscita un totalmente ingiustificato senso di superiorità nei confronti di altre visioni della vita considerate meno elevate, immorali, liberticide, guerrafondaie. Ci si dimentica che la civiltà ebraico cristiana, mescolata alla filosofia greca, non ha impedito l'insaturazione delle dittature più feroci della storia, i campi di sterminio e ogni sorta di violenza contro l'uomo e contro la natura.

L'unica soluzione è proprio quella dell'insaturazione di un diritto internazionale. Non è una ricerca semplice, né a breve scadenza. Presuppone la riforma dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e la costruzione di un complesso percorso condiviso. E' una strada lunga e impervia, in tempi nei quali sembra di essere sull'orlo di un abisso. Ma quale altra soluzione, a meno che non si voglia continuare a dire parole vuote - "meglio fare la pace che la guerra", "meglio andare d'accordo piuttosto che no", ecc. - o a manifestare con un numero sempre meno convinto di persone gridando davanti al nulla il proprio desiderio di pace e giustizia in tutto il mondo?

lunedì 16 giugno 2025

Verso il tramonto?

Il Novecento ha trasmesso molti insegnamenti, nel bene e - ahimé - soprattutto nel male. Ma sembra che l'umanità non ne abbia fatto tesoro e che si ritrovi ad affrontare tragiche situazioni già sperimentate in passato.

La radice più profonda della guerra è la divisione del mondo tra "noi" e "voi", da una parte ci sono i buoni, dall'altra i cattivi, da una parte gli indiani dall'altra i cowboy, i terrestri e gli alieni.

Più concretamente, una volta archiviata la separazione tra comunismo e capitalismo, ora a livello planetario si scontrano il turbocapitalismo israeliano, statunitense ed europeo con la Palestina e ora anche con l'Iran. Ci si mette di mezzo anche la questione religiosa, con un'imbarazzante ignoranza riguardante il mondo arabo - peraltro non tutto musulmano - e soprattutto l'Islam in quanto tale.

La mancata integrazione determinata dalla carenza di conoscenza e di rispetto tra una visione del mondo e un'altra provoca inevitabilmente una radicalizzazione delle posizioni che non può portare nulla di buono. Lo si è visto a livello internazionale, con il mondo diviso non solo tra sud e nord, ma anche tra Paesi che si ritengono portatori della civiltà contro quelli accusati di essere nella barbarie. Naturalmente quelli sedicenti "civili" sono autorizzati a compiere genocidi, a realizzare esecuzioni sommarie di scienziati senza uno straccio di processo, a detenere micidiali armi di distruzioni di massa. Quelli invece ritenuti "incivili" devono subire di tutto e di più, senza poter contare sull'appoggio mediatico e finanziario del cosiddetto "Occidente", senza neppure osare di reagire alle provocazioni sanguinose e senza pensare di competere sul piano scientifico, filosofico e morale.

A livello meno ampio, anche le schermaglie locali dimostrano come il rigetto sistematico del dialogo e la fattiva persecuzione di una parte della popolazione da parte dell'altra provochino un'intensificazione delle ragioni identitarie, enormemente rafforzate dalla necessità di difendersi da un mondo ostile. Le crociate contro l'Islam in uno Stato che dovrebbe essere laico non sono solo immorali perché contrastano l'elementare principio della fraternità universale, ma sono anche molto pericolose, in quanto innalzano il livello dello scontro identitario. Le guerre di religione sono molto crudeli, anche se scatenate - in nomine Christi - da chi della religione cristiana non conosce neppure i fondamenti.

Per uscire da una situazione troppo simile (mutatis mutandis) a quelle precedenti la prima  e la seconda guerra  mondiale, occorre un cambio totale di mentalità. Al primo posto deve essere realmente - non a parole - la consapevolezza di essere "umani", donne e uomini partecipanti a un'unica famiglia diffusa su tutta la Terra. Se questa coscienza precedesse la percezione della diversità fra le persone e i popoli, tale differenza sarebbe benefica e sarebbe meraviglioso che le culture, le religioni, le concezioni del mondo si donassero le une alle altre le proprie caratteristiche. Invece questi aggettivi (italiano, tedesco, cinese, senegalese o brasiliano... cristiano, musulmano, ebreo o buddhista... ecc.) precedono di solito la comune realtà di esseri anzitutto "umani" e diventano motivo di divisione, incentivo di terribili guerre scatenate per il bene di pochi cinici reggitori della sorte di tutti.

Fermiamo questa deriva, diamo nuova forza al nobile esercizio del Pensiero, costruiamo un Pianeta che non abbia confini, fuggiamo dalla tentazione della salvaguardia dell'"identità", crediamo e sosteniamo la bellezza della pluralità. Prima che sia troppo tardi!

mercoledì 11 giugno 2025

Monfalcone e la nuova crociata

 

Bei tempi quelli nei quali i simboli della fede erano talmente complessi da richiedere anni di iniziazione per essere compresi e accolti! Bei tempi perché il cristianesimo si inseriva con discrezione nella vita di una società pluriculturale e plurireligiosa, custodendo con un alone di silenzio e segreto le proprie caratteristiche e i propri fondamenti. In questo modo chi aderiva, dopo aver percorso tre o quattro anni di formazione e aver ricevuto insieme i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucarestia, conosceva molto bene i dogmi e le regole del vivere cristiano.

Poi è arrivato il cristianesimo imperiale, che ha soppiantato gli universi religiosi preesistenti, distruggendo i mitrei e i luoghi di culto, edificando al loro posto le grandi basiliche. La croce, mai rappresentata almeno fino al V secolo, è diventata paradossalmente un segno identitario, da imporre ai sudditi dell'Impero, con le buone maniere o più spesso con le cattive.

Quello che sta accadendo a Monfalcone ricorda le controversie medievali, con una personalità politica che veste i panni di San Bernardo da Chiaravalle e lancia la crociata contro gli infedeli che - secondo lei - vorrebbero infangare la "religione di Cristo". Addirittura arriva a vantarsi di aver scritto a papa Leone XIV, forse pensando al primo Leone che secondo la tradizione avrebbe fermato Attila sul Mincio, presso un paese che ancora oggi, in suo onore, porta il nome di Salionze.  

In una città che potrebbe proporsi a livello nazionale come grande esempio di convivenza e dialogo tra culture, forme religiose e visioni della vita differenti, si è invece creato il muro contro muro. E la responsabilità primaria è di una politica amministrativa che strumentalizza i reali problemi che le persone affrontano ogni giorno, per un mero tornaconto elettorale. Non si è riusciti ad affrontare serenamente la questione delle donne che entrano nel mare vestite, si è di fatto utilizzato un cavillo del piano regolatore per impedire a dei credenti di pregare. Invece di sostenere le cittadine e i cittadini musulmani, si è cercato di ostacolarli in tutti i modi. Invece di creare luoghi di dibattito e confronto nei quali cercare soluzioni condivise, si è preferito calcare l'effimera ribalta nazionale, facendo di ogni erba un fascio e mettendo in discussione la stessa esistenza di una religione che coinvolge più di due miliardi di pacifici fedeli nel mondo.

L'ultimo atto di questa storia è quello che avrebbe convinto la suddetta a scrivere un messaggio accorato al Pontefice, un po' come Caterina da Siena che si rivolgeva al "dolce Cristo in terra" per invitarlo a lasciare gli eretici avignonesi per tornare a Roma.

I parroci di Monfalcone - totale e piena solidarietà! - hanno sopperito alle clamorose mancanze delle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi anni e hanno messo a disposizione l'oratorio San Michele prima e ora alcuni locali adiacenti la chiesa della Marcelliana. Si è trattato di un gesto di ordinaria ospitalità, tali sale sono normalmente utilizzate da società sportive, gruppi culturali, compleanni o riunioni di condominio. Chi le usa, come è giusto, paga anche un affitto e le adatta alle proprie necessità. Cosa ci può essere di strano se in una riunione di preghiera, i musulmani coprono delle immagini che richiamano la professione di una fede diversa dalla loro? Cosa c'è di offensivo? Forse che le opere momentaneamente occultate sono state danneggiate o vilipese? 

Proprio no e per questo il presunto scandalo non è altro che l'ennesimo tentativo di squalificare una grande religione di pace che la stragrande maggioranza dei cristiani non conosce minimamente. Ma è anche la dimostrazione della completa ignoranza degli stessi fondamenti della fede cristiana, incentrati sull'amore nei confronti del prossimo, sulla nonviolenza attiva e sull'accoglienza fraterna. Come pure è la mancanza di rispetto nei confronti del grande valore che è la laicità dello Stato democratico: date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio. 

martedì 10 giugno 2025

I referendum e una sinistra da rifondare

Ho votato i cinque referendum. Mi dispiace che non si sia raggiunto il quorum e che quindi non sia stato possibile ottenere il risultato atteso.

Si capisce l'esultanza della destra, molto meno quella della cosiddetta sinistra. Come si fa solo a pensare che il raggiungimento di 14 milioni di votanti sia un successo?

In realtà è stato un vero disastro che dovrebbe suscitare molti ripensamenti, invece che arrampicamenti sugli specchi. Il 70% degli italiani non ha votato, il che significa che la destra ha approfittato della ghiotta occasione di attribuirsi una facile e prevedibile vittoria.  E' stato inoltre un contributo alla sempre più evidente disaffezione a qualsiasi forma di votazione, tanto più a quella referendaria che - prevedendo l'obbligo del raggiungimento del quorum - rende di fatto un'opzione legittima e strategica quella dell'astensione (peraltro sollecitata in passato da tutti coloro che non condividevano l'uno o l'altro quesito, destra, sinistra, gruppi sociali e culturali, conferenza episcopale, ecc.).

Anche le percentuali dei sì e dei no sono da brividi e reclamano un'immediata approfondita riflessione politica. I quattro quesiti sul lavoro, come previsto, hanno ottenuto quasi il 90% dei consensi, dimostrando effettivamente che la questione suscita molto interesse, molto probabilmente anche in chi non ha ritenuto di votare, supponendo che in realtà un'eventuale vittoria dei sì non avrebbe modificato granché, stante l'attuale dettato legislativo.

Invece il quesito sulla cittadinanza ha avuto un esito veramente molto preoccupante, al punto da far ringraziare la sorte che ha consentito ai referendum di non raggiungere il quorum. Immaginando che buona parte della destra abbia disertatole le urne, ci si può chiedere che destino avrebbe avuto il quesito sulla riduzione dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza da dieci a cinque anni? Questo forse è il dato più inquietante di tutti. A fronte di un quasi plebiscito da parte dei pochi votanti, il 65% di sì nel referendum numero cinque dimostra che la maggioranza degli italiani è di fatto contraria a qualsiasi facilitazione dell'accesso alla cittadinanza da parte dei migranti. 

E questo è un dato su cui riflettere e su cui non impostare più solo campagne "contro" la destra o per destabilizzare un governo che, al di là delle ordinarie schermaglie, sembra ancora ben saldo. Occorre che ci siano proposte di ampio respiro, veramente e profondamente radicate nella tradizione della sinistra sociale, riguardanti le politiche del lavoro, dell'ambiente, dell'accoglienza, della casa. Siano proposte non calate dall'alto, avulse dai reali problemi che portano le persone a votare a destra o a non votare. Siano il rilancio di una visione complessiva del vivere sociale, in una prospettiva realmente anticapitalista, pacifista e internazionalista.

lunedì 2 giugno 2025

2 giugno, il primato della RES-PUBLICA sulla RES-PRIVATA

 

Un augurio a tutte e tutti! La Festa della "res publica" non esclude nessuno, se non chi ritiene che sia molto più importante la "res privata".

Celebrare il 2 giugno significa riprendere in mano almeno i primi dodici articoli della Costituzione: il lavoro come fondamento, quindi la partecipazione di ogni cittadino alla costruzione dello Stato, il potere che appartiene al popolo. Inoltre non si possono dimenticare la libertà di espressione, di culto e di pensiero, poi la protezione di coloro che bussano alle porte dell'Italia fuggendo dalla guerra e dalla fame, insieme al loro diritto all'accoglienza. Soprattutto, dati i tempi, è indispensabile ricordare il RIPUDIO della guerra come strumento di risoluzione dei problemi internazionali.

Ma la Festa della Repubblica è anche l'occasione per rivendicare il primato dell'interesse pubblico su quello privato, oppure - se si preferisce, ricordando intuizioni più che bimillenarie - la finalizzazione anche della proprietà privata alla destinazione universale delle risorse. 

Al di là delle parole e degli spunti retorici che spesso si sprecano in queste occasioni, è veramente urgente che la Politica (con la P maiuscola) si affranchi dalla deriva privatistica che caratterizza l'attuale momento dell'Italia, dell'Europa e del Mondo. Solo per portare due esempi macroscopici, è evidente quanto la riduzione della Sanità e della Scuola a mere occasioni per generare profitti privati, ricostruisca quella divisioni tra classi che solo qualche anno fa si sperava fosse soltanto un brutto ricordo. Chi se lo può permettere, può ricevere un'istruzione adeguata per poter utilizzare le leve del Potere, gli altri dovranno accontentarsi del ruolo di comprimari. C'è il rischio di tornare al dettato della profetica Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana! E chi se lo può permettere, riceverà (o già riceve, ahimé) cure immediate ed efficaci, mentre gli altri dovranno prendere atto della fine della sicurezza dei Medici di Medicina Generale, delle file sempre lunghe per le visite urgenti, della deprivazione dei reparti ospedalieri a tutto vantaggio dei privati.

Ordunque! Se non si vuole rimanere nei soli enunciati di principio, occorre un soprassalto di convinzione e di coraggio. La rappresentanza politica dello Stato e delle amministrazione locali sia in prima fila nel difendere la RES PUBLICA e nel regolamentare quella privata. E le cittadine e i cittadini, chiamati a esercitare la propria sovranità attraverso gli strumenti messi a disposizione dall'attuale momento del sistema democratico, quando votano si ricordino e si interroghino sugli appetiti di chi propone la privatizzazione selvaggi come presunta soluzione di problematiche che appartengono a tutti. 

mercoledì 28 maggio 2025

La Striscia di Gaza

 

La Striscia di Gaza è un territorio molto piccolo, 365 kmq, abitato da quasi 2.500.000 persone. Per rendersi conto delle dimensioni, l'ex provincia di Gorizia, una delle meno estese in Italia, conta 466 kmq ed è abitata da meno di 140.000 cittadini.

Già dalla cartina annessa, tratta dall'interessante e toccante volume di Nandino Capovilla e Betta Tusset, Sotto il cielo di Gaza, si può  intuire che la situazione attuale non è il frutto dei tragici eventi del 7 ottobre 2023, ma di un'irrisolta questione politica e sociale.

Non c'è  un libero accesso al mare, un altissimo muro circonda l'intero confine con Israele, la frontiera con l'Egitto è quasi insormontabile, il terreno è desertico, non si possono costruire industrie, non si può fuggire dall'enclave, un terzo della popolazione è costituita da profughi da altre zone altrettanto devastate.

Come è possibile sopravvivere in queste condizioni? Come trovano il pane quotidiano milioni di esseri umani ai quali è preclusa qualsiasi possibilità di lavoro, di impegno, di contatto con chi vive al di là della barriera di separazione? Come cercare di attirare l'attenzione del mondo, quando i media planetari sono ingaggiati per presentare un unico punto di vista sul reale?

Gli atti odiosi connessi a una guerra interminabile, praticamente a senso unico, hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone. "C'è stato un bombardamento anche questa notte, una cinquantina le vittime palestinesi" - gracchia la radio suscitando qualche istante di tristezza nell'automobilista concentrato. Una cinquantina di esseri umani ha finito violentemente la sua vita, non c'è più, è sprofondata nel nulla. E così ogni giorno, ogni notte... Un terrore continuo, fine pena mai.

E poi la storia della dottoressa di Gaza che ha perso in un solo colpo 9 dei suoi 10 figli, l'ultimo nato solo qualche mese fa. E poi le immagini della bambina che quasi con calma rassegnata cerca di lasciare la sua scuola in fiamme. E le case azzerate dai bombardamenti, gli ospedali sventrati, i centri di raccolta colpiti, i mercati distrutti, gli aiuti umanitari impediti...

Qui non c'entrano niente la Shoah o i diritti degli ebrei, la catastrofe dei campi di sterminio è una macchia che oscura la storia dell'umanità e come tale resterà nella memoria per sempre. Qui c'entra la miopia di un governo fascista - anche se votato a maggioranza dagli israeliani - quello di Netanyahu e la soggezione dei potentati del mondo, incapaci di mediare una pace giusta e duratura.

E' terribile sentirsi impotenti, in questa situazione. Non servirà forse a molto, ma il grido di protesta popolare può forse essere  l'unico strumento utilizzabile per cercare di cambiare le cose. Sempre che si sia ancora in tempo, perché non è difficile prevedere che questa drammatica instabilità possa risvegliare forme di violenta reazione - o di resistenza, dipende dai punti di vista - in grado di coinvolgere obiettivi sensibili e civili in tutto il cosiddetto Occidente.

Che ci si fermi, finché si è in tempo!

martedì 27 maggio 2025

Buon compleanno, don Lorenzo Milani (27.05.1923 - 26.06.1967)

 

Avrebbe 102 anni, ma il suo messaggio è ancora tremendamente giovane e attuale.

Don Lorenzo Milani è nato il 27 maggio 1923, è cresciuto in un ambiente culturalmente avvincente, prima di decidere improvvisamente di diventare prete. Tale situazione privilegiata sarà sempre per lui una sfida, sollecitando il desiderio di riuscire a passare "per la cruna dell'ago", cosa che secondo l'insegnamento di Gesù sarebbe quasi impossibile a un ricco. Tuttavia l'ambiente familiare gli è rimasto molto impresso, soprattutto il rapporto con la madre, raccolto in un meraviglioso epistolario nel quale si può scoprire l'anima più profonda e intima del grande sacerdote fiorentino. 

Il suo ministero, improntato fin dall'inizio alla comunicazione del vangelo attraverso l'insegnamento della parola, fin dall'inizio si è caratterizzato per un'originalità e un'intelligenza ancora oggi sorprendenti.

A San Donato a Calenzano ha realizzato una scuola popolare che si è trasformata subito in un centro di Cultura. I giovani hanno lasciato i giochi degli oratori e della case del popolo per ascoltare testimonianze e confrontarsi con i maggiori temi sociali e politici dei primi anni '50. Da quell'esperienza, finita con il trasferimento voluto dall'arcivescovo Florit, influenzato dai maggiorenti della Democrazia Cristiana del mondo fiorentino, nascerà uno splendido libro, "Esperienze Pastorali", ancora oggi straordinariamente attuale. Si potrebbe aggiungere un purtroppo, visto che dalla pubblicazione sono passati 70 anni!

Trasferito a Barbiana, una canonica una chiesa e case sparse sul monte Giovi nel raggio di una quindicina di chilometri, ha superato subito lo sgomento di trovarsi in un apparente nulla. Ha obbedito a un'imposizione assurda, ma ha saputo trasformare il suo esilio in un'occasione straordinaria di rinnovamento e crescita di una delle zone più povere dell'Italia nella seconda metà del Novecento. 

Ha messo in piedi la scuola, 365 giorni all'anno per 24 ore al giorno. C'erano lezioni del priore, incontri con grandi personalità della Cultura, dibattiti su qualsiasi argomento importante, lettura quotidiana dei giornali. Non mancava l'insegnamento del catechismo, secondo un metodo molto efficace, legato alla presentazione storica dei personaggi e alla contestualizzazione delle parole. I bambini camminavano anche quattro ore al giorno per andare a scuola - non c'erano strade ma solo impervi sentieri - molti si fermavano a dormire nella povera canonica, aiutati e sorretti anche da Eda Pelagatti, la brava "perpetua" di Barbiana. La scuola era una semplice stanza, al centro c'era la famosa scritta "I care", "mi interessa, mi sta a cuore, "il contrario del motto fascista me ne frego" - usava ripetere don Lorenzo.

Dalla scuola sono nati due degli scritti più noti, Lettera a una professoressa e l'obbedienza non è più una virtù (ma la più subdola delle tentazioni). Nel primo si è messo in discussione il sistema scolastico italiano, sottolineando come l'incapacità di usare la parola sia lo strumento utilizzato dai potenti per schiavizzare i poveri. Nel secondo, che prende le mosse dal processo subito per vilipendio alle forze armate, si parla dell'eroismo dell'obiezione di coscienza al servizio militare e del coraggio dei disertori che in guerra preferivano morire piuttosto che uccidere dei giovani come loro. Molto interessante è il tema della nonviolenza e la condanna di ogni "guerra giusta", esclusa quella partigiana che ha portato la libertà e la cancellazione del veleno nazifascista.

E' incredibile quanto abbia influito la figura di don Milani nella società, nella chiesa e nella scuola. La sua testimonianza è stata breve, la malattia lo ha colpito nel pieno della sua gioventù e lo ha condotto alla morte a soli 43 anni, il 26 giugno 1967. Ma la sua memoria è più viva che mai. La sua canonica spersa sui monti è diventata meta di pellegrinaggi, recentemente ci sono passati il presidente Mattarella e papa Francesco. Chissà cosa avrebbe pensato don Lorenzo, se qualcuno gli avesse detto che nel luogo in cui era stato inviato per punizione, sarebbe passato perfino il vescovo di Roma, la guida della Chiesa cattolica universale!

Tutto questo e molto altro ricorderemo domani, presso Fondazione Friuli a Udine, alle ore 18, per iniziativa di quella bella associazione che è quella dei Toscani in Friuli. Veramente una bella occasione per ricordare e conoscere meglio il Priore di Barbiana, colui che ha scelto di essere sempre "dalla parte dell'Ultimo".  

martedì 20 maggio 2025

Quando una luce di pace?

 

Sembra proprio che l'umanità sia finita dentro un tunnel e, pur vedendo la luce, non riesca a venirne fuori.

Quello che sta succedendo a Gaza è assolutamente inaccettabile e ingiustificabile. No, non si dica che la causa è Hamas o che non si condannino sufficientemente gli attentati del 7 ottobre 2023. No, perché ciò che sta accadendo è totalmente sproporzionato e la sofferenza di migliaia di persone, soprattutto di tantissimi bambini, è uno scandalo che sconvolge lo stesso concetto di essere "umani". No, perché quasi tutti coloro che non possono accettare il genocidio in atto, hanno senz'altro deplorato la violenza che ha portato alla morte tanti giovani innocenti.

Ma come si può accettare il massacro in corso? Cosa si può fare per fermarlo? E' terribile l'impotenza della Comunità Internazionale, non nuova peraltro, ma tragicamente coerente con il sostegno dato a Israele anche di fronte alla distruzione dei villaggi palestinesi, agli insediamenti dei coloni e a ogni forma di persecuzione attuata non da oggi o da ieri, ma da almeno ottanta anni. 

L'altro fronte assurdo è quello dell'Ucraina, dove gli sforzi (?) di pace sembrano voler portare a una soluzione già prospettata ancora prima dell'inizio di questa guerra. Se così fosse, centinaia di migliaia di giovani sarebbero stati sacrificati assolutamente per nulla. Interessante è stata la proposta di negoziare la pace in Vaticano. Certo, sarebbe un bel segnale, anche se bisognerebbe vedere quali prezzi diplomatici dovrebbero poi essere pagati a Trump e agli altri pretendenti padroni del mondo.

Senza volergli dettare l'agenda, forse sarebbe meglio che il nuovo Papa Leone trasformi le parole in azione. Un suo viaggio - o almeno tentativo - a Gaza potrebbe veramente contribuire a rimescolare le carte e a fermare il genocidio. E un suo intervento presso i vescovi e il popolo cattolico di Ucraina potrebbe certamente aiutare a cercare delle soluzioni che vadano oltre al livello prettamente diplomatico. Il suo predecessore sembrava aver intuito che le parole ormai non bastano più, che occorrono i gesti eclatanti. E cosa più sconvolgente di un Papa che si macchia la veste bianca tra le macerie di Gaza?

Anche Nova Gorica e Gorizia, se vogliono davvero essere anche capitale europea della pace, devono darsi una mossa e proporsi come ideale luogo di trattative nel cuore stesso dell'Europa. Dicono di averlo già fatto, ma perché non ripetere la proposta - da parte dei sindaci Turel e Ziberna - di invitare i negoziatori proprio nella Capitale europea della Cultura?

Oppure anche ad Aquileia, crocevia tra nord e sud, este e ovest, pianure sarmatiche e Mediterraneo?

giovedì 15 maggio 2025

IO ANDRO' A VOTARE E VOTERO' SI'

Sì. 

Io voterò con convinzione SI' ai cinque quesiti del referendum che si terrà in Italia l'8 e il 9 giugno. 

Mi sembra giusto sostenere leggi che garantiscano il lavoro, scongiurino i facili licenziamenti, custodiscano il diritto alla sicurezza.

Mi sembra molto giusto che si dimezzino gli anni necessari per l'ottenimento della cittadinanza.

Voterò SI' perché ogni quesito è in linea con le mie idee, la mia concezione della vita, la mia posizione politica.

Detto questo, darei un consiglio d'amico, per far arrabbiare anche i miei compagni di strada.

Concentriamoci in ogni modo possibile sull'invito a votare SI', offrendo tutti gli strumenti necessari per una conoscenza approfondita dei temi e delle conseguenze dell'accettazione o del rifiuto dei quesiti referendari.

Ma non cadiamo nella trappola di identificare l'astensionismo con la mancanza di democrazia. 

Tale accusa, rivolta a chi fa propaganda per il non voto, favorisce proprio ciò che non si vorrebbe: dal punto di vista strategico, i già convinti non hanno bisogno di essere convinti, gli astensionisti apriori ovviamente resterebbero fedeli alla loro idea e gli incerti, infastiditi dall'insistenza sull'andare a votare, probabilmente deciderebbero di non andarci.

Dal punto di vista legislativo, quello del voto referendario non è mai stato un obbligo costituzionale o morale, a differenza di ciò che concerne le elezioni politiche e amministrative. Il "non voto" è di fatto considerato una scelta possibile e democratica quanto votare SI' o no, quella cioè di cassare una proposta referendaria attraverso il non raggiungimento del quorum (che esiste proprio per questo).

Dal punto di vista morale, attenzione a dare lezioni: in ogni referendum c'è stata una posizione astensionista, sostenuta dalla destra o dalla sinistra o dal mondo cattolico, a seconda del quesito referendario. Per esempio, perfino la Conferenza Episcopale Italiana "obbligò" ufficialmente i fedeli cristiani a non andare a votare, in occasione dei referendum relativi alla procreazione assistita! In altre parole tutti - anche Levica in occasione del referendum in Slovenia della scorsa domenica - hanno usato l'astensione come strategia e proposta politica in occasione dei referendum.

Procediamo dunque con decisione e creatività nell'invitare gli elettori a votare SI', ma lasciamo perdere il rilascio di patenti di democrazia. Queste potranno essere revocate a un numero sempre maggiore di cittadine e cittadini, ma per ben altri motivi rispetto all'invito a non partecipare a questo specifico voto.

domenica 11 maggio 2025

Gorici, le/la capitale europea della Pace? Sì, ma come?

 

Mettete dei fiori nei vostri cannoni! Cantavano i Giganti nei gloriosi anni '60. 

Ma come rendere concreta la parola "pace"? Come far sì che "la pace sia con voi" non sia molto più che un saluto all'inizio di una celebrazione?

E' difficile dare risposta a queste domande, ma una realtà concreta da proporre c'è, eccome!

Nova Gorica con Gorizia capitale europea della Cultura. Lo si è detto molte volte, ma dal punto di vista pratico, al di là di qualche pur importante marcia e di un assai interessante convegno, non si è ancora manifestato tutto il potenziale di pace insito nella scelta di nominare punto di riferimento per l'intera Europa una terra straordinaria. Dove la diversità è stata osteggiata e vilipesa, dove è scorso tanto sangue a causa del nazionalismo e del razzismo, ora si vuole porre uno strabiliante segno di come invece essere insieme, uniti nella valorizzazione delle differenza, sia la condizione per generare cultura, arte, accoglienza, autentica umanità.

Ma occorre un ulteriore salto di qualità. Questa/e città senza più barriere deve diventare il luogo in cui decine di migliaia di persone, soprattutto giovani, vengono da ogni parte per gridare il loro no alla guerra, al genocidio di Gaza e a tutti i genocidi, all'assurdo riarmo che sembra una priorità di un'Unione in crisi... Deve diventare il posto ideale per avviare le trattative tra rappresentanti di  popoli in guerra. I sindaci, il gect, GO2025 possono invitare le delegazioni di Ucraina e di Russia, dare la cittadinanza onoraria ai Palestinesi senza Patria, porre grandi segni politici capaci di far saltare sulle sedie i padroni del vapore?

E' da cogliere questa incredibile occasione. Gorici (=le due Gorizia) capitali europee e mondiali della pace. Sono solo parole o ci si può muovere davvero in questo senso? Ma non solo con incontri e convegni per gli addetti ai lavori, ma con un grande investimento per aiutare ogni cittadina e cittadino a essere pienamente consapevole della responsabilità che lo investe, di essere, nel suo piccolo, enorme costruttore di pace nel mondo. 

Basta con le parole, è ora di diventare operativi. Ben vengano concerti e conferenze, ci siano manifestazioni di ogni tipo, con un immenso grazie a chi organizza e promuove. Ma per costruire la dvojna (doppia) città della pace occorre un ulteriore soprassalto di creatività, di idee e di impegno.

giovedì 8 maggio 2025

La pace sia con voi! Da Pietro a Leone XIV

 

Mai come in questa occasione, l'attenzione dei media è stata centrata sul Conclave, evento molto emozionante nella sue essenza tradizionale. 

Pietro è stato la prima guida della chiesa di Roma, fino al martirio, subito nel Circo Vaticano. Il cattolicesimo ha riconosciuto nelle parole attribuite a Gesù nei vangeli, il mandato affidato all'apostolo di essere "pastore" dell'intera comunità ecclesiale.

E' stato sepolto in tutta fretta con la più semplice delle sepolture possibili, la tomba alla cappuccina, quella dei più poveri dei poveri. Il luogo è stato venerato nei primi tre secoli, poi incorporato in uno scrigno di marmo nero voluto da Costantino che ha fatto erigere la prima basilica vaticana. E' stata riaperta dagli studiosi solo nel 1943, dopo lo sblocco degli studi scientifici relativi alle origini cristiane, uno dei casi archeologici più interessanti del XX secolo.

E' impressionante pensare al contrasto tra la semplicità dei primi passi, il coraggio della comunità romana perseguitata nei primi suoi momenti e l'immensa trionfante, sovrastante cupola di Michelangelo e del tempio rinascimentale. Così come è suggestivo immaginare la differenza tra quel primo momento di sofferenza, persecuzione e forza interiore costituito dalla crocifissione di Pietro e il sistema di potere che oggi caratterizza l'elezione del suo successore, accompagnato dalle bande militari e dagli onori riservati a un Capo di Stato.

Ecco, tutto ciò per introdurre la figura e il nome del successore del primo papa Pietro e dell'ultimo Francesco. E' Robert Francis Prevost che ha preso il nome di Leone XIV. Un papa agostiniano. E' uno statunitense che ha preso un nome molto impegnativo. Leone I Magno fermò Attila sul Mincio, all'inizio del cristianesimo imperiale, Leone X fu uno dei più controversi papi del potere rinascimentale, Leone XIII fu il papa della Rerum Novarum, ma anche dalla condanna del modernismo. Nel suo abito, per la presentazione al popolo, è ritornato alla tradizione pre-papafrancescana, con la stola portante i segni pontificali. Le sue parole iniziali sono state molto belle: la pace sia con voi! Dio ci vuole bene, il male non prevarrà. Sembra una persona molto seria, forse non avrà il carisma immediato del predecessore, ma certamente potrà portare un contributo di forte pensiero all'interno di una Chiesa "che costruisce ponti ed è aperta al dialogo". Un discorso sicuramente più da guida sicura che cerca l'unità della Chiesa  che da sperimentatore di nuove strade di collegamento con le altre confessioni cristiane, con le religioni e con il mondo contemporaneo. Forte discontinuità con Francesco, in questa prima immagine... 

Sarà un costruttore di unità a scapito della forza di Riforma oppure sarà un grande Riformatore, rischiando se necessario anche uno scisma? Sarà in rotta di collisione con il nuovo Attila Trump, il potere statunitense e i potenti della Terra oppure sarà un elemento di compromesso, nella speranza di una pacificazione. 

Alle prossime ore ulteriori commenti e interpretazioni.

domenica 4 maggio 2025

Le innumerevoli risorse di Kostanjevica

 

In tempi complessi, c'è bisogno di alimentare la mente e il cuore con iniezioni di bellezza, tanto più nell'anno della Capitale europea della Cultura. Per chi vive a Gorizia e Nova Gorica, c'è una miniera sempre aperta, dove poter scoprire nel corso di ogni visita qualcosa di nuovo. Ma c'è anche una guida impareggiabile, Mirjam Brecelj che conosce tutti i segreti del luogo e ogni volta aiuta a scoprire ciò che in precedenza era rimasto nascosto.

Il consiglio, in questi primi giorni di maggio, è quello di andare a Kostanjevica, anche per gustare la simpatica e intelligente accoglienza dei padri francescani. E' aperto il magnifico roseto con le rose Bourbon. Il loro nome non deriva,come molti pensano, dalla particolare predilezione di mostrata dall'ultimo re di Francia borbone per il santuario, ma da un'isola sperduta, oggi chiamata Reunion, tuttora dipartimento francese nell'Oceano indiano. 

La diversità di colori e di profumi non può essere descritta, non si può fare altro che entrare nel giardino e lasciarsi cullare, contemplando dall'alto la bellezza della città vecchia, abbarbicata intorno al castello. 

Ma Kostanjevica, il colle delle castagne che peraltro non ci sono più, non è soltanto esplosione primaverile della natura. C'è un'assai interessante e ben custodita biblioteca che conserva decine di incunaboli, testi in molte lingue, libri liturgici, filosofici e storici. Tra essi c'è la grammatica slovena di Adam Bohorič, stampata nel 1584, con una dedica manoscritta dello stesso autore. Già di per sé testo stampato raro e quasi introvabile, l'autografo ne sottolinea l'eccezionale importanza per quanto riguarda la storia della lingua e della letteratura slovena.

Naturalmente il santuario, conosciuto a Gorizia con il nome di Kapela, sorto sulla memoria di presunte apparizioni e fenomeni soprannaturali verificatisi oltre quattrocento anni fa, è celebre a livello europeo perché ospita la tomba di Carlo X, morto a Gorizia, nel palazzo Coronini, nel 1836, dopo essere stato costretto a un avventuroso esilio. accanto al suo massiccio sarcofago, ce ne sono altri che custodiscono i corpi di familiari e collaboratori dell'ultimo re della dinastia dei Borboni.

I campi che circondano santuario e chiesa sono molto ben coltivati dagli ospiti della Comunità Incontro. Lo sguardo si spinge oltre e raggiunge la foresta dello stupendo parco di Villa Rafut, un polmone verde appena risistemato e inaugurato che ha come suo centro focale la casa in fogge orientali costruita su disegno del grande architetto sloveno goriziano, anzi sanroccaro Anton Laščak. Il destino gli ha impedito di godere dell'edificio realizzato per trascorrere in serenità, in mezzo alla natura, gli ultimi anni della sua vita. Ma la sua opera, come tante altre diffuse da Alessandria d'Egitto fino a Istanbul, resta una perenne testimonianza e memoria.

Buona parte del complesso è stata distrutta dalle bombe nel corso della prima guerra mondiale. Rimangono intatte le molto suggestive cantine e qualche parte della chiesa, ristrutturata e resa di nuovo bella grazie alla ricostruzione postbellica.

Perché sottolineare solo all'ultimo posto la stupenda chiesa, vero cuore pulsante del santuario? Perché è lì che nell'ultima visita, sempre grazie alla guida di Mirjam, ho scoperto un nuovo aspetto, sfuggito nelle tante visite precedenti. Sono splendidi gli stucchi, sotto il coro, belli gli affreschi sopravvissuti nel presbiterio, dolce la Madre di Dio che sorride con il bimbo da un medaglione sopra l'altare, "salus populi goritiensis" si potrebbe definirla. 

Ma chi poteva immaginare la presenza di un'opera di quell'assoluto genio architettonico e artistico che è stato Jože Plečnik? Oltre ad aver contribuito in modo determinante alla ricostruzione di Lubiana dopo il terremoto del 1895, ha lasciato innumerevoli segni della sua presenza in tante capitali europee. Sono da visitare tante sue chiese, nella capitale slovena ma anche in tanti luoghi più o meno conosciuti, come per esempio a Ponivke, sull'affascinante altopiano della Šentviska gora. Ma chi si poteva aspettare un moderno battistero attribuito a Plečnik nei pressi dell'altare della chiesa dedicata a Maria in Kostanjevica? E'una bellissima opera, dorata e argentata, che da una parte richiama le parole inconfondibili del battesimo di Gesù "in acqua e fuoco", dall'altra, rappresentando i simboli delle costellazioni, collega la celebrazione cristiana del battesimo alla solennità dell'inizio di una nuova vita. E' un'avvincente e convincente testimonianza dell'inchino al mistero dell'essere, portato da un punto di cista religioso, ma soprattutto artistico, laico e umano. Veramente da non perdere!

lunedì 28 aprile 2025

Roma senza Papa...

Per la Chiesa cattolica, il periodo della “vacanza” è quello che intercorre fra la morte o dimissione di un vescovo di Roma e l’elezione del successore. E’ un momento molto particolare, nel quale si rincorrono le voci e impazza il totopapa. Difficile è esimersi dal commentare e dal provare qualche tentativo di analisi, a livello più giornalistico che di approfondimento della fede.

Una volta terminate le solenni esequie, si comincia anche ad affrontare un’analisi meno immediatamente coinvolta delle azioni e delle parole dello scomparso, anche per cogliere gli elementi essenziali dell’eredità affidata a colui che ne prenderà il posto. L’entusiasmo quasi unanime che ha accompagnato la morte e i funerali di Francesco è la cifra dalla quale partire per comprendere meglio ciò che in quest’ultimo decennio è accaduto.

Dai media sono scaturiti fiumi di espressioni colme di retorica, dal papa degli umili a quello degli ultimi, da quello della gioia a quello della pace. Ma quanto ha inciso veramente il suo magistero, nel mondo e nella Chiesa?

Sicuramente è stato più amato fuori dalle cerchie ecclesiastiche che al loro interno. Aiutato da un sostegno mediatico “laico” superiore a quello riservato a qualsiasi altro predecessore, ha sicuramente potuto sottolineare con forza alcuni gangli vitali del mondo contemporaneo. Ha parlato di pace e di trattativa come ineliminabile strumento per risolvere la guerra in Ucraina, anche se dal punto di vista pratico i suoi sforzi – mediati dalle infruttuose missioni del cardinale Zuppi – non hanno ottenuto nemmeno l’appoggio dei cattolici ucraini. Ha denunciato con chiarezza il “crimine” e il “terrorismo” degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, arrivando vicino a pronunciare la parola “genocidio”. Non si è mai stancato di parlare a favore dei migranti e all’obbligo dell’accoglienza e dell’assistenza, anche in questo caso ottenendo giustamente grande simpatia da parte di chi fa salti mortali per salvare le vite nel Mediterraneo e nei Balcani. Ma anche in questo caso non ha ricevuto in cambio altro che imbarazzate ma quasi amichevoli pacche sulle spalle da sindaci e governanti nazionali e internazionali, pronti a saltare sul suo carro prima ancora della sepoltura. Si è pronunciato molto sulla necessità che gli Stati garantiscano i fondamentali diritti alla vita, alla libertà e alla giustizia sociale, proponendo un alto magistero, forse un po’ indebolito dal suo essere, al pari dei suoi collocutori, un Capo di Stato. E di uno Stato assai importante, crocevia di problematiche economiche, politiche e culturali tutt’altro che trascendenti. Hanno destato molta attenzione le sue encicliche, prime fra tutte la Laudato sii e Fratelli tutti, piene di forti raccomandazioni riservate alla custodia del creato e alla fraternità e sororità universali. Anche in questo caso, le sue proposte hanno suscitato molto più consenso che dissenso, senza che per questo divenissero spunto di studio a livello accademico internazionale, orientamento scientifico sul quale improntare le scelte planetarie dei prossimi decenni e secoli. La reiterata denuncia dei produttori e dei venditori di armi – convenzionali e di distruzione di massa - non è arrivata fino al punto di chiedere la distruzione di tutti gli arsenali esistenti e la riforma degli statuti delle Nazioni Unite. E forse per questo in piazza san Pietro l’altro giorno c’erano molti rappresentanti di tante Nazioni, iperintrallazzate proprio con gli interessi legati al commercio degli strumenti di morte. Molto apprezzato è stato anche l’interesse attivo e costruttivo nei confronti dei più deboli della terra, anche questo tuttavia accompagnato dalla difficoltà di trasformare una Chiesa cattolica straricca, proprietaria di beni mobili e immobili giganteschi, in quella che Francesco avrebbe voluto come “Chiesa povera tra i poveri”. In sintesi, le parole programmatiche pronunciate sull’aereo, al ritorno da uno dei tanti viaggi intercontinentali e riferite a tutt’altro contesto, possono rilevare la forza e la debolezza di questo pontificato, dal punto di vista della politica estera: “voglio una chiesa senza banca vaticana”? Il che vuole dire affascinante e simpatetico nuovo modo di guardare a un mondo post e ultramoderno in evidente difficoltà, ma anche potrebbe voler rilevare l’impotenza nel voler affrontare e superare le dinamiche più complesse.

E qui si entra nel secondo capitolo, quello relativo alla partecipazione interna alla vita della Chiesa cattolica. Anche se ora quasi tutti osannanti, molti sono coloro che negli ultimi anni hanno espresso dubbi sulla conduzione “ecclesiastica” di papa Francesco. C’è stata un crescente critica tradizionalista, da destra, relativa più agli atteggiamenti che alle deliberazioni della santa sede. Si è rilevato come la semplicità estrema dei gesti simbolici papali – dalla famosa valigetta portata in aereo senza portaborse alle utilitarie (pur scortate da cortei di auto blu) – abbia messo in pericolo il concetto di sovranità e di infallibilità attribuiti al capo della Chiesa dal Concilio Vaticano I. Si è fatto presente il vero e proprio rovesciamenti di interesse accaduto dopo la repentina dimissione di Ratzinger: se il vecchio Benedetto XVI sottolineava l’importanza prioritaria della fedeltà alla Verità custodita autorevolmente dalla Chiesa cattolica, il suo successore fin dal dialogo con Eugenio Scalfari ha manifestato la sua simpatia per la relazione con l’altro, condizione previa a qualsiasi imposizione dogmatica. Se per il secondo c’erano i principi non negoziabili legati al concetto medievale di “natura”, per Francesco era evidentemente molto più importante non negoziare i temi legati alla pace, allo sfruttamento dei poveri e al rifiuto dell’accoglienza dei migranti. Se per Benedetto XVI, ispiratore della Dominus Jesus di Wojtyla, il cristianesimo ere l’unica via per un pieno rapporto con il divino, per Bergoglio ogni religione, a determinate condizioni, è una strada per arrivare a Dio. E così via, con mille altri possibili esempi. D’altra parte, anche se in misura minoritaria, c’erano anche i contestatori progressisti, da sinistra, che rimproveravano al papa l’incapacità o la mancanza di volontà nel trasformare le grandi intuizioni preannunciate attraverso le scelte personali in normativa di diritto canonico, in grado di rivoluzionare realmente e fino in fondo la Chiesa cattolica. Non si è arrivati ad affrontare e avviare una riflessione sul sacerdozio cattolico femminile, sulle tematiche legate al celibato obbligatorio per i ministri ordinati, neppure perfino alla liberalizzazione della comunione per i fedeli divorziati risposati. E non si possono passare sotto silenzio anche alcuni motivi concreti di imbarazzo e perplessità, in particolare – per citarne solo due – le ritrosie nel portare finalmente a piena luce le incredibili zone di buio del caso Emanuela Orlandi e le sostanziali ambiguità espresse di fronte all’imbarazzante caso Rupnik, addirittura con il mancato ascolto delle donne coinvolte negli abusi da esse denunciati. Comunque, dando uno sguardo positivo all’insieme di un pontificato che ha avuto senz’altro molte più luci che ombre, si potrebbe dire che la posizione di Francesco indicherebbe una strada radicalmente nuova, quella di un cristianesimo “federale”, di una considerazione egalitaria della relazione con le religioni e di un rispetto profondo e dialogante con le nuove istanze dell’ateismo moderno. Francesco avrebbe voluto arrivare fino a questo punto? O forse, si è limitato a suggerire sommessamente la via, lasciando le scelte ai suoi successori, rendendosi conto che una simile Riforma avrebbe richiesto lo smantellamento del Potere della cattolicità nel mondo attuale, la revisione dell’esistenza stessa della Città del Vaticano, la perdita di prestigio e privilegio in numerosi Paesi del mondo capitalista?

A parte il manipolo di poveri che hanno atteso la salma di Francesco a Santa Maria Maggiore, i funerali di piazza san Pietro e l’attesa frenetica del nuovo Conclave e dei suoi secolari rituali, sembrano per ora riportare l’orologio della Chiesa cattolica al momento delle scelte precedenti. La grande maggioranza di cardinali scelti da Bergoglio induce a immaginare un nuovo papa non troppo distante dai “desiderata” del “transitato”. Tuttavia la difficoltà starà nel decidere se appunto radicalizzare le posizioni di Francesco e creare le condizioni per una nuova Chiesa, finalmente, dopo più di 1700 anni post-costantiniana, con annesso possibile scisma dei tradizionalisti. Oppure cercare una soluzione di mediazione, attraverso una diplomazia in grado di ricostruire ponti e relazioni con chi in questi anni ha storto il naso, rischiando però l’intiepidimento e la delusione di coloro che in questi dieci e più anni, hanno comunque sentito il papa “vicino” alle ong sulle navi del Mediterraneo, ai migranti rinchiusi nei Centri per il Rimpatrio, agli obiettori di coscienza e al mondo ecologista. Ai tantissimi cioè che – in questi giorni di distacco – hanno detto quasi sempre le stesse parole: “io non sono credente e non mi sono mai interessati agli affari della Chiesa, ma rispetto come grande essere umano la figura e l’opera di papa Bergoglio”.

venerdì 25 aprile 2025

Buon 25 aprile 2025! La Resistenza, patrimonio dell'umanità

Monumento ai caduti partigiani, sloveni e italiani, nel cimitero di Nova Oselica

 Degli orrori del nazismo e del fascismo ci sono infinite tragiche memorie ovunque. In questo 25 aprile, ottanta anni dopo, si è chiamati a ricordare i valori della Resistenza, soprattutto il sacrificio di coloro che hanno rischiato e perso la vita nella lotta per la Liberazione.

L'opposizione al fascismo nel Regno d'Italia è stata opera di politici e intellettuali illuminati - come Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e molti altri. In forma organizzata è iniziata con l'azione di cittadini italiani di nazionalità slovena, che hanno combattuto già dall'inizio del secondo decennio del Novecento per difendere la lingua, la cultura e la coscienza del popolo sloveno. Tra loro ci sono i fondatori del movimento TIGR, fondato nel 1927 nella riunione sul Monte Nanos. Tra essi sono da ricordare i giovani di Basovizza e quelli di Opicina, fucilati dai fascisti a Basovizza e a Opicina, dopo i due processi farsa di Trieste. Non è stato attribuito loro il titolo di eroi dell'antifascismo, l'Italia li ricorda ancora come "terroristi", nonostante l'omaggio congiunto dei presidenti Pahor e Mattarella di tre anni fa. Ci sono anche tanti altri caduti, prima ancora dello scoppio della guerra, il mite musicista e maestro di coro Lojze Bratuž, trascinato via dalla messa del 27 dicembre 1937, costretto a bere olio di ricino mescolato con olio di motore e morto un paio di mesi dopo, con tremendi dolori, nell'ospedale di Gorizia. Anche la moglie, la poetessa Ljubka Šorli, è costretta all'arresto, alla tortura e all'internamento.

Sono da ricordare anche coloro - partigiane e partigiani - che hanno disertato dall'esercito italiano prima dell'8 settembre 1943, per militare nelle formazioni dell'esercito di liberazione jugoslavo, come pure quelli che - a partire dalla battaglia di Gorizia - sono entrati nei movimenti della Garibaldi e dell'Osoppo per combattere contro l'occupatore nazi-fascista nei quasi due anni successivi.

Della loro vita sui monti rimangono tanti segni che non devono essere semplicemente trattati come una sorta di archeologia moderna. Sono invece testimonianze estremamente vive dell'orrore che può scaturire dalla dimenticanza dei valori umani, come pure dell'eroismo di chi ha cancellato quell'orrore combattendo contro eserciti dalle forze preponderanti. I luoghi che ricordano gli stermini di massa e quelli che raccontano l'epopea partigiana dovrebbero essere valorizzati come patrimonio immateriale, ma anche monumentale, dell'intera umanità.

Celebriamo questo 25 aprile 2025 con un particolare invito alla vigilanza. Il razzismo, la xenofobia, la mancanza di rispetto per i valori culturali, religiosi, filosofici, sembrano essere tornati fuori dai sotterranei della storia. C'è da preoccuparsi per la risorgente nostalgia per le epoche oscure delle dittature, per la rinascente venefica voglia di menare le mani, a livello interpersonale e internazionale. 

La stessa strumentalizzazione incarnata nella decisione dei cinque giorni di lutto - in un Paese sedicente laico! - per la morte di papa Francesco sembra andare nella direzione della deprivazione dell'importanza della ricorrenza del 25 aprile. Celebrarlo nel migliore dei modi è invece, per coloro che lo desiderano, la forma più adeguata per ricordare un uomo che ha dedicato una parte cospicua del suo magistero alla pace, al disarmo, all'accoglienza dei migranti, alla scelta dei poveri e alla giustizia sociale.