mercoledì 30 settembre 2020

Smantellare lo Stato Vaticano per trovare la libertà spirituale

Perché è necessario avviare lo smantellamento dello stato della Città del Vaticano? Perché è l'ultimo retaggio del potere temporale del Papa e della Chiesa cattolica. E' necessario avviare le pratiche per una transizione non troppo traumatica perché non si tratta affatto di un ente simbolico, bensì di un gigantesco crocevia di affari planetari, garantiti da intrallazzi economici e finanziari di ogni tipo, da una rete diplomatica di altissimo livello, dal possesso di uno dei più cospicui patrimoni culturali dell'umanità e dalla sincera accettazione - più o meno tollerata - di oltre un miliardo di persone.

"Saltando" lo Stato Vaticano, dovrebbero essere resi inefficaci tutti quegli accordi con gli altri Stati che vengono chiamati Concordati, di fatto dei vincoli reciproci tra Chiese nazionali e Poteri politici che non fanno bene né alle une né agli altri. Gli scandali vaticani ed ecclesiastici sono sempre esistiti, dal secondo dopoguerra in poi fanno part della storia contemporanea, al punto che secondo alcuni avrebbero portato fino alla soppressione fisica di un Pontefice, dopo soli 28 giorni di pontificato. C'è poco da strapparsi le vesti o, peggio, di rovesciare tutta la colpa solo sul reo confesso di turno. In un sistema di potere assolutista e così fortemente radicato in tutte le forme di potere esistenti sulla Terra, la corruzione e l'interesse privato sono una tentazione permanente e una piaga endemica che possono essere estirpate esclusivamente attraverso un'operazione radicale.

Anche senza parlare di gravi reati, anche nell'ordinario scorrere delle relazioni reciproche tra potere politico, temporale e spirituale, si possono individuare motivi di perplessità. Mentre si contestano autorevolmente - e giustamente! - i privilegi e le clientele presenti ovunque, se ne accettano alcuni dallo Stato senza muovere un dito, quando essi riguardano la Chiesa cattolica. Tra i tanti, si possono portare un paio di esempi italici, mai messi in discussione nemmeno da Francesco e dal peraltro molto illuminato Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Bassetti. 

Per insegnare religione cattolica nelle scuole italiane ed essere configurati come docenti nominati (e giustamente retribuiti) dal Ministero della Pubblica Istruzione, non bastano i titoli di studio, occorre un documento di idoneità sottoscritto dall'autorità religiosa, nella fattispecie il Vescovo diocesano o chi ne fa le veci. In un Paese e in una Scuola sedicenti laici, un servizio importante alla formazione dei giovani è condizionato dall'accordo espresso da un'autorità religiosa. Ciò, al di là delle parole e dei proclami, costringe di fatto l'insegnante a dipendere, nella sua didattica ma anche nelle scelte della vita individuale, dal buon cuore e dal buon senso di un Prelato che potrebbe impedirgli la nomina o anche farla cancellare. Ma ciò, anche nell'indiscussa professionalità degli insegnanti, rende meno libero l'insegnamento e lo avvicina a una sorta di catechesi a favore dei soli avvalentesi, quando invece un programma "laico" di religione cattolica potrebbe essere davvero indispensabile, anche a chi viene da lontano, per comprendere meglio le dinamiche storiche, culturali e sociali, italiane ed europee.

Altro esempio, l'8/1000. Si sa che all'atto della sottoscrizione della dichiarazione dei redditi, si può segnare in una casella l'ente al quale si ritiene di affidare l'8 per mille del proprio reddito. Circa metà italiani, forse anche più, non firma in nessuna casella, per cui sarebbe logico che la decina di enti ai quali si può devolvere si spartiscano la "metà" corrispondente ai sottoscrittori, lasciando allo stato l'altra metà. Invece non è così. La percentuale dei firmatari determina la spartizione dell'intero bottino. Essendo la Chiesa cattolica destinataria di circa l'85% delle firme, essa non si porta a casa l'85% del 50%, bensì dell'intera posta. Ovviamente poi lo Stato non avrà sufficienti mezzi per poter sopperire alla miriade di necessità della cittadine e dei cittadini, soprattutto di quelli più poveri, la cui cura sarà delegata, come nell''800, alla Chiesa Cattolica.

Insomma, libera Chiesa in libero Stato è ancora la formula dimenticata ma indispensabile, per curare gli interessi dello Stato - cioè quelli di ogni appartenente al popolo sovrano - ma anche per salvare quella libertà spirituale che dovrebbe essere l'unica vera forza rivoluzionaria e riformatrice dei discepoli di Gesù. 

lunedì 28 settembre 2020

Scandali nella Chiesa cattolica: Francesco, vero Riformatore o semplice riparatore delle falle del sistema?

Per il Vescovo di Roma Francesco è giunto il momento della verità. Vuole essere ricordato come un rivoluzionario riformatore o come un semplice riparatore di qualche inqualificabile eccesso? Nel primo caso passerà alla storia per aver seguito l'unica strada che darebbe ancora un senso all'esistenza stessa della Chiesa cattolica, nel secondo la sua memoria sarà semplicemente cancellata da chi verrà dopo di lui, sia che si collochi nella sua stessa linea, sia che preferisca riportare le cose all'ordine precedente.

I dibattiti e gli scandali quotidiani che si susseguono in Vaticano investono la sfera morale (l'ancora irrisolta questione della pedofilia, se non dilagante, senz'altro dilagata, il tema del matrimonio omosessuale, la definizione dello stesso concetto di eutanasia...), quella politica (la complessa navigazione tra simpatie nei confronti delle sinistre laiche, diffidenze verso le destre ipercattoliche, tentazioni populiste e proiezioni pauperistiche e ambientalistiche...) e naturalmente quella economica (i traffici con le banche, l'uso spregiudicato dei soldi destinati ai poveri, gli investimenti problematici...).

In tutto ciò Francesco appare completamente solo, non si capisce se per scelta, dal momento che quasi tutte le sue nomine di curia sembrano essere state poco felici o per costrizione, data la forte opposizione interna che riscontra ovunque, in particolare dalla decisiva componente conservatrice. La domanda che ci si pone è se il papa sia così fiducioso da ritenere davvero "solo in parte riformabile" la struttura visibile della Chiesa cattolica o se non percepisca il richiamo a essere vero "uomo della Provvidenza", provvedendo di conseguenza a dei cambiamenti radicali, primo fra tutti la fine dell'esperienza del potere temporale, sopprimendo quell'ultimo rimasuglio di una storia ormai finita che è lo Stato della Città del Vaticano, con tutti gli annessi e connessi.

Se così fosse, Francesco non avrebbe altra scelta che quella di creare intorno a sé una duplice Commissione. La prima, teologica, dovrebbe "costruire" una teoria di un nuovo cattolicesimo, svincolato da "primati" e da "infallibilità", aperto al dialogo federale con le altre confessioni cristiane e al confronto simpatetico con le religioni, fondato sul primato della coscienza sulla legge, svincolato dalla concezione sacrale di un sacerdozio da riportare alla sola dimensione del presbiterato funzionale, spalancato alla presa d'atto dei diritti individuali e sociali. Insomma, si dovrebbe pensare all'autentico ritorno all'era pre-costantiniana, senza luoghi di culto o strutture imperiali, all'epoca gloriosa degli apostoli e dei martiri, sull'esempio del fondatore Gesù di Nazareth.

La seconda Commissione, composta da persone esperte, molto competenti e pratiche, dovrebbe gestire la conseguente chiusura di tutte le attività commerciali e di tutte le relazioni di potere che la Chiesa Cattolica tuttora gestisce a livello planetario. La fine dello stato significa la fine delle Nunziature apostoliche, della diplomazia vaticana, dei privilegi sociali ed economici, dello IOR e degli intrallazzi valutari, anche del gigantesco sistema caritativo  e delle centinaia di migliaia di strutture diocesane e religiose. La Chiesa sarebbe riportata alla sua originaria essenzialità, scomparendo dall'orizzonte del Potere e ritrovandosi gigante dispensatore di speranza in un ambito quasi esclusivamente spirituale.

Certo, sono enormi cambiamenti che richiedono tempo, decisione ed energia, ma che soltanto un Papa potrebbe favorire e realizzare, come ultimo atto del suo Potere supremo e unico al mondo per la sua assolutezza alla quale pure dovrebbe rinunciare. Ma sono trasformazioni indispensabili che il Papa dovrebbe avere il coraggio di avviare, se appunto vuole essere ricordato come il vero Riformatore della Chiesa e non soltanto come il riparatore di qualche falla aperta nello scafo della barca di Pietro. 

domenica 27 settembre 2020

La manifestazione di ieri a Udine: tutto bene, fin troppo bene...

La manifestazione organizzata sabato pomeriggio da rete DASI del Friuli Venezia Giulia in piazza primo maggio a Udine è andata molto bene, anche grazie a un'organizzazione delicata e perfetta. Numerosi i presenti, ben distanziati e diffusi sul prato, in un contesto multicolore reso suggestivo dal colore delle coperte dorate agitate dai presenti durante l'iniziativa. Interessanti e spesso avvincenti gli interventi, da quelli radio-registrati di don Ciotti e Padre Zanotelli a quelli dei direttori dei giornali AltraEconomia e Nigrizia, dalle esperienze dirette alle conclusioni trascinanti di don Pierluigi Di Piazza. Tra i partecipanti, si sono visti anche l'imam di Udine Mohamed e pater Jacques Frant, vero e proprio "portavoce" del popolo palestinese nel territorio regionale. Sono sono visti anche alcuni rappresentanti del mondo politico locale, dal consigliere regionale Furio Honsell ai referenti di Open FVG e di Rifondazione Comunista del F-VG.

Bene insomma, tutto molto bene... Fin troppo bene, si potrebbe dire, in un contesto nel quale le coperte dorate ricordano le migliaia di persone naufraghe nel Mediterraneo e i tanti migranti presenti sottolineano i problemi irrisolti. Si è parlato delle decine di persone trattenute per settimane in un autobus nel cuore di Udine, dei respingimenti ormai ordinari dei richiedenti asilo in Slovenia, dell'incredibile mancata iscrizione all'anagrafe dei bambini nati in Italia, della necessità di cancellare i Decreti Sicurezza, dell'indispensabile, urgente chiusura dei cpr, a Gradisca e altrove. Tutto ciò ha aiutato a pensare, anche grazie alla presenza di tante persone impegnate in tanti e diversi modi sul fronte dell'accoglienza senza se e senza ma.

L'auspicio è che al di là di questo sereno momento di festa e di cultura, le richieste più specificamente politiche riescano a sfondare il muro di gomma opposto da un governo finora sostanzialmente inerte, nonostante la presenza in esso del Partito Democratico, molti esponenti del quale erano presenti - anche in forma ufficiale - alla manifestazione di Udine. Ora, al di là del politicamente corretto e nella comprensione delle necessarie trattative in ambito parlamentare e governativo, chi ha aderito all'iniziativa della rete DASI è chiamato a delle scelte difficili: si può insistere molto con i "propri" compagni di partito, ma se i tempi si prolungano all'infinito è necessario decidere da che parte stare. Se i decreti in-sicurezza vengono modificati in modo insoddisfacente, se continuano i respingimenti in Slovenia, se si vendono armi all'Egitto invece di chiedere la liberazione di Patrick Zaki e la verità per Giulio Regeni, se non vengono immediatamente chiusi i Centri per il Rimpatrio, se le politiche ambientali utilizzano il green new deal solo come uno slogano senza contenuto, come poter rimanere dentro un partito che potrebbe agire e non agisce?

E' importante che coloro che sono presenti nelle istituzioni, a livello amministrativo, politico e partitico, si ritrovino a riflettere per far sì che si possa quanto prima passare dalle indiscutibili parole alla prova della concretezza e dei fatti. Forse è questo uno dei messaggi di ieri. Non si può lasciare solo a chi ha il compito di richiamare i fondamenti etici - religiosamente o laicamente orientati - l'impegno di invocare il cambiamento della società. Occorre far sì che coloro che sono impegnati nella politica rappresentativa ascoltino con molta attenzione e trovino il modo di portare avanti con entusiasmo e convinzione un'azione corrispondente collettiva. Altrimenti, forse, sarebbe meglio non farsi troppo vedere intorno ai palchi dai quali trasuda la sofferenza del presente. 

giovedì 24 settembre 2020

Overdose di festival culturali: meno gusti e più pensieri!

Tra fine settembre e inizio ottobre, appena conclusa la grande rassegna Pordenonelegge, si svolgono più o meno negli stessi giorni, i seguenti eventi: Festival del Giornalismo a Ronchi dei Legionari, Festival itinerante del Giornalismo e della Conoscenza in diverse località dell'ex provincia di Gorizia e della Bassa Friulana, Festival del Giornalismo a Trieste, Premio Terzani di Vicino/Lontano a Udine, Kermesse culturale-gastronomica "Contea" a Gorizia e così via...

Certo, molte di queste iniziative sono state spostate nel calendario all'inizio dell'autunno a causa del coronavirus. Certo, c'è un grande bisogno di abbeverarsi a fonti importanti per comprendere meglio il momento difficile che tutti si sta vivendo. Certo, è un modo come un altro per sostenere anche i personaggi che animano l'informazione e la conoscenza a diversi livelli...

... Certo tutto questo, ma un po' di programmazione non sarebbe necessaria? O almeno, non sarebbe da richiedere da parte degli enti finanziatori, dal momento che questa overdose culturale non è a costo zero?

Il rischio di queste iniziative, sotto molti punti di vista lodevoli quando punteggiano la storia annuale dei quattro ex capoluoghi regionali, è di svalutare la Cultura a mero oggetto di consumo, riducendo la portata dei messaggi alla celebrità dei personaggi che li interpretano.

Da una parte sarebbe necessario anche immaginare qualcosa di nuovo, al di là del turbinio di parole che si accavallano sui vari palchi, qualcosa che consenta di non investire tutto il tempo e le energie nell'organizzazione dei grandi eventi. Sarebbe necessario superare la soddisfazione dell'istante dell'ascolto della personalità e valorizzare invece il quotidiano lavoro di interpretazione del presente, portato avanti con tanta fatica nell'indispensabile e silenzioso spazio dell'ordinarietà.

E sarebbe anche auspicabile un certo coordinamento tra gli eventi. Nell'epoca dell'informazione globale si sa che il problema non è il reperimento, ma il discernimento dell'informazione. Da questo punto di vista non è possibile inondare gli "spettatori" - perché solo così possono essere chiamati - con un diluvio di interventi, senza un nesso plausibile o evidente. Occorre piuttosto creare spazi di incontro e di confronto in grado di sostenere la riflessione e il pensiero di ciascuno, educando quello spirito critico che è dentro tutti, ma che per lo più è comodo lasciare nascosto nei meandri della coscienza individuale.

Insomma, meno cultura finalizzata al gustare (come ben sintetizzato dal festival Contea che sostituisce Gusti di Frontiera a Gorizia) e più Cultura finalizzata al pensare.

martedì 22 settembre 2020

Referendum e Regionali, chi vince e chi perde...

Come dopo ogni tornata elettorale, nelle dichiarazioni dei politici tutti hanno vinto e nessuno ha perso. In realtà in questa occasione, pochi hanno solo vinto o solo perso, la maggior parte ha contemporaneamente vinto e perso.

Solo vinto ha senz'altro Zaia, riconfermato presidente della Regione Veneto con una specie di plebiscito, cui ha contribuito in massima parte la "sua" lista che ha raggranellato intorno al milione di voti, mettendo di fatto in grande difficoltà il resto del centro destra e della destra "stracciati" dal protagonista. Per tutti gli schieramenti nazionali è un interrogativo pressante e un'analisi urgente: ma che "cosa" (per non usare altre parole non adatte al blog) ha fatto Zaia per meritare una simile fiducia? Solo vinto, anche se in misura meno eclatante, hanno anche Toti in Liguria, De Luca in Campania e soprattutto Emiliano in Puglia, forse l'unica sorpresa non prevista dai sondaggi dell'antivigilia. Uno degli elementi - non certo l'unico - che ha contribuito a queste vittorie solitarie è stato certamente determinato dalla gestione del contrasto al coronavirus, là dove di fatto chi più si è dimostrato "uomo forte" ha suscitato maggiore consenso, in attesa delle non ancora evidenti ricadute sull'occupazione e sulla prevedibile ormai imminente crisi lavorativa e produttiva autunnale. I topolini di Zaia divorati dai cinesi e i lanciafiamme evocati contro le feste campane da De Luca hanno lasciato un segno!

Solo perso ha senz'altro Salvini e la sua Lega, sconfitta di fatto ovunque, con l'atteso crollo al Sud che ha trascinato la coalizione di centro destra alla sconfitta anche in Puglia. Il piano inclinato su cui si è seduto dopo i famosi eventi del Papeete si fa sempre più ripido, gli slogan ossessivi non accompagnati da alcuna proposta politica sostenibile, hanno indebolito anche la sua stessa candidata in Toscana, mentre le visite preelettorali in Veneto sono apparse ovunque appena tollerate e non certo gradite. Come politico, Salvini è al termine della sua parabola e non gli rimane altro che prenderne atto e cercare di uscire in modo meno imbarazzante possibile di scena.  

Solo perso hanno coloro che hanno votato "no" al referendum, compreso chi scrive questo blog. Dire che "ben il 30%" ha compreso la portata di un taglio dei parlamentari che ridurrà drasticamente la rappresentanza e cancellerà le realtà culturali numericamente minoritarie, è una ben magra consolazione. Incredibile il risultato nelle piccole Regioni, le più penalizzate dalla legge costituzionale, sorprendente anche il fatto che il "no" abbia prevalso in rarissime occasioni anche nelle zone che subiranno le maggiori conseguenze. In Friuli Venezia Giulia solo il Comune di Repentabor, sul Carso, ha visto una peraltro risicata affermazione controcorrente.

Gli altri, tutto sommato, hanno i loro motivi per rallegrarsi e per preoccuparsi. 

I 5 Stelle intascano e si appropriano del risultato referendario. Pur riconoscendo che il 70% sarebbe stato un sogno senza l'appoggio - più o meno convinto - di quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale, tutto sommato hanno le loro ragioni. Quella del rimpicciolimento del Parlamento è una loro battaglia delle origini. Davide Casaleggio nel passato aveva preconizzato perfino la completa cancellazione delle Camere, obiettivo da raggiungere un passo alla volta. E' nella logica di un Movimento scomparire dall'orizzonte una volta raggiunti gli obiettivi "ideali" oppure trasformarsi in qualcosa d'altro, trascinando i propri aderenti sulle montagne russe del trasformismo politico. Per questo Di Maio e company non hanno torto nel sottolineare la vittoria dei "sì" e nel non preoccuparsi troppo del peraltro evidente disastro elettorale in tutte le regioni in cui si sono presentati, da soli o in coalizione.

Visti i chiari di luna del periodo, il Pd di Zingaretti è andato al di là delle più rosee aspettative, tenendo come previsto la Toscana e ottenendo un successo inatteso con la "tenuta" del discusso presidente Emiliano in Puglia. Certo l'esultanza non può e non deve essere eccessiva, di fatto il pd perde le Marche, un'altra Regione (ormai si è al 15-5) storicamente a sinistra, dandola in mano a un nuovo governatore nostalgico della Marcia su Roma (ma si può???!!!). E dell'ottimo risultato in Campania deve ringraziare soprattutto la personalità vulcanica del governatore uscente, nella cui lista - è bene ricordarlo - ci sono parecchi "impresentabili" secondo la Commissione nazionale antimafia (di nuovo ???!!!).

Tutti gli altri, per farla breve, hanno motivi per sorridere e per piangere. Fratelli d'Italia dell'arrembante Meloni non è riuscita a sfondare, il travaso dalla Lega ha coinciso con numerose perdite di elettori nelle falle dell'acquedotto elettorale della Destra. Si può però consolare con la conquista delle Marche da parte di un esponente che più a destra di così non si può. La traballante Forza Italia, ormai appesa alla memoria del tempo che fu, può però rallegrarsi della riconferma di Toti, più o meno ribelle, ma pur sempre rappresentante di area e storico miliziano di Berlusconi. I partitelli sotto il 5% non hanno avuto storia, ma nello stato in cui si trovano possono almeno essere soddisfatti per aver fatto sentire la propria voce nel corso della campagna elettorale. Alcuni possono rivendicare qualche merito nei successi elettorali, come l'Italia Viva di Renzi nella cui area militava un tempo il nuovo presidente della Toscana. Altri possono ragionare in termini realistici sul proprio futuro. Gli ultimi frammenti di una Sinistra praticamente scomparsa dai consigli regionali possono rallegrarsi per il coraggio del tentativo e consolarsi con l'ennesima speranza di essere ideologicamente l'unico argine rimasto all'avanzata del capitalismo selvaggio. In fondo, come diceva la persona che rotolava dalle scale, "prima o poi arriverà anche il pianerottolo!". 

lunedì 21 settembre 2020

Una festa in giallo: Tadej Pogačar, da Klanec di Komenda

Domenica sera si è concluso il Tour de France. Ho avuto occasione di vedere alla televisione l'arrivo dell'ultima tappa e le premiazioni. Dove? A Komenda, il Comune di nascita del vincitore, Tadej Pogačar.

Il paesaggio della Gorenjska è affascinante. Le strade si snodano sinuose nella campagna, alle spalle la doppia cima di Šmarna Gora, sovrastante Ljubljana, dall'altra parte lo stupendo, roccioso massiccio delle Alpi di Kamnik, con il Grintavec e l'Ojstrica che sembrano invitare all'avventura i più ardimentosi alpinisti.

Ci sono tanti paesi, piccoli borghi seminati tra campi coltivati con cura. Tra essi c'è anche Komenda, anzi Klanec di Komenda, la minuscola frazione dove si trova la casa natale del nuovo campione. E' una zona tipicamente agricola, nelle vicinanze degli abitati ci sono tante stalle e ovunque si vendono verdure, frutta e prodotti caseari.

Man mano che ci si avvicina, cominciano a vedersi, poi a moltiplicarsi, le maglie gialle e nel centro del villaggio una rotonda dipinta del colore della maglia del tour, con numerose scritte inneggianti a Tadej dimostra che si è raggiunta la meta.

Sembra che non ci sia nessuno in giro, invece da qualche parte si sente il suono di una sirena che invita a curiosare. In effetti, nel piazzale di un centro sportivo troppo piccolo per contenere tanta gente, c'è una folla festante che sta seguendo con il fiato sospeso la volata finale. Ecco, l'urlo, bravo l'australiano Bennet che con la sua maglia verde taglia il traguardo felice. Ma la voce di tutti diventa potente quando compare lui, il compaesano Tadej, con la maglia gialla e con la mano appoggiata sulla spalla del delusissimo Roglič, il connazionale, il grande sconfitto della Grande Boucle.

Circolano gli aneddoti sul giovanissimo campione - 22 anni! Il grazie della famiglia al primo allenatore che ha comprato la prima bicicletta fuori dalla portata economica dei genitori, il ragazzino apparentemente "staccato" dal gruppo dei piccoli ciclisti, in realtà davanti a tutti dopo aver compiuto un giro in più degli altri, il compagno di scuola che ognuno vorrebbe avere nel banco accanto...

Silenzio ora, è il momento delle premiazioni. Pogačar si prende una buona dose di applausi quando riveste la maglia a pois del miglior scalatore, poi è la volta della maglia bianca dei giovani e infine la maglia gialla, sul gradino più alto del podio. Risuonano le note dell'inno nazionale, il "Brindisi" di Prešeren è cantato in modo un po' sguaiato dai presenti, evidentemente "provati"da un pomeriggio non privo di un elevato tasso alcoolico. Scoppiano i mortaretti e i fuochi artificiali illuminano la notte incipiente della regione.

E' tempo di andarsene, non senza aver notato la bellezza del paesaggio ormai immerso nel buio, mentre i bambini gioiosi sfrecciano con le loro biciclette e i monopattini gridando al mondo che "Pogy je zmagal", Pogačar ha trionfato!

Gli avvenimenti sportivi hanno un loro fascino, coinvolgono nell'interesse e nell'identificazione milioni di persone. E non è solo un evento marginale, ma anche un elemento culturale importante quello che un primo e secondo posto nella corsa ciclistica a tappe più importante del pianeta, apporta a una Nazione numericamente piccola come la Slovenia. Certo, quello che conta sono la pace, la libertà, la lealtà, in tutti i campi, anche in quello sportivo dove non manca l'influenza di squallidi interessi che coniugano l'avidità di guadagno e la strumentalizzazione politica. Tuttavia, per una volta e auspicando che non ci sia poi un'altra delusione e smentita, è bello vedere il volto raggiante di un ragazzo semplice che innalza verso il cielo la bandiera slovena. Ed è bello condividere, almeno per un paio d'ore, l'emozione di gente abituata al lavoro duro e alla fatica quotidiana, nel vedere un proprio giovane compagno di infanzia e adolescenza, salire sul gradino più alto, celebrare la sua grande vittoria all'ombra dell'Arc de Triomphe sui Champs Elysees.

domenica 20 settembre 2020

Anhovo, brez Salonita. La grande protesta della valle dell'Isonzo (Dolina Soče).

Si è svolta sabato pomeriggio una grande manifestazione per protestare contro l'inquinamento ambientale prodotto dal cementificio e dalla zona industriale di Anhovo. L'evento è stato introdotto a Deskle da un'ampia trattazione delle problematiche ambientali della valle della Soča e dell'intera Slovenia, da parte dell'attivista ecologista Uroš Macerl, già vincitore del premio mondiale Goldman 2017 per l'ambiente. Con parole piene di convinzione ed entusiasmo, Uroš, conosciuto in passato soprattutto per la lotta contro la multinazionale francese Lafarge, proprietaria del cementificio di Trbovlje, si è chiesto che cosa resterà alle future generazioni, se per favorire l'avanzata del Capitalismo selvaggio permetteremo che si distruggano i fiumi, si taglino i boschi e si inquini irrimediabilmente l'aria. Il fiume, che scorre fornendo un dolce mormorio di sfondo alla spiaggia dove si è tenuta la conferenza d'avvio, sembrava quasi voler confermare i discorsi e sottolineare le parole di un cartello, agitato da uno dei presenti, sul quale era scritto: "di chi è l'aria? di chi è il fiume? di chi è la nostra vita?".
Fondamentalmente, questo è stato il motivo conduttore anche dei successivi momenti. Guidato da Mateja Sattler, portavoce di EkoAnhovo e da Rok Rozman, di Balkán River Defence, si è formato un lungo corteo che ha raggiunto a piedi il piazzale antistante al Cementificio della Salonit. Sono stati ricordati i motivi principali di preoccupazione. In una zona già tremendamente colpita in passato dalle malattie correlate all'asbesto, le emissioni dal co-inceneritore dove vengono bruciati anche rifiuti tossici provenienti soprattutto da Italia e Austria, corrispondono a un aumento impressionante delle percentuali di persone colpite dal cancro e da altre patologie legate all'inquinamento. Nonostante tutte le pressioni, non si è ancora riusciti a ottenere controlli adeguati e legislazioni in grado di salvaguardare anzitutto la salute, prima che gli interessi economici e finanziari dei gruppi industriali. Come se non bastasse, gli scarichi nel terreno e nell'Isonzo di materiale fortemente inquinante da parte di una fabbrica vicina, la svizzera Eternit, ha provocato nel corso dell'estate il divieto di utilizzare l'acqua, non soltanto per bere, ma anche per lavarsi. Tuttora sono necessari i camion dei pompieri per fornire l'acqua indispensabile agli abitanti. La Sattler, nel suo intervento davanti a oltre un migliaio di persone riunite presso l'entrata del fabbricato principale e giunte anche da altre città della Slovenia e anche alcuni dal Friuli Venezia Giulia, ha voluto ringraziare i pochi che hanno espresso fattiva attenzione e solidarietà alla loro battaglia. Un grande applauso ha salutato il pensiero grato ai medici sloveni che hanno sottoscritto un forte e competente documento di denuncia. Dopo la sosta, conclusa con un ironico e corale brindisi augurale davanti al cancello della Salonit, il corteo - ordinato e assolutamente nel rispetto pedissequo delle norme anti-covid19 - è ripartito alla volta di Deskle, percorrendo la strada statale e raggiungendo la piazza principale del paese, dove le voci dei poeti hanno concluso la manifestazione con un accento carico di arte e di cultura. 

Insomma, quella di EkoAnhovo è una battaglia per la salute di tutti coloro che vivono nel territorio isontino, deve essere condivisa senza esitazioni e senza confini. 



mercoledì 16 settembre 2020

Ancora sul referendum, io voto NO

Cosa accadrà dopo le elezioni del prossimo week end? Molto probabilmente niente, il quasi certo 4-2 alle regionali non sposterà l'asse e non incrinerà la maggioranza governativa, almeno per ora.
Ciò che invece risulta stupefacente è la campagna referendaria, la più paradossale degli ultimi decenni. la stragrande maggioranza del Parlamento vota la legge sulla riduzione del numero dei parlamentari. Poi, pur non essendo necessario, una parte di essi, pentita o forse consapevole di averla votata esclusivamente per ragioni di squallido potere, ritiene giusto proporre il referendum. Le forze politiche che hanno votato la legge costituzionale, ora si dividono al loro interno e chi aveva accettato - più o meno obtorto collo - la riduzione, ora si propone come paladino del no, mentre chi aveva espresso perplessità ora sostiene con forza il sì. 
Si dice che potrebbe essere l'inizio di una riforma attesa da decenni e nessuno muove un dito per dire da che parte si dovrebbe andare nel caso di una conferma referendaria o almeno per prevedere un'equa legge elettorale in grado di ridefinire la questione alla luce dell'eventuale snellimento delle Camere.
Se non fosse drammatico, sarebbe invece ridicolo l'asserto di buona parte del Partito Democratico,, secondo il quale chi vota "no" darebbe forza alla posizione politica della Lega e di Fratelli d'Italia, il cui segretario e la cui segretaria sono esplicitamente a favore del "sì".
E' fin troppo facile abbindolare la gente con la prospettiva di un facile e irrisorio risparmio che potrebbe essere ottenuto semplicemente dimezzando stipendi e tagliando privilegi. E' illogico pensare che la riduzione del numero produca miracolosamente un miglioramento della qualità che invece potrebbe essere determinata da una riforma ordinaria della legge elettorale in senso proporzionale e con il ripristino del voto di preferenza, oltre che con una seria revisione dell'identità e del ruolo dei partiti, fondamento della democrazia rappresentativa ma non sostituzione della comunque indispensabile democrazia di base e partecipativa.
Usciamo dall'illogicità di chi mette a repentaglio la stabilità della Costituzione con la riforma di un particolare importante svincolata da una riflessione generale e condivisa sugli organi dello Stato. Votiamo NO alla riduzione dei parlamentari. Erano 1000 quando in Italia eravamo 47 milioni. Adesso che siamo più di 60 milioni, vorremmo ridurne il numero? La risposta può essere solo una, NO!

In margine alla morte di Roberto Malgesini

Passato qualche giorno, è difficile trovare sui giornali qualche notizia sulla morte di Roberto Malgesini, il presbitero di Como ucciso da una persona in difficoltà.
Viene definito "il prete degli ultimi", intendendo con ciò che gli altri suoi colleghi siano ordinariamente con "i primi". E con ciò viene scavato un abisso tra l'aiutante che dedica la sua vita ai più poveri e l'aiutato che invece di essere riconoscente si scaglia con furia omicida sul suo benefattore.
No, non può essere sempre così. Malgesini ha realizzato ciò che altri avrebbero dovuto fare in uno Stato che si definisca "sociale". Non è possibile che sia demandato ai preti o a tanti altri esseri umani di buona volontà ciò che dovrebbe essere compito della società e delle pubbliche istituzioni.
Ovunque è lo stesso, l'aiuto a chi soffre è demandato al privato sociale, meno vincolato dai tempi e dai modi della burocrazia o al volontariato gratuito, spesso mandato allo sbaraglio senza alcun sostegno e assicurazione. O addirittura si arriva perfino al dileggio o alla denuncia, come nel caso delle ong, salvatrici di migliaia di vite umane e per una parte degli italiani divenute sinonimo di truffe e interessi occulti.
Smettiamo di usare definizioni che creano distacco. Roberto Malgesini è stato semplicemente un "Uomo", capace di accorgersi di non essere solo in questo mondo e di sentirsi "fratello" di ogni altro essere vivente.. A tutti può capitare una disgrazia, un incidente di percorso che non rende eroe chi ne è vittima e non rende carnefice chi è trascinato verso il crimine da una ventata di follia. Il compito di coordinare e di intervenire deve essere anzitutto dello Stato. Le istituzioni devono ricordare che ogni "assenza" non può che essere riempita da "presenze" generose e ammirevoli che per coprire i buchi ufficiali vanno incontro anche alla morte.
Ma tutti dovremmo sentirci "ultimi" e condividere la vita con gli altri "ultimi", senza demandare ai preti "di frontiera" (quale?) o  ai supereroi del nostro tempo la scelta di rischiare la vita per chi è in difficoltà. Un grazie a Roberto Malgesini per avercelo ricordato, riposi in pace.

venerdì 11 settembre 2020

La Rete DASI sulle dichiarazioni della ministra Lamorgese

Ecco per oggi un importante comunicato stampa della Rete DASI del FVG.

Come noto nel corso della sua visita a Trieste il ministro dell'Interno Lamorgese ha evidenziato, rispondendo alle domande dei giornalisti, che le riammissioni non possono riguardare i richiedenti asilo. Si tratta di una dichiarazione di grande importanza che tenta di ripristinare una legalità violata dallo stesso Governo italiano quando, a fine giugno, ha formalmente sostenuto l'opposto ovvero che si possono respingere in Slovenia anche i richiedenti asilo, in spregio alle norme internazionali e al diritto interno.


Solo due giorni dopo la visita a Trieste lo stesso Ministro tuttavia ha riferito in Senato che sono state 872 le riammissioni verso la Slovenia tra il 1 gennaio e il 7 settembre. Un numero abnorme che non ha precedenti. Chi sono dunque le persone straniere riammesse se non sono i richiedenti asilo? Dai dati disponibili risulta che vengono respinti, a centinaia, persino persone provenienti da aree di guerra come l'Afghanistan e l'Iraq in chiaro bisogno di protezione internazionale.

La ministra Lamorgese ha rivendicato quindi il successo delle riammissioni di cittadini stranieri quando è chiaro che esse hanno colpito in larga parte di richiedenti asilo ai quali è stato impedito di chiedere ed ottenere protezione in Italia; inoltre ha altresì assicurato che verranno persini intensificati i controlli di frontiera e che le riammissioni continueranno.

Un quadro di contraddizioni, omissioni, violazioni delle leggi e furberie veramente inaccettabile.


La manifestazione regionale di sabato 26/9 indetta dalla Rete DASI FVG, a cui stanno aderendo diverse decine di realtà associative della nostra regione, sarà l'occasione per chiedere al Governo la fine delle riamissioni informali (che anche la ministra è costretta ad affermarne l'illegalità) ma anche il pieno rispetto del diritto di asilo,  ristabilendo realmente la legalità così gravemente violata.


Rete DASI FVG

giovedì 10 settembre 2020

IO VOTO NO

NO alla diminuzione del numero dei parlamentari. Le motivazioni del "no" sono tante, mentre quelle del "sì" si riducono sostanzialmente a un effimero risparmio che potrebbe essere ottenuto anche semplicemente riducendo stipendi e privilegi davvero scandalosi e a un miglior funzionamento delle Camere che non si capisce davvero come possa essere collegato a un minor numero di rappresentanti del popolo. Un altro argomento, per la verità assai debole ma che sembra aver fatto presa su alcuni settori indecisi del partito Democratico, è che in questo modo si comincia a mettere mano a delle riforme, "si deve pur partire da qualche parte".

Con simili presupposti, si rischia di vedere ridotta in termini molto significativi la rappresentanza democratica, con la creazione di enormi bacini elettorali e con la conseguenza di una sempre più marcata distanza fra i candidati e i territori chiamati a eleggerli. Le realtà culturali numericamente minoritarie, uno degli aspetti più originali e importanti dell'Italia repubblicana, rischiano di sparire dall'agone politico. Inoltre non si deve dimenticare che la scelta del numero di circa 1000 tra deputati e senatori rispondeva alla necessità di rendere presenti in numero congruo portatori di diverse visioni ideologiche presenti all'interno dello Stato. In quel momento il rapporto era di circa 1 ogni 47.000 persone. Oggi, con il progressivo aumento del numero di abitanti documentato dai vari censimenti decennali, il rapporto è di un parlamentare ogni 60.000 residenti. Con la legge già approvata si passerebbe a circa 1 su 92.500, rappresentanza cioè praticamente dimezzata rispetto alle intenzioni dei Costituenti.

La questione ben più urgente è quella relativa alla legge elettorale, alle riforma dei partiti e al superamento dei famigerati listini che premiano gli yesman e non la qualità degli eletti. L'ideale sarebbe un sistema proporzionale in grado di garantire la presenza di realtà importanti dal punto di vista culturale anche se non sempre da quello numerico e ovviamente il ripristino immediato del voto di preferenza, lasciando quindi agli elettori e non ai capipartito il compito di scegliere le persone da inviare al Parlamento. Sarebbe auspicabile che le scelte politiche, da questo punto di vista, non siano orientate dagli interessi del momento e dalla guerra di sondaggi, ma dalla ricerca del bene comune. Ma forse è un'illusione che non sarà certo cancellata dalla riduzione del numero dei parlamentari, ma soltanto da una nuova stagione costruita da persone impegnate in politica a partire da una scelta di assoluto servizio alla causa dello Stato. E più ce ne saranno, meglio sarà... 

A margine dell'episodio di Pontassieve

Se non fosse per gli occhi e l'atteggiamento che denotavano profonda disperazione, il gesto della ragazza di Pontassieve potrebbe suscitare il sospetto di un'accurata messinscena. Tutti i sondaggi degli ultimi mesi intorno alle elezioni regionali in Toscana, orientano verso il successo - sia pure di misura, già questa è una notizia! - del candidato del centro sinistra. Cosa potrebbe aiutare di più che la creazione del martire, attaccato non tanto a causa della posizione politica quanto dell'appartenenza religiosa? Sembra strano che in un centesimo di secondo si possa riuscire a strappare una camicia e a distruggere ben due rosari, senza alcuna conseguenza per l'integrità fisica dell'aggredito. Certa è la conseguenza, per un paio di giorni il soggetto - da un po' in affanno con i media - è tornato alla ribalta con un sorriso sornione e rassicurante. Firenze val ben un rosario!

Il centro sinistra e la sinistra dovrebbero curare maggiormente alcuni aspetti comunicativi, senza offrire agli antagonisti politici ampie praterie di azione. Per esempio, se si vuole essere contro l'odio mediatico e informatico, non basta dirlo, occorre essere contro la violenza da qualunque parte essa venga esercitata, sia con le parole che con le azioni. Altrimenti si rischia di costruire aureole sul capo di sedicenti martiri incompresi, il che tradotto in parole povere significa vagonate di voti guadagnati o almeno perduti dalla parte opposta. In nome della campagna anti-salviniana, rimane in piedi un governo scricchiolante, penalizzato da tutti i sondaggi e purtroppo abbastanza in continuità con quello precedente (e guidato dallo stesso presidente!). Più viene attaccata, più la destra cresce, anche grazie a episodi come quello di Pontassieve o al sostanziale silenzio generale della stampa su un episodio gravissimo come lo spintone dato da Beppe Grillo a un giornalista che lo voleva intervistare.

Occorre riportare la lotta politica sui contenuti e non sulle persone. E' urgente la cancellazione dei Decreti sicurezza, l'interruzione dei respingimenti in Slovenia avvenuti - sembra di capire dalle dichiarazioni della Lamorgese - "all'insaputa" del Ministro dell'Interno, la fine degli accordi con la Libia e la Turchia, la pretesa di verità e giustizia per Giulio Regeni e la scarcerazione di Patrick Zaki, l'avvio di una riflessione sulla nuova Didattica al tempo del coronavirus (e non solo sulle regole di distanziamento e di giusta prevenzione sanitaria), una gestione democratica e non paternalista della crisi sanitaria, economica e lavorativa legata al covid-19, l'assunzione di un nuovo ruolo di protagonismo in un'Europa che dovrebbe essere sociale, verde, accogliente e culturalmente pacifista e pacificatrice.

Questi sono i temi su cui si vorrebbe vedere impegnata la componente sociale della politica italiana e di quella europea, un ripartire - anche cogliendo l'occasione del difficilissimo autunno che ci attende - dalla concezione della società proposta nell'Ottocento da Louis Blanc e poi da Karl Marx, "a ciascuno secondo il bisogno, da ciascuno secondo le sue capacità". Questo è il vero antidoto alla violenza, sia essa individuale o legalizzata, cercando di stendere un pietoso velo di silenzio mediatico sugli show patetici di personaggi politicamente inesistenti che non vale la pena neppure di nominare.

mercoledì 9 settembre 2020

Lamorgese a Trieste, più domande che risposte

La visita della Ministro dell'Interno Lamorgese in Friuli Venezia Giulia non ha risolto i dubbi che l'avevano giustificata.

In primo luogo, da ciò che si capisce leggendo i quotidiani, avrebbe dichiarato l'illegittimità delle "riammissioni" (leggi "respingimenti") in Slovenia di coloro che chiedono asilo. Auspicando che sia effettivamente così, ci si chiede chi allora abbia autorizzato le migliaia di respingimenti degli ultimi mesi, che hanno avuto come effetto collaterale l'aumento esponenziale delle presenze di migranti minorenni o sedicenti tali.<p>La visita della Ministro dell'Interno Lamorgese in Friuli Venezia Giulia non ha risolto i dubbi che l'avevano giustificata.</p><p>In primo luogo, da ciò che si capisce leggendo i quotidiani, avrebbe dichiarato l'illegittimità delle "riammissioni" (leggi "respingimenti") in Slovenia di coloro che chiedono asilo. Auspicando che sia effettivamente così, ci si chiede chi allora abbia autorizzato le migliaia di respingimenti degli ultimi mesi, che hanno avuto come effetto collaterale l'aumento esponenziale delle presenze di migranti minorenni o sedicenti tali.

Inoltre, le questioni sollevate dai sindaci - di una parte e dell'altra - relativamente alle oggettive difficoltà riscontrate nella gestione delle emergenze, hanno trovato come risposte delle promesse abbastanza vaghe e soprattutto la riproposizione del Siproimi per i minori, la cui realizzazione richiede strutture e capacità di superare difficoltà burocratiche che non sono alla portata di tutti i Comuni, soprattutto dei più piccoli. A questo proposito, l'insistenza del Prefetto di Udine sulla disponibilità all'accoglienza da parte dei Comuni friulani può sembrare encomiabile ma è in realtà irrealistica. Non sono molti gli enti locali che hanno strutture tali da poter garantire un'accoglienza dignitosa ed è assai improbabile - e comunque non immediato - verificare la disponibilità di privati. Forse sarebbe meglio individuare prima le strutture e poi semplicemente avvisare i Sindaci della destinazione d'uso delle strutture indicate.

Infine la Ministra ha proposto più militari sul confine e ha ventilato, come ultima ratio, la chiusura dei confini minori più volte invocata dal Presidente della Regione Fedriga. Che tristezza! Le Forze Armate vengono schierate per fermare non eserciti in marcia per invadere l'Italia, ma per bloccare colonne di poveri alla ricerca di un futuro migliore. E tutte le speranze di abolizione definitiva dei confini, già indebolite dalla "serrata" in occasione del coronavirus, rischiano di naufragare nella constatazione dell'incapacità dei governi di lavorare insieme, non accordandosi per reprimere, ma per autenticamente accogliere.

lunedì 7 settembre 2020

Memorie a Bazovica, problemi e prospettive

Ieri, domenica 6 settembre a Basovica si è tenuta l'annuale commemorazione dei giovani sloveni del TIGR Ferdinand Bidovec, Fran Marušič, Zvonimir Miloš e Alojz Valenčič, uccisi il 6 settembre 1930, dopo un processo farsa celebrato da un illegale tribunale fascista. La loro colpa era quella di lottare per la salvaguardia del diritto all'esistenza del popolo sloveno, della sua lingua e della sua cultura.

Come sempre, è stato un momento molto coinvolgente, con i canti proposti dalla brava Martina Feri, i discorsi commemorativi di autorità e di esperti, i toccanti brani poetici, la deposizione delle corone. La cerimonia è stata onorata da una presenza assai elevata di partecipanti, rigorosamente distanziati e ordinatamente disposti nell'ampia area antistante al monumento ai caduti.

Inevitabile da parte di tutti gli intervenuti il ricordo della giornata del 13 luglio, quando i due presidenti dell'Italia e della Slovenia hanno onorato i morti tenendosi per mano, come a suggellare il desiderio di avviare una stagione di pace e fraternità, al di là delle terribili tragedie della prima metà del Novecento.

Due sono state le importanti novità di quest'anno. La prima è stata la presenza attiva dei discendenti, con un bel discorso sulle identità condivise portato da Maria Bidovec, pronipote di Ferdinand. La seconda è stata la partecipazione del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza. Le sue parole hanno suscitato un applauso a scena aperta, quando ha testualmente dichiarato che "i quattro giovani non erano terroristi", apertamente in contrasto con quanto ritenuto da molti esponenti della politica italiana degli ultimi settanta anni.

La sua dichiarazione è importante, ma porta con sé alcune domande. La prima è legata alla corona depositata davanti al monumento. Presente il sindaco, perché non è stata depositata una corona da parte del Comune di Trieste, ma solo dai "sindaci dei comuni dell'ex Provincia di Trieste", quasi a indebolire il significato della presenza e del gesto? Perché non era presente il gonfalone del Comune di Trieste che per protocollo dovrebbe accompagnare il sindaco nei momenti ufficiali? E' stato un riconoscimento ufficiale e istituzionale o solo il gesto di buona volontà di un primo cittadino, apparso a tutti completamente solo, al suo arrivo e alla sua partenza da Bazovica? E la seconda parte delle sue parole intorno ai quattro "junaki" non rende meno "forte" la sua testimonianza. Riducendo la questione al loro "essere figli di una mamma e di un papà", non si tende a far dimenticare le responsabilità oggettive del fascismo e del tribunale italiano che ha emesso la sentenza nonché le motivazioni della loro lotta contro l'omologazione e la persecuzione del popolo sloveno?

Sono interrogativi che non vogliono cercare il pelo nell'uovo, ma evitare che l'esaltazione della cosiddetta "memoria condivisa" non si trasformi in realtà in una dimenticanza della verità storica, per quanto scomoda essa possa essere. Una memoria riconciliata può essere l'inizio di una nuova modalità di vivere le relazioni tra le persone e i popoli, ma anche la venefica equiparazione tra vittime e carnefici oppure il trionfo di un oblio intensificato da chiacchiere melensi e inutili "volemose tutti bén".

domenica 6 settembre 2020

Scuola e covid-19, prima le persone...

Fervono i preparativi in vista dell'inizio dell'anno scolastico. Le indicazioni operative si sono succedute durante tutta l'estate. Mascherine sì, mascherine no, un metro e mezzo tra un banco e l'altro, no un metro soltanto, scuolabus a metà, no pieni, no a tre quarti, banchi a rotelle o senza rotelle, esami sierologici per insegnanti studenti dirigenti, forse sì, forse no.

Nonostante i sei mesi abbondanti a disposizione, le scuole sembrano in realtà lontane da qualsiasi certezza, tanto più che la risalita del numero dei contagi da covid-19 non facilita di sicuro la situazione.

Quella che è mancata, almeno per ciò che concerne il dibattito pubblico, è una riflessione approfondita sulla didattica e sui percorsi educativi. Gli scolari e gli studenti italiani hanno passato mezzo anno lontano dagli istituti scolastici, un periodo enorme per ciò che concerne la fase di maggior apprendimento e anche l'educazione alle relazioni intrascolastiche. Quanti hanno potuto usufruire della "didattica a distanza", quando ancora molti insegnanti sono e si riconoscono analfabeti informatici? Quali ricadute psicologiche possono derivare da questo lunghissimo periodo di assenza generale forzata?  

E' possibile che il "blocco delle serrande" (per non usare il solito "lockdown") abbia in realtà approfondito le distanze sociali. Chi non possiede un computer o vive in una casa dove nessuno conosce i programmi informatici, è rimasto tagliato fuori dai percorsi di conoscenza e chi ha genitori entrambi al lavoro ha vissuto tempi di solitudine molto lunghi. Chi non è abituato all'uso di internet è stato per mezzo anno privato dei mezzi per il discernimento. La distanza tra i poveri e i ricchi si è quindi inevitabilmente ampliata e ci vorrà molto tempo per recuperare...

Forse, una volta sistemati i banchi e rimessi in circolazione gli scuolabus, sarebbe il caso di mettere a fuoco la situazione dei bambini e dei ragazzi, preparandosi a nuovi possibili periodi di allontanamento forzato dalla scuola e preoccupandosi anzitutto della loro "tenuta" psicologica, delle loro potenzialità di apprendimento e della necessaria correlazione educativa. A distanza o in presenza, il vero urgente investimento - anche attraverso incentivi agli insegnanti chiamati a una grande intensificazione del loro lavoro, della responsabilità e della capacità professionale - è quello riguardante non solo la salute fisica, ma anche quella etica e psicologica di tutte le persone coinvolte nell'avventura della Scuola.  

giovedì 3 settembre 2020

Comunicazioni ferroviarie e telefoniche: F-VG (ma non solo) penalizzato.

Con tutti i problemi che ci sono in questo periodo, quelli proposti in questo post potrebbero sembrare senz'altro molto marginali. Tuttavia, chi non crede che il benaltrismo sia un atteggiamento da perseguire, per una volta può permettersi di trasmettere qualche osservazione in merito.

Prima domanda. A sei mesi dall'inizio del lockdown, tra Trieste e Venezia Mestre ci sono solo due "frecce", una alle 6.42 (con fermate solo all'aeroporto e a Latisana) e una alle 17.05 (l'unica , se si vuole proseguire verso Milano senza essere costretti a cambiare treno). Perché il Friuli Venezia Giulia, che già lamenta la mancanza di aerei verso la Capitale, è trattato in questo modo? Che logica c'è nell'affollare i treni regionali già frequentati dai lavoratori pendolari e dagli studenti, senza offrire a chi deve percorrere tratte più lunghe le opportunità dei tempi pre covid, quando ogni 2-3 ore erano previsti treni veloci sulla tratta Trieste-Torino? 

Seconda domanda. In quasi tutti i Paesi dell'Europa - e non solo - le telefonate iniziano e finiscono senza intoppi. Se poi si utilizzano altri strumenti, collegati a internet, non si riscontrano particolari problemi.

Perché mai in Italia è così difficile riuscire a telefonare senza interruzioni o interferenze, in particolare quando si è in movimento? Perché non è possibile sostenere una conversazione via internet, quando si percorrono non le impervie strade dello Zoncolan, ma l'autostrada Serenissima tra Padova e Venezia, una delle più frequentate e importanti arterie nazionali? Non importa quale sia il gestore telefonico, prima o poi a tutti tocca il nervosismo dell'interruzione della voce nel momento più delicato, la rabbia di non riuscire a sentire altro se non mormorii metallici e incomprensibili, la necessità di attendere mezzo secondo prima di ascoltare o farsi ascoltare dall'interlocutore, come accadeva agli astronauti del programma Apollo quando parlavano dalla Luna e gli impulsi elettrici correvano alla velocità di 300mila chilometri al secondo.

Si parla di gestione unificata, di miglioramento delle linee, di G5 (quinta generazione), lodandone tutte le opportunità in merito alla velocità e alla (presunta) diminuzione dell'inquinamento elettromagnetico. Ma non sarebbe più semplice far funzionare meglio il sistema delle telecomunicazioni esistente, prima di proiettarsi verso un futuro fondato soltanto sulla solita irrazionale assicurazione che "andrà tutto bene"?