venerdì 31 marzo 2023

A margine delle dichiarazioni di Ignazio La Russa

In ciò che ha detto oggi Ignazio La Russa non stupisce tanto il fatto che il presidente del Senato la pensi così, quanto la noncuranza con la quale tali parole sono state espresse. A parte la mancanza di qualsiasi riferimento storico e storiografico, come pure la superficialità di un'analisi buttata lì, in modo volgare e privo di spessore, colpisce e preoccupa la "normalità" con la quale vengono pubblicizzate idee che fino a qualche anno fa chiunque si sarebbe vergognato perfino di pensare.

La critica all'attentato di via Rasella è una contestazione delle azioni dei partigiani e di coloro che in quel tempo lottavano nella Capitale contro la crudele occupazione nazista, sostenuta di fatto anche dai fascisti italiani. E' di fatto anche un indiretto, indegno e velato indebolimento della responsabilità rispetto al massacro delle Fosse Ardeatine, quasi che possa essere in qualche modo accettata come ordinaria legge di guerra quella della "rappresaglia" su 335 persone inermi e indifese.

La Russa non è l'ultimo arrivato nel mondo della politica italiana e se ha l'ardire di parlare in modo così esplicito, è perché ha il sentore di poter "provocare", senza per questo perdere, anzi forse addirittura aumentando il consenso nei confronti della sua persona e del suo partito. Alla faccia di chi ancora ritiene che "il fascismo non esista più", lo sdoganamento progressivo di un'interpretazione filofascista della storia è fatto particolarmente minaccioso, tanto più in un contesto culturale (o pseudoculturale) nel quale una parte sempre più rilevante della popolazione non soltanto non si scandalizza, ma addirittura si compiace.

Un consiglio a destra e uno a sinistra. 

C'è una destra sociale, molto lontana dalle posizioni dei nostalgici del ventennio. Sarebbe bene che si facesse sentire, soprattutto negli ambiti più rilevanti della politica rappresentativa. Ci vuole proprio tanto a dire: "Io sono di destra, ma non mi riconosco in alcun modo nelle parole di La Russa, anzi me ne dissocio totalmente"? E' lecito per esempio attendersi una sconfessione del genere dalla presidente del Consiglio, che più volte ha cercato di smarcarsi da visioni del passato, bollandole come simpatie giovanili. Così come sarebbe opportuno - e forse anche vantaggioso in termini di consenso - che anche altri esponenti di Fratelli d'Italia (o della Lega o di Forza Italia...) abbiano il coraggio di dissociarsi pubblicamente da certe prese di posizione.

E la sinistra? La sinistra deve tornare a condividere la vita delle persone. Deve prendere molto sul serio la sofferenza di chi lavora nelle fabbriche e nei cantieri, come pure nelle campagne dominate dalle nuove forme di latifondismo. Fa bene a sollevare il rispetto dei diritti civili, ma ha bisogno di riprendersi la leadership della rivendicazione dei diritti sociali. Fa bene a investire in un'elevata visione del mondo, ma è necessario che si renda conto del crescente analfabetismo culturale, indotto da decenni di martellante e sistematico instupidimento delle menti. La sinistra si è sempre caratterizzata dallo stare dalla parte dei più deboli, dall'impegno per la garanzia del diritto al lavorare nella sicurezza, per la giusta paga, per la partecipazione collegiale alla gestione delle imprese, per l'affrancamento dalle antiche e moderne schiavitù, per la contestazione al padronato e alle sue diramazioni, per l'internalizzazione della lotta per la giustizia, la pace, la solidarietà. Se non torna con convinzione a questi temi e non torna ad affrontarli nei luoghi di lavoro, nei quartieri dimenticati, nelle periferie dove vivono milioni di esseri umani spesso schiacciati dalla solitudine assoluta, la sinistra si ridurrà a una fragile élite di intellettuali che ritengono di avere - solo loro - le idee giuste per la riforma della società, perdendo progressivamente il riferimento con la realtà. Se invece ritornerà su questi sentieri interrotti, potrà ritornare nelle piazze con la convinzione di chi non ha soltanto qualcosa da contestare, ma anche da costruire. Sentirà e onorerà di nuovo come propri padri e nonni i partigiani e coloro che hanno lottato contro la tirannia nazifascista.

martedì 28 marzo 2023

Di strade e di ponti...

Un piccolo tour in bicicletta, verso il Calvario.

Mi pongo qualche domanda, ingenua e da ignorante (nel senso che ignoro). Nel 2025, forse, queste strade saranno percorse dai visitatori della capitale della cultura, in numero ben superiore a quelli che sono passati nella (mancata) occasione dell'accorata riflessione sui cento anni dall'orrenda carneficina che è stata la prima guerra mondiale.

La salita dalla Grojna presenta due novità, rispetto alle ultime salite che risalgono all'inizio dello scorso anno.

La prima è il taglio di numerosi alberi, non solo degli infestanti che si trovano un po' ovunque, ma anche di piante ben radicate nel territorio. I pendii denudati fanno un po' impressione e l'argilla dominante desta qualche preoccupazione. Chi fermerà eventuali e possibili frane e smottamenti?

La seconda è che la strada, quasi tutta, è piena di buche e rende ardua la pedalata verso la cima. Ah sì, a proposito. L'abitudine alla marcia in montagna ha sempre fatto pensare alla cima come il punto più alto di un monte o di un gruppo montuoso. Se vedo un cartello con scritto "strada interrotta per la cima", immagino che quella preclusa sia l'ultima, che sale dalla strada principale e conduce sulla vetta. Altrimenti se, come è, l'asfalto si interrompe sulla via principale, sarebbe meglio scrivere "strada interrotta tra 500 metri", per evitare che l'intraprendente ciclista non tiri giù un bel po' di santi dal paradiso.

Ma perché è interrotta? Perché si sta lavorando, c'è un gran cumulo di terra che occupa l'intera carreggiata. Cosa stanno facendo? Forse è l'inizio di una necessaria ristrutturazione completa, per la felicità di ciclisti e camminatori? Non si capisce bene, si nota solo che un cartello promette la fine dei lavori di questo breve tratto per il 3 febbraio 2023. Già, ormai si è al 28 marzo e non sembra proprio che il cantiere sia prossimo alla sua chiusura.

Si stende un pietoso velo sulla deviazione (obbligata, a questo punto) per Lucinico. La discesa - o la salita, a seconda dei punti di vista - è veramente un colabrodo e se si è in bici non si può far altro che affrontare le curve a passo d'uomo, se non ci si vuole rompere il collo. non si pensa a una sistemazione di questo bellissimo percorso alternativo verso la "cima"?

Ci sarebbero molte altre cose da dire. Solo una nota curiosa finale. Esiste ancora una traccia sbiadita che sul ponte VIII agosto consente ai ciclisti e ai pedoni di affrontare il traffico pesante. La sicurezza è quella che è, ma il ponte consente un bellissimo panorama sul ponte ferroviario e sull'Isonzo, se percorso sullo strettissimo marciapiede separato da un basso guardrail dallo scorrere ininterrotto di camion e auto. Un cartello avvisa i nuovi arrivati di cosa li attende in città e oltre la città. Andando a sinistra, terza uscita della rotonda, prima o poi arriveranno al Valico di II categoria di Salcano (non è più tale da circa 20 anni), andando a destra giungeranno al valico di I categoria della Casa Rossa. I controlli sul confine sono stati aboliti nel dicembre del 2007, ben 16 anni fa. Non sarebbe il caso di cambiare il cartello o forse si pensa di tenerlo così per ricordo, riservando a un'indicazione stradale una sorte più dignitosa di quella toccata alla povera rete confinaria della Transalpina, quella sì intrisa di storia e di memoria?
 

domenica 26 marzo 2023

Dal Gorgazzo alla Santissima, la 25ma via crucis di pace

 

Si è svolta oggi (domenica 26 marzo) la 25ma edizione della Via Crucis, proposta dai Beati i costruttori di pace e da molte altre realtà associative della Regione Friuli-Venezia Giulia.

L'inizio è stato impressionante. Tutti i partecipanti avevano sentito parlare del Gorgazzo, la più affascinante delle sorgenti del fiume Livenza. Ci si aspettava di contemplare uno specchio d'acqua profondo e misterioso, ascoltando il fragore delle acque che scaturiscono dalla roccia, una prorompente nascita dal grembo ospitale della montagna. Lo spettacolo non è stato deludente, ma preoccupante, un minuscolo specchio di acqua stagnante, coperta dalle foglie degli alberi circostanti. La risorgiva sembra essersi quasi inaridita e quello che era un arcano invito ai più coraggiosi ed esperti speleologi si è trasformato in una pozza evanescente. Come non pensare ai cambiamenti climatici, a un'estate nella quale si sono potuti attraversare all'asciutto fiumi un tempo impetuosi, a un inverno con la poca neve caduta sui monti soltanto dal mese di gennaio in poi? L'acqua, che è condizione perché la vita sia, sembra inabissarsi verso il centro della terra, lasciando all'asciutto domande inevase sugli attuali criteri e sistemi esistenziali.

Si è poi camminato, per raggiungere la piazza del sorprendente bel paese di Polcenigo. Si è riflettuto su come l'acqua, in particolare del mare, sia anche una memoria di morte, in particolare delle decine di migliaia di migranti che sulle rotte del Mediterraneo e dei Balcani, cercano di raggiungere l'eldorado dell'Unione europea per poter sopravvivere alle guerre e alla fame. La causa di tali tragedie non è ovviamente nella grandezza affascinante del mare, ma nelle politiche planetarie che dividono i pochi straricchi dalle moltitudini immense dei poveri e che impediscono di pensare all'altro come una sorella o un fratello da accogliere e non come una minaccia dalla quale difendersi.

Si sono poi attraversati i campi dei dintorni, ammirando i paesaggi e le architetture rurali, per arrivare al santuario della Santissima (santissima chi e che cosa non si è capito bene...), ritrovando finalmente le acque correnti del Livenza, la cui seconda risorgiva si trova qualche centinaio di metri più avanti. In questo caso, la fuoriuscita di un intero fiume dalla roccia è veramente magnifica e finalmente si sente il caratteristico fragore di ogni sorgente. Il luogo è letteralmente punteggiato da chiese e cappelle, certamente cristianizzazioni più o meno sostenibili dell'ancestrale sacralità che permea luoghi così carichi di energia, non del tutto soffocata dal traffico della statale incipiente.

Il rito della via crucis si svolge dell'interno della chiesa, si alternano le preghiere e le testimonanze, le parole incrociano una musica potente e coinvolgente. Si parla di pace, nei termini forti e indimenticabili di don Lorenzo Milani, della testimonianza della donna nella società contemporanea, delle straordinarie esperienze di nonviolenza e obiezione di coscienza degli ucraini e dei russi coinvolti nell'attuale conflitto. Si ascolta con il fiato sospeso la storia della fuga dall'Afghanistan di un giovane amico. Ci si invita reciprocamente alla gratitudine, all'impegno, all'amore al fratello, anche al "nemico". Riecheggiano potenti le beatitudini evangeliche, quelle di Luca, beati i poveri, gli affamati, i piangenti, i perseguitati, ma anche guai!, sì, guai ai ricchi, ai sazi obesi, a coloro che troppo ridono e a coloro dei quali tutti parlano bene. 

Che tacciano ovunque le armi e al posto dei fucili si imbraccino le falci e i martelli, che ogni essere umano accolga ed abbracci ogni suo simile, che la madre terra sia rispettata in ogni sua dimensione, che ritornino le acque a irrorare e fecondare la terra.

A via crucis conclusa, salutata con gratitudine dal placido scorrere del Livenza già adulto, è scesa copiosa la pioggia.

Una copia della croce di Aquileia (IV sec.) donata alla basilica

Nel corso di una semplice, ma interessante cerimonia, è stata consegnata alla basilica di Aquileia una croce in bronzo. Si tratta di un'opera dell'artigiano di Torviscosa Giovanni Ghirardo, il quale con tanta pazienza e abilità a realizzato una copia perfetta di un interessante reperto arcehologico.

Durante l'aratura dell'anno 1874, nei pressi dell'abitato di Monastero, è stata ritrovata infatti una croce astile, risalente al IV - V secolo d.C. Dono del barone Ettore von Ritter, il reperto è attualmente in mostra nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Alta 54 cm e larga 27, rappresenta una variante del noto e classico "chrismon", in modo da formare con l'intersezione dei due bracci la lettera greca X (hi) e con il braccio orizzontale la P (ro), ovvero le prime due lettere del nome XPΙΣΤΟΣ (CHRISTOS). Sono agganciate altre due lettere, A (alpha) e Ω (omega), la prima e l'ultima dell'alfabeto greco, come a ribadire quanto si trova scritto nell'Apocalisse riguardo al mistero di Dio: "Io sono l'Alpha e l'Omega, dice Dio, il Signore, che è stato, che è e che verrà, il Signore di tutta la creazione". 

L'opera di Ghirardo consente di mantenere una memoria viva del manufatto paelocristiano e di collegare Aquileia con Vienna. L'artista, visibilmente emozionato, ha partecipato con i familiari al rito di benedizione della croce, guidato dall'Arcivescovo di Gorizia e ha ricevuto il ringraziamento da parte di tutta la comunità parrocchiale aquileiese.

A Kamnik, un mammuth ricostruito

 

Oggi una notizia per sorridere un po'.

Tra una glaciazione e l'altra, oltre 20.000 anni fa, sulle pendici delle Alpi di Kamnik gironzolavano degli enormi mammuth. Con il loro forte pelo si sentivano molto potenti, dall'alto della loro impressionante mole guardavano tutti gli altri animali dall'alto in basso.

Purtroppo per loro, quod non fecerunt barbari fecerunt barberini, in altre parole, ciò che non riuscì alle rigide temperature e ai (quella volta) lenti cambiamenti climatici, riuscì al più pericoloso di tutti gli animali, tal "homo sapiens, impegnato in quei tempi anche nell'eliminazione dell'ultimo dei suoi concorrenti, il buon "homo neanderthalensis". Ma si sa, allora come oggi, tempi duri per i troppo buoni e così in breve tempo i mammuth incontrarono i primi cacciatori che usavano lance quanto mai rudimentali, ma in ogni caso più efficaci delle zanne ricurve dei poveri mastodonti. 

E così uno di loro restò incagliato da qualche parte, nella zona di Nevlje, vicino a Kamnik, sotto la stupenda Velika planina. Alcuni operai hanno trovato il suo scheletro perfettamente conservato, scavando la terra sotto un ponte nel 1938, periodo in cui l'Europa era preoccupata per ben altri motivi, alla vigilia del tragico secondo conflitto mondiale. C'è stato comunque il tempo per raccogliere con delicatezza il tutto e per ricostruirlo con cura, offrendo così a tutti la possibilità di immaginare cotal possanza - come direbbe l'Alfieri - a partire da un'ordinata catasta di ossa rilucenti.

C'era bisogno di ricordare l'evento, non tanto della triste fine del mammuth un paio di decine di millenni fa quanto del suo ritrovamento nella prima metà del XX secolo. E così, un bravo scultore ha provato a ricostruirne con il bronzo la carne e la pelle, donando la sua opera al Comune di Kamnik che, come ogni amministrazione che si rispetti, ha impiegato un'altra manciata di anni per ragionare, discutere, emettere ordinanze e prescrizioni. Ma alla fine il risultato è stato ottenuto.

Da ieri (sabato 25 marzo), giorno dell'inaugurazione, il mammuth in carne e ossa, o meglio in bronzo e rame ma con dimensioni rigorosamente reali, non è più soltanto il simbolo stilizzato del Museo di storia naturale di Ljubljana, ma anche un suggestivo monumento, ben visibile dalla grande strada che unisce la capitale slovena con la bella e antica cittadina di Kamnik. Molti abitanti sono di sicuro orgogliosi di ricordare in questo modo l'originale ritrovamento del 1938, ma i più felici di tutti sono i bambini che senza alcun timore reverenziale tentano invano di scalare il bisnonno degli attuali elefanti, si appendono alle sue zanne ricurve e fanno vibrare il tutto colpendo la struttura con i pugni.

Povera bestia, se ci si fosse trovati nella stessa situazione 22mila anni fa, non ci sarebbe stata tanta voglia di ridere e scherzare!

giovedì 23 marzo 2023

Un plastico per capire Nova Gorica, i miracoli del mettersi "in rete"

 

Sapete cosa è? 

Facile, un lavoro con il vecchio e intramontabile Lego.

Sì, ma cosa rappresenta?

Ve lo dico io. E' trg Edvard Kardelj a Nova Gorica. A destra l'edificio del Municipio, inaugurato nel 1952, A sinistra il grattacielo costruito alla fine degli anni '50 e la moderna Knižnica Bevk, luminosa biblioteca cittadina. Quello in rosso š il Teatro nazionale. Si intravvedono anche la torre azzurra della Banca e, nell'angolo in alto a sinistra, in bianco è rappresentato l'antico portale che un tempo introduceva nell'antico cimitero di Gorizia. Bello in evidenza è il Travnik, l'ampio prato verde che collega la storia della nuova con quella della vecchia Gorizia, con il suo "travnik" oggi chiamato Piazza Vittoria.

Perché un gioco è così interessante?

Perché è una parte di un plastico più grande, che rappresenta tutta Nova Gorica e che  può essere modellato a piacere, anche per illustrare a un gruppo di scolari, studenti o turisti l'evoluzione nella concezione urbanistica del nuovo spazio metropolitano, dall'idea originaria (1947) fino a oggi.

Il lavoro, presentato questa mattina in conferenza stampa nel bel cortile interno del Municipio di Nova Gorica, costituisce un singolare esempio di come una rete di istituzioni che sappiano collaborare, possano produrre dei risultati straordinari con costi alquanto limitati.

I protagonisti, oltre al Comune, sono stati gli istituti accademici di Koper, Nova Gorica e Ajdovščina, l'associazione Medobčinsko društvo slepih in slabovidnih, il Goriški Muzej e le scuole della città. Hanno realizzato insieme il tutto, procedendo dal desiderio di offrire alle persone non vedenti uno strumento per conoscere attraverso il tatto la struttura e gli edifici principali della loro città. Man mano che l'opera procedeva ci si è accorti della sua utilità per le persone non udenti e portatrici di altre disabilità. Si è infine arrivati a riconoscere come il plastico - realizzato con l'aiuto di docenti preparati e professionali, nonché da competenti esperti di pedagogia, psicologia e tiflopsicologia - sia uno strumento utile per tutti, dai più piccoli che possono imparare attraverso il gioco ai più grandi che in poco tempo hanno un punto di vista completo ed esauriente, sia sulla situazione attuale che sul passato del territorio.

L'accessibilità e l'inclusività stanno diventando parole d'ordine irrinunciabili per tutti i siti culturali, antichi e recenti. E' stato immediato il desiderio di mettere in rete le esperienze da una parte e dall'altra del confine. Il prossimo passo sarà la realizzazione di un progetto inter-nazionale che coinvolgerà Nova Gorica e Gorizia come capitale europea della Cultura 2025, insieme ad Aquileia, la terra nella quale affondano le radici culturali di tutti i popoli del Centro Europa. Sarà finalizzato a mettere in comune le rispettive esperienze e a rispondere con strumenti sempre più adeguati all'obiettivo di consentire alle persone non vedenti o ipovedenti, ma anche non udenti e ipoudenti o portatrici di qualsiasi disabilità, di usufruire con semplicità e naturalezza di tutto ciò che appartiene di diritto a tutta l'umanità.

martedì 21 marzo 2023

Una bella alba in Basilica

 

Foto Joško Prinčič
Ci sono momenti in cui le emozioni personali diventano collettive. Così è stato in questa prima alba di primavera, nella basilica di Aquileia.

Circa 400 persone, provenienti da tutta la Regione, hanno partecipato a un momento molto intenso, nel quale le parole si sono intrecciate con il suono dell'arpa, la luce del giorno nascente con i messaggi simbolici dei mosaici e degli affreschi, il canto degli uccelli con lo scampanio festoso del mattino.

Con Angelo Floramo si è parlato di luce e di tenebre, di vita e di morte, di bene e di male, nel loro permanente generativo conflitto. Si sono ricordate le tradizioni culturali che nel corso dei millenni hanno sottolineato il particolare istante astronomico dell'equinozio primaverile. I volti dei presenti si sono rispecchiati in quelli che raccontano la loro storia dal tappeto musivo, la Dei genetrix ha celebrato la sua primazia sul potere patriarcale, rivelando dall'ogiva absidale la potenza della maternità e della figliolanza. Sul mare di Giona e sul ricordo dei troppi corpi di viventi inghiottiti dal Mare Nostrum/Mare Monstrum, è riecheggiato l'inaudito (nel senso di inascoltato) messaggio pasquale: perché cercare tra i morti colui che è vivo?

A loro modo hanno partecipato anche Giobbe, Giacomo Leopardi, un giovane poeta afghano, Apollonio Rodio con i suoi Argonauti e naturalmente Pachebel, Bach e gli altri grandi musicisti vivificati dall'arpa die Ester Pavlic.

Con Nella, Maria e Rossana
Il pellegrinaggio all'interno della Basilica è stato un simbolo del cammino di ogni essere vivente, sospesi tra la terra e il cielo, avvinghiati l'una all'altro come nel classico nodo di Salomone. E' stato ancor più comprensibile grazie a tre donne viandanti - Maria Nella e Rossana - camminatrici da Venezia verso la Cina, con prima tappa a Istanbul, in sosta proprio in questo giorno ad Aquileia. Sono partite a piedi, dopo aver ricevuto il mandato da parte di tutti i partecipanti all'evento mattutino. Porteranno verso l'Oriente - Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul - un messaggio di pace e di accoglienza, una parola di speranza a coloro che incontreranno, anch'essi in cammino, ma a ritroso, lungo la rotta balcanica, mossi dalla speranza di passare dalla schiavitù alla libertà, dalla guerra alla pace, dalla fame alla possibilità di sopravvivere.

Il Sole ormai è alto, la primavera è iniziata con il suo tripudio di colori e di profumi. Il rinascere della vita e della natura porti intelligenza e sapienza, perché ogni donna e ogni uomo sulla terra possa trovare pace, fraterna solidarietà, lavoro, amicizia, partecipazione alla bellezza universale. Non dimenticheremo facilmente questa esperienza in Basilica, questa prima alba di primavera dell'anno 2023.

domenica 19 marzo 2023

Viva i mercati, i mercati vivano! (Quelli di Gorizia e di Nova Gorica, per esempio...)

 

Tržnica v Novi Gorici
Ci fu un tempo nel quale i piccoli negozi punteggiavano le città. Erano punti di riferimento indispensabili, in uno si compravano il pane e il latte, nell'altro la carne, in qualcuno anche i vestiti.

C'erano anche i mercati, quelli quotidiani nei centri più grandi, quelli settimanali nei paesi, dove spesso tuttavia era possibile comprare direttamente verdure, uova e pollame dai produttori del luogo.

Sono sempre meno gli esercizi di questo tipo, soppiantati un po' alla volta dai medi e grandi centri commerciali. Una volta, insieme al cartoccio da inserire nella borsa della spesa, si aggiungevano sempre un saluto, un sorriso, una parola buona. Erano luoghi di incontro tra vicini di casa, ma anche forme naturali di ordinaria attenzione, soprattutto nei confronti delle persone più sole o maggiormente in difficoltà. Si poteva chiedere un consiglio, informarsi e discutere sulle notizie ascoltate la sera prima alla radio oppure raccontare una propria esperienza o anche protestare bonariamente per un prezzo troppo alto o per un prodotto consigliato, rivelatosi poi di scarsa qualità. Insomma, venendo meno progressivamente i piccoli negozi, viene meno anche una sorta di presidio umano e sociale, non incentrato su teorie, ma sulla quotidiana pratica della conoscenza e sulla non semplice ma affascinante arte dell'incontro.

Un pensiero a chi è riuscito a resistere a una concorrenza praticamente invincibile. I grandi network e le multinazionali del commercio sono come squali che inghiottono ogni giorno i pesci più piccoli, innalzando gli idoli della comodità, del (presunto) risparmio e dell'anonimato. Le vie centrali si svuotano e si riempiono i villaggi virtuali, che perfino nelle loro effimere architetture si presentano come una moderna alternativa ai paesi nei quali, per acquistare qualcosa di indispensabile, non occorrevano gli ampi bagagliai delle auto della postmodernità.

L'altro luogo di commercio ancora a dimensione umana, con i prodotti venduti a chilometro zero o comunque su bancarelle che favoriscono efficace aggregazione e simpatetica integrazione, è il mercato.

Sì, proprio lui, il vecchio caro mercato, con i suoi profumi, i suoi rumori, la passione del vendere ciò che si è prodotto dal nulla e dell'acquistare sulla base della parola e della fiducia. Il mercato della clientela quasi fissa, della richiesta del "solito" immediatamente compresa, della stretta di mano e dell'interessamento sulla salute dei figli e degli amici. Il mercato dove è bello camminare osservando le merci dispiegate sui banconi con armonia, dove si compra con la certezza di prepararsi ad assaporare qualcosa di buono e di sano. Vale la pena di spendere qualche spicciolo in più - a volte anche meno! - risparmiato sulla benzina necessaria per la corsa fino all'ipermercato fuori città, pur di salvare la qualità e la bellezza di un commercio, dove al centro non sta anzitutto l'interesse, bensì la relazione tra il venditore e il suo cliente.

Mercato coperto di Gorizia
Ebbene, tutto questo per dire che nelle Gorica, congiunte capitale europea della cultura nel 2025, ci sono due mercati così, a distanza di due chilometri. L'uno più bello dell'altro, attendono ogni mattina i visitatori e ciascuno si adopera di poter offrire la propria merce migliore. Quello di Nova Gorica, nella Delpinova ulica, merita una visita, anche soltanto per uno sguardo ai banchi carichi di ogni ben di Dio, svuotati peraltro ben presto da una folla multicolore che cerca di accaparrarsi i pezzi migliori. I venditori portano negli occhi e nel volto l'orgoglio di sentirsi ancora produttori, le verdure schierate insieme al miele e agli insaccati sono intrisi delle ore di semina e raccolta sotto il sole, della paura della grandine estiva, dell'attesa paziente che il seme generi la pianta e il suo frutto, del sudore della fronte alleviato ma non cancellato dalle nuove tecnologie. Quello di Gorizia, il mitico mercato coperto, con il suo interno dalle arie mitteleuropee e la corona dei negozi esterni a completare l'offerta. Ovunque ci si scambia saluti, informazioni, risate mescolate a delicate osservazioni. Ci si passa, anche soltanto per dire o ricevere un "ciao", lontano dal regno della fretta e del via vai informale e impersonale che pretende di riempire ogni spazio del giorno e della notte.

Sono da salvare i mercati di Nova Gorica e Gorizia, da valorizzarli senza esitazione, luoghi di incontro e di cultura popolare - vera Cultura con la C maiuscola - senza i quali i capoluoghi non sarebbero altro che contenitori senza anima di mille iniziative scollegate tra loro, come frutti generati all'improvviso, senza alcun collegamento con le radici, i fusti, le foglie e i fiori degli alberi che avrebbero dovuto produrli.

sabato 18 marzo 2023

L'alba di primavera nella Basilica di Aquileia

Alle ore 22.24 di lunedì 20 marzo ci sarà l'equinozio. Ciò significa che il Sole sarà esattamente allo zenit dell'equatore e che il tempo del giorno e quello della notte sarà equivalente. Per ciò che concerne l'emisfero nord, sarà l'inizio della nuova stagione.

Molte sono le tradizioni legate a questo particolare periodo. Il calendario ebraico fissa in questo tempo la propria Pasqua, memoria del passaggio degli israeliti dalla terra della schiavitù nell'Egitto a quella della libertà nella Terra promessa. Le tradizioni precristiane del Nord Europa proponevano interessanti riti riguardanti la rinascita della vita e la fertilità, di esse sopravvivono le usanze relative alle uova e ai coniglietti. La colomba richiama la pace e la fine del diluvio universale.

Per quanto riguarda il paleocristianesimo, nota è la lunga controversia che ha portato alla fissazione della data della Pasqua, la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Per gli antichi la notte della Pasqua era la "nox magna", la grande notte, come ricordano ancora alcuni popoli, come quello sloveno per il quale la Pasqua è la "velika noč". C'è un'altra festa molto importante, anche se istituita qualche secolo dopo, che congiunge significativamente l'equinozio di primavera con il solstizio d'inverno. E' l'Annunciazione dell'angelo Gabriele a Maria, l'inizio cioè dell'incarnazione di Gesù, celebrata il 25 marzo, nove mesi prima della memoria della sua nascita, il 25 dicembre.

L'architettura della maggior parte delle prime chiese ha sottolineato simbolicamente il legame della nuova "luce per illuminare le genti" con il sorgere del Sole, collocando l'altare nella zona verso Oriente.

Ciò vale anche per la Basilica di Aquileia, dove le aule di Teodoro sono orientate, così come le strutture costruite successivamente, da Cromazio, Poppone e Marquardo. Ciò significa che i raggi del sole, intorno al tramonto, entrando dalla bifora collocata sulla facciata, illuminano la zona presbiterale e che un tempo, prima della realizzazione dell'abside romanica, raggiungevano i mosaici teodoriani qualche tempo dopo l'alba.

Martedì 21, alle ore 5.45, chi lo desidererà potrà assistere all'inizio del nuovo giorno e della nuova primavera all'interno della suggestiva Basilica. Sarà aiutato a entrare nei "misteri" dell'equinozio dal racconto delle tradizioni culturali che sarà svolto in un dialogo tra Angelo Floramo e Andrea Bellavite. Saranno sommariamente interpretati i mosaici dell'inizio del IV secolo, cosicché le parole si intrecceranno con l'arte visiva, con la poesie spirituali lette da Mattia Vecchi e con la splendida musica dell'arpa, magistralmente suonata da Ester Pavlic. Si attenderà il sorgere del Sole e si affronterà, con la forza della fede e della cultura di chi ci ha preceduto nei secoli passati, l'avventura di un nuovo segmento di quelle meravigliose e drammatiche realtà che sono la Vita e la Storia.

Certo, per molti è un orario impegnativo, ma ne vale veramente la pena!

venerdì 17 marzo 2023

Tre donne in cammino

Tre donne hanno deciso di mettersi in cammino. No, non solo in senso figurato o simbolico, anche fisico. Sono partite un paio di giorni fa a piedi da Venezia e domenica sera dovrebbero arrivare ad Aquileia.

Si fermeranno una giornata intera nell'antica città e potranno visitare gli scavi archeologici, i musei e naturalmente anche la Basilica.

La sera di lunedì 20 marzo incontreranno tutti coloro che accoglieranno il loro invito. Alle 18,30, nell'inedita sede del negozio/libreria della Basilica in piazza Capitolo, racconteranno della loro meta, del loro marciare, della loro vita.

Dove stanno andando? Puntano lontano, percorrendo una parte dell'antica Via della Seta. Arriveranno fino a Istanbul, passando per Lubiana, Zagabria, Belgrado e attraversando tutti i Balcani. Non sono alle prime armi, una di loro almeno è una veterana dei cammini lunghi. Ha scritto un libro molto bello, intitolato "Quando cammino canto", nel quale - come capita alla maggior parte dei viandanti scrittori - racconta l'intreccio misterioso e a volte miracoloso tra la scelta di lasciare la propria quotidianità e la più ampia avventura dei diversi momenti della Vita.

Il volume, edito da Ediciclo, è interessante, in quanto riesce a coniugare la tradizionale passione per il racconto di fatti, aneddoti e piccole esperienze con una notevole capacità di riflessione. La lettura è già in sé stessa un piccolo pellegrinaggio, guidato dall'autrice, verso le più recondite pieghe dell'io e del noi.

Vale la pena di leggere e anche di ascoltare direttamente questa originale testimonianza. La partecipazione all'incontro e alla presentazione è ovviamente libera e gratuita, davvero da non perdere! 

Ripartiranno martedì 21 marzo, dopo aver partecipato all'"Alba in basilica", alle 5.45 e aver ricevuto da tutti i presenti il mandato di portare un messaggio di pace e giustizia nel cuore dell'inquieta e affascinante vecchia Europa.

RAJKO BRATOŽ, Scontri e incontri di popoli fra Aquileia e Illirico..., ed. Forum

Per iniziativa dell'Istituto Pio Paschini di Udine, è stata presentata lo scorso mercoledì la traduzione din italiano dallo sloveno ella poderosa opera del prof. Rajko Bratož, dedicata agli "Scontri e incontri di popoli fra Aquileia e Illirico nel Tardoantico". 

Gli studi raccolti nell'opera riguardano la storia di un grande territorio, dai Balcani alla Carinzia, dalla Slovenia al Friuli, incentrato sulla città di Aquileia e sugli sviluppi della sua vicenda.

Si parla di vescovi e di imperatori, di condottieri e di semplici persone, i destini dei quali si intrecciano nell'avventurosa danza della vita. La lettura è intensa e consente di scoprire le origini culturali e spirituali di interi popoli e di seguire la costante alternanza tra momenti di devastante scontro e di costruttivo incontro che ha formato l'identità plurale del nostro affascinante territorio.

In fondo, questo libro è un'ulteriore conferma della caratteristica di una terra nella quale la valorizzazione delle diversità ha generato meraviglie di arte e di cultura, la cancellazione delle specificità ha condotto a disumani conflitti, le cui radici sono nella profondità della Storia, i frutti avvelenati nelle guerre del XX secolo, quelli maturi e dolci nel cammino che ha portato fino alla Capitale europea della Cultura.

Un grazie profondo a chi ha permesso la pubblicazione di questo volume del prof. Bratož, fondamentale preparazione scientifica agli avvenimenti del prossimo 2025, i curatori Sandro Piussi e Alessio Persic, Marianna Cerno, Cesare Scalon e i collaboratori dell'Istituto Pio Paschini e, non ultimo, il traduttore Giovanni Toplikar.

lunedì 13 marzo 2023

Salva la data: in cammino per la pace a Polcenigo

 

Domenica 26 marzo 2023 si terrà la 25ma Via Crucis della Pace. Fino al 2019, si era tenuta ininterrottamente, con uno schema consolidato. Si partiva dal centro di Pordenone, si percorrevano circa 12 chilometri con alcune soste di riflessione e ci si trovava alla fine ad Aviano, davanti alla base Usaf. Era un modo per collegare il cammino di Gesù verso la croce e la risurrezione, con la presenza degli ordigni di morte presenti in una delle più grandi basi militari europee e con la speranza che prima o poi, come è scritto nei Salmi, le lance si trasformino in falci. Sono indimenticabili gli interventi di persone di pace come Pierluigi Di Piazza, Albino Bizzotto, Lisa Clarck e Giacomo Tolot, Roberto Feletto, Piergiorgio Rigolo, Stefano Barazza, Lucina Pase, Valentino Pase, Milena Perlin, Valentino De Piante, Paola Bravin, Alberto De Nadai, Tiziano Tissino, Giovanna Frattolin, solo per ricordare alcuni dei tantissimi che hanno aiutato, anno dopo anno, a costruire il gesto e a sostenere la riflessione di tutte e tutti i partecipanti.

Nel 2020 e nel 2021 ha avuto la meglio il coronavirus e non se ne è fatto necessariamente nulla. 

Si è ripreso il cammino nel 2022, sempre la quinta domenica di Quaresima, con un percorso abbreviato e molto diverso rispetto al passato, da Costa d'Aviano a Madonna di Monte. Fu un incontro molto particolare, condizionato dallo stato di salute di Pierluigi che intervenne via radio dal CRO di Aviano dove si trovava ricoverato. Pochi giorni dopo ci avrebbe lasciato, con tanti insegnamenti, tanti ricordi e anche tanta responsabilità di proseguire attivamente e concretamente sulla sua strada.

Quest'anno protagoniste saranno le Beatitudini e la Natura. Le stazioni della via crucis saranno dettate infatti dalla lettura e dal commento alle Beatitudini - alternate ai "guai" - proposte nel vangelo di Luca. Il paesaggio, molto bello, dal Gorgazzo alla Chiesa della Santissima, consentirà di riflettere sulla madre Terra, costretta a soffrire molto, a causa dei cambiamenti climatici indotti da uno "sviluppo" incosciente propugnato dal turbocapitalismo attuale. Lo si potrà constatare, contemplando malinconicamente il Gorgazzo completamente vuoto d'acqua, ma anche rallegrandosi della freschezza delle acque del Livenza nascente proprio presso la Chiesa nella quale si concluderà l'iniziativa.

E' fin troppo immediato sottolineare l'importanza di un simile momento di meditazione collettiva, inevitabilmente influenzato dalle preoccupazioni per la guerra  che tragicamente continua in Ucraina e in tante altre parti del mondo e dal dolore per la morte in mare di tanti migranti che cercano sulle nostre spiagge o oltre i nostri confini un avvenire migliore e trovano invece incredibile indifferenza, ingiustizia e insensibilità. 

domenica 12 marzo 2023

Parentesi domenicale, ispirata da un buon cespo di radicchio

 

C'era volta un giovane re. Un giorno, dalla finestrella della torre più alta del suo castello fatato - talmente fatato da consentirgli di vedere molto lontano, nonostante la sua forte miopia - vide una bellissima fanciulla che portava al pascolo una dolce pecorella.

Acceso d'amore per la sconosciuta, decise immediatamente di donarle tutto ciò che di più bello avrebbe potuto immaginare. Fece chiamare dal suo segretario - che poi era anche suo fratello - i servi, per ordinare loro di seminare ovunque soltanto il meraviglioso fiore che si chiama rosa, estirpando da tutti i terreni del regno la vite, il frumento, la soia, le patate, i cavolfiori, i tulipani e così via.

Ma qui si pose il primo problema. I servi erano impegnati in una manifestazione sindacale e non potevano presentarsi al cospetto del re prima del giorno successivo. Inoltre, era da tempo che avevano acquisito il titolo di lavoratori e non accettavano di accorrere al comando di un tizio, sia pur importante come il re, che li chiamava ancora servi.

Il re andò su tutte le furie e per consolarsi tornò nella stanza più alta del maniero per deliziarsi della vista della leggiadra fanciulla. Ed ecco, lei era ancora là, e sembrava del tutto ignara di ciò che le sarebbe potuto capitare, da un momento all'altro. Ci si può solo immaginare quanto questa visione avesse ulteriormente infiammato il cuore del monarca, che inviò di nuovo il fratello a chiamare immediatamente i servi, senza accettare alcuna scusa, né di riunioni sindacali, né di quisquiglie nominali.

Ma anche questa volta la sua attesa andò delusa. Il messaggero gli disse una strana parola, tipo riferito, referato o referendum che - a sua detta - si sarebbe svolto qualche anno prima. Era stata proclamata una nuova forma di potere che si chiamava repubblica o qualcosa del genere. Nessuno se ne faceva più niente dei re e chi comandava veniva scelto dal popolo. "O meglio - pensava il fratello del re mentre gli riportava tali ferali notizie - era nominato da coloro che riuscivano a convincere il popolo a decidere per l'uno o per l'altro". 

A queste parole il re non ci vide più. Sì, già prima non vedeva un accidente, se non da quella finestra dell'alta torre del castello fatato e così via. Ma questa volta era proprio arrabbiato e per la prima volta nella sua vita decise di uscire dalla sua enorme casa, parlando direttamente a quelli che fino a quel momento aveva pensato fossero i suoi servi e che ora non aveva capito come avrebbe dovuto chiamare. Soprattutto voleva imporre, con le buone o con le cattive, di coltivare soltanto le rose, lasciando perdere tutte le altre inutili colture che servivano soltanto a quell'ignobile occupazione animale che consisteva nel mangiare. "Che muoiano pure tutti i miei sudditi, basta che il regno sia coperto di rose e che io le possa donare alla straordinaria fanciulla" - si disse con determinazione, dopo essere salito dove già sappiamo per accertarsi che fosse ancora laggiù, dove era riuscita a catturare il suo primo sguardo. 

Nonostante la ritenesse un'azione indegna di un re, prima di uscire decise di mangiare qualcosa e senza distinguere bene cosa ci fosse nel piatto, cominciò a sbocconcellare un cibo squisito. Mentre lo assaporava, sentiva diminuire il suo sdegno e nel contempo crescere in lui una sensazione di pace. Aprì gli occhi e si sentì mancare. Non c'erano più il castello fatato - che essendo fatato era scomparso improvvisamente nel nulla - e non c'era più la torre dalla quale si affacciava per vedere la radiosa fanciulla. Nel piatto c'era un elegante cespo di radicchio rosso, dall'inconfondibile forma di una meravigliosa rosa. E davanti a lui c'era un cameriere premuroso e un po' spaventato, con un tovagliolo bianco sul braccio, che gli stava chiedendo se andasse tutto bene.

Il re, tornato nella sua vera veste di impiegato in pausa pranzo, si riscosse un attimo dal torpore e rispose con molto buon umore all'attento personaggio che, a pensarci bene, in comune con la dolce ragazza che lo aveva ammaliato aveva soltanto la statura e quella macchia bianca intorno al braccio. "Niente paura - gli disse - sto bene. Se possibile, mi porti ancora una terrina piena di questo buon radicchio". Se lo divorò in quattro e quattr'otto, dimenticandosi totalmente della fanciulla e delle rose. Il giorno dopo, finito il turno di lavoro, si recò dall'oculista e tutti - anzi, tutte e tutti - vissero felici e contenti.

Fatal karaoke..

 

T.P.Schmalz, monumento ai migranti, Piazza San Pietro
Fu il karaoke del Papeete a segnare la fine dell'apparentemente irresistibile ascesa di Salvini verso le cariche più alte dello Stato.

E probabilmente il karaoke del trio Meloni Berlusconi Salvini, in occasione del 50° compleanno di quest'ultimo, segnerà l'inizio del declino della rampante Presidente del Consiglio.

Intendiamoci. Non si tratta di una critica al divertimento in sé, si è già visto un premier spassarsela in modi sempre ben oltre i confini della morale e ai limiti di quelli del diritto. E' invece la percezione della distanza abissale tra governanti e governati a generare perplessità e disaffezione nel proprio elettorato, soprattutto in quello più sensibile e razionale, quello per intenderci che determina - in tempi lenti ma inesorabili - i rilevanti e influenti ondeggiamenti dei sondaggi di opinione.

Inoltre, se procura un oggettivo fastidio vedere i propri beniamini mentre festeggiano come adolescenti un genetliaco, soltanto un paio d'ore dopo la celebrazione di una parte dei funerali delle vittime di una spaventosa tragedia, l'allontanamento progressivo dipende soprattutto dalla delusione.

Riguardo alla catastrofe di Cutro, il governo Meloni ha dimostrato una grave impreparazione, inaccettabile soprattutto per chi lo ha votato, oltre ovviamente che per l'opposizione. La presa di coscienza della gravità dei fatti è avvenuta troppo tardi, forse sollecitata dalla presenza quasi istantanea del Presidente della Repubblica nella camera ardente, davanti alle decine di bare allineate. La trasferta nel paese calabro è stata un disastro, con l'incredibilmente mancato incontro della capo del Governo con i parenti straziati delle vittime, l'evidente e inedito nervoso imbarazzo davanti alle pressanti domande dei giornalisti, le scelte operative scevre da qualsiasi analisi politica e culturale profonda e infine - dulcis in fundo - la fuga a Milano per cantare a squarciagola, quasi profanandola tra una risata e l'altra, la (bellissima) Canzone di Marinella. Insomma la sensazione di quell'"io sono io e voi non siete un c...." che tanto disturba i le cittadine e i cittadini semplici, siano essi di destra, di sinistra o di nessuna parte.

Tuttavia la sensazione più devastante è che le mirabolanti promesse di Giorgia Meloni versione guida di Fratelli d'Italia sono quotidianamente smentite dalle decisioni concrete, perfettamente allineate alle posizioni dei vituperati governi precedenti e, per quanto riguarda i migranti, clamorosamente sbagliate. I decreti "anti ong" approvati prima della tragedia non solo non hanno rallentato le partenze, ma le hanno moltiplicate fino a raggiungere i numeri record di questi giorni. Quelle che sono invece drammaticamente cresciute sono le morti in mare e le chiamate in soccorso da parte di natanti alla deriva, alcuni dei quali impossibili da raggiungere proprio a causa dell'estromissione delle navi salvezza dal campo dei soccorsi. Lo stesso inasprimento delle pene nei confronti degli scafisti è un contentino che non soddisfa nessuno, tutti coloro che seguono queste vicende sanno che il nocchiero della carretta del mare è solo l'ultima pedina di un gigantesco traffico gestito dalle mafie internazionali, talmente potenti che nessun Paese al mondo - per quanto potente - risulta essere in grado di contrastarle. E queste sicuramente non si spaventeranno nel continuare imperterriti ad avviare nel mare barchette sgangherate strapiene di poveri esseri umani.

Insomma, al di là di come la si possa pensare sulla questione delle migrazioni, a nessuno di coloro che hanno la responsabilità di governare un Paese, è lecito affrontare questi temi in modo raffazzonato, superficiale e impreparato. Di questo ne sono ben consapevoli anche coloro che hanno sostenuto con speranza la nascita del Governo Meloni e che ora vedono nel karaoke di Milano il simbolico inizio di una fine inattesa.

sabato 11 marzo 2023

Perdonateci! Trieste chiama Cutro...


Perdonateci! (foto Elisabetta Tofful)
Promossa dal Comitato Pace Convivenza Solidarietà Danilo Dolci di Trieste e da Rete DASI FVG, si è svolta oggi pomeriggio a Trieste, in concomitanza con la manifestazione nazionale di Cutro, una toccante cerimonia. Un centinaio di persone, provenienti da tutta la Regione, si è riunito sul Molo Audace per ricordare gli oltre settanta morti e gli ancora tanti dispersi nel terribile naufragio avvenuto lo scorso 26 febbraio davanti alle coste della Calabria. E' stato un modo per condividere, almeno simbolicamente, l'immenso dolore di chi ha perso tutti gli affetti più cari in questa catastrofe. Si è trattato di una catastrofe del resto annunciata da tanti segni prmeonitori, purtroppo non l'ultima se non cambierà qualcosa nell'atteggiamento culturale e nelle scelte politiche dell'Italia e dell'Europa. 

Da una parte il messaggio è stato lo stesso delle moglie e madri di Cutro, che hanno voluto chiedere perdono a tante famiglie per aver impedito loro di realizzare la speranza nel futuro. Dall'altra sono state invocate verità e giustizia rispetto agli avvenimenti, ma anche la necessità di un cambio radicale di passo nella politica che dovrebbe essere sempre più di "accoglienza" e non di "difesa". 

Le norme approvate dal Governo nel recente Consiglio dei Ministri tenutosi proprio a Cutro, sono molto deludenti, in quanto non affrontano in maniera significativa il tema dei soccorsi dei naufraghi in mare, perseguendo invece ancora la penalizzazione delle ong che si prefiggono di soccorrere coloro che rischiano di annegare fra i flutti. Non viene neppure interrotta la linea dei respingimenti alla frontiera, particolarmente odiosa per quanto concerne i migranti che risalgono i Balcani per raggiungere l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea. L'inasprimento delle pene nei confronti dei trafficanti non è certo un deterrente nei confronti dei mandanti, organizzazioni internazionali che troveranno modo di portare avanti ugualmente i loro traffici. L'unica strada possibile sembra essere quella della gestione diretta dei viaggi dei migranti da parte dello Stato e degli organismi governativi e non governativi, favorendo in questo modo spostamenti sicuri e contestualmente accoglienza sostenibile.

Solidarietà a Yanis Varoufakis e a Diem/Mera25

 

Diem25 è il movimento europeo per la democrazia in Europa entro il 2025. Nasce da un'intuizione transnazionale dell'ex ministro greco Yanis Varoufakis e di molti altri compagni di avventura che hanno condiviso la sua critica politica ed economica al capitalismo planetaria. In Grecia si chiama Mera25. In entrambi i casi ci si riferisce al "Giorno" in cui finalmente si instaurerà la vera democrazia nel mondo.

Anche in Italia c'è una presenza culturalmente molto forte e significativa, ancora non pienamente conosciuta e valorizzata a livello politico e partitico. Al centro dell'articolato programma di Diem25 è la proposta di una nuova società fondata sui diritti dei lavoratori, sulla tutela dei diritti civili, sull'internazionalismo, sull'accoglienza senza confini e su un'economia incentrata sulla valorizzazione della persona in quanto tale.

Venerdì sera, in un locale di Atene, nel corso di una riunione di responsabili del movimento politico, rappresentanti di diversi Paesi europei, c'è stata un'aggressione di stampo fascista. Ha avuto la peggio proprio Varoufakis, finito in ospedale con il naso rotto, dopo aver cercato invano di calmare gli esagitati aggressori con la forza delle parole e della convinzione. Si esprime ovviamente piena solidarietà a Yanis e alle altre persone che erano con lui in quel momento, ma anche grande preoccupazione per un'ondata di violenze che sembra prendere il sopravvento ovunque in Europa sul dialogo e sul confronto razionale che dovrebbe caratterizzare ogni realtà democratica.

In questo clima, nel quale il pestaggio rivela anche la paura dei gruppi eversivi (e non solo loro) nei confronti di coloro che propongono una reale alternativa al turbocapitalismo, è significativo riportare la conclusione del costruttivo e confortante comunicato di Mera25, "in questo buio rispondiamo con la forza della luce del Giorno".

La gioiosa testimonianza del card. Zuppi a Gorizia

 

Venerdì sera, presso un affollato Kulturni dom di Gorizia, si è assistito alla conferenza intervista con il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo gli interventi introduttivi dell'Arcivescovo Redaelli e del Sindaco Ziberna, ha portato un suo saluto, in lingua slovena (unico nella serata, alla quale erano invitati anche i responsabili della diocesi di Koper, a parte un dober dan iniziale del parroco della Cattedrale) e italiana, il direttore del Kulturni dom Igor Komel, che con poche parole ha saputo condensare la vocazione dell'istituzione ospitante e, più in generale, dell'intero territorio "goriziano". Ha detto che non è solo la "casa della cultura" slovena, ma il luogo di incontro e di incrocio aperto a tutti gli sloveni, italiani e friulani (ma si potrebbe aggiungere asiatici, americani, africani, ecc.). 

Da queste parole ha preso le mosse l'incontro, con un'appassionata richiesta rivolta ai presenti, fisicamente e idealmente: "Aiutateci a comprendere e a vivere questa capacità di coniugare unità e diversità, tanto più in un luogo dove si è molto sofferto a causa delle divisioni e delle guerre e dove oggi siete chiamati a essere faro di cultura e di civiltà". Insomma, un vero mandato e un affidamento di responsabilità alle genti che vivono "su una cerniera che unisce l'est all'ovest" (bel concetto, già espresso a suo tempo, nel lontano 1992, da papa Giovanni Paolo II in visita a Gorizia).

Sollecitato dalle domande del giornalista Mauro Ungaro, direttore del settimanale Voce Isontina, mons. Zuppi ha intrattenuto per oltre un'ora e mezza i presenti, con profondità e intelligenza, ma anche con arguzia e simpatia. Si è parlato di ospitalità e di accoglienza fraterna, di dialogo tra le diverse componenti della società, si impegno nella comunità civile ed ecclesiale, anche di giovani che decidono di intraprendere la strada della Politica, "sempre a partire dall'attenzione nei confronti dei più deboli".

Insomma, si è trattato di un bell'incontro, anzi, per non essere politicamente corretti, si può dire forse "anche troppo bell'incontro". Era infatti straordinaria l'occasione di poter incontrare il responsabile della Chiesa cattolica italiana in un momento delicato e difficile come quello che stanno vivendo l'Italia, l'Europa e il Mondo, ma anche la stessa "inseparabile coppia" Nova Gorica e Gorizia che si apprestano a divenire capitale europea della Cultura. Forse molti interrogativi che albergano nel cuore di tanti, anche frequentatori abituali della comunità cristiana, avrebbero potuto trovare non tanto risposta quanto conforto.

La pagina della serata dedicata ai migranti, con il toccante ricordo dei funerali di alcune vittime e della tragedia dei caduti di Cutro, avrebbe potuto essere contestualizzata a Gorizia. La presenza delle autorità civili avrebbe potuto essere valorizzata, anche ricordando che i migranti transitati in città qualche anno fa, sono stati costretti a vivere per più di un mese in un'umida e fatiscente galleria a causa dell'impotenza delle istituzioni e che decine di altri hanno trascorso questo inverno dormendo all'addiaccio nei pressi della stazione ferroviaria perché "non c'era posto per loro negli alberghi".

L'ovvia condanna della guerra avrebbe potuto essere accompagnata da una parola più chiara sulle possibili soluzioni del drammatico conflitto in Ucraina, almeno con un pronunciamento personale del cardinale - la cui posizione è stata altre volte esplicita - sull'invio delle armi o meno nel martoriato Paese dell'est europeo. Si sarebbe potuto legare il caso Russia/Ucraina alle tensioni nazionaliste che hanno oppresso e poi insanguinato il territorio del confine orientale d'Italia e occidentale di Slovenia nella prima metà del XX secolo e capire meglio il ruolo della/e città chiamate a essere faro di cultura nel vecchio continente.

E sarebbe stato interessante anche affrontare alcuni elementi delicati per la Chiesa stessa, cominciando dalla folkloristica posizione di alcune frange tradizionaliste che sostengono l'illegittimità dell'elezione a pontefice di Jorge Bergoglio per arrivare ai ben più seri "casi vaticani", Emanuela Orlandi ed Estermann, le lussuose case a Londra e il ricorrente rilancio della questione della pedofilia del clero. Non da ultimo, davanti a un'assemblea composta da almeno una metà di persone che hanno conosciuto e per molti versi seguito il gesuita Marko Rupnik, non sarebbe stato male sentire una parole chiarificatrice e rasserenante, non certo per giudicare una persona, ma per aiutare la comprensione di un problema ampiamente pubblicizzato sui giornali di tutto il mondo. 

Certo, questi e altri temi sono molto scomodi da affrontare in una serata di avvio della celebrazione della festa dei patroni di Gorizia Ilario e Taziano. Forse si è scelta la strada di proporre un momento di condivisione nella fede e nella gioia, piuttosto che rompere le uova nel paniere costringendo tutti ad andarsene con l'inquietudine nel cuore. In effetti, forse non è stata una decisione sbagliata, in fondo si è tornati a casa davvero con serenità e pace interiore... ma anche chiedendosi che cosa effettivamente si sia imparato di nuovo.

domenica 5 marzo 2023

Gli avvenimenti interpellano la Politica: tra guerra in Ucraina ed elezioni regionali (2)

 

Lo stesso vale per le guerre, in particolare per quella che si sta combattendo in Ucraina. Non può essere un campo in cui scannarsi, prendendo una posizione piuttosto che un'altra per rimarcare il proprio territorio partitico. Chi crede nella Politica (sempre con la P maiuscola) non può dichiararsi per la pace e poi approvare l'invio degli armamenti a Zelensky. Deve invece proporre con tutte le forze la via del dialogo e della trattativa, compiendo anche gesti concreti per convincere le Nazioni Unite a costruire un'ineludibile tavolo di trattative. Non è giusto sorridere ai sostenitori del disarmo generale per ottenere il loro consenso e nello stesso tempo votare in Parlamento per risoluzioni che determinano l'incremento di armi micidiali sul campo di battaglia. Non si può servire a due padroni, in certi momenti decisivi della storia o si è da una parte o si è dall'altra, non esistono ragioni di Stato oppure opportunità di partito che giustifichino una deroga a tali principi. Poi, le due parti opposte, proprio in ragione della loro specificità, in democrazia sono chiamate a confrontarsi, per trovare una soluzione condivisa che sappia tenere conto della maggior parte delle questioni in ballo e non per suscitare tifoserie relative a un conflitto che tutto è meno che un gioco.

Un pensiero infine va alla Regione Friuli-Venezia Giulia e alla campagna elettorale che si è appena aperta, in vista delle elezioni del prossimo 2 aprile. L'auspicio è che il confronto non sia soltanto sereno e costruttivo, ma anche incentrato sui temi di fondo, sulla "visione" della Regione futura, nei prossimi dieci o venti anni. sarebbe opportuno anche in questo caso un confronto sulla posizione del F-VG in rapporto all'Europa e al Mondo. E' evidente che, anche se piccola e abitata da tanti abitanti quanto un terzo della sola città di Milano, la collocazione la rende una regione perno, luogo di confine tra diverse culture storiche e porta ideale per l'accoglienza di nuovi popoli in cammino. La campagna elettorale sarà in grado di portare al centro dell'attenzione il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, alla sicurezza minacciata dagli interessi dei colossi multinazionali? Sarà in grado di individuare e tematizzare le infiltrazioni mafiose a vari livelli dell'economia e della politica? Suggerirà percorsi di accoglienza per i richiedenti asilo, sosterrà lo smantellamento del campo di concentramento che è il CIE di Gradisca d'Isonzo? Sottolineerà le esigenze dei più deboli e dei più fragili, in particolare la necessità di sistemi sanitari efficienti ed efficaci? Valorizzerà la dimensione internazionale, costruendo relazioni di ampio respiro con i vicini Stati della Slovenia, della Croazia e dell'Austria, riproponendo come percorsi economico produttivi, oltre che culturali, gli assi est ovest e sud nord d'Europa che trovano proprio in questa zona il loro crocevia? Da ultimo e non ultimo - almeno per ora - saprà cercare risposte concrete e praticabili a queste e tante altre domande, non limitandosi alla denuncia o all'impegno morale, ma proponendo strade immediatamente e a lunga distanza percorribili?

Non sono affatto domande retoriche. Il desiderio profondo degli elettori è che la risposta sia, da qualunque parte provenga, un convinto e deciso "sì!"

Gli avvenimenti interpellano la Politica: Cutro (1)

 

70 morti accertati, un numero imprecisato di dispersi, a due passi dalla costa calabra.

In altri tempi i giornali avrebbero titolato a nove colonne per almeno una settimana, ci sarebbero state analisi, controanalisi, proposte, controproposte.

Forse anche in altri tempi, chi è stato scelto dai cittadini per rappresentarli, si sarebbe comportato nello stesso modo. Da una parte c'è il governo, che utilizza la tragedia per rafforzare la propria posizione contro il diritto dei migranti di fuggire da fame e guerra per approdare in terre più sicure, dall'altra l'opposizione, che ne scruta i terribili particolari, dando l'impressione di farlo soprattutto per indebolire la maggioranza.

Razionalmente parlando, occorre ridare dignità alla parola Politica, con la P maiuscola, dando a essa una profondità che possa influenzare e aiutare a confrontarsi tra loro le legittime e a volte necessarie posizioni di parte. Per fare questo, di fronte alle bare allineate degli annegati di Crotone, occorre cercare delle ragioni e trovare delle soluzioni, a breve e lunga distanza.

Perché queste persone hanno perso la vita? Perché erano convinte di poter trovare una situazione migliore rispetto a quella in cui erano costretti a stare. Perché volevano - i padri e le madri per i propri figli, ministro Piantedosi le sue parole sono state davvero indegne! - un futuro migliore e per questo hanno deciso che fosse meglio rischiare la pelle attraversando il Mediterraneo su una carretta piuttosto che continuare a soffrire in silenzio. E perché non stavano bene "a casa loro"? Perché il sistema capitalista ha diviso il mondo in due parti, una straricca e abitata da pochi, una strapovera nella quale trascorrono i loro giorni cinque miliardi di esseri umani. La Politica europea e mondiale deve prendere atto di questa situazione e mettere a tema immediatamente una riforma del sistema di cooperazione e partenariato internazionale che possa, almeno in parte, riequilibrare lo spaventoso divario. Gli sbarchi non si potranno fermare, né con i blocchi navali, né con la creazione dei campi di concentramento in Libia, in Turchia e nelle isole greche. E' inutile stracciarsi le vesti contro il governo di destra, quando le soluzioni proposte dai precedenti sedicenti di centro sinistra non erano molto dissimili. Si deve piuttosto ripartire dall'asserto filosofico e antropologico fondamentale, quello che apre la Carta dei Diritti dell'Uomo, tutti gli umani hanno uguali diritti su questa Terra. Di conseguenza, il problema non è cercare di impedire la fuga da altri Continenti, qualunque sia il motivo che la provoca, ma di trovare il modo di garantire per i nuovi venuti viaggi sicuri e controllati dagli Stati verso i quali sono diretti, un lavoro sicuro, un'abitazione confortevole e la possibilità di ricongiungersi con i propri familiari. Tutto ciò, in attesa del passo successivo e decisivo, lo studio e la realizzazione di un nuovo sistema, alternativo a quello attuale, più consono alla coscienza dell'Uomo e più rispettoso delle esigenze della Natura. E' un percorso lungo e mastodontico, ma se mai si inizia mai si arriva. E i tempi si sono fatti brevi, il solo agitarsi di una possibile ripresa della minaccia nucleare fa comprendere quanto si è fragili e impotenti di fronte a una possibile catastrofe generale. (continua)

sabato 4 marzo 2023

Ancora sulla toponomastica. Le 90 vie più cercate a Gorizia...

 

C'è chi ripete come un mantra il ritornello secondo il quale una non meglio precisata "sinistra" vorrebbe cambiare i nomi delle vie dedicate ai patrioti italiani.

E' un falso. Intanto la proposta non è di una generica "sinistra" ma di persone che hanno nomi e cognomi, tra essi senz'altro anche il mio. Poi non si vuole affatto cambiare tutta la toponomastica, ma soltanto equilibrarla, anche per presentare ai visitatori della capitale europea della Cultura, una città anche storicamente davvero multi e pluri culturale.

Perché questo accanimento? Perché bastano un paio di numeri per accorgersi della sproporzione. Delle 90 vie più ricercate a Gorizia sul motore di google, 60 sono dedicate a personalità e vicende esclusivamente legate alla storia d'Italia (Risorgimento, prima guerra mondiale, ecc.), 23 sono toponimi locali sopravvissuti (tipo via Rastello, via delle Monache, Borgo del castello, ecc.), 2 sono riferite a sloveni (Tominz e Lasciac - scritti così), 5 a santi (Francesco, Antonio, Chiara, ecc.). Da notare le intitolazioni "al femminile", soltanto 2 (Santa Chiara e via delle Monache).

Insomma, se la capitale europea della cultura si caratterizza per la compenetrazione tra le realtà presenti sul territorio, il risultato di 60 a 2 nel computo delle vie dedicate a italiani e sloveni non sembra un tantino sproporzionato? Non sarebbe da dimenticare neppure l'importante componente storica friulana, praticamente inesistente tra le "prime" 90 vie. C'è di sicuro Zorutti, tra le vie minori, ma forse si potrebbe pensare a un Celso Macor, ad Anna Bombi e a tanti altri...  E se si parla di parità di genere, un risultato di 62 a 2 anche per ciò che concerne il rapporto tra uomini e donne, non sembra un po' esagerato?

Ecco, tutto qua!

Tutto qua, non si tratta di stravolgere l'universo, ma di riequilibrare in modo equo la toponomastica.

Da Javorca e da Drežnica, un grido per la pace

Sulle pendici del monte Krn, più conosciuto in Italia come il Monte Nero, ci sono due chiese, distanti pochi chilometri l'una dall'altra.

Entrambe sono state costruite nello stesso periodo, durante la prima guerra mondiale. 

La prima è stata realizzata dai soldati austro-ungarici, la si raggiunge abbastanza agevolmente risalendo da Tolmin, su una stretta rotabile non asfaltata, la valle della Tolminka fin quasi alle sorgenti. Dieci di minuti di cammino separano il visitatore da Javorca, una suggestiva architettura di secessione armonicamente inserita in uno scenario di alte montagne circostanti. Qui i militari si incontravano, davano l'ultimo saluto ai caduti, pregavano di riuscire a sopportare l'ansia estrema che precedeva gli assalti, vivevano frammenti di pace nella tremenda oscurità della guerra. La chiesa dello Spirito Santo è un ricordo delle innumerevoli vittime, rispettato al punto da aver ottenuto il titolo di patrimonio culturale dell'intera Europa.

L'altra cappella richiede qualche tempo in più di marcia, un'oretta e mezza da Drežnica e un'ora scarsa dalle planine sotto la vetta del Krn. L'hanno costruita gli italiani, con i pochi mezzi che avevano a disposizione, quasi nel cuore della furia bellica. E' dedicata a Maria, consolatrix afflictorum, sembra una piccola tenda in cemento. Più piccola, più fragile, un po' provata dallo scorrere del tempo alpino, ricorda umilmente anch'essa il dolore umano, la sofferenza e il dubbio di migliaia di giovani spediti al macello da scelte politiche scellerate e da generali addestrati alla terribile guerra di trincea. Anche per loro questo spazio era forse l'ultimo nel quale rivolgere un pensiero ai propri cari, agli amici lontani e anche al buon Dio, l'ultima speranza alla quale aggrapparsi prima dello slancio mortale verso altri giovani "con lo stesso identico umore, ma con la divisa di un altro colore". 

Si pregava Dio, lo stesso Dio, guidati da preti cattolici, di qua e di là. Si invocava la stessa Madre di Dio, perché proteggesse i "propri" e permettesse loro di sconfiggere gli "altri", si benedicevano di qua le armi, affinché colpissero quelle che venivano benedette di là. Quanto è stata assurda la prima guerra mondiale! E quanto sono assurde tutte le guerre.

Ma questi santuari tra le montagne suscitano una forte emozione e un senso di profonda pietà che riflette il dolore di Maria che tiene fra le braccia il corpo del Figlio ucciso. Suggeriscono un comune, mesto ricordo, di una giovane generazione europea mandata allo sbaraglio sui campi di battaglia dell'intero Continente. Propongono di estrapolare questi frammenti di bellezza incastonati in quadro orrendo e di ricavare un invito a essere sempre per la pace, a deporre ogni arma, a non ripetere mai più le tragedie di quella che un papa illuminato di quel tempo, Benedetto XV, aveva definito inutile strage e orrenda carneficina. Purtroppo da allora la violenza, invece di diminuire, si è moltiplicata. C'è stato il nazifascismo, c'è stata la seconda guerra mondiale, ci sono stati combattimenti in ogni Continente e anche in questi giorni il rombo del cannone prevale sulla dolcezza della parola, l'irrazionalità della morte prevale sulla razionalità della vita.

Dai due versanti che furono un tempo inutilmente nemici, dalle chiese dello Spirito Santo di Javorca e della Consolatrix afflictorum dei prati sovrastanti Drežnica, giunga al mondo un invito pressante a deporre ovunque le armi e a costruire nella giustizia la pace. 

giovedì 2 marzo 2023

Venus et Jupiter

 

Il cielo questa sera ha dato spettacolo. Da una parte una Luna circondata da un misterioso alone, provocato dalla rifrazione della luce sui cristalli di ghiaccio formati dall'umidità in alta quota. Dall'altra la danza cosmica di Giove e Venere nell'ora successiva al tramonto del Sole.

Quest'ultima non è un evento raro, capita circa una volta ogni tredici mesi, ma la bellezza dipende dall'inclinazione dalla quale dipende la maggiore o minore intensità della luce solare riflessa dai due pianeti.

Sembra quasi che si stiano per toccare, che ci si trovi davanti alla minaccia di un impatto impressionante. Invece la distanza tra l'uno e l'altro è di qualcosa come 670 milioni di chilometri. 

Insomma, il cosmo ci lascia spesso a bocca aperto, con il naso all'insù a contemplare e a domandarci, di fronte alla percezione immane dell'Infinito che tutto sovrasta, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. E poi anche, da minuscoli granelli minuscoli di polvere universale, perché sprecare tanti istanti della nostra vita a farci reciprocamente del male? Perché non approfondire il senso del sacro - tremendum et fascinans - che ci attanaglia di fronte al Mistero e non sperimentare la forza che tutto mantiene in essere, ovvero "l'Amor che move il Sole e l'altre stelle?"

Un pomeriggio in compagnia dell'Isonzo/Soča

 

Venerdì 3 aprile, alle ore 17 nella sala Dora Bassi di Gorizia, si parlerà di Isonzo/Soča. Lo si affronterà con le parole introduttive degli organizzatori, con le fotografie di vari autori che si potranno poi ammirare anche da via Garibaldi, con la spiegazione della giornalista Cristina Feresin e con un'ampia rassegna di immagini, dalla sorgente alla foce.

Il fiume racconterà la bellezza dei suoi paesaggi, il colore straordinario delle sue acque, la voce dei poeti che hanno vissuto sulle sue rive, il fragore dei temporali e il rombo dei cannoni nelle guerre. Parlerà della gioia dei suoi visitatori, gli alpinisti e i canoisti, i bagnanti e gli amanti dei picnic. E con tristezza parlerà anche di sfruttamento, delle troppe dighe che ne hanno modificato gravemente il corso, delle industrie e degli inceneritori che inquinano l'acqua, l'aria, la terra e il fuoco, delle siccità che ormai troppo spesso ne desertificano il corso, della morìa dei pesci. E dirà anche la soddisfazione di contemplare tanti suoi difensori, da una parte e dall'altra di un confine che per fortuna non esiste praticamente più. Suggerirà tante idee perché il suo corso non sia visto come puro oggetto di sfruttamento, ma se ne colgano anche le potenzialità, sul piano del turismo, della conoscenza della strabiliante storia che si è vissuta intorno alle sue rive, delle opere d'arte gelosamente nascoste tra i suoi meandri, della avventure inverosimili e affascinanti degli staroverci. Guerra e pace, delitto e castigo, potere e gloria... Insomma, chi può non se lo perda!

Cjacole goriziane...

 

E' proprio antipatica questa nuova macchina mangiasoldi per parcheggio.

No, non è vero che tutte sono antipatiche. In centro è giusto pagare per occupare il suolo pubblico con la propria automobile. E' un deterrente contro il traffico, un tacito invito ad andare a piedi o in bicicletta, un modo per offrire a un Comune la possibilità di investire di più in sicurezza stradale ed educazione alla fruizione ecologica della città.

Quindi il problema non è che si debba pagare, l'euro all'ora o il mezzo euro nel mercato all'aperto e in piazza Battisti.

La questione riguarda la richiesta di digitare la targa per poter ottenere il fatidico biglietto. A parte i santi e le madonne che partono dal pilastrino ogni volta che l'automobilista ignaro sta per mettere dentro la moneta e scopre di doversi ricordare il numero di targa. Fa degli sforzi mnemonici pazzeschi, salvo innervosirsi e incrementare l'amnesia. 

Ma ancora di più è antipatico il principio. Non si può più donare il fogliettino con il tempo rimanente e non usufruito a qualche altro successivo parcheggiatore. Questo proprio non capisco. Io ho pagato fino alle 19 e me ne vado alle 18, perché non posso regalare l'ora che ho già saldato al nuovo arrivato? No, deve prendere il biglietto anche lui e quindi lo stesso spazio viene pagato due volte. E si disincentiva la forza del rapporto umano, quello che consente di tendere il fatale fogliettino, con un empatico sorriso seguito quasi sempre da un grato buon giorno o buona sera.

Arridateci le macchinette che non chiedono la targa, per favore!

A proposito, quando comincerà a funzionare il pluripromesso Gorica bike transfrontaliero?