domenica 26 febbraio 2023

Luoghi e cultura inclusivi. Un bel convegno a Verona.

E' stato un convegno molto interessante quello che si è tenuto alla Gran Guardia di Verona lo scorso venerdì, promosso dal Comune di Verona in collaborazione con CERPA Italia onlus. Il tema, "Luoghi e cultura inclusivi", è stato declinato sotto diversi aspetti, da quello relativo all'accessibilità inclusiva a quello riguardante la sicurezza, fino al racconto di significative testimonianze raccolte sul territorio italiano.

Il punto focale su cui tutti gli intervenuti si sono trovati d'accordo è la percezione del fatto che l'accessibilità dei luoghi d'arte non riguarda una particolare sensibilità da acquisire nei confronti dei portatori di qualsiasi tipologia di disabilità, bensì del rispetto di un fondamentale diritto della persona. Come parlare infatti di "patrimonio UNESCO" o di proprietà dell'intera umanità, se delle persone sono escluse dalla possibilità di visitare ciò che a tutti appartiene? Molto interessante è stato anche l'unanime richiamo alla comprensione delle segnaletiche e alle norme di sicurezza, le quali devono essere intese come opportunità per qualsiasi persona, dal momento che il loro rispetto permette di affrontare con minore rischio qualsiasi emergenza possa capitare in ogni possibile situazione. Particolarmente significativi sono stati anche i racconti delle esperienze in atto per ciò che concerne l'eliminazione delle barriere architettoniche, in particolare sui ponticelli di Venezia e nell'Arena di Verona, in preparazione agli eventi olimpici e paralimpici che si svolgeranno in essa.

In questo contesto nazionale, si è inserito anche il racconto della Basilica di Aquileia. In accordo con Fondazione Aquileia e Museo Archeologico Nazionale, si sta portando avanti un significativo programma di accessibilità e inclusività, che prevede tra l'altro la formazione di guide non vedenti e non udenti, in grado di far comprendere a tutti i visitatori, gli aspetti del patrimonio artistico che normalmente sfuggono all'attenzione. E' previsto anche il rinnovamento degli strumenti audio e video, oltre che dei supporti tattili, in modo da consentire nella massima misura possibile la fruizione universale dei beni culturali. Insomma, è stata una bella esperienza che ha allargato al rete di conoscenze e di opportunità, con la finalità di raggiungere insieme il comune obiettivo di consentire l'accesso a ciò che appunto a tutti appartiene.

Una strage senza fine. Che fare?

 

Ennesima strage. Davanti alle coste della Calabria si spezza un barcone strapieno di persone e si teme che ci siano più di cento morti.

Non ci sono parole adeguate, davanti a questa nuova, fin troppo prevedibile catastrofe. Si possono solo immaginare il terrore, l'ansia e il dolore. E non si può fare a meno di porsi domande, purtroppo senza risposta. Anche perché, siano cento o sia soltanto uno, ogni bambino, donna o uomo, sprofondato nell'abisso del mare, è parte della stessa, comune umana famiglia.

C'è chi grida "assassini!". Sì, ma a chi? C'è chi si scandalizza per l'indifferenza di fronte a ciò che accade. Sì, ma di chi? 

Il rischio di cadere nel "cambiare tutto per non cambiare nulla" è molto simile a quello del dichiarare "tutti colpevoli perché nessuno lo sia". Eppure, se non c'è un reale cambiamento di rotta, non è difficile supporre che quello odierno non sia l'ultimo dramma.

In realtà, cercando di uscire dall'inevitabile clima emozionale, si possono individuare responsabilità e forse anche soluzioni. In Italia non esiste una normativa sulle migrazioni che sia in grado di affrontare i problemi contemperando legalità e umanità. I governi - di destra o sedicenti di centro sinistra - che si sono succeduti negli ultimi decenni non si sono discostati molto da una schema incentrato sulla deterrenza invece che sull'accoglienza. Non si tratta solo della (famigerata) lotta contro le ong o del finanziamento dei lager libici e turchi. In realtà, con o senza il supporto delle navi che incrociano nel Mediterraneo proprio per salvare più possibile i naufraghi, i migranti continuano ad arrivare e meno navi stabili incontrano, più è probabile che giungano su barche fatiscenti come quella affondata tra ieri e oggi. Inoltre, anche per chi è riuscito a eludere i controlli, la vita non è stata per nulla semplice, sospesa tra i preannunciati ma mai per fortuna attuati cannoneggiamenti della destra e la creazione di immensi ghetti autogestiti nelle periferie o nel centro delle grandi città. Chi rischia attraversando il mare, si trova spesso considerato come merce da lavoro e avviato dai diversi caporalati a un lavoro nero più propriamente definibile vera e propria schiavitù.

Allora? Allora il compito della Politica è quello di cambiare strada e passare dalla deterrenza all'accoglienza. Perché ciò accada è indispensabile la collaborazione con tutte le realtà dell'Unione europea, cercando insieme una nuova via, legata essenzialmente a quattro grandi urgenze. La prima è la redistribuzione del lavoro, in modo da consentire a tutti coloro che vogliono lasciare la propria terra per motivi di guerra o di fame, di poterlo fare, inserendosi in modo trasparente nei processi produttivi del cosiddetto "occidente ricco". La seconda urgenza è quella dell'abitazione, per consentire a chiunque arrivi un dignitoso inserimento all'interno della comunità sociale che lo dovrebbe accogliere, favorendo in ogni modo percorsi adeguati di reciprocità, inclusione e vicendevole integrazione. La terza urgenza è relativa ai ricongiungimenti familiari, da sostenere e valorizzare con tutti i mezzi possibili, per consentire una sempre più rapida normalizzazione delle relazioni tra le persone e i gruppi di appartenenza. La quarta e conseguente urgenza è quella di gestire direttamente i flussi migratori, investendo risorse finanziarie e umane sulla sicurezza delle rotte marittime e balcaniche, in modo che nessuno debba mai più affidarsi ai criminali mercanti di uomini, questi sì, veri assassini che utilizzano la disperazione delle persone per arricchirsi in modo indescrivibile e spregiudicato.

Se il compito della Politica (con la P maiuscola) è quello di trasformare il grido che si innalza da questa tragedia in un nuovo modo di concepire e intendere l'accoglienza, quale può essere il compito del cittadino che non sia rappresentante eletto dal popolo? E' difficile comprendere quanto sia importante, in un momento come questo, il punto di vista di ogni soggetto. Eppure lo è. Lo è nell'impegno di attenzione nei confronti di ogni migrante che si trovi per qualsiasi motivo in difficoltà, lo è nelle parole che si proferiscono quotidianamente e che possono contribuire a creare accoglienza o diffidenza, lo è nella scelta dei propri rappresentanti e nel voto a coloro che garantiscano con sufficiente credibilità la costruzione di un'Italia e di un'Europa eque, solidali e accoglienti. E lo è anche nella capacità di mettersi insieme per studiare un nuovo sistema sociale, alternativo a quello attuale. Sì, perché le migrazioni forzate altro non sono che una delle più macroscopiche conseguenze del capitalismo planetario, basato essenzialmente sulla necessità di incrementare la già spaventosa distanza tra i pochissimi straricchi e l'immane folla degli strapoveri che cercano di sopravvivere, con fatica e in qualche modo, ogni giorno.

Nessuno è "assassino" o "indifferente". O forse, tutti siamo assassini o indifferenti, il che è la stessa cosa. Piuttosto è necessario risvegliarsi dal torpore dell'impotenza e cominciare a costruire, a ogni livello, la civiltà della solidarietà e della totale condivisione.

sabato 25 febbraio 2023

A Gorizia, un anno dopo...

 

Non si era in tanti questa mattina, davanti al teatro Verdi di Gorizia.

Non si era in tanti perché il sistema organizzativo del locale Comitato per la pace deve ancora essere un po' oliato, soprattutto per ciò che concerne il coinvolgimento della parte della città di Gorica in territorio sloveno. Anche la presenza dei giovani deve essere in qualche modo incentivata.

Tuttavia è stato importante incontrarsi, a un anno dall'inizio della guerra fra Russia e Ucraina, unico momento di aggregazione a favore della pace, della giustizia e della nonviolenza in città. Come è stato rilevato, nel cuore di tutti i presenti c'erano anche le popolazioni di decine di altri Paesi nel mondo, dove ancora purtroppo infuria la guerra.

In ogni caso, il conflitto nell'Europa orientale ha un valore emblematico, perché dimostra quanti interessi di ogni tipo siano nascosti dietro alle bombe e ai missili che seminano morte tra tutti i contendenti. Il senso della manifestazione è stato quello di alzare la voce, insieme a decine di migliaia di italiani e a milioni di europei, contro l'invio delle armi in Ucraina, ritenendo che l'appoggio a Zelensky non sia una soluzione, ma l'aggravamento del problema. E' stato rilevato anche il ruolo dell'informazione "a senso unico", dove i pochi giornalisti - anche molto esperti e assai competenti in materia di presenza in luoghi di guerra - che hanno osato cercare di comunicare notizie diverse da quelle filtrate dalla stampa di potere, sono stati censurati ed emarginati.

Sembra proprio di assistere a un nuovo capitolo del ricorrente pericolo assolutista, questa volta incarnato nella mancata volontà di ascoltare la voce dei cittadini, i quali, secondo i sondaggi, sarebbero almeno per il 52% del tutto contrari all'impegno di inviare armi in territorio di guerra, in violazione dell'articolo 11 della Costituzione che recita il ripudio della guerra come strumento di risoluzione dei problemi internazionali.

C'è indubbiamente, sullo sfondo, la paura di un tremendo vortice di violenza, scatenato dalla più volte retoricamente ribadita "certezza di vittoria" da parte di tutte le forze in campo. Si sa bene dove possa condurre una spirale di violenza determinata dalla volontà di vincere e non di risolvere ogni questione attraverso il dialogo e la trattativa. Tutti auspicano che gli sforzi di sostegno armato a Zelensky si trasformino in forza di mediazione fra le parti e che le proposte ragionevoli come quella della Cina possano essere almeno prese in considerazione, prima che sia troppo tardi.

Un'ultima aggiunta, personale. Sarebbe opportuna una presa di posizione pubblica, politica, da parte dei rappresentanti dei cittadini, anche di coloro che si presentano come candidati alle prossime elezioni regionali in Friuli-Venezia Giulia. Chi è preoccupato per una prossima possibile deriva planetaria e nucleare del conflitto in corso, difficilmente voterà partiti o persone che non dichiareranno pubblicamente la propria contrarietà non genericamente alla guerra, ma specificamente all'invio delle armi e al tentativo di risolvere con la violenza una controversia che solo la diplomazia potrebbe gestire con i mezzi consoni alla natura umana, ovvero il dialogo e la ragione.

Lettera di una professoressa...

Oggi, con un po' di ritardo, una breve considerazione sulla polemica della settimana. La contestazione alla lettera della preside di Firenze Annalisa Savino, espressa dal ministro Valditara, non ha bisogno di commenti. Invece di prendersela con la violenza dei fascisti, ha preso di mira una persona che, fedele al suo ruolo di insegnante ed educatore, ha offerto ai propri studenti un'interessante chiave di lettura. Se l'intervento del ministro ha suscitato enorme perplessità - presumibilmente anche in esponenti del suo stesso orientamento politico - ha comunque avuto anche un effetto positivo, quello di consentire a tutti gli italiani di leggere le brevi ma profonde riflessioni della dirigente scolastica fiorentina. Le si ripropone anche  in questo blog, vale la pena di leggerle perché intrise di una profonda preoccupazione e di un intenso affetto nei confronti non soltanto dei giovani che frequentano la sua scuola, ma anche di tutti gli abitanti del nostro Paese. (ab)   

Cari studenti, in merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata da sé, considerato che l’episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi solo due cose. 

Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’ - diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. 

Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”. 

Invito a Šmarna gora

Da ogni montagna della Slovenija, come anche dalle principali città della Gorenjska e da Ljubljana non ci si può sbagliare, la sua fisionomia è inconfondibile. E' il colle chiamato Šmarna gora, raggiungibile dai diversi versanti, camminando attraverso gustosi sentieri, da una buona mezz'ora fino all'ora e mezza.

Sono due cime appaiate, quella occupata dal santuario è alta 667 metri, l'altra, Grmada, qualcosa di più. La collocazione strategica serviva anche da punto di riferimento per avvisare la popolazione dell'arrivo degli incursori turchi, accendendo grandi fuochi sulle cime.

Proprio a questi eventi è dedicata una cappella, con una dedica alquanto interessante che potrebbe presentarsi come complementare alle numerose simili, presenti nel basso Friuli e anche in altre parti della Slovenija. Si tratta di Sveta Sobota, traduzione slovena della Sante Sabide dei friulani, da molti di essi ritenuta - con seria e approfondita documentazione - misteriosa memoria personificata delle tradizioni giudeo cristiane dell'antica Aquileia, poi cancellate dalla Chiesa. In questo caso invece ci si trova davanti a un'altra interpretazione di questo personaggio, dal nome così strano e originale. Non sarebbe altro che la canonizzazione del sabato, giorno nel quale - secondo una leggenda - Sant'Acazio, grazie all'intercessione di Maria, avrebbe sconfitto i turchi durante il loro assedio e avrebbe così salvato la fortezza. In memoria di questo evento, tuttora ogni sabato a mezzogiorno suonano le campane. 

Nei pressi del santuario, in cima al monte, c'è una campanella che accoglie i visitatori. Tutti danno almeno un rintocco, dal momento che si dice che chi lo fa, vedrà esaudito un desiderio. Meglio provarci, male non fa... Attorno al "tabor" che circonda la chiesa, rifacimento settecentesco di edifici preesistenti, ci sono piccoli ristoranti e chioschi dove è possibile gustare specialità locali. Soprattutto c'è un'ampia terrazza che consente di ammirare un panorama straordinario. Dal centro della Slovenija, guardandosi intorno, si possono riconoscere città e villaggi, fiumi e montagne, che durante la stagione invernale si presentano in una dolce armonia di colori, il candido manto della neve e le ampie distese dei boschi e delle pianure. Insomma, si respira bellezza.


Il santuario è tutto da scoprire, nella sua grazia sobria e spirituale. Si possono ammirare affreschi dipinti da mani popolari e camminare intorno alla chiesa, scoprendo il fascino di alcune pietre antiche incastonate nei portali e delle architetture rurali in legno che caratterizzano l'ampia muraglia che circonda l'edificio principale, dedicato naturalmente a Santa Maria: E' uno dei caratteristici "tabor", specie di villaggi fortificati sulle alture, costruiti anche per difendere gli abitanti dei paesi sottostanti dalle numerose incursioni che terrorizzavano, nei secoli passati, queste zone e molte altre non troppo distanti dagli approdi adriatici.

Insomma, perché non prendersi una mezza giornata di vacanza oltrepassare di qualche chilometro Ljubljana verso nord e mettersi in cammino. Si fa un po' di fatica, ma ne vale veramente la pena!

mercoledì 22 febbraio 2023

Solo la Pace è la vera Vittoria

 

Sabato 25 febbraio, dalle 10 alle 12, davanti al teatro Verdi di Gorizia, il Comitato per la pace di Gorizia e Nova Gorica proporrà un momento di riflessione e di incontro con le cittadine e i cittadini, sul tema della pace.

I discorsi di Putin e di Zelensky, di Biden, di Xi Jinping, di Von der Leyen, di Meloni e di tutti gli altri leader politici sono tutti uguali, fotocopie speculari di un copione che se non fosse molto preoccupante sarebbe tremendamente noioso.

Vincere vincere e vinceremo! Quante volte lo si è sentito, la più famosa il 10 giugno 1940 quando, davanti a una piazza Venezia stragremita ed entusiasta (non dimentichiamolo!), il "dux" introduceva l'Italia fascista nel più grande e sanguinoso crimine della storia, la seconda guerra mondiale.

Putin dice "vinceremo" e congela il trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari. Zelensky dice - addirittura al festival di Sanremo - che non ci può essere altro che la "vittoria". La "vittoria della Democrazia", con la D maiuscola, ribadisce Biden, immemore delle tragedie derivate dall'esportazione della democrazia (minuscola) in Afghanistan e in Iraq. Von der Leyen abbraccia commossa il presidente ucraino, naturalmente dicendogli che "vinceremo", come pure Xi Jinping - forse nel contesto il più saggio - sembra ancora credere che il conflitto si posa comporre, ma invia segnali di vicinanza a Mosca che destabilizzano la sicurezza del "vinceremo" americano ed europeo. Perfino la povera Meloni si fa fregare l'esclusiva e capita a Kiev quasi inosservata dal resto d'Europa, il giorno dopo la visita assai importante (e preoccupante) del presidente americano, si becca il richiamo di Putin che le ricorda gli aiuti russi all'inizio della pandemia, la canzonatura di Zelensky che ridicolizza uno dei maggiori sponsor del suo Governo. Nonostante questo promette miliardi - ma non erano esauriti i fondi "per gli italiani"? - e assicura armi in quantità, perché "solo con le armi si ottiene la vittoria".

Insomma, ormai la guerra mondiale mediatica è iniziata e ci si può chiedere soltanto se non sia ormai troppo tardi per invertire una rotta che sembra condurre dritti dritti alla catastrofe. Se il problema è diventato quello di "vincere", da una parte o dall'altra, a esso corrisponde la decisione di non perdere, costi quello che costi.

Non ci voleva molto a capirlo e lo si è detto fin dal primo giorno di questo assurdo conflitto. Se tutti gli sforzi, ma proprio tutti, consistono nel sostenere la vittoria degli uni o degli altri, allora la guerra nucleare non può che essere l'unico esito possibile. Secondo la più classica logica della corsa agli armamenti, a un aumento di livello tecnologico e militare non può che corrispondere un ulteriore aumento, in senso uguale e contrario. Se gli Stati Uniti e l'Unione europea foraggiano di armi l'Ucraina, la Russia eleverà ulteriormente il livello del conflitto e la Cina la aiuterà, con esiti tragicamente prevedibili.

E allora? Bisognava lasciare solo l'Ucraina aggredita e invasa dalla Russia? No, bisognava come al solito leggere l'intera situazione e cercare di imporre - anche con sanzioni a entrambi - il tavolo negoziale, proponendosi come mediatori. C'è stato un anno di tempo. Ma in questi dodici lunghi e cruenti mesi, a parte un papa Francesco peraltro inascoltato anche dai cattolici di Ucraina e di Russia (ma ci sono? hanno una voce?), chi ha proposto dialogo, trattativa, ricerca di una soluzione degli oggettivi problemi esistenti? Nessuno, se non la maggioranza degli italiani, degli sloveni e degli altri europei. 

Ovunque si moltiplicano gli appelli e le manifestazioni - non ultima la bella lettera degli intellettuali sloveni che ha purtroppo suscitato la presa di distanza del premier Golob. Ma nei giorni in cui si pretende di "difendere la democrazia" con i missili del più forte, il popolo al quale, secondo la Costituzione, dovrebbe appartenere il potere, non viene neanche lontanamente ascoltato. I suoi rappresentanti - autodefiniti di destra o di sinistra - si inchinano supini di fronte al Potere del Capitale e dimostrano che i loro screzi locali fanno parte soltanto di una carnevalesca manfrina.

Forse non serve molto scendere in piazza, forse è troppo tardi. Ma non è possibile neanche aspettare che le bombe ci cadano sulla testa, senza neppure avere la forza di dire "non nel mio nome"!

domenica 19 febbraio 2023

EPK2025: ancora qualche spunto di riflessione

 

Gorica, da Sveta Gora
Continuando il pensiero precedente...

Perché visitare Nova Gorica e Gorizia, nel corso dell'anno 2025?

In altre situazioni, la capitale della Cultura era già conosciuta di per sé e l'anno celebrativo non ha fatto altro che migliorare le infrastrutture e incentivare le visite, accompagnate da un ricco programma culturale, di ordine espositivo, musicale, teatrale e storico.

Nella realtà "Goriziana", che cosa può esserci di noto e di attrattivo che consenta a un potenziale visitatore di esclamare: "ah, avrei da sempre voluto andarci, già che c'è colgo l'occasione della capitale della Cultura"?

Qualcuno potrebbe rispondere "la prima guerra mondiale". Sì, soprattutto in Italia i nomi di Gorizia, del Sabotino, di Podgora (o meglio, "del" Podgora, citando un classico errore di trasposizione del nome di un paese al monte sovrastante), sono scritti sui cartelli di tante vie e più o meno si sa di che cosa si stia parlando. Tuttavia, non può essere certo la memoria di una simile tragedia la giustificazione di un onore così grande quanto quello di essere capitale della cultura. Qualcun altro potrebbe dire "Nova Gorica, una città totalmente nuova, testimone dei diversi stili architettonici della seconda metà del Novecento". Tuttavia, senza nulla togliere all'effettivamente assai interessante storia della "nuova" Gorizia, non sembra sufficiente per richiamare visitatori dall'Europa e dal mondo. Forse si potrebbe pensare alla qualità delle mostre e delle memorie - per ora si è fatto riferimento ai grandi Mušič, Pelhan e Basaglia - tutte ottime proposte per far conoscere alcuni aspetti, anche molto significativi e importanti del territorio, ma non per approfondire una conoscenza che dovrebbe essere previa.

E allora? Allora si dovrebbe allargare l'orizzonte e cogliere la realtà di Nova Gorica con Gorizia all'interno di un contesto molto più ampio, questo sì già potenzialmente molto noto e interessante. Solo per portare alcuni esempi, l'Isonzo Soča, soprattutto nel suo alto corso, è una meraviglia della Natura talmente apprezzata da essere stato definito il più bel fiume d'Europa. Il Collio/Brda, con i suoi paesaggi e i suoi vini, sta per diventare patrimonio UNESCO, così come la Vipavska dolina, strapiena di memorie storiche, compresa la famosa battaglia della Bora del 394 d.C. dopo la quale, secondo molti studiosi è iniziato il medioevo cristiano. Soprattutto è importante Aquileia, non a caso il secondo sito più visitato in Friuli-Venezia Giulia dopo Miramare, con presenza che si aggirano complessivamente intorno alle 400.000 persone (il castello della vecchia Gorizia, quando era aperto, raggiungeva a stento i 40.000).

Perché non valorizzare tutta questa ampia zona, servendosi di ciò che già esiste per convincere gli incerti a un bel viaggio nel cuore dell'Europa, offrendo poi, "a sorpresa" la straordinaria bellezza della vicenda di un luogo dove - come già più volte segnalato - i segni di troppe guerre sono stati trasformati in forze motrici di pace e giustizia, quelli di ingiuste oppressioni in gesti di liberazione? Per realizzare questo obiettivo, oltre a includere come "parte integrante" la storia dell'intera zona transfrontaliera definita "Goriška, Goriziano", si potrebbe ricostruire la vita del popolo, con la sua spiritualità, concretezza, lingue e vita sociale, nella sua evoluzione dal periodo preromano aquileiese fino all'attuale, nuova e assai originale Capitale europea della Cultura. Un'esposizione generale, una serie di incontri e approfondimenti, anche ovviamente sul piano artistico, teatrale e musicale, potrebbero offrire anche alla popolazione locale la consapevolezza del privilegio di vivere in questa terra e un ulteriore strumento per essere - ciascun abitante - pienamente protagonista.

Perché, si ribadisce aggiungendo un umile "secondo me", o la Capitale della Cultura apparterrà a ogni cittadino e cittadino, oppure semplicemente non sarà...

sabato 18 febbraio 2023

Capitale della Cultura e Capitale della Pace

Perché Nova Gorica con Gorizia sarà capitale europea della Cultura nel 2025?

Non certo lo sarà per i monumenti o per le memorie storiche, né per il Castello o il monastero della Kostanjevica.

Lo sarà grazie ai "Goričani", la gente che vive su questo territorio rivelerà all'Europa intera la propria vita, saranno gli abitanti, tutti, nessuno escluso, la Capitale europea della Cultura.

Certo, si indagherà il passato, per comprendere le radici antropologiche e filosofiche che affondano nella più che bimillenaria vicenda aquileiese, la crescita della consapevolezza della bellezza di essere uniti nella diversità di lingue e di culture, la tragedia dei nazionalismi che hanno cercato di soffocarla, il lento e costante percorso di ricostruzione di ciò che sembrava, ma non era irrimediabilmente perduto.

Si sottolineerà il presente, cercando di raccontare al mondo come sia stato possibile che in una zona dove è stato sparso tanto sangue a causa delle guerre, ora si desideri essere insieme, lavorare insieme, costruire insieme un'idea di città e di cittadinanza. In un tempo in cui sembrano risorgere i conflitti su base nazionale e nel quale si guarda con grande preoccupazione agli sviluppi della terribile guerra tra Russia e Ucraina, un intero Continente osserva il Goriziano per capire come trasformare l'odio e la diffidenza in amicizia e fraternità. E' una grande responsabilità quella che viene affidata, da esercitare e vivere a tutti i livelli, da quello individuale e familiare, a quello sociale e politico. Al di là delle necessarie iniziative strutturali e infrastrutturali, è indispensabile sostenere in ogni modo il protagonismo di ogni cittadina e cittadino, perché l'"attrattiva" del 2025 sarà direttamente proporzionale al coinvolgimento diretto di ogni soggetto, delle associazioni e delle categorie di rappresentanza. Il visitatore  che giungerà da lontano comprenderà il senso della parola "Cultura" se incontrerà persone capaci di comunicare immediatamente, con la parola, il sorriso e il sostegno, sentimenti di pace, di giustizia, di splendida accoglienza.

E si guarderà al futuro. Che cosa potrà restare di una capitale della Cultura dopo l'anno di celebrazione? L'intensificazione delle relazioni, in modo che dalla vicinanza si passi alla compenetrazione, cosicché ci si possa realmente e concretamente sentire parte della stessa città, ma anche la realizzazione del laboratorio di pace e giustizia al servizio del dialogo e del confronto planetario. Potrebbe rimanere la formazione dei corpi civili di pace europei, la base per i primi livelli di trattativa tra rappresentanti di popoli in guerra. Potrebbe perdurare la volontà di non cancellare le sofferenze lasciate dalla Storia, ma di trasformarle in occasione di condivisione della ricerca della verità e di slancio verso la concordia nella diversità. Potrebbe crescere il desiderio di creare uno spazio di intensa accoglienza per tutti coloro che bussano alle porte dell''Unione Europea per chiedere sostegno e protezione.

Insomma, la Capitale della Cultura dovrebbe essere davvero la Capitale della Pace, della Giustizia e dell'Accoglienza, costruita da tutti e offerta a tutti coloro che la vorranno visitare o anche abitare. 

giovedì 16 febbraio 2023

Etica della pace, venerdì alle 19 nella chiesa evangelica di Gorizia

 

Shalom!
Venerdì alle 19, presso la chiesa evangelica di via Diaz a Gorizia, si parlerà di etica della pace.

Poche parole sono tanto semplici e nello stesso tempo complesse. Chi infatti non ritiene l'"etica" la bussola sulla quale orientare l'esistenza propria e quella della collettività? E chi non ritiene la "pace" l'obiettivo della propria vita e di quella del mondo intero?

Eppure sembra evidente che il concetto di etica sia difficile da definire. Ciò vale nel contesto degli assolutismo filosofici o religiosi, dove l'"ethos" è determinato dal Capo, sia esso garantito da un'idea divina o umana. Ma è così anche nell'ambito del relativismo, dove ciascuno è la regola del bene e di conseguenza "vince" la ragione del più forte, cioè di chi ha la maggior capacità - o meglio, i più potenti mezzi - di influenzare le opinioni individuali trasformandole nella dittatura dell'opinione pubblica.

Lo stesso vale per la "pace". Già il Salmo biblico (circa 2500 anni fa) recitava che "tutti parlano di pace, ma nel cuore hanno la guerra". Che cosa è allora la pace? Tutti la vogliono, ma c'è qualcuno che la costruisce veramente?

Gli esempi si possono moltiplicare, tenendo conto anche di una buona dose di casualità sottostante agli eventi. A volte un comportamento ritenuto etico si rivela disastroso, come pure un atto improntato alla pietas e alla pace, può manifestarsi catastrofico, alla luce del procedere dei percorsi storici. In assoluto, si condanna ovviamente la violenza come strumento di risoluzione delle controversie tra persone e tra popoli, ma la si ritiene tristemente necessaria quando corrisponde alle esigenze etiche (appunto!) di chi la utilizza. Un grande pacifista come Dietrich Bonhoeffer si domanda drammaticamente se sia lecito colpire un uomo (Hitler), nel momento in cui sia evidente la sua follia omicida e lo stesso don Milani non nega l'esistenza di una "guerra giusta", parlando della Resistenza al nazi-fascismo.

Anche il riferimento teologico è di per sé poco chiarificatore. In tutti i cosiddetti testi sacri delle religioni, si alternano invocazioni di pace e di bene con evidenti richiami alla necessità di difendere il proprio "dio" non solo con la guerra, ma anche con il genocidio. Certo, non è corretto decontestualizzare i passi delle Scritture per giustificare la santità del conflitto armato, ma lo stesso ragionamento vale anche all'opposto, cioè utilizzarli per dimostrare un'inequivocabile volontà pacifista nell'intenzione divina. In altre parole, una lettura fondamentalista della Bibbia o del Corano può consentire la dimostrazione di qualsiasi presa di posizione, tutto e il contrario di tutto, come peraltro dimostrato dalle guerre di religione che hanno seminato tanto sangue nei meandri della storia.

E allora? Allora che fare? Come affrontare il tema caso per caso? Per esempio, come negare una posizione etica, ovviamente "di parte", nella scelta di Putin di aggredire l'Ucraina per poter garantire i diritti dei russi del Donbass e della Crimea vilipesi per anni, in completa violazione degli accordi di Minsk? E come negare una volontà etica nella caparbia resistenza coordinata da Zelensky, nel tentativo di impedire il soffocamento del proprio popolo? Addirittura, ci si può domandare, c'è un'etica dietro alla volontà degli Stati Uniti di imporre il nuovo ordine mondiale o a quella dell'Unione europea di ritagliarsi uno spazio significativo nella comunità internazionale? Il tutto, naturalmente, per favorire l'instaurarsi della pace nel mondo...

Nel tempo della democrazia, c'è un'unica strada alternativa alla guerra ed è l'accettazione del fatto che nessuna etica è "assoluta". La prima conseguenza di tale riconoscimento è lo sforzo di comprendere la "ragione" dell'altro. La seconda è la necessità di prendere atto dell'esistenza del conflitto, fatto del tutto naturale nelle relazioni - anche individuali - fra gli esseri umani. Il terzo passo è la domanda sul metodo per la risoluzione della diatriba. La Costituzione italiana indica in termini assolutamente postmoderni la strada del "ripudio della guerra come metodo di risoluzione". A questo punto non resta che sedersi attorno a un tavolo reale o virtuale, cercando insieme una soluzione che consenta a ciascuno di sentire, nella massima misura possibile, accolte le proprie visioni. Insomma, solo il dialogo e la trattativa possono essere un'alternativa sostenibile alla violenza verbale o fisica che sia.

Sì, ma se uno degli interlocutori non vuole sedersi al tavolo della trattativa? Se uno dei soggetti che ne hanno il potere scatena una campagna di violenze inaudite nei confronti di altre realtà più deboli? E' lecito cercare di fermarlo oppure no?

E' difficile trovare una risposta teologica o filosofica a questo interrogativo. In ultima analisi, sembra che la scelta nonviolenta riguardi la coscienza di ogni singolo individuo, più che un metodo oggettivo di alternativa alla guerra. Dal punto di vista generale, certamente due opzioni possono comunque essere portate sul banco delle decisioni. Le hanno proposte diverse personalità, nel corso del terribile XX secolo, Wilson e Benedetto XV già durante la prima guerra mondiale. Si tratta del totale disarmo - per il papa Della Chiesa al punto di "mantenere in ogni singolo Stato il minimo necessario a garantire l'ordine pubblico" - e della costituzione di un reale arbitrato, al quale ogni Nazione dovrebbe affidare la propria politica estera, nel momento in cui entri in conflitto con quella delle altre. La Società delle Nazioni e l'Organizzazione delle Nazioni Unite sono nate per questo, hanno bisogno di coraggiose riforme, ma possono essere viste come il germe per la costruzione di un ancora di fatto inesistente diritto internazionale.

Insomma, il tema dell'etica della pace pone oggi molte più domande che risposte, ma il tempo in cui viviamo corre con una rapidità inusuale e costringe quindi a non potersi troppo soffermare sulle implicazioni trascendenti. Occorre prendere delle decisioni, immediate e particolari, tremendamente e drammaticamente concrete. Per esempio nel caso specifico, dire no alle armi in Ucraina e sì convinto a una trattativa diplomatica che abbia al centro il "bene essere" di ogni persona.

lunedì 13 febbraio 2023

Vide Napole e po... ci torni!

 

Napoli, con tutte le sue contraddizioni, è una città meravigliosa. 

Sono belli i luoghi di arte e di cultura, dal Museo Archeologico Nazionale alla nuova Galleria d'Italia, attualmente con una stupenda esposizione dedicata ad Artemisia Gentileschi, dalle innumerevoli chiese ai pittoreschi decumani, senza ovviamente trascurare gli sguardi panoramici con l'immancabile Vesuvio sullo sfondo.

Ancor più belle, come del resto ovunque, sono le Persone, i Napoletani. Sono spesso vituperati al nord, vivono indubbiamente situazioni difficili e i rioni parlano certo sempre la lingua della giustizia e della legalità. Tuttavia c'è una speciale capacità di accoglienza, di far sentire l'ospite a proprio agio, di presentare con orgoglio la bellezza della propria storia. Certo, è la vicenda di una metropoli che un tempo fu sede di un grande Regno, una capitale d'Europa, mentre oggi vive con un miscuglio di speranza e disperazione la propria geografica e politica marginalità.

Tra le mille esperienze possibili, è da consigliare una visita alle Catacombe di san Gennaro. Sì, le catacombe non sono soltanto a Roma, ma anche a Napoli, cimiteri precristiani e cristiani scavati nel tufo della collina di Capo di Monte. Hanno affreschi parietali importanti e raccontano una comunità viva, capace di utilizzare il linguaggio ordinario dei primi secoli per trasmettere il messaggio della nuova fede nel Risorto. Anche qua, al di là del grande interesse del sito archeologico, è da rimarcare la storia di vita delle guide e del loro rione Sanità, proprio quello che fino a non molti anni fa veniva accompagnato dall'aggettivo "famigerato".

Il nostro accompagnatore, Emanuele, racconta che dopo la laurea in storia medievale aveva trovato lavoro nel centro di Napoli, con uno stipendio di 9 euro al giorno (sì, proprio al giorno, non all'ora). Prima di fuggire al Nord, come tanti altri coetanei, incontra la Paranza, una cooperativa sociale inserita in un progetto di rilancio e trasformazione del rione. Da allora, insieme a una quarantina di altri colleghi, lavora per restituire alla città e ai turisti luoghi dimenticati e abbandonati. E - afferma - "cosa si potrebbe desiderare di più che svolgere il lavoro per il quale ci si è tanto impegnati e che da sempre si è sempre sognato?" Il progetto prevede azioni culturali, ma anche imprenditoriali e sportive, senza dimenticare la creazione di occasioni per tirare fuori i giovani da situazioni di potenziale o reale devianza, rendendoli protagonisti del futuro loro e del loro territorio.

In questo modo, in pochi anni, grazie anche all'intuizione di un parroco illuminato e dei suoi collaboratori, il rione Sanità è diventato sempre più noto e, per chi ha l'occasione e la fortuna di visitarlo, sempre più interessante e attraente per tutti i visitatori. Vale la pena di addentrarsi tra i trafficati e rumorosi vicoli della zona che ha visto nascere il grande Totò e che ora vede rinascere la voglia di vivere e di rimanere. Tra le altre attività, da qualche settimana è stata aperta anche la "Locanda del Monacone", un'altra realtà di giovani che sono stati sostenuti nel loro desiderio di realizzarsi, senza dover lasciare la propria amata terra per andare a cercare fortuna altrove. Un pranzo da loro - o meglio "con" loro - è un'avventura di conoscenza, di dialogo e di grande simpatia. Inoltre, fatto non trascurabile, è un ristorante che garantisce un menù rigorosamente "napoletano", preparato con grande cura, al punto che al fondo, rimane solo l'imbarazzo della scelta.

Grazie per questo quadretto di una nuova Napoli possibile, che senza rinunciare alla propria tradizione, riesce a vincere le sue paure e a presentarsi al mondo nella veste che la caratterizza più del Vesuvio e dei tanti monumenti, quella di una costruttiva e spettacolare Umanità.

mercoledì 8 febbraio 2023

8. februar, Prešernov dan. Il Kulturni dom invita tutti i Goriziani a celebrare insieme la Giornata della Cultura Slovena

La vetta del Triglav (m.2864), la più alta della Slovenia
La Slovenija è molto bella. Ci sono paesaggi stupendi, dalle Alpi Giulie a quelle di Kamnik, dalle valli della Soča/Isonzo a quelle della Sava e della Drava, dai verdi colli ondulati della Dolenjska alla costa adriatica.

Ci sono anche belle città, che raccontano una storia importante, dalla Capitale Ljubljana a Maribor, da Celje a Kranj e Škofja Loka, da Murska Sobota a Koper e, naturalmente a Nova Gorica che si appresta a diventare significativo punto di riferimento in Europa.

Soprattutto la Slovenija è Cultura. E' una Cultura che nasce spontanea, nella dolcezza, nella capacità di accoglienza, nella pulizia interiore ed esteriore delle persone che la abitano. Ed è una Cultura che si esprime attraverso l'arte, quella figurativa e quella letteraria, quella architettonica e quella spirituale, nel senso ampio del termine. Un popolo fiero delle proprie origini, delle caratteristiche peculiari di una lingua che conserva gelosamente, insieme al duale, altri segni dell'antica radice indoeuropea, non si chiude in sé stesso, ma si apre all'incontro con l'Europa e con il mondo. In questo modo testimonia una  significativa concezione della giustizia, della libertà e della pace. radicata e temprata in una storia ricchissima di contenuti costruttivi, ma anche di inenarrabili sofferenze e oppressioni da parte dei nazionalismi che hanno cercato, senza riuscirci, di soffocarla e assimilarla alla triste dis-ragione della violenza e della forza. 

Certo, non tutto è oro quello che luccica e come ovunque, anche la Slovenija degli anni 2000 non è immune dalle chimere del turbo capitalismo. Tuttavia si ha l'impressione che esso non sia altro che l'occasione per un'altra prova da superare, ancora una volta con la sola potente e affascinante arma della Cultura.

E questo accadrà, fino a quando si celebrerà come Festa Nazionale - caso forse unico in Europa - la giornata anniversaria della morte del più noto poeta, France Prešeren (Vrba, 3 dicembre 1800 - Kranj, 8 febbraio 1849). E' dal 1945, all'indomani della fine della seconda guerra mondiale e della definitiva Liberazione dal nazi-fascismo che si celebra questa festa che racconta vicende di umanità e di libertà. In tutte le città e i paesi si leggono oggi le poesie e si racconta la vita del grande scrittore, insieme a quella di tanti altri personaggi che non hanno soltanto dato dignità letteraria alla lingua slovena, ma hanno anche offerto un tassello indispensabile al grande mosaico della Cultura europea.

Di questo - e delle importanti influenze sulla letteratura italiana e delle significative convergenze tra poeti e romanzieri degli ultimi due secoli - si parlerà anche a Gorizia, questa sera, al Kulturni dom, quando lo scrittore e accademico Miran Košuta dialogherà con il pubblico, invitandolo a "entrare" nella bellezza e nella vivacità della Storia e della Cultura della Slovenija e di questa particolarissima realtà che è la terra di confine che porta il nome di Goriška, Goriziano.

Alle ore 18.03, presso il Kulturni dom di Via Brass. Davvero, da non perdere!

martedì 7 febbraio 2023

Mercoledì 8, l'attesa presentazione al Kulturni dom

 

In occasione della Giornata Nazionale della Cultura Slovena, il Kulturni dom di Gorizia e Il libro delle 18.03 propongono la presentazione di un interessante DVD, un dialogo intervista con il professore e scrittore Miran Košuta. Ecco il comunicato stampa del Kulturni dom:

Mercoledì 8 febbraio 2023 alle ore 18.03, presso il Kulturni dom di Gorizia (via I. Brass, 20), si terrà, nell’ambito della Giornata della cultura slovena e della rassegna “Il libro delle 18.03”, la “prima” del film - documentario “Sulle tracce della letteratura slovena”, un incontro – intervista tra il poeta e traduttore prof. Miran Košuta di Trieste e il giornalista goriziano Andrea Bellavite. Il documentario in lingua italiana ha come obiettivo di favorire al pubblico italiano una migliore conoscenza della realtà culturale slovena.

Durante la presentazione, è prevista anche la lettura di alcune poesie dei principali autori sloveni, curata

dagli attori goriziani Robert Cotič e Pierluigi Pintar.

Il film – documentario, realizzato dalla cooperativa culturale Maja, nell’ambito del progetto regionale

“Čedermaci današnjega časa ‘22”, in collaborazione dalla casa cinematografica AVS di Nova Gorica, e ideato da Andrea Bellavite, Igor Komel e dal regista Ivo Saksida, può essere descritto come un breve vademecum della letteratura slovena, dalle origini ai giorni nostri, nonché un significativo anello di congiunzione tra la cultura italiana e quella slovena.


In questo senso la scelta del professore universitario triestino Miran Košuta per l’incontro sulle tracce della cultura slovena, non è casuale. Esperto, laureato in filosofia all’Università di Lubiana, è uno scrittore, storico e critico letterario italiano di lingua slovena e grande conoscitore d’entrambe le realtà culturali del nostro territorio. Va inoltre menzionato che il professore, associato di lingua e letteratura slovena per la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Trieste, orienta i suoi studi verso il pubblico italiano con l’obiettivo di favorire una migliore conoscenza della letteratura slovena.

La serata è promossa dalla cooperativa culturale Maja (nell’ambito del progetto Čedermaci 22), dal Kulturni dom di Gorizia e dall’associazione culturale “Il libro delle 18.03”, con il patrocinio della Regione Friuli Venezia Giulia, dell’Unione culturale economica slovena (Skgz) e dei comuni di Gorizia e Nova Gorica (Capitale Europea della cultura 2025).


Ingresso libero. Per informazioni: +39 0481 33288 – info@kulturnidom.it.

domenica 5 febbraio 2023

La guerra non è una follia

No, non è una contraddizione rispetto a quanto lodevolmente affermato spesso dal Vescovo di Roma Francesco, è piuttosto un titolo provocatorio, finalizzato a una specie di approfondimento, a un'umile ricerca di ulteriore chiarificazione.

Si avvicina il 24 febbraio, anniversario dell'inizio della sciagurata guerra in Ucraina. Ci sarà tempo, purtroppo, per parlarne ancora, tanto più se la vicenda del pallone aerostatico cinese, abbattuto sull'Atlantico diventerà pretesto per la diffusione di ulteriori nuvole oscure sul cielo planetario.

Due osservazioni più generali, anche se in qualche modo collegate, possono essere tratte dalla situazione attuale.

La prima è la constatazione - o la triste ammissione - che in realtà "la guerra non è una follia". Non lo è perché ha delle "ragioni", sulla base delle quali si combattono le "ragioni" degli altri. Ciò è spiegabile nell'ambito degli integralismi religiosi che propugnano la "giusta causa" del proprio "assoluto" contro quella degli infedeli che peraltro affermano un altro assoluto (si noti "la contraddizione che nol consente"). Ma funziona tragicamente bene anche dopo la svolta antropocentrica del pensiero moderno, là dove la "ragione" di ciascuno ha, almeno in teoria, uguale diritto di cittadinanza rispetto a quello di ogni altro. Purtroppo, nell'un caso come nell'altro, non sembra essere stata individuata - e se lo è stata, non è stata se non assai raramente applicata - una modalità diversa per farsi valere che non sia quella della violenza. Eppure, da che mondo è mondo, l'alternativa nonviolenta potrebbe essere veramente l'unica possibile svolta rispetto a una strada lastricata di delicati equilibri che da un momento all'altro farebbero pesare maggiormente la bilancia dalla parte della catastrofe definitiva. 

Dunque, ogni conflitto si accende per motivi razionali, non è affatto una follia. Ciò vale anche per le rivendicazioni di giustizia, più o meno condivisibili, che devono perforare il muro della "ragione" dell'altro per poter essere ascoltate e a volte anche prese in considerazione. In questi casi - e gli esempi si potrebbero citare a migliaia, la lotta di liberazione partigiana in primis - è molto meno evidente che l'eventuale uso della violenza sia effettivamente una "follia", come drammaticamente meditato da Bonhoeffer in merito alla decisione di partecipare all'attentato a Hitler, per fermarsi soltanto a un esempio celebre riguardante lo straordinario autore di Resistenza e resa. Come dare voce alle ragioni di chi non ha voce? C'è qualche altra strada rispetto a quella della violenza? La questione è come (ma anche se) convincere i razionali belligeranti del fatto che la nonviolenza (intesa come disponibilità attiva a essere colpiti piuttosto che colpire, a essere uccisi piuttosto che uccidere, a far prevalere il perdono sulla vendetta) sia sempre metodo per la risoluzione dei conflitti, effettivamente più razionale della violenza. Là dove a creare problema e a rendere incandescente la domanda può essere proprio quel "sempre". La nonviolenza è "sempre" il metodo adeguato a risolvere i conflitti, come peraltro afferma anche il nostro famoso articolo 11 della Costituzione, quello sul "ripudio" della guerra?

L'altra questione è relativa al singolare rapporto che c'è tra la visione universale e quella individuale, in altre parole tra la guerra totale e le quotidiane incomprensioni tra gli esseri umani. Anche nell'ordinarietà si scontrano spesso le "ragioni" degli uni con quelle degli "altri". Molto spesso, anche chi sostiene con convinzione la "razionalità" della nonviolenza contro la "follia" della guerra, di fronte a una piccola incomprensione reagisce con una violenza commisurata alle proprie potenzialità. Per esempio, in una discussione si anima e si scaglia con sicumera contro il sostenitore del pensiero opposto (spesso anche su questioni di semplici interpretazioni del settato nonviolento o sull'organizzazione di una determinata attività) oppure si allontana ostentatamente dalla discussione, ritenendo inutile il dialogo con quell'"altro" ritenuto troppo distante dalle sue posizioni. E così, nel "piccolo", si riflette ciò che accade nel "grande", ovvero si preferisce impedire all'altro di parlare o si ritiene inutile la "trattativa", lasciando quindi solo alla legge del più forte il compito di dirimere le questioni. In ogni caso, dietro a tali atteggiamenti, ci sono sempre altre "ragioni", a volte nascoste anche agli stessi interlocutori, che non possono bucare la "superficie" dei dibattiti proprio perché soffocate dall'esplosione dei piccoli conflitti. A pensarci bene, è proprio come nel livello universale, dove le "ragioni" nascoste delle guerre rimangono celate alla considerazione dei più, perché il fragore delle armi e il vociare dei media impediscono qualsiasi altrimenti indispensabile approfondimento. Sì, perché la scoperta delle vere ragioni disinnescherebbe immediatamente l'entusiasmo delle tifoserie e renderebbe possibile riportare tutte le questioni a un più - questa volta davvero! - ragionevole modo di affrontarle.

Tutto questo per dire al mondo dei costruttori di pace e dei sostenitori della nonviolenza che c'è in questo tempo una speciale responsabilità, quella di gestire e vivere i conflitti quotidiani con un soprassalto di attenzione e di sensibilità. Il che non significa affatto rinunciare a discutere accettando supinamente l'aggressione (verbale o fisica) dell'altro, ma al contrario rivendicare proprio l'uso del metodo nonviolento, incentrato sul non abbandonare mai lo spazio del dialogo, sulla ricerca di comprensione (non giustificazione) delle "ragioni" dell'altro, sulla nobile fatica di raggiungere insieme non il minimo comune multiplo, ma il massimo comune divisore. E' importante farlo lo stesso, ma certamente è meno credibile la richiesta a Putin e Zelensky di sedersi insieme sul tavolo della diplomazia, nel momento in cui non si è capaci di raggiungere un accordo nemmeno su questioni infinitamente più quotidiane e ordinarie.

Un importante corso sui vescovi e su patriarchi aquileiesi

 

Mercoledì 8 febbraio inizierà ad Aquileia un Corso interessante, promosso da UTE Cervignano. Ci saranno nove lezioni, dedicate alle "Grandi figure di Vescovi e Patriarchi aquileiesi". Gli incontri, guidati da esperti archeologi, storici e teologi, si terranno ogni mercoledì, con inizio alle ore 16.30, nella Sala Consigliare del Municipio di Aquileia. Il Corso è aperto a tutti, anche a chi non è iscritto all'UTE.

Il primo incontro, l'8 febbraio, sarà dedicato alle origini della Chiesa Aquileiese, dal tempo del leggendario Ermagora fino all'editto di Milano (313) e al primo Vescovo "storico" Teodoro.

Da una parte sarà indagato (prof. Bellavite) il clima culturale e spirituale dell'Aquileia dei primi tre secoli, distinguendo ciò che si può ricostruire attraverso documenti coevi da ciò che fa parte di una tradizione alimentata dai Sermoni di alcuni Padri della Chiesa vissuti alcuni secoli dopo, dai cataloghi episcopali e dalle Passiones medievali.

Dall'altra parte ci si soffermerà sui reperti e sulle "certezze" archeologiche documentarie, grazie all'intervento del prof. Luca Villa, insigne archeologo, profondo conoscitore della storia e della basilica aquileiese, nonché presidente dell'Associazione Nazionale per Aquileia.

Negli incontri successivi si parlerà dei vescovi che si sono succeduti Teodoro, cioè Agapito, Benedetto, Fortunaziano, Valeriano e soprattutto Cromazio (prof.Bellavite), poi della nascita del Patriarcato (prof. Mazzoleni), dei patriarchi carolingi, di Callisto e del suo battistero (prof. Visentini). Sarà poi la volta di Paolino e di Massenzio (prof. Villa), seguiti da Bertrando di San Genesio, Marquardo di randeck e Ottobono dei Razzi (prof. Rigonat, prof. Blason con letture dell'attore Tullio Svettini). Il 22 marzo saranno presentati Ludovico Scarampi Mezzarota e Giovanni Grimani (prof. Blason) nonché La famiglia patriarcale (prof. Caiazza). I due incontri successivi si terranno in Basilica, a cura della prof. Menon che presenterà i graffiti nella cripta degli affreschi (29 marzo) e la Cappella Torriani (5 aprile). L'ultimo incontro, guidato dalla prof. Blason e dal prof. Scarel, sarà dedicato ai tesori e al campanile del patriarca Popone.

Insomma, un corso veramente interessante, su un tema intrigante e avvincente, anche alla ricerca di qualche segno di parità di genere che possa indebolire l'impressione oggettiva di una preponderante  forza del "patriarcato", restituendo almeno qualche - purtroppo debole - segno di "matriarcato". Davvero, per chi può, un'iniziativa da non perdere!

sabato 4 febbraio 2023

Davide Conti e l'uso pubblico della storia

 

E' stata un'entusiasmante lezione di storia, quella tenuta sabato mattina dal prof. Davide Conti nell'affollata sala grande del Kinemax di Gorizia.

L'iniziativa, proposta da ANPI/VZPI, è stata introdotta da Anna Di Gianantonio che ha illustrato il titolo della conversazione nonché dell'ultimo libro dell'autore "Sull'uso pubblico della storia", ha richiamato alcuni eventi "goriziani" speciali e ha presentato il relatore.

Dopo una breve sintesi delle vicende italiche dell'intero XX secolo, Conti ha evidenziato come l'Italia non abbia fatto mai i conti con il fascismo, percorrendo, dopo la seconda guerra mondiale, una sorta di doppio binario. 

Da una parte infatti le forze antifasciste hanno scritto a più mani l'inizio della nostra "democrazia costituzionale", incentrata proprio sulla composizione delle conflittualità fra le diverse posizioni, contrastando esplicitamente la visione omologante e categoriale del fascismo. Una visione in grado di porre al centro dell'attenzione dello Stato ogni cittadina e cittadino, il lavoro, la giustizia sociale, la destinazione universale della proprietà e il ripudio della guerra, non ha nulla da spartire con quell'idea di "democrazia liberale" nella quale molti vorrebbero rinchiudere l'attuale sistema italiano ed europeo.

D'altra parte il percorso di una matura idea dello Stato è stato irto di difficoltà, sia nell'attuazione del dettato costituzionale, sia nel riproporre nei posti chiave della vita sociale e politica gli stessi personaggi che avevano avuto ruoli di grande e tragica importanza nel corso del ventennio fascista. La delineazione di alcuni esempi di questo "riciclaggio" ha fatto venire i brividi ai presenti, dal momento che questi stessi funzionari collegati intrinsecamente al destino di Mussolini e macchiatisi di delitti riconosciuti dall'ONU come crimini di guerra, non solo hanno rivestito subito dopo il conflitto incarichi altrettanto importanti, ma sono stati implicati, direttamente o indirettamente, anche nelle strategia dlela tensione e nei tentativi di golpe degli anni '70.

Molto interessante è stata l'analisi della tipologia delle numerose stragi neofasciste che si sono ripetute in quegli anni, soprattutto per il collegamento con alcune delle più preoccupanti linee di tendenza del momento. La critica all'antifascismo di essere anacronistico in quanto "non esisterebbe più il fascismo", è un modo subdolo e sottile per rifiutarsi di riconoscere che esso non è soltanto una forma di lotta contro la violenza razzista del fascismo, ma la visione stessa di uno Stato, nato sulle macerie dell'orrore bellico e fondato su una Costituzione che ha tracciato le linee di una visione equa e solidale del vivere comune.  La dimenticanza di tale fondamento porta necessariamente al travisamento della memoria, come dimostrato dai numerosi e inquietanti esempi portati dal relatore, che ha tracciato anche una specie di "calendario della dimenticanza", cominciando dalle Giornate della Memoria e del Ricordo, istituite in Italia in modo anacronistico e antistorico, una sorta di autoassoluzione relativamente alle violenze e ai massacri che gli italiani - tutt'altro che "brava gente" - hanno compito in Jugoslavija, in Spagna durante la guerra civile, nelle famigerate colonie.

L'ampia trattazione non può certo essere sintetizzata in poche righe. Quello che forse conta è che non sfugga mai il senso del titolo. La storia può essere usata strumentalmente per poter manipolare la coscienza dei cittadini, oppure può essere l'occasione per leggere il proprio presente, collocandolo nel contesto di un passato da studiare con attenzione per raccogliere gli elementi necessari a costruire un futuro migliore. Grazie ad ANPI/VZPI e soprattutto a Davide Conti per questa magistrale lezione, conclusa con un cenno di speranza. Il popolo ha saputo reagire di fronte alla strategia delle stragi neofasciste e ai tentativi di sovvertimento del sistema democratico. Ci è riuscito in momenti non meno difficili degli attuali e ci può riuscire ancora. Per questo non ci si deve rassegnare, ma è necessario "continuare a resistere".

venerdì 3 febbraio 2023

Casi Vaticani: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi!" (Gv.8,38)

 

L'apertura del caso rapimento di Emanuela Orlandi, significativamente dopo la scomparsa di Josef Ratzinger, porterà qualche nuova luce su un evento accaduto quaranta anni fa, il 22 agosto 1983? Molti lo sperano, altri ne dubitano fortemente, date le incredibili resistenze incontrate finora dal fratello Pietro e da tutti coloro che cercano una verità nascosta tra la storia della banda della Magliana e le vicende bancario sessuali verificatesi nel Vaticano degli anni '80 e '90 del XX secolo.
Un altro caso, del quale si parla molto poco e sul quale è calata una cortina di silenzio, è quello che riguarda il triplice assassinio del capo delle guardie svizzere Estermann, della moglie e di un caporale, accusato - ma i dubbi sono molti - di essere stato l'autore dell'omicidio suicidio per questioni legate alla carriera.
Altro capitolo è quello relativo agli scandali finanziari, culminati nella vicenda del lussuosissimo palazzo di Londra, ma anche quello degli appartamenti di lusso all'interno della Città del Vaticano.
Insomma, un mondo a sé, dove accanto alla missione di annunciare una delle più belle notizie mai proclamate nella storia - la risurrezione di Gesù e il suo Vangelo della libertà e dell'amore - sembra che tale stessa libertà nella verità venga conculcata in ogni momento e tale annuncio di amore sia appannato dalla nebbia della manipolazione.
Anche il caso Rupnik fa molto pensare. Da una parte la sua predicazione e la sua arte hanno donato alla Chiesa e al mondo importanti capitoli di originalità e fascino, dall'altra l'uso manipolatorio di tali straordinarie potenzialità ha di fatto oscurato tutta la bellezza da lui proclamata e artisticamente realizzata nelle sue opere. C'è chi vorrebbe cancellare le sue pitture e i suoi mosaici. Che senso avrebbe? Come non distinguere il genio artistico dalla fragilità umana che ne è portatrice? Se le testimonianze di tante donne che hanno avuto a che fare con lui saranno confermate - ma a questo punto molti fatti hanno trovato pieno riscontro - la sua persona ne dovrà rispondere davanti alla Chiesa ma anche alla legge civile che vieta la manipolazione e il plagio. Tutto ciò non toglierà valore alla sua arte, che sarà giudicata con un altro diverso criterio estetico e morale.
Non è accettabile l'uso strumentale del proprio "fascino spirituale" al fine di irretire e rendere praticamente schiave le persone. Ma non è accettabile anche la cortina del silenzio calata sul gesuita forse più conosciuto al mondo dopo papa Francesco. Anche questo caso, come in tanti precedenti, è venuto alla luce soltanto grazie agli scoop di alcuni giornali. 
Insomma, se i cristiani seguono un Vangelo secondo il quale "la verità vi farà liberi" e "ciò che è nelle tenebre, ditelo nella luce", perché questa congiura del tacere? Perché Francesco, oltre a riformare la curia romana, non pretende chiarezza e verità su tutti questi eventi, quelli gravissimi come i casi Orlandi, Mirella Gregori, Estermann, ma anche sull'ultimo, rispetto al quale ha ammesso di "non sapere nulla". Questa affermazione ha suscitato molte perplessità, dal momento che la remissione di una scomunica comminata per "assoluzione del complice in peccato turpe" spetterebbe - almeno formalmente - esclusivamente a lui? 
Essere nella verità è sempre meglio che navigare nella menzogna del "non detto". Sapere come siano andate le cose pacificherebbe le vittime, porterebbe i carnefici davanti al tribunale della storia, toglierebbe dall'imbarazzo chi ha il compito di vigilare e aiuterebbe chi ha sbagliato a intraprendere percorsi di riabilitazione e di redenzione.