sabato 30 settembre 2023

Con Angelo Floramo, per la libertà di stampa

Angelo Floramo ad Aquileia. Foto IoDeposito
La scelta della testata giornalistica Il Friuli di proporre ad Angelo Floramo la scelta fra la rinuncia alla pubblicazione di un articolo e la cessazione della collaborazione, è di una gravità inaudita.

Il nome dell'involontario protagonista di questa incredibile vicenda è un'assoluta garanzia di serietà e di competenza. Una delle figure più importanti della Cultura (con la C maiuscola) del Friuli Venezia Giulia, viene di fatto censurata perché vuole esprimere - con l'intelligenza e la delicatezza che gli sono proprie - una critica alla costruzione dell'acciaieria di san Giorgio di Nogaro. Ovviamente ogni lettore può essere d'accordo o meno con il punto di vista di Angelo, inaccettabile è che un giornale possa impedire perfino il confronto e il dialogo. E' un danno incalcolabile anche per la stessa testata, dal momento che tanti hanno preso finora in considerazione Il Friuli soltanto per approfondire la propria conoscenza attraverso la lettura dei sempre profondi e spesso avvincenti articoli di Floramo. 

Uomo di enorme cultura, capace di accompagnare chi lo apprezza in viaggi indimenticabili nella storia e nella geografia, Angelo Floramo è anche un punto di riferimento per tutti coloro che immaginano una società aperta e accogliente, oltre che un apprezzatissimo insegnante di scuola superiore, con una rara capacità di valorizzare ogni singola persona e far sentire in ogni momento "a casa propria". 

Impedire a una simile personalità di esprimere un proprio parere, sempre con argomentazioni ampiamente documentate e competenti, è compiere un gesto incomprensibile ma anche alquanto preoccupante. Insieme all'ovvia piena solidarietà ad Angelo, come non chiedersi dove stia andando la nostra società. Che fine farà la libertà di stampa, già a livelli minimi, anche se garantita dall'art. 21 della Costituzione? Fin dove ci porterà questa deriva antidemocratica e liberticida?

venerdì 29 settembre 2023

Il libro delle 18.03 alla ripartenza autunnale...

 

Inizia domenica 1 ottobre, alle ore 11.03 a Mossa, l'edizione autunnale dell'attesissima Rassegna "Il libro delle 18.03", curata come sempre da Paolo Polli e collaboratori.

Ci saranno ben 11 appuntamenti, uno più interessante dell'altro. Già la prima settimana si apre con una serie di incontri imperdibili.

Domenica, introdotta dalla sindaca di Mossa Emanuela Russian, ci sarà la lectio magistralis di Marco Ansaldo, che parlerà del suo libro "La marcia turca". E' un'ottima occasione per conoscere meglio - tramite uno dei più attenti osservatori di tali vicende - non solo la storia recente della Turchia, ma anche il ruolo controverso e importante sullo scacchiere mondiale del suo presidente Erdogan. 

Giovedì 5, alle 18.03 presso il Kulturni dom di Gorizia, sarà presentato il libro "La frontiera inaspettata". L'autrice è Luisa Contin, stimata insegnante e operatrice culturale conosciuta anche al di là dei confini della sua Bassa Friulana. Ha scritto un bellissimo romanzo storico, nel quale la descrizione storicamente e accuratamente documentata della situazione del Friuli orientale all'indomani della prima guerra mondiale, si intreccia con un avvincente e assai piacevole trama di fantasia. Da non perdere!

Sabato 7 ottobre si terrà invece la prima delle due tradizionali "uscite", con partenza alle ore 10.03 dalla piazza antistante la chiesa di Pevma. Si andrà alla ricerca dei segni lasciati dal pittore Tone Kralj, uno dei maggiori artisti sloveni del XX secolo. Nelle chiese di Pevma, Štandrež, Šempeter e Vrtojba si potranno contemplare i dipinti realizzati per le rispettive chiese, notando la sua forte ispirazione non soltanto artistica e religiosa, ma anche politica e sociale.

Il programma del Libro delle 18.03 proseguirà poi per tutto il mese di ottobre, con presentazioni che toccheranno diversi luoghi di Cultura, tra i quali anche il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, giovedì 12 ottobre, sempre alle 18.03, con la partecipazione dello scrittore e poeta Andrea Molesini in dialogo con l'ottima giornalista Elisa Michellut. Introdurrà la direttrice del Museo Marta Novello. 

mercoledì 27 settembre 2023

L'ultimo film di Almodovar

 

Se potete, non lasciatevelo sfuggire. Il film Strange way of life, di Almodovar, è veramente bello e interessante.

I due attori principali - Ethan Hawke e Pedro Pascal - offrono una storia speciale. Il contesto paesaggistico è quello dei grandi western alla Sergio Leone, ma la narrazione rompe tutti gli schemi classici e ruota intorno al mistero dell'amore. Due uomini si ritrovano dopo aver vissuto, venticinque anni prima, una breve relazione intrisa di erotismo. Il nuovo incontro, determinato dai ruoli di sceriffo del primo e di padre di un giovane omicida ricercato il secondo, è l'occasione per il risorgere di una passione raccontata con un erotismo pieno di dolcezza e di poesia. Non manca l'aspetto tragico, sottolineato dall'esplodere degli spari dei fucili e della pistole. La vicinanza della morte, l'amorevolezza della cura, l'addolcirsi dei caratteri bilanciati tra l'attrazione e la repulsione, fanno della narrazione filmica un'allegoria straordinaria della vita e dei suoi affascinanti e imprevedibili percorsi. Ci si incontra e ci si scontra, ci si abbraccia e ci si respinge, ci si spara e ci si redime. L'incredibile rapidità del consumarsi delle scene - circa 35 minuti - non lascia scampo, si è dal primo istante all'ultimo trascinati in un vortice senza soste e interruzioni, se non nello spazio dei titoli di coda, dove una mandria di cavalli passeggia e scalpita tranquillamente in un recinto, accompagnata da una musica meditativa (eccezionale la colonna sonora!) che consente di scaricare le mille emozioni prima di uscire dalla sala. La brevità, lungi dall'infastidire lo spettatore che da un western si attenderebbe forse tempi molto più dilatati, è un elemento in più, un motivo ulteriore di pregio. Si rimane un attimo storditi e il film continua nella testa di ognuno, quasi a prolungare - ciascuno a proprio modo - l'enigmatico sorriso finale che può preludere a un odio definitivo o al compiersi pienamente del desiderio per tanto tempo sopito e al pieno realizzarsi dell'amore fra i due uomini. 

martedì 26 settembre 2023

Un breve ricordo di Anna Maria Fabbroni

E' difficile immaginare Gorizia senza Anna Maria Fabbroni. 

Ciò non soltanto perché la sua era una presenza che si notava, un po' in tutti gli ambiti della vita cittadina, presenza assidua e costante in ogni occasione, lieta o triste, della vita delle persone.

Soprattutto Anna Maria Fabbroni mancherà per la straordinaria capacità di portare una ventata di sorriso e di pace in qualunque posto transitasse. Era una di quelle personalità nello stesso tempo semplici e complesse, capaci di relazionarsi con i cosiddetti vip e con i più deboli, con una netta preferenza nei confronti di coloro che don Milani chiamava "gli ultimi".

Anche Anna Maria aveva il dono raro di una profonda umiltà. E' stata una delle voci poetiche più importanti dell'Italia degli ultimi decenni, eppure non si tirava mai indietro quando si trattava di celebrare un evento, un anniversario o una particolare situazione, portando sempre la sua parola poetica. A volte sosteneva il pianto dei sofferenti, altre la risata dei gaudenti, sapeva mescolare con sapienza gli ingredienti della vita, la gioia e il dolore, la serenità e l'inquietudine, la pace e l'amore.

Aveva un rapporto speciale con ogni persona che aveva a che fare con lei e ognuno la ricambiava con affetto e amore, come dimostrato dalle innumerevoli testimonianze di questi giorni.

E possedeva il dono della saggezza, così importante in una realtà di confine complicata come quella Goriziana. Si tratta della capacità di sdrammatizzare, di collegare chi è lontano, di mettere al centro delle relazioni il bene dell'altro e il perdono reciproco. E' l'intelligenza di chi sa disarmare il violento e il nervoso con il più delicato dei sorrisi e con la più intensa delle parole poetiche.

Ha attraversato tante espressioni artistiche, immettendo nelle forme dei colori e delle parole tutto sé stessa, celebrando con esse la sua profonda fede nell'amicizia e nei rapporti umani. 

Non c'è molto da aggiungere, se non la parola che sorge dal cuore di ogni persona che l'abbia conosciuta: GRAZIE!

Napolitano ad Aquileia

 

Si sono svolti oggi a Roma i funerali di Giorgio Napolitano, per nove anni Presidente della Repubblica. In questi giorni si è scritto tanto di lui, nel bene e nel male un uomo che ha trascorso diverse stagioni della politica e della cultura italiane. Ecco il ricordo del suo passaggio ad Aquileia, il 7 luglio 2014, testimoniato dalla firma sul libro degli ospiti e dalla bella dedica: Ammirazione per questo tesoro che tanto ho tardato a conoscere.

martedì 19 settembre 2023

Save the date: alba dell'equinozio nella Basilica di Aquileia

 

La mattina del 23 settembre inizierà l'autunno. Come ormai da tradizione, la Basilica di Aquileia ospiterà l'"alba dell'equinozio", con inizio alle 6.15, poco prima del sorgere del Sole.

Si uniranno diverse suggestioni. Con la sapiente regia di Mattia Vecchi, le straordinarie opere d'arte saranno progressivamente illuminate, suscitando emozioni piene di bellezza. La musica d'arpa, proposta come nelle altre occasioni dalla bravissima Maestra Ester Pavlic, permetterà di coniugare mirabilmente il senso dell'udito con quello della vista. L'introduzione sarà curata con testi di Chiara Corbatto e Andrea Bellavite, con riferimento al cambio della stagione, alle spalle il calore dell'estate, davanti i colori dell'autunno che preludono all'apparente sonno della Natura, con le memorie santorali cristiane e i miti antichi legati al passaggio.

Nell'occasione, l'"alba" sarà dedicata alle donne. Grazie alla voce di Claudia Giordani e Antonella Testa, prenderanno vita alcune figure femminili importanti nella storia della Chiesa che dialogheranno con le matrone, le lavoratrici e le umili figure rappresentate nei mosaici teodoriani (inizio IV secolo!). Sarà un bellissimo tuffo nella storia, non privo di addentellati e proposte attualizzanti.

Insomma, è un grande spettacolo, ma soprattutto un avvincente momento di cultura e di profonda umanità, al quale tutti sono invitati. In un momento così difficile della storia europea e mondiale, partecipare e gustare a istanti intrisi di arte e di bellezza vuol dire cercare e trovare la forza e la pace interiore, necessari a impegnarsi per migliorare il mondo.

Per facilitare l'organizzazione, è consigliata ma non obbligatoria, la prenotazione scrivendo alla mail: comunicazione@basilicadiaquileia.it.

domenica 17 settembre 2023

Non nominare il nome di Dio

 

Non nominare il nome di Dio! "Invano", ci insegnavano da piccoli, quando si andava al catechismo per preparare la prima confessione. Quell'"invano" riusciva a trasformare la potenza di un principio straordinariamente importante nell'ottusità di un invito pseudomorale a evitare il turpiloquio.

In realtà il "comandamento", o meglio la "parola" incisa secondo la tradizione ebraica nelle tavole di pietra consegnate sul monte Sinai a Mosè, vuole ricordare all'uomo che Dio è il "totalmente altro" (come proposto soprattutto dalla teologia protestante)e che quindi nessuno - ma proprio nessuno! - si può permettere di trascinarlo dentro gli angusti spazi della ragione, condizionata dallo spazio e dal tempo. La fede autentica non ritiene che Dio "c'entri" con nulla di ciò che appartiene alla natura e alla storia, regni nei quali il dominio è affidato alla casualità degli eventi e, per ciò che concerne l'esperienza umana, alla responsabilità delle scelte determinate dalla libertà della coscienza.

Quante guerre, violenze e sofferenza di ogni sorta sarebbero state evitate dalla consapevolezza dell'inaccessibilità di Dio alle misere strategie umane! Quante vite sarebbero state salvate se non ci fosse stato qualcuno ad agitare il crocifisso o a impugnare i passi della Bibbia e del Koran per gridare "in nome di Dio" o per far sapere agli "altri" che "Dio è con noi". Terribili dittature, guerre mondiali, leggi razziste sono state emanate nel nome di quel "Dio Patria Famiglia", assurdamente di nuovo evocato da Meloni e Orban nel loro recente incontro.

Dio non c'entra con la destra, ma non c'entra neppure con la sinistra. Non c'è alcun bisogno di "difendere Dio" da una parte, ma neppure dall'altra. Meloni e Orban, come prima Mussolini e tanti altri, non sbagliano tanto perché ritengono di sapere che cosa voglia Dio, ma perché lo nominano invano, pensando di poter esserne interpreti, piegando religione e scritture alla loro parziale e fragile ragione. Lo stesso accade dalla parte opposta, quando si rintuzzano Meloni e Orban sostenendo una diversa interpretazione, come se fosse possibile dire chi ha con sé Dio e chi invece non l'ha. Nel nome del Vangelo sono stati perpetuati orribili delitti e nel nome del Vangelo sono state edificate meravigliose opere di solidarietà e di condivisione. 

Chi interpreta giusto e chi interpreta sbagliato? Nessuno lo può sapere. Per questo è meglio accogliere il "comandamento" ed evitare di trascinare Dio dentro ciò che è soltanto degli uomini. E impegnarsi in ogni modo possibile, nell'alleviare l'immenso dolore che alberga nel mondo, nel custodire tutto ciò che esiste e appartiene a ogni essere vivente, nel servire ogni persona, soprattutto chi è più fragile, debole e sofferente, nel costruire con le proprie forze un sistema sociale che sia veramente incentrato sulla giustizia universale, sulla pace tra i popoli e sulla salvaguardia del bene e dei beni comuni.

In tutto ciò, Dio non c'entra.

sabato 16 settembre 2023

Vstala Primorska, a Opatje selo la memoria del 15 settembre 1947

 

E' stata una grande festa quella celebrata questa mattina a Opatje selo. Almeno 3000 persone, provenienti da tutta la Primorska, la regione del litorale sloveno, si sono date appuntamento per ricordare il 76mo anniversario dell'aggregazione del territorio alla confederazione jugoslava. Il 15 settembre 1947 ha segnato per le popolazioni delle valli dell'Isonzo/Soča e del Vipacco/Vipava, del Carso e dei Comuni sul mare Koper, Izola, Piran e Portorož, la fine definitiva di un incubo. Con il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, infatti, questa ampia zona inopinatamente assegnata all'Italia dal Trattato di Rapallo nel 1920, viene assegnata alla Slovenija ed entra a far parte della Jugoslavija. Due decenni di fascismo, con la persecuzione sistematica della popolazione, l'impedimento a parlare la propria lingua, l'italianizzazione dei nomi dei paesi e delle persone, i processi e le esecuzioni sommarie non hanno piegato la fierezza di un popolo consapevole delle proprie radici e della propria cultura. Le tragedie della seconda guerra mondiale, con l'occupazione nazi fascista e la lotta di Liberazione hanno temprato la consapevolezza della gente, che si è unita nella grande lotta per la giustizia e la libertà. 

Si comprende l'entusiasmo di tutti i presenti, che hanno applaudito con commozione i brani dei principali poeti sloveni, hanno contato le canzoni delle Resistenza all'oppressore, hanno ascoltato le sapienti parole del primo presidente della Repubblica di Slovenija Milan Kučan. Quest'ultimo, offrendo uno sguardo ampio sulla situazione europea e mondiale, ha ricordato con soddisfazione i passi compiuti che hanno consentito un forte avvicinamento fra le varie realtà che vivono da una parte e dall'altra del vecchio confine. Ma ha anche messo in guardia dalle nostalgie postfasciste e dai tentativi di revisionismo storico a senso unico, che vorrebbero far dimenticare la grave oppressione esercitata dall'Italia fascista nei confronti degli sloveni della Primorska. Dopo l'inno, l'avvincente Vstala Primorska che celebra la "nuova vita" realizzata nell'affrancamento dalla schiavitù e nel recupero della possibilità di valorizzare la propria cultura e parlare la propria lingua, la festa è gioiosamente continuata, nell'amicizia e nella condivisione fraterna. Come sempre, in queste occasioni, è evidente un senso di profonda gratitudine nei confronti di chi ha rischiato e perso la vita per sconfiggere il mostro del nazi fascismo. Il caro amico e appassionato sacerdote pater Bogdan Knavs lo ha scritto sulle magliette rosse (nella foto): "Attraverso di voi abbiamo mantenuto la lingua slovena e la nostra Primorska. Grazie a voi, cari partigiani".

Con molta meno partecipazione - anzi nella quasi totale indifferenza - le autorità hanno ricordato a Gorizia lo stesso Trattato di Parigi e la conseguente assegnazione della città all'Italia. Certo, è molto diverso celebrare il ritorno alla libertà di una Nazione oppressa dalla dittatura e dalla guerra, rispetto alla presa d'atto di una sconfitta militare e di un trattato che ha di fatto chiuso le ferite aperte con la prima guerra mondiale. Anzi, ci si può legittimamente chiedere se abbia senso mantenere in vita una cerimonia di questo tipo che pochissimi cittadini sembrano oggi comprendere. Invece di sottolineare con la presenza dei classici quattro gatti un evento ormai confinato nella storia, non sarebbe meglio ricordare insieme al mondo sloveno - come è accaduto nella solenne e grandiosa manifestazione odierna di Opatje selo - il cammino che si è percorso tra il 1947 e il 2023, dall'inizio alla fine, lungo, intenso e non privo di difficoltà? Ma la direzione è stata quella della ricostruzione delle relazioni interrotte e del superamento del nazionalismo, del razzismo e della violenza che avevano caratterizzato le epoche precedenti. Il riconoscimento della Capitale europea della Cultura è indubbiamente una tappa, non certo l'obiettivo finale di questo percorso. Sarebbe bello che tutti ci si sentisse "Goriziani" e "Primorski" e che ci si riconoscesse nell'invito ad alzarsi e a rinascere a una nuova alba di vita e di libertà. Sarebbe bello, nei prossimi anni, che si celebrasse insieme la fine dell'oppressione, in una riconciliazione che non dimentica i misfatti, ma trasforma l'odio in nuova amicizia, la cancellazione dei diritti in nuova collaborazione, l'assolutizzazione della propria Nazione nel gioioso riconoscimento di essere tutti coinvolti in una profonda unità caratterizzata dal gioioso riconoscimento reciproco e dalla valorizzazione di ogni specificità.

Lunedì 18 settembre, ore 11, presidio davanti alla Prefettura di Gorizia

 

Il Comitato per la pace di Gorizia e Nova Gorica propone un breve momento di sensibilizzazione della cittadinanza lunedì 18 settembre, alle ore 11 in Travnik (piazza Vittoria), davanti alla Prefettura.

In particolare si desidera richiamare la necessità di un tetto e di un minimo di conforto per le centinaia di persone che transitano ogni giorno oltre il confine, per presentare la domanda d'asilo.

E' una richiesta alle autorità competenti di un'attenzione umanitaria urgente e indispensabile, per tutelare la salute dei migranti come quella dei residenti. 

L'iniziativa si svolge contemporaneamente a quella analoga, davanti alle prefetture di Trieste, Udine e Pordenone. I contenuti della proposta sono presentati nel volantino pubblicato nella parte destra del blog.

La città dei Gusti di Frontiera sappia aprirsi alla vita e all'accoglienza di chi ha superato tante frontiere per poter trovare una nuova possibilità di andare avanti, lontano da guerre, persecuzioni e fame. 

Tutti coloro che possono e lo desiderano sono invitati a partecipare.

lunedì 11 settembre 2023

Un futuro a sinistra?

 

Perché i partiti del centro sinistra stanno perdendo sempre più consensi in Italia, nonostante il sostegno di molti potenti mezzi di comunicazione, della maggior parte dei centri culturali e degli intellettuali, anche delle chiese, almeno per ciò che concerne i responsabili?

La domanda va di pari passo con quella, più generale, riguardante la disaffezione al voto da parte degli elettori, ridotti ormai quasi sempre a cavallo della soglia del 50%. Nell'altro 50%, preso atto di una parte di persone impossibilitate per vari motivi a raggiungere le urne, sono da cercare coloro che non si riconoscono più in un sistema che sembra più simile a uno squallido gioco di potere che a uno strumento per servire il bene e i beni comuni dei cittadini.

Quindi, la questione del perché il centro sinistra sia in calo dei consensi, è complementare alla domanda su come sia possibile convincere i votanti a ritrovare un po' di entusiasmo e a dare credito alle interminabili e inesauste promesse degli uni e degli altri. Soprattutto degli uni, cioè degli esponenti del centro sinistra, chiamati a recuperare quell'area di autentica sinistra che è più ampia di quanto i numeri possano indicare e che non si riconosce da lungo tempo negli apparati e nelle burocrazie del Partito Democratico e dei suoi attuali alleati. C'è anche da dire che gli eredi diretti dell'antico Partito Comunista hanno saputo disgregarsi in mille rivoli, quando non hanno cercato di ricostruire una parvenza di unità, ordinariamente affossata dal protagonismo di capetti di breve o lungo cabotaggio. La trafila - Sinistra Arcobaleno, Cambiare si può, Alba, Rivoluzione civile, Sinistra europea, Liberi e Uguali, e chi più ne ha più ne metta - ha segnato un progressivo calo di convinzione, di anno in anno, di elezione in elezione, con conseguenti risultati a dir poco imbarazzanti e sicuramente non corrispondenti al sentire comune di una parte cospicua della società.

E allora? 

Allora per confezionare una proposta politica sostenibile, a tutti i livelli dal Parlamento a ogni singolo Comune, occorrono due ingredienti da dosare con intelligenza e integerrima volontà di servire. Il primo è l'idea, ossia la visione del mondo sulla base della quale costruire il proprio programma politico. Il secondo è la concretezza, ovvero la capacità di tradurre l'ideale in legge, regolamento, azione amministrativa. Non può esserci vera politica senza il riconoscimento di un'idea chiara, ma non ci può essere neppure senza la capacità di enucleare scelte specifiche e molto concrete, che nascano non solo dalla conoscenza e per quanto possibile dalla condivisione delle situazioni, ma anche da una forte e consolidata capacità di "governo". Una grande idea richiede un grande realismo, ma non viceversa.

I partiti del centro sinistra, ma anche le organizzazioni non governative, la Chiesa con il suo capo supremo, i liberi cittadini, tendenzialmente hanno delle idee, si riconoscono e propongono principi morali, si battono per i diritti individuali e sociali. Tuttavia quasi sempre suscitano l'impressione di essere ben poco competenti nell'arte di trasformare i buoni principi in concrete proposte di soluzione dei problemi. Oppure, viceversa, sono così preoccupati di trovare i mezzi per poter realizzare progetti, da dimenticarsi sia delle idee che addirittura dei progetti stessi. Chi richiama costantemente l'approfondimento dell'idea, spesso accompagnando la concezione del mondo con gesti concreti di solidarietà fattiva, non ha il tempo o la possibilità di impegnarsi nell'agone politico della democrazia rappresentativa. E chi invece in esso è immerso fino al collo, spesso è costretto dalla contingenza storica a muoversi in modo tale da dimenticare totalmente i punti ispiratori. 

Ai tempi del "compromesso storico" c'era stato chi aveva proposto la "Politica della Cultura", ovvero la rivalutazione della rappresentatività attraverso il riconoscimento del ruolo e la collaborazione dei due partiti che - almeno orientativamente - raccoglievano il consenso della base operaia comunista e socialista e di quella contadina e terziaria più vicina al cristianesimo democratico. 

E' passato tanto tempo da quegli anni, ma l'idea di fondo resta valida. E' ancora possibile una "Politica" con la P maiuscola, rappresentativa di una base che si riconosca in valori condivisi e che sappia individuare i propri rappresentanti da inviare nel luogo della parlamentazione, della trattativa, del dialogo costruttivo? Esiste ancora un collegamento inscindibile tra tale base e i suoi rappresentanti? Si può ancora sperare che da una parte ci sia chi richiama con forza la coerenza con i valori a costo da risultare insopportabile e dall'altra ci sia chi a partire da quei valori sappia costruire un sistema organico, concreto e sostenibile che consenta la realizzazione dell'autentica Democrazia?

Certo, sono domande che si deve porre anche la destra, quella del governo attuale che dimostra l'inconsistenza di idee urlate nelle campagne elettorali e dissolte come neve al sole di fronte alla concretezza dei problemi e alle imposizioni dall'alto alle quali non ci si può negare. Ma valgono soprattutto per il centro sinistra, che deve ricollegare la spina alla fonte dell'ideale e individuare con creatività nuove proposte attuative convincenti e pratiche. E' facile adagiarsi in una posizione di "opposizione" nella quale basta sempre dire "no"! Occorre seriamente ripartire dai fondamentali per offrire una vera alternativa, solida e credibile, capace di reggere alla prova della storia. 

Prima che sia troppo tardi.

domenica 3 settembre 2023

Arcivescovo Redaelli: in cammino verso la "capitale della Pace"

 

E' molto ricca di spunti la bella intervista di Francesco Fain all'Arcivescovo di Gorizia Carlo Maria Redaelli, pubblicata sul Piccolo di sabato 2 settembre.

Raccogliendone solo alcuni, si sottolinea l'importanza di cogliere l'occasione del 2025 per trasformare Gorizia (intendendo ovviamente Nova Gorica e Gorizia insieme) in una "Città della Pace". Il vescovo sottolinea l'opportunità storica di dimostrare come un luogo in cui tanto sangue è stato versato può diventare un punto di riferimento a livello europeo di cosa significhi valorizzare le diversità nell'unità. Interpretando altri suoi interventi precedenti, la scelta di portare su questo territorio senza più confini l'annuale "marcia della pace" promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana per il 31 dicembre 2023 va proprio in questa direzione. Così come è da ricordare il convegno internazionale di Pax Christi, che si svolgerà contestualmente il 30 e 31 dicembre e sarà dedicato all'intelligenza artificiale in rapporto alla costituzione dei Corpi Civili di Pace europei. Istituti di approfondimento scientifico, università e centri culturali interpelleranno il mondo politico locale, per promuovere la costituzione in Gorizia/Nova Gorica un centro di preparazione dei giovani europei che desiderano partecipare all'avventura dell'interposizione nonviolenta nei (troppi) conflitti planetari. Interessante e del tutto condivisibile è anche la proposta di non rinchiudere tali prospettive nel recinto degli addetti ai lavori, ma di renderle volano di sviluppo e promozione turistica, con tutto l'indotto che da ciò può derivare anche per la complessiva crescita delle "Gorica".

Le riflessioni sulle migrazioni evidenziano la competenza di mons. Redaelli, non a caso presidente nazionale della Caritas. Sostanzialmente, divide in tre passaggi la necessità dell'intervento pubblico a favore delle persone che raggiungono l'Italia attraverso i vari canali, in particolare la nuova rotta balcanica "da Belgrado attraverso l'Italia e poi verso la Svizzera e la Germania". La prima fase è quella della primissima accoglienza, con la necessità di un piano d'emergenza, in particolare per l'autunno e l'inverno. In altre parole, il vescovo sostiene le richieste di numerosi cittadini goriziani che invocano almeno un tetto sulla testa per centinaia di richiedenti asilo che sono costretti a dormire all'addiaccio nei dintorni della Casa Rossa e della Stazione Centrale. Alla domanda di Fain sui rapporti con il sindaco Ziberna, Redaelli risponde laconicamente di aver chiesto più volte di intervenite, ma "non si è riusciti a farlo". La seconda fase è quella dell'attesa del riconoscimento dello status dei rifugiati che non può essere vissuta nei grandi hotspot, ma deve essere capillarmente diffusa nei diversi Comuni, in termini proporzionali. La Chiesa fa quello che può - si aggiunge in questo contesto, insieme ad altre realtà laiche quotidianamente impegnate, quasi sempre in forma di volontariato - nell'alleviare i disagi dei nuovi venuti, in particolare nei centri del Nazareno e del San Luigi. La terza fase è quella dell'inserimento degli stranieri nei processi di reciproca integrazione con i territori, possibile solo con una coerente politica del lavoro, della casa e dei ricongiungimenti familiari, da attuare a livello nazionale e internazionale.

Insomma, la "capitale europea della Cultura" potrebbe e dovrebbe essere anche "capitale europea della Pace", come pure dell'Accoglienza. Senza dimenticare chi - in Slovenia e in Italia - da qualche anno lavora per indirizzare il grande evento del 2025 e sollecitando con forza chi ancora non si è pienamente immesso nella giusta carreggiata, questa intervista all'Arcivescovo Redaelli è un bicchiere di acqua fresca nella calura estiva. Non è l'unico a sollecitare un percorso entusiasmante verso Nova Gorica con Gorizia "città insieme", ma certamente la sua voce autorevole è una forza in più per tutti coloro che ci credono e vogliono "restare umani".

venerdì 1 settembre 2023

Presidente Mattarella, vada a Rab/Arbe l'8 settembre!

 

L'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio, il campo di concentramento di Rab (Arbe) è stato liberato e passato temporaneamente sotto la custodia dell'esercito di liberazione jugoslavo.

Ciò che è accaduto negli anni precedenti getta un'ombra di vergogna sull'Italia, che ha direttamente realizzato e riempito il lager. Vi sono stati rinchiuse migliaia e migliaia di persone - donne, uomini e anche tanti bambini - soprattutto sloveni e croati costretti a ogni sorta di umiliazione. Insieme alle pagine nere scritte nei simili campi di concentramento a Gonars, Visco, Zdravščina, alle fucilazioni sommarie, all'incendio di interi paesi, a Ljubljana chiusa da un recinto invalicabile, la sofferenza e la morte di tanti internati a Rab, provocate dalle torture, dalla fame e dagli stenti, attendono ancora almeno un riconoscimento ufficiale delle responsabilità e una richiesta formale di scuse.

La presidente della Repubblica della Slovenia Nataša Pirc Musar, nel corso della sua recente visita a Roma, ha invitato il presidente Sergio Mattarella a partecipare, insieme a lei e al collega presidente della Croazia Zoran Milanovic, alle celebrazioni che si terranno l'8 settembre per ricordare gli 80 anni dalla chiusura del campo di Rab/Arbe.

Sembra che motivi diplomatici, legati all'attuale corso della politica italiana, abbiano suggerito a Mattarella di declinare l'invito. E' un vero peccato, che tra l'altro ridimensiona la famosa "mano nella mano" dello stesso Mattarella con l'ex presidente Pahor davanti ai monumenti di Basovizza. Si va solo là dove sembra possibile stabilire una specie di "par condicio" dell'orrore? Non è possibile affrontare ogni avvenimento in quanto tale, senza dover necessariamente appellarsi alle tragedie provocate dalla controparte? Non si può semplicemente partecipare alla commemorazione, respingere l'equazione italiano = fascista, dichiarando orribile e inaccettabile ciò che è accaduto, la deportazione, l'internamento, il dolore, la morte di molti innocenti, colpevoli solo di vivere in città e paesi occupati proditoriamente dall'Italia di Mussolini?

Ci sono molti libri, scritti da valenti storici, per conoscere e comprendere ciò che è accaduto a Rab, a causa degli italiani, tra il 1941 e il 1943. Ma la testimonianza forse più impressionante è quella dei bambini. I loro disegni sono stati raccolti e presentati in una mostra che ha già fatto il giro dell'intera Italia, intitolata "Quando morì mio padre". E' il racconto di quei terribili eventi offerto attraverso gli occhi e la penna dei più piccoli, giovanissimi internati, stremati dalla fame e dal terrore, costretti a vedere quotidianamente la consunzione dei corpi e la morte per fame.

Presidente Mattarella, con tutto il rispetto e con grande stima, ci ripensi e vada a Rab/Arbe, l'8 settembre 2023. Per altre commemorazioni ci sarà sempre il tempo per discutere e per decidere, ma ci rappresenti tutti in questo anniversario "tondo", è troppo importante per lasciarlo offuscare dalla scusa sempre in agguato delle convenienze politiche.