giovedì 30 luglio 2020

Chiusura dei valichi minori? Un'assurdità...

La proposta di chiudere i valichi minori tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia è una delle sciocchezze più grandi ascoltate in questo periodo. Tra l'altro è un'azione che farebbe soffrire solo le popolazioni residenti, senza aggravare la già difficile condizione dei richiedenti asilo.
E' una sciocchezza sul piano morale, perché l'associazione tra migranti e covid-19 è stata già scientificamente dimostrata priva di alcun fondamento. Pertanto il "blocco" invocato appare soltanto come un'ulteriore penalizzazione di tante povere persone che hanno affrontato ogni sorta di avversità per poter sperare in un futuro migliore. Una parte dei migranti fra l'altro, a causa di un'assurda interpretazione delle norme sostenuta dall'attuale governo Conte (strana par condicio a scapito dei viandanti sulla rotta balcanica!), appena rintracciata in Italia, viene rispedita in Slovenia, poi in Croazia e poi in Bosnia.
Ma la proposta è sciocca anche sul piano storico e logico. 
I valichi minori sono già chiusi dallo Stato sloveno. C'è un cartello che vieta il passaggio a tutti coloro che non fanno parte delle Repubbliche di Slovenia e d'Italia (sulla legittimità di un simile divieto, esteso anche a tutti gli altri abitanti della Comunità europea, ci sarebbe molto da ridire). Inserire gli orribili blocchi e le reti che hanno diviso tutto il territorio nei mesi della chiusura a causa del coronavirus vorrebbe dire interrompere di nuovo quel clima di costruzione di percorsi unitari nella diversità tanto invocato anche dal governo regionale e dalle amministrazioni comunali di centro destra e destra.
Inoltre nessun migrante che voglia arrivare in Italia senza farsi sorprendere dalle guardie di confine, attraverserebbe la linea di demarcazione attraverso i valichi locali, cercando piuttosto di passare attraverso i boschi o le alture ovviamente impossibili da presidiare per oltre centocinquanta chilometri. E se volesse semplicemente chiedere protezione internazionale, passerebbe con convinzione attraverso i valichi principali rivolgendo subito domanda alla polizia di frontiera. Certo, appunto la teoria illegale dei respingimenti - chiamati più dolcemente riammissioni - in Slovenia, favorirà i percorsi dell'illegalità e della clandestinità, esponendo profughi e popolazioni locali a spiacevoli possibili inconvenienti, stante l'impossibilità di controlli umanitari e sanitari di qualsiasi tipo.
Infine, ma non è affatto argomento meno importante, la chiusura dei valichi minori riaprirebbe antiche ferite e renderebbe sempre più difficile il percorso di reciproca integrazione fra le genti che vivono intorno al con-fine. Tanto più sarebbero penalizzate "le" Gorizia, difficilmente in grado di convincere la commissione ad hoc della bellezza della candidatura comune alla capitale europea della cultura 2025. Come poter invocare l'unità nella diversità tra due/una città di nuovo clamorosamente divise dalle barriere di frontiera?     

mercoledì 29 luglio 2020

Uno sguardo dal futuro. Nessuno potrà dire di "non sapere"...

Tra qualche decennio probabilmente ci saranno i pellegrinaggi sulle coste del Mediterraneo e in alcuni centri dei Balcani. E ci sarà qualche insegnante che spiegherà a classi attonite di ragazzi che "difficilmente si può dire che non se ne erano accorti, ma in realtà quasi nessuno ha fatto niente per evitarlo".
Così si dirà di fronte al fenomeno delle guerre, quando ci si chiederà come sia possibile che gli Stati che inneggiano oggi alla pace e alla civile convivenza tra i popoli, siano tra i più importanti costruttori e venditori di armi ai Paesi impegnati in guerre sanguinose ovunque. Ci si domanderà perché non ci si sia accorti che le rotte dei migranti, ritenuti incredibilmente una terribile minaccia per l'europa, sono determinate proprio da quelle guerre e dalle malefatte delle mafie internazionali con le quali si continuano incessantemente a intessere contratti. Ci si chiederà come mai il Governo italiano, dopo aver con sollievo esautorato il razzismo della Lega, non abbia immediatamente cancellato le norme da essa imposte e abbia invece venduto navi militari all'Egitto, senza pretendere in cambio almeno verità e giustizia per Giulio Regeni e Patrick Zaky.
Quando poi si ricorderà il finanziamento della Guardia Costiera libica e il "ringraziamento" di questa con l'assassinio di profughi costretti a rientrare sul Continente e poi fucilati mentre tentavano di fuggire, i ragazzi alzeranno le mani e porranno l'interrogativo se ciò fosse accaduto per stupidità, per cecità o per interesse. E quando si passeranno in rassegna i morti e i feriti sulla rotta balcanica, probabilmente raggruppati per numero e nazionalità dal momento che a essi non sembra riservata neanche la dignità di portare un nome, qualcuno penserà che la responsabilità sia stata solo di Stati dittatoriali e assolutisti. Si spiegherà allora che no, si trattava di alcuni tra i più avanzati Stati europei e che tra essi anche l'Italia, a quel tempo governata da sedicenti antirazzisti, aveva contribuito a respingere i poveri richiedenti asilo, rintracciandoli sul proprio territorio, consegnandoli alla Slovenia, questa alla Croazia e poi - dopo una sequela di torture e umiliazioni - rispediti in Bosnia (che cosa sia accaduto dopo, nella Bosnia stra-affollata di profughi nel "cuneo" di Bihac, al momento non lo sappiamo ancora, come non sappiamo che fine faranno i milioni di"ospiti" dei campi di concentramento di Erdogan in Libia...).
Di fronte a tutti questi orrori, qualcuno dirà di "aver obbedito agli ordini", qualcun altro sosterrà che tutto è accaduto "a sua insaputa". Un tragico ritornello di un disco tragicamente già ascoltato. Intanto decine di migliaia di esseri umani, donne, uomini e bambini, riposeranno in pace sul fondo del Mediterraneo, nelle sabbie del Sahara e tra i boschi dei Balcani. Amen.

martedì 28 luglio 2020

Erdogan, se volevi fare il serio...

Dall'ottimo blog piazzatraunikgorizia, si propone oggi un'assai interessante riflessione di Martina Luciani su Erdogan e Santa Sofia di Istanbul. Originale e assai avvincente il riferimento al geomante (o geo-amante, come propone Martina)sloveno Marko Pogačnik.
https://piazzatraunikgorizia.blogspot.com/2020/07/erdogan-se-volevi-fare-sul-serio-dovevi.html

lunedì 27 luglio 2020

Voci tremende dai reclusi: non cpr, né a Gradisca né altrove...

Dal sito nofrontierefvg.noblogs.org, dove si trovano molte informazioni su ciò che sta accadendo nei cpr italiani, in particolare in quello di Gradisca, testimonianze impressionanti di violazione dei diritti e della dignità delle persone. Da leggere!
Al Cpr di Gradisca negli ultimi giorni ci sono stati altri incendi e molti dei reclusi hanno subito una repressione molto violenta. Uno di loro è stato allontanato per essere picchiato e ed è stato costretto a dormire su una rete di ferro senza materasso.
In seguito a questo ennesimo episodio di violenza da parte dei poliziotti, la quasi totalità dei reclusi delle zona Blu del Cpr, una cinquantina di persone, è entrata in sciopero della fame.
Ci raccontano che le f.d.o. hanno punito quasi tutti gli scioperanti con botte pesantissime: un ragazzo tunisino, in particolare, è stato portato all’ospedale e nel corso della mattinata sono arrivate almeno due ambulanze per altri detenuti a cui è toccata la stessa sorte.
Da quello che ci raccontano dall’interno del centro, le telecamere sono state oscurate, per non far rintracciare alcuna prova dei fatti, e le persone sono state portate in un luogo isolato prima di essere picchiate.
Riceviamo delle foto che testimoniano quanto accaduto, ma ci viene chiesto esplicitamente di non pubblicarle per non mettere in pericolo le persone coinvolte e per non far preoccupare ulteriormente le loro famiglie.
M., un ragazzo egiziano è stato picchiato dalle guardie in seguito agli incendi poi si è autolesionato per protesta.
Un altro ragazzo egiziano da due settimane soffre di un fortissimo mal di denti, ma non ha ancora ricevuto alcuna assistenza medica.
Ci raccontano poi che quando Orgest Turia è morto in CPR e H. è andato in terapia intensiva, i quattro compagni di cella e testimoni sono stati trattenuti in una stanza per 24 ore senza cibo. Uno di loro è stato buttato a terra e preso a calci perché aveva osato uscire dalla cella per andare in bagno senza chiedere permesso.
Recentemente, è diventato più pericoloso filmare quello che avviene dentro il CPR e inviarlo fuori.
In generale, i detenuti ci parlano di condizioni esasperanti e di trattamenti mai subiti, nemmeno in carcere, per chi di loro ci è stato. Molti di loro non riescono a dormire, né a mangiare. Gli incendi per protesta sono all’ordine del giorno e molti di loro finiscono per respirare molto fumo e stare male anche per questa ragione. Stando a quanto ci raccontano, le conseguenze per gli atti di protesta sono quasi sempre pestaggi da parte delle guardie del centro e vari atti intimidatori, tra cui denunce per resistenza a pubblico ufficiale o danneggiamento.

Abbandono di capannoni, bomba a orologeria.

Riprendendo un'interessante conferenza promossa dal Forum per Gorizia al Kulturni dom a metà luglio, c'è da rilevare la debolezza della situazione normativa attuale. Se infatti la tavola rotonda ha evidenziato, con interventi alquanto competenti e precisi, le rotte della criminalità organizzata nella gestione dei rifiuti, ha anche toccato - sia pur in modo marginale - la questione delle criticità ambientali non immediatamente criminogene.
Sono migliaia infatti in Italia - anche in Friuli Venezia Giulia - i luoghi abbandonati, lasciati nel nulla a deturpare il paesaggio, non senza gravi rischi per gli abitanti dei territori.
La maggior parte delle volte si tratta di capannoni utilizzati inizialmente per uno scopo, poi rivenduti a società sempre meno identificabili, normalmente strapieni di rimanenze industriali impossibili ormai da riciclare. Si tratta di enormi quantitativi di balle di carta, rotoli di materiali plastici lasciati in balia delle intemperie, lamiere di ferro e acciaio testimoni di tempi di gran lunga migliori. Nel cosiddetto "triangolo della sedia" ce ne sono tante di situazioni del genere e nessuna sembra poter o voler intervenire. Normalmente non si trovano rifiuti tossici, immediatamente dannosi per la salute o per l'ambiente, ma sono pur sempre materie alquanto infiammabili e spesso un incidente fortuito o un atto deliberato potrebbe trasformare delle brutture apparentemente innocue in vere e proprie bombe ecologiche.
Perché nessuno si muove?
Il compito di ripristinare in modo corretto i siti danneggiati appartiene naturalmente ai proprietari. Ma il gioco del domino dei trasferimenti societari rende quasi impossibile reperire nomi e cognomi ai quali rivolgersi. E anche ammesso che ciò si possa fortunatamente verificare, è altrettanto quasi impossibile che soggetti almeno ufficialmente ridotti ai limiti dell'assistenza sociale possano imbarcarsi in un'azione che si preannuncia costosissima.
L'ente pubblico, a questo punto, deve trasmettere un'ordinanza ai suddetti soggetti. I casi sono tre. Nel primo non sarà possibile reperire nessuno e l'ordinanza cadrà nel vuoto. In questo orizzonte, per legge, il Comune (o chi per lui) dovrà intervenire con i propri mezzi economici, dilapidando praticamente tutto il proprio avanzo di bilancio senza alcuna possibilità di ricevere contributi esterni, essendo effettuato l'intervento su area privata. Tra l'altro sarà necessario previamente acquisire tutte le autorizzazioni possibili di assicurazione e ingresso in aree pericolose e non di proprietà.
Nel secondo caso si può risalire a un proprietario che sarà ben felice di liberarsi di un simile impiccio, rifilando all'ente pubblico una marea di debiti pregressi che andrebbero in questo modo a interferire sulle tasche dei contribuenti.
Quello che manca è una normativa che riconosca la valenza pubblica del paesaggio e quindi il reato ambientale non solo di chi inquina direttamente acqua o aria, ma anche di chi abbandona rifiuti inevasi in capannoni o piazzali all'aperto. Il Comune dovrebbe essere messo nella possibilità di requisire un'area per manifesta incapacità di custodirla da parte del proprietario. E a quel punto, acquisita la zona, potrebbe cercare nel "pubblico" sovvenzioni europee, italiane e regionali per poter ottemperare all'obbligo di ripristino e di bonifica.
Ma questa legge non c'è e fino a quando non sarà scritta, sarà purtroppo necessario continuare a lamentarsi, osservando il progressivo impressionante deterioramento di territori che un tempo erano il fiore all'occhiello della "piccola industria" del profondo Nord e ora sono ininterrotte teorie di squallide e malinconiche cattedrali nel deserto.

sabato 25 luglio 2020

Migranti vilipesi, testimonianze dalle vie del mare e della terra...

Il giornalista Nello Scavo
Schiavone, Scavo, Metz, Luchetta
Venerdì 24 luglio, nell'ambito del festival Lunatico di Trieste, si è parlato di migranti con l'aiuto di quattro persone, ciascuna di esse competente in un settore specifico della questione.
Introdotti da Daniela Luchetta, che ha presentato le ragioni dell'assegnazione dell'annuale premio giornalistico in ricordo del marito Marco, hanno parlato Alessandro Metz, Nello Scavo e Gianfranco Schiavone.
Il primo, armatore di Mediterranea, ha presentato le azioni di salvataggio in mare della nave Jonio, dialogando con il giornalista, ospitato per alcune settimane l'anno scorso a bordo, per documentare la ricerca, l'incontro e le persone salvate. E' davvero impressionante pensare che donne e uomini che perlustrano le acque internazionali per intercettare i gommoni carichi di esseri umani alla deriva, possano essere destinatari di accuse d'ogni tipo. Barche che ospitano migranti altrimenti destinati a morte certa, vengono sequestrate dopo aver costretto profughi ed equipaggi ad attese snervanti e assai pericolose. Impedire a chi va per mare di salvare i propri simili è un crimine del quale un giorno tutti saremo chiamati a rendere conto, tenuto conto delle decine di migliaia di cadaveri sepolti nella tomba azzurra del Mediterraneo e delle migliaia che perdono la vita nella cosiddetta rotta balcanica.
Di questa ha parlato uno dei più competenti giuristi italiani, Gianfranco Schiavone, che ha proposto alcune similitudini e differenze tra la situazione creatasi davanti alle coste della Libia e quella relativa ai confini tra Turchia e Grecia, tra Grecia e Macedonia e poi Bosnia, tra Croazia e Bosnia, tra Slovenia e Croazia e infine.,. clamorosamente tra Italia e Slovenia. Il fatto nuovo che si è verificato negli ultimi mesi è stato il fenomeno delle "riammissioni" dei richiedenti asilo giunti sul territorio italiano, in realtà "respinti" in Slovenia. La ministro Lamorgese ha voluto vantare come un successo il funzionamento di tale sistema che non trova alcun fondamento nelle attuali legislazioni europee. Chi arriva, dopo aver affrontato disagi di ogni sorta, oltre l'ultimo agognato confine, viene riaccompagnato senza troppi complimenti dall'altra parte. Dalla Slovenia una corriera riporta i malcapitati in Croazia, da dove - dopo torture, botte e maltrattamenti a volontà - vengono rispediti al punto di partenza, nella zona di Bihac ormai in gionocchio per la presenza di decine di migliaia di persone disperate. E' incredibile e inaccettabile. Se ciò che accade in Libia dipende da sciagurati accordi del passato che la politica "della discontinuità" tarda a cancellare, la teoria delle riammissioni in Slovenia è stata inventata da questo governo, che ne diventa non solo complice ma anche iniziatore.
Gli interventi di Metz e Schiavone hanno ampliato l'avvincente riflessione del giornalista di Avvenire Nello Scavo, premio Luchetta 2020, senz'altro il rappresentante della stampa più esposto nell'ambito della ricerca della verità sui traffici di persone tra Libia e Italia e non solo. Il suo racconto è partito dalla storia del piccolo "Simba", trasferito da una nave all'altra, dalle braccia dei soccorritori a quelle dei membri della Guardia Costiera italiana in una notte di vento e onde altissime della scorsa estate. Scavo ha evidenziato i punti di incongruità tra la produzione e vendita d'armi italiane a Paesi in guerra e modifica delle rotte dei profughi verso l'Europa. Ha poi raccontato l'assurdità di decisioni come il rifinanziamento della cosiddetta guardia costiera libica da parte del Parlamento italiano, nonostante tutti i reportage che dimostrano l'attività gravemente illegale e disumana che viene svolta da molti suoi rappresentanti. Lo Stato finanzia i capi libici e nel contempo investe soldi per dare una scorta al giornalista che più di ogni altro ha saputo scoprire e manifestare la verità sui loro traffici e sui loro rapporti anche con realtà istituzionali italiane.
Serate del genere non servono solo ad ampliare gli orizzonti di chi ha la fortuna di poter partecipare, sono anche una dimostrazione di come sia possibile iniziare a mettere in discussione un'ingiustizia sistemica grazie al coraggio di chi fa fino in fondo il proprio dovere, al servizio dell'umanità, nel caso specifico nobilitando il ruolo dell'armatore navale, del giurista e del giornalista d'inchiest 

giovedì 23 luglio 2020

In memoria di Stefano e in difesa dei centri estivi

Quando si organizzano campi o centri estivi per bambini e ragazzi si sa che si può andare incontro a incidenti, più o meno gravi.
Quest'anno - derogando purtroppo a quello che avrebbe dovuto essere compito della scuola chiusa a fine febbraio e non riaperta almeno fino a settembre - decine di migliaia di giovanissimi hanno potuto trascorrere qualche settimana di serenità e di istruzione alternativa attraverso i centri estivi. I Comuni hanno ricevuto un mare di soldi per questo e hanno organizzato attività in proprio, con convenzioni con cooperative specializzate o con accordi con parrocchie e altri enti aggregativi.
Le persone a cui sono stati affidati i partecipanti sono stati educatori professionali ordinariamente sottopagati (salvo poi ritrovarsi con entrate di bilancio impreviste da far rifluire nell'avanzo generale), dipendenti di cooperative regolarmente costituite e a volte anche animatori volontari guidati da esperti in materia.
Non è solo l'anno del covid-19 ad aver visto queste forme di organizzazione. Centinaia di migliaia di ragazzi, invitati da parrocchie, comuni, scout e associazioni d'ogni tipo, hanno potuto usufruire di vacanze al mare, in montagna e in città. Oggi giustamente molte regole inquadrano queste forme di "campeggio" in schemi professionali e assicurativi che garantiscono sicurezza e controllo. Fino a non molti anni fa tutto era basato sulla buona volontà e sul rischio degli organizzatori, un po' fideisticamente affidati all'assistenza degli angeli custodi.
Ecco, tutto questo per dire che qualche volta anche gli angeli custodi si possono distrarre e anche se tutti si impegnano per evitare qualsiasi disagio, può accadere ciò che nessuno vorrebbe, la tragedia irrompe nella naturale allegria del campo o del centro e tutto comincia ad assumere i contorni dell'irrealtà. Dapprima il silenzio attonito circonda un intero territorio e prevale il senso di profonda solidarietà nei confronti dei familiari di chi è stato colpito. Poi subentrano le domande esistenziali e ci si chiede dove fosse finito e che cosa possa centrare Dio con la morte di una sua giovane creatura. poi naturalmente si iniziano a cercare le responsabilità e un po' tutti vengono coinvolti, dalla pubblica amministrazione alle cooperative, dai luoghi religiosi alle realtà associative o di volontariato.
Tutto ciò per esprimere tanta umana solidarietà a chi in questo momento soffre per la spaventosa perdita di Stefano, un ragazzo di 13 anni ucciso in un pozzo nella stagione dei più divertenti giochi; per manifestare vicinanza anche agli animatori - soprattutto quelli più giovani - che saranno per sempre segnati dalla terribile esperienza vissuta ieri e che non meritano di essere in alcun modo coinvolti in sensi di colpa per una disgrazia che avrebbe potuto accadere ovunque e a chiunque; anche per invitare alla totale e leale collaborazione coloro che saranno chiamati dagli inquirenti a spiegare il "perché" e il "per come" di un  pozzo molto pericoloso, con una copertura evidentemente insicura, collocato in un luogo tanto frequentato da adulti e bambini, come è il parco Coronini di Gorizia.
Nessuno purtroppo potrà restituire Stefano alla vita e ai suoi familiari. Ma almeno, la verità e la giustizia sulla sua morte, potranno permettere di evitare in futuro altre simili assurde sciagure. Non si impedisca la gioia dello stare insieme a migliaia di piccoli che spesso solo in questo modo possono vivere un momento di vacanza, ma si vigili affinché i centri estivi possano svolgersi in totale sicurezza e serenità.

mercoledì 22 luglio 2020

Un momento di silenzio per Stefano, morto a 13 anni in un pozzo, giocando...

Oggi vorrei solo esprimere un pensiero di vicinanza e solidarietà alla famiglia del giovane Stefano, che a soli tredici anni ha concluso la sua vita cadendo in pozzo profondo, nel cuore storico della città di Gorizia.
In un istante la gioia dello stare insieme, giocando con l'aiuto dei propri animatori, si trasforma nel dolore di una grande tragedia. Che il coperchio sia stato forzato o che abbia ceduto sotto il peso del ragazzo, fatto sta che il mistero della morte ha fatto irruzione nel centro estivo gestito dai salesiani.
Come sia stato possibile lo stabiliranno gli inquirenti, molte domande rimangono aperte, anche perché il Parco Coronini è luogo molto frequentato da grandi e piccoli. Il pozzo del dramma non è certo nascosto e ciò che è accaduto oggi sarebbe potuto avvenire anche in altri momenti, tanto più in questo periodo in cui nel parco si svolge ogni sera il tradizionale annuale festival della sceneggiatura cinematografica Amidei.
Di certo, da domani una pioggia di interrogativi scenderà sulla città, rimasta sconvolta di fronte all'accaduto. Si scomoderanno la teologia con i suoi consolatori ma non risolutori rinvii a un'inconoscibile volontà divina, la filosofia con l'amara constatazione heideggeriana del nostro "essere per la morte", la politica con le analisi sul come possa essere accaduto tutto ciò, la psicologia con l'aiuto ai più colpiti, i familiari di Stefano ma anche gli altri compagni di centro estivo e i loro animatori...
Ma in questo momento prevale l'unico atteggiamento possibile in un simile evento: un silenzio attonito, per ora senza neppure la magra consolazione di un perché.

martedì 21 luglio 2020

Quousque tandem, Lamorgese, abutere patientia nostra?

Le "riammissioni" in Slovenia dei richiedenti asilo sono illegali. E' il senso della lotta che la Rete DASI del Friuli Venezia Giulia ha avviato con un'affollata conferenza stampa all'inizio di luglio. Almeno un quarto delle persone che vengono rintracciate sul confine, vengono respinte nel Paese confinante, in base a un accordo tra Italia e Sloveni risalente al lontano 1996. Essendo successivamente la Slovenia entrata prima nella Comunità Europea poi nell'area Schengen, gli accordi precedenti avrebbero dovuto essere sospesi. Invece, secondo l'interpretazione del Ministero dell'Interno, valgono ancora nel caso dei richiedenti che sono già stati certificati al loro arrivo in altri Stati europei, non di coloro che entrano nel territorio dell'Unione facendo richiesta per la prima violta in Italia. Cosa significa per queste persone essere rimandate indietro? Hanno percorso con grandissime difficoltà la rotta balcanica, la documentazione di giornalisti molto competenti ha provato che lungo tali sentieri tra boschi, fiumi, montagne e città ostili almeno 2000 hanno perso la vita. Hanno superato in qualche modo confini molto presidiati, dopo essere stati sommariamente riconosciuti non idonei in qualche modo sono riusciti a raggiungere l'Italia ma non hanno avuto il tempo di festeggiare. Come in una specie di drammatico gioco dell'oca hanno trovato la casella sbagliata, "devi tornare al punto di partenza". Ma nonostante il nome dato ai tentativi di superare i confini nella boscaglia - "game" - il ritorno è tutto meno che un gioco. In Slovenia i rintracciati vengono caricati sule corriere e condotti in Croazia, al confine tra la Croazia e la Bosnia vengono malmenati e umiliati, infine sono costretti a finire in uno del campi profughi del Nord della Bosnia, prima di ritentare la fortuna e riprovare a vincere la loro personale battaglia. Cosa chiedono in fondo? Niente di più o di meno di ciò che tutti desideriamo, una vita più serena e lontana da guerre e persecuzioni, un lavoro che consenta di avere una dignità e di mantenere una famiglia, una casa accogliente, dove poter offrire la propria storia e la propria cultura alla comune costruzione di una nuova civiltà, culturalmente, spiritualmente e materialmente plurale. Il fatto che l'Italia respinga esseri umani in fuga dalle guerre e dalla fame è scandaloso, tanto più con il Governo sedicente della discontinuità che continua a mantenere i Decreti sicurezza, a vendere armi all'Egitto e a finanziare la Guardia Costiera libica. Quosque tandem?

domenica 19 luglio 2020

La poesia salverà il mondo (camminando per Recanati)

Uno scorcio delle Marche dal "Colle dell'Infinito"
Tramonto da Recanati
















Giacomo Leopardi
L'arte è il trionfo dell'immaginazione, la capacità di generare il reale attraverso il confronto tra la percezione sensibile e gli stati interiori, tra l'essere in quanto tale e la coscienza che lo accoglie.
Nell'era mediatica sembra che sia importante - o addirittura vero - soltanto ciò che viene trasmesso e la manipolazione generale giunge fino a costruire i "luoghi della bellezza" attraverso un passa parola radiotelevisivo e informatico. il turismo è espressione massima di questa nuova forma di consumo, appaio dunque sono e tutto ciò che non appare non esiste.
Tuttavia non si può dire che questa sia una caratteristica del nostro tormentato tempo. Quando infatti Giacomo Leopardi scriveva L'Infinito trasformando per sempre il suo natio borgo selvaggio in un simbolo universale del desiderio ardente e insolubile di trascendenza, i compaesani lo guardavano con aria di commiserazione. E duecento anni i loro discendenti dopo passano all'incasso, Recanati diventa meta del turismo internazionale. Contemplando la pianura dal Colle dell'Infinito, sviati dalle mille insegne che invitano a visitare i principali siti leopardiani, non si immaginano più sovrumani silenzi e non è più dolce naufragare in questo mare.
La stessa sorte non è toccata a Santa Maria la Longa, un tempo dolce villaggio ai confini della Bassa e ora trafficato incrocio di strade che intersecano il Friuli. Pochi infatti sanno che proprio attraversandolo, con l'umore che poteva caratterizzare chi si avvicinava al campo di battaglia sul Carso, Giuseppe Ungaretti scrisse l'immortale M'illumino d'immenso. Nessuno se ne era accorto e si era domandato che rapporto ci fosse tra un agglomerato di case apparentemente identico a mille altri nella stessa regione e l'intuizione folgorante, divenuta in seguito parte dell'universale comprensione degli istanti decisivi di ogni esistenza. A differenza di Recanati, il piccolo comune friulano non è entrato nel circo turistico della post-modernità.
Risalendo molto indietro nel tempo, forse anche l'ignoto pittore delle grotte di Lescaux, qualche manciata di millenni fa, aveva trascurato l'impegno di procacciare a sé stesso e ai componenti del suo clan il cibo con la caccia, per dedicarsi alla totalmente inutile attività di riprodurre sulle rocce lisce l'eterna lotta tra l'uomo e la natura. Lo stesso si può dire degli incredibili scultori della ValCamonica che hanno inciso le enormi pietre rese lavagne dai ghiacciai con decine di migliaia di graffiti ancora misteriosi, anche se molti studiosi suggeriscono interpretazioni che travalicano il mondo sensibile per proiettarsi nei meandri di una profonda, complessa e duratura spiritualità. Ebbene, probabilmente nessuno di questi antichissimi artisti avrebbe mai immaginato di diventare talmente celebre da vedere protette con leggi planetarie le sue opere.
Cosa ricavare da questa riflessione? Come dimostra Yuval Noah Harari nel suo assai interessante saggio Sapiens. Da animali a dèi, ciò che ha permesso all'essere umano di scendere dagli alberi e di giungere fino al dominio incontrastato sul mondo è stata la potenza incredibile della sua immaginazione. Siamo ciò che siamo - nel bene e nel male - non perché più forti degli altri animali o perché più fortunati, ma perché dotati di questa straordinaria, divina capacità di creare una nuova realtà con la nostra intelligenza. Tutto ciò che oggi sembra così ovvio e normale - dai sistemi politici alle scoperte della scienza, da internet alle multinazionali, dai vaccini alle diplomazie internazionali che risolvono pacificamente conflitti apparentemente inevitabili - dipende essenzialmente dalla nostra immaginazione, esiste perché lo abbiamo inventato noi.
Allora, camminando nelle suggestive, ma anche tanto normali vie di Recanati, sostando sotto la goffa statua del poeta nella piazza principale, si comprende che non esiste nulla di ordinario nello sguardo di chi porta nel cuore questa immensa potenzialità e da una scarna collina identica a tante altre, nelle Marche e altrove, riesce a costruire un'indimenticabile verità, che l'Uomo non può autocomprendersi se non in una prospettiva immensa ed eterna, che lo sfida, lo affascina, lo accoglie e lo determina.
In altre parole, se qualcosa potrà cambiare nel mondo, ciò avverrà con la creatività della poesia e della pittura, l'arte ha accompagnato l'evoluzione e la porterà verso orizzonti ancora essenzialmente sconosciuti. L'artista dovrà accettare il proprio destino, offrire la via di uscita da qualsiasi crisi, senza essere compreso nel suo sguardo sempre più in là, come scriveva Montale. Dovrà sopportare scherno e incomprensione, a volte morire nella più squallida povertà. Ma sarà poi ricordato come l'iniziatore di quella "novità" della quale tutti sempre parlano ma che nessuno riesce mai a realizzare.

sabato 18 luglio 2020

Dodicesimo venerdì di protesta a Lubiana

"Si interrompa il janšismo, libertà ai media"
"Fanciullo con il piffero", simbolo della rtv Slovenija


"Senza l'apertura della foiba non ci può essere riconciliazione"
Il dodicesimo venerdì di protesta a Lubiana è stato dedicato soprattutto alla libertà di informazione. Sono molte le preoccupazioni intorno a un sempre più marcato avvicinamento dell'attuale governo alle istanze dell'Ungheria. Per questo il "fanciullo con piffero", nota statua simbolo ormai antico della Rtv slovena, è stato rivestito con la bandiera tricolore ungherese. La folla, ancora una volta impressionante in quanto a numero e qualità delle presenze, ha rivendicato l'autonomia del sistema informativo statale, contestando l'allargamento di quello che essi chiamano janšismo alle comunicazioni sociali. Molti altri, come nelle altre occasioni, sono stati i temi, approfonditi per la prima volta in un'assemblea popolare, con un'accurata divisione finale in ampi gruppi di studio intorno alle materie più scottanti del momento, dal cambiamento di paradigma politico alla giustizia sociale, dalla tutela dell'ambiente all'accoglienza dei profughi, dalla libertà d'informazione alla lotta contro il linguaggio d'odio. Tutti potevano intervenire, per portare osservazioni, riflessioni, interrogativi e proposte.
Non è mancato un riferimento agli eventi del 13 luglio. Secondo una parte dei presenti, la visita del Presidente Pahor al monumento di Basovizza è stato uno schiaffo alla storia. Non si può chiedere perdono per ciò che non si è commesso, senza dimenticare la tragedia del Narodni dom e la bella festa per la restituzione alle realtà culturali slovene di Trieste. Tra i vari cartelli, uno era particolarmente significativo: "Senza l'apertura della foiba non ci può essere riconciliazione". E' la posizione anche di alcuni tra i più documentati storici del Friuli Venezia Giulia, perché non cercare una verità storica prima di usare i simboli come manganelli? Perché non aprire la foiba e scoprire con gli strumenti di indagine contemporanei se hanno ragione coloro che ritengono il monumento costruito praticamente sul nulla o coloro che "sparano" cifre che vanno dalle poche decine fino ai 2000 riportati anche dalla maggior parte dei giornali italiani?
Mentre gli eventi d Basovizza in Italia sembrano già passare nel dimenticatoio, dopo essere stati incredibilmente strumentalizzati non soltanto dai giornali di destra, ma anche da quelli di grande diffusione (una positiva eccezione, Il Foglio), in Slovenia la ferita è ancora aperta e solo una ricostruzione storica adeguata, corretta, onesta e documentata potrà consentire finalmente di guardare al futuro. L'immagine dei due presidenti, mano nella mano, davanti ai segni delle due Basovizza, è indubbiamente efficace e induce positivi pensieri di pace. Ma non sarà un gesto sufficiente e non aprirà un modo radicalmente diverso di gestire le relazioni sul confine, senza una seria assunzione di responsabilità intorno ai crimini commessi dai fascisti in Slovenia e senza una revisione scientifica dei "simboli" della presenza jugoslava a Trieste e Gorizia. A proposito, a quando la revisione dei nomi e del numero dei "deportati" riportati sul lapidario del Parco della Rimembranza a Gorizia, come più volte autorevolmente proposto dall'anpi?

venerdì 17 luglio 2020

Terremoto in Umbria e Marche, quattro anni dopo...

Protesta in piazza, a Norcia, di fronte alla Cattedrale
Ciò che resta della Chiesa di San Benedetto a Norcia
















Castelluccio di Norcia


Amatrice


















Ricordate il terremoto a Norcia, Amatrice e in un'ampia zona dell'Umbria e delle Marche, il 24 agosto e il 30 ottobre 2016? Sono località che vorrebbero rinascere e dopo la pausa del coronavirus tornano a essere giustamente piene di turisti, soprattutto italiani. A Norcia c'è ancora la grande statua di San Benedetto che benedice la folla che riempie tutti i vicoli del paese e osserva con curiosità i mille negozi trasferiti dalle case inagibili ai prefabbricati siti all'esterno delle mura rinascimentali. Nella piazza qualcuno ha appeso un grande striscione ricordando i ritardi mostruosi nella ricostruzione delle case. La visita a Castelluccio in tempo di fioritura offre scorci incredibili sui fiori di tutti i colori che coprono i campi coltivati con le celebri lenticchie. Le ferite aperte dal terremoto sono ben visibili e qualche problema lo crea anche l'enorme flusso di traffico, con file interminabili di automobili e moto che rendono l'aria montana meno sana e respirabile. Il resto della zona terremotata è costituito da paesi irraggiungibili - le strade d'accesso ai villaggi sparsi sul pendio dei Sibillini sono ancora chiuse e i siti presidiati da militari per evitare fenomeni di sciacallaggio - oppure da gruppi di caseggiati in legno prefabbricati dove ancora vive la maggioranza della popolazione, in genere molto accogliente e prodiga di racconti sul terribile istante che ha cambiato la geografia di quel territorio. Ad Amatrice, epicentro dei due eventi sismici, molte macerie sono ancora da rimuovere e il percorso di ricostruzione è estremamente lento, come rilevato da diversi cartelloni ed espressioni di protesta. Anche qui i turisti sono bene accetti, non certo perché attratti dai disastri causati dal terremoti, ma per offrire una parvenza di ritorno alla normalità a una cittadina finora ricordata, universalmente, per i prodotti gastronomici, primo fra tutti la celeberrima "amatriciana", per il clima ameno e per il panorama molto bello verso le alte montagne circostanti. Insomma, è un vero peccato che la ricostruzione proceda così lentamente e non si può evitare la domanda sul ruolo della politica. Tutti ricordiamo capi di Governo, presidenti del Parlamento, amministratori di ogni livello, accorsi nella zona il giorno dopo, affermando (come sempre del resto) la volontà di avviare immediatamente tutti i lavori possibili, di non abbandonare la popolazione e di adoperarsi per convogliare miliardi per consentire a persone e paesi di rimettersi subito in piedi. Purtroppo basta uno sguardo per capire dove siano finite, dopo quattro anni, quelle promesse, nel ben affollato dimenticatoio di governi di centro sinistra e centro destra. Si dovrebbe davvero fare qualcosa di più. Lo richiedono la serietà e l'impegno di un popolo avvezzo alle difficoltà, la bellezza di paesaggi unici e la bontà di una cultura eno-gastronomica che affonda le radici nelle più antiche tradizioni.

E se si stesse meglio stando peggio?

E' passato poco meno di un anno dall'insediamento del governo Conte2. Annunciato come quello della discontinuità, questo esecutivo ha incassato molta simpatia - non sempre razionale - per ciò che concerne le modalità di gestione della crisi planetaria del coronavirus, ma ha segnato il passo  per ciò che concerne il rispetto dei diritti delle persone.
I decreti (in)sicurezza di salviniana memoria, primi provvedimenti da cancellare dalla nutrita lista dello scorso agosto, sono ancora lì e si parla di una "modifica", non certo di "abrogazione". Il decreto rilancio, approvato ieri dalla Camera, contiene norme che non consentiranno la regolarizzazione di decine di migliaia di lavoratori stranieri in Italia, nonostante il pressing degli Stati popolari. La guardia costiera libica è stata rifinanziata, nonostante le certezze riguardanti i campi di concentramento, documentati da giornalisti coraggiosi e indipendenti come Nello Scavo e tanti altri. Il ministro degli esteri proclama la necessità di vendere armi all'Egitto e di non ritirare l'ambasciatore, non ottenendo niente dalla controparte, né un barlume in più di verità e giustizia per Giulio Regeni e neppure il minimo sindacale dell'immediata liberazione del povero Patrick Zaky. La ministra dell'interno da parte sua afferma che la rotta balcanica "non desta preoccupazioni" dal momento che funziona bene il sistema delle riammissioni (da tradurre con respingimenti, o meglio deportazioni in Slovenia, Croazia e infine Bosnia, con aggiunta di botte e violenze di ogni sorta). Si potrebbe continuare a lungo, ma la domanda sorge spontanea: il timore che "torni l'orco" giustifica l'appoggio incondizionato a un governo del genere? Tanto più che i voti che se ne stanno andando dalla Lega non vanno certo in una direzione opposta. L'innominabile non viene abbandonato perché troppo a destra, ma perché la gente vede che nessuna delle sue minacciose promesse è stata mai realizzata e con lui non lo sarà mai. Anzi, in queste condizioni, perfino la protesta popolare è soffocata dal timore di disturbare il manovratore. E così il governo sedicente dio centro sinistra riesce a evitare di essere sottoposto al fuoco di fila di opposizioni serie e davvero molto motivate, che in molti altri paesi europei scendono in piazza, non contro le misure anticoronavirus, ma contro l'incapacità dei governi di gestire il "dopo" in modo costruttivo e consono ai diritti di tutti, soprattutto dei più deboli e indifesi. In fin dei conti, è meglio un governo timido e impaurito che impedisce di fatto una sollevazione popolare o uno dichiaratamente di destra che riempirebbe di nuovo le piazze di contestatori preparati, convinti e motivati? Non sarà un passaggio necessario, quello assembleare, per ridare respiro a una comunque irrinunciabile democrazia rappresentativa in evidente difficoltà?

Viva il nonturismo...

Colori della fioritura a Castelluccio di Norcia
Lo scorso sabato si è svolta un'interessante iniziativa a Ussita, minuscolo Comune in provincia di Macerata, abitato da circa 400 persone disperse tra un'infinità di frazioni. Una parte dei residenti, con l'apporto decisivo di oriundi e di un'agenzia ad hoc di Ancona, hanno iniziato due anni fa un lavoro di conoscenza e approfondimento sulla storia del loro paese. Tale azione, consistente in un incontro settimanale con relativa discussione, ha raggiunto l'obiettivo della pubblicazione di una guida, secondo volume della collana di "nonturismo" curata dal benemerito editore Ediciclo. Si tratta di un modo nuovo e alternativo di avvicinarsi a un luogo. Fino a non molti anni fa il territorio era interessato da un turismo invernale legato alle piste innevate del Monte Bove, attualmente quasi del tutto inagibili a causa della  cronica mancanza di nevicate. In estate, in particolare nelle prime settimane di luglio, la località di Castelluccio, qualche chilometro più in alto, è meta di osservatori entusiasti della natura, con la fioritura delle famose lenticchie. Anche questa possibile attività è stata fermata dal terremoto del 2016, che ha messo in ginocchio non soltanto questo lembo delle Marche, ma anche una parte consistente del territorio dell'Umbria. La guida "nonturistica" ha come obiettivo non quello di far conoscere arte e paesaggio, come normalmente avviene, bensì i protagonisti dell'antropizzazione del territorio. Così, seguendo i vari percorsi, è possibile farsi un'idea della storia e dei più importanti siti, ma soprattutto avere l'indicazione giusta per avvicinarsi alle persone, ascoltare la loro vita e le loro testimonianze. E' una guida per conoscere la Vita di un paese sperduto sui bellissimi Monti Sibillini, più che uno strumento di ordinario turismo. Insomma,un bell'insegnamento, si può girare l'Italia (e l'Europa, e il Mondo...) imparando davvero qualcosa di interessante, bello e nuovo!

venerdì 10 luglio 2020

Rotta balcanica... Fermate subito le riammissioni dei richiedenti asilo!

Da gennaio a giugno oltre 1600 persone sono giunte in Italia, dopo aver percorso la "rotta balcanica". Dal mese di maggio quasi 350 di esse sono state "riammesse" (termine tecnico per dire "respinte") in Slovenia. I dati forniti provengono dall'informativa parlamentare della Ministra dell'Interno Lamorgese. Da lì sono state la maggior parte sono state riaccompagnate in Croazia e poi in Bosnia. Nei passaggi dalla Croazia alla Bosnia sono documentati ormai ovunque episodi di violenza nell'attraversamento dei confini. Tali riammissioni sono realizzate sulla base di un accordo tra Italia e Slovenia siglato nel lontano 1996 e ovviamente superato dall'ingresso della Slovenia nella Comunità europea e dall'acquisizione delle specifiche leggi comunitarie.
Le associazioni che si interessano delle problematiche legate ai richiedenti asilo che risalgono la Penisola Balcanica documentano situazioni di grande disagio e sofferenza, giungendo fino ad aggiornare il numero delle vittime della fame, del freddo e della violenza a oltre 2000.
Tutto ciò è veramente spaventoso e porta a richiedere urgentemente la famosa "discontinuità" predicata da Conte e dal suo Governo al momento del suo insediamento, quasi un anno fa. Occorre cancellare i decreti Salvini, sconfessati clamorosamente in questi giorni dalla Consulta che ha dichiarato (ovviamente) incostituzionale la non iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo). Occorre fermare immediatamente i respingimenti e le riammissioni sui confini. Occorre cancellare gli iniqui accordi con l'"inferno" libico. occorre ritirare l'ambasciatore dall'Egitto e pretendere non solo "verità e giustizia per Giulio Regeni" ma anche l'immediata scarcerazione di Patrick Zaky... Occorre, occorre, occorre... sì, ma se non avverrà in tempi brevi, prima o poi sarà inevitabile scendere in strada e seguire il fruttuoso esempio del "profeta dei nostri tempi", Aboubakar Soumahoro...

giovedì 9 luglio 2020

Serbia, Slovenia, USA... un mondo in movimento. E l'Italia?

Terribili immagini giungono da Belgrado e da altre città della Sebia dove dilaga la protesta contro il governo sovranista di Vučič. La repressione è particolarmente violenta, con cariche della polizia e soprattutto azioni di forza contro inermi manifestanti. Se ne parla molto poco sui media italiani, mentre l'argomento è in tendenza su twitter e sui social.
Per fortuna meno cruenta, ma costante ed efficace, è la contestazione del venerdì a Lubiana, gestita soprattutto dagli artisti che attraverso la poesia e le performance musicali e teatrali ricordano a Janša e al mondo i principali problemi del momento.
Negli Stati Uniti, schiacciati dalla pandemia che porta al riscontro di decine di migliaia di casi di positività ogni giorno, Trump sembra finalmente in grave difficoltà, politicamente affossato non solo dalla pessima gestione del virus, ma anche dall'ondata di manifestazioni seguite all'assassinio di George Floyd.
Ovunque giovani e meno giovani scendono in piazza, in un ritrovato slancio pacifista, antirazzista, dalla parte dei diritti della persona e del creato. Anche il Papa ci mette del suo, dichiarando la Libia "l'inferno" e condannando i respingimenti dei naufraghi del Mediterraneo e il loro ri-accompagnamento in quello che egli stesso definisce il "lager libico".
Soltanto in Italia si tace, "perché se no torna Salvini". Si inghiotte una gestione del dopo virus (sperando che sia un "dopo") incentrata sugli Stati generali dei potenti, un rinvio sine die della cancellazione degli infami Decreti sicurezza, la vendita di armi all'Egitto che prende in giro lo Stato e la famiglia Regeni, la carcerazione di Zaky, le navi stracolme di profughi, le riammissioni dei richiedenti asilo dall'Italia alla Slovenia (e da questa alla Croazia e alla Bosnia), l'asservimento alle imposizioni finanziarie delle lobby europee, le accise incredibili su un prezzo della benzina esorbitante, la tolleranza dei traffici di rifiuti (tema interessantissimo dell'incontro proposto dal Forum per Gorizia domani al Kulturni dom)...
Allora, si deve continuare a tacere per non disturbare il manovratore che potrebbe, indispettito, lasciare il timone oppure è possibile ritrovare la strada della nonviolenza attiva, prima che il conflitto sociale esploda virulento in autunno, come del resto temuto anche dalla Ministra Lamorgese? Oppure è da riconoscere come autentico segno di novità il progetto degli Stati popolari di Aboubakar Souhamoro, in attesa di un allargamento di tale prospettiva dall'orizzonte sindacale anche a quello della democrazia rappresentativa?

lunedì 6 luglio 2020

Ennio Morricone, la scomparsa di un grande artista

E' morto a 93 anni Ennio Morricone, straordinario musicista, autore di indimenticabili colonne sonore. Dal punto di vista artistico, il suo nome è legato anzitutto a quello di Sergio Leone, al quale ha offerto strumenti formidabili per accompagnare film memorabili, da C'era una volta in America a Giù la testa o C'era una volta il west. In un film bellissimo come Mission, interpretato da celebri attori come Jeremj Irons e Robert De Niro,  pochi ricordano il nome del regista Roland Joffé, ma non c'è spettatore che non abbia nel cuore la musica di Ennio Morricone. Anzi, anche grazie alle numerose raccolte tratte dai suoi film e agli innumerevoli spettacoli che le hanno riproposte ovunque, i suoi motivi sono talmente penetrati nella coscienza collettiva da fungere in un certo senso da vere e proprie colonne sonore delle nostre esistenze. Chi non si è trovato in particolari situazioni di vita, accompagnato nel profondo dalla memoria di questi capolavori? Non si può dimenticare neppure l'impegno sociale, culturale e anche nobilmente politico del Maestro, infaticabile lavoratore, poeta e grande rappresentante dell'autentica arte in tutto il Mondo. A lui un breve ricordo pieno di gratitudine.

sabato 4 luglio 2020

Mattarella e Pahor non vadano a Basovizza



Migliaia di persone sono scese in piazza a Lubiana, come avviene ormai regolarmente da dieci venerdì in qua. Tra i temi della protesta di quest'ultimo venerdì ci sono stati l'antinazi-fascismo e anche la discussa visita dei Presidenti Mattarella e Pahor a Basovizza, che porterà con sé certamente non pochi problemi.
Le scritte portate dai rappresentanti della regione del litorale (Primorska) sono molto chiare: "Pahor, la visita alla foiba significa dare onore al fascismo" e "Un popolo che non conosce la propria storia non ha un futuro".
E' evidente come tale scelta porterà a un'inevitabile subordinazione mediatica dell'evento principale - la restituzione del Narodni dom di Trieste alla comunità slovena in Italia - al passaggio dei due Capi di Stato sul Carso, azione di complesso significato simbolico assai difficile da riportare in tale contesto.
L'incendio del Narodni dom è stato forse il primo gesto rivelativo dell'autentico volto del fascismo, ideologia perversa che fin dalle origini porta dentro di sé i germi del razzismo e della violenza. L'unica richiesta di perdono dovrebbe essere quella delle autorità nazionali e locali italiane che hanno lasciato trascorrere un intero secolo per una memoria e una riparazione assolutamente necessarie.
La visita alla foiba di Basovizza, anche se non si volesse tenere conto dell'assai controversa vicenda del monumento nazionale, cosa vorrebbe significare, se non una gravissima concessione alle destre, quasi che il ricordo di quanto compiuto dai fascisti in tempo di occupazione e dittatura, debba essere "equilibrato" con ciò che sarebbe stato realizzato dalle truppe partigiane jugoslave nella tragica fase conclusiva della seconda guerra mondiale scatenata proprio dai nazisti e dai fascisti. E' evidente a un primo sguardo che le due vicende non hanno alcun punto in comune che consenta un benché minimo collegamento, anzi si potrebbe dire che la seconda è stata una conseguenza diretta della violenza nazionalista che ha provocato il conflitto. 
Avrebbe di per sé maggior senso il gesto di memoria presso il monumento agli sloveni del movimento TIGR fucilati dopo i processi di Trieste nel 1929-1930, in quanto volevano difendere il diritto di un popolo a non essere schiavizzato. In questo caso si potrebbe comprendere il legame tra l'incendio del Narodni dom, grave offesa al luogo per eccellenza della vita culturale del popolo sloveno e l'uccisione dei giovani eroi che hanno dato la vita per difendere i diritti della propria comunità. Tuttavia il pellegrinaggio dei Presidenti nelle due Basovizze sembra quasi voler instaurare una macabra par condicio del terrore, scontentando fra l'altro anche la destra italiana che tuttora ritiene gli "junaki" (eroi) sloveni soltanto dei pericolosi terroristi.
Oltre a tutto ciò, c'è da dire che quella che avrebbe dovuto essere una bella festa di amicizia rischia ora di essere una giornata che scontenterà tutti: la comunità slovena in Italia, che tanto ha lavorato per raggiungere l'obiettivo della riqualificazione del Narodni dom e ora si sente accusare di un interessato silenzio di fronte a un vero e proprio sfregio della memoria; gran parte degli sloveni che vivono in Slovenia, che vedono nella visita di Pahor a Basovizza un tradimento, se non una riabilitazione del fascismo; alcune correnti più sensibili della Sinistra italiana che mettono in discussione la stessa esistenza di una foiba a Basovizza e comunque ritengono che non si possano collegare in modo antistorico avvenimenti così radicalmente diversi; a anche la destra italiana, già perplessa di fronte alla restituzione del Narodni, non accetta la riabilitazione del gruppo TIGR da parte delle autorità italiane. 
Per tutti questi e molti altri motivi, non c'è che da auspicare un ripensamento all'ultimo momento e che i due Presidenti, Pahor e Mattarella, si trovino a Trieste e vivano con entusiasmo la festa del Narodni dom e lascino perdere qualsiasi altro discutibile percorso.

giovedì 2 luglio 2020

1945. Ich bin Schwanger (sono incinta). Un libro da non perdere

Martedì 7 luglio, alle ore 20.30 nel cortile della Fondazione De Senibus in Via Da Vinci 5 a Joannis (Aiello del Friuli), Anna Di Gianantonio e Gianni Peteani presenteranno il loro ultimo libro, 1945. Ich bin schwanger (sono incinta)

Molti sono i temi che si intrecciano in questo libro, narrazione biografica che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia importante non solo la memoria ma anche il racconto di vita, come strumento fondamentale per la storiografia.
La vicenda, rigorosamente documentata dai due autori, tra i più esperti conoscitori del drammatico periodo della Resistenza e della Liberazione dal nazi-fascismo, riguarda una donna, Nerina, che scopre di essere incinta mentre è internata nel campo di concentramento di Ravensburg. Il periodo è quello ormai prossimo alla fine della seconda guerra mondiale e la donna vive sulla sua pelle la contraddizione tra il desiderio di tornare a casa per sperimentare la gioia della maternità insieme al suo compagno di vita e la consapevolezza dell'ostacolo costituito da una gravidanza vissuta in condizioni di estremo disagio. Apparentemente c'è il lieto fine, Nerina torna a casa e nasce la primogenita Sonia. In realtà il volume indaga proprio sulle relazioni intercorse tra madre e figlia, aprendo così un capitolo molto interessante, relativo sia alla ricorrente problematica relativa ai cambiamenti generazionali che a quella, particolarmente drammatica, riguardante il vissuto di una donna che ha trascorso il tempo dell'attesa in condizioni estreme. Madre e figlia si ritrovano molto tempo dopo, forse compiutamente proprio nel lunghissimo dialogo che Anna Di Gianantonio intesse con Sonia, interrogando e accogliendo risposte sempre più interessanti intorno a una relazione costruita nei silenzi, nelle incomprensioni, nella faticosa ricerca di punti comuni e infine in un distacco fisico e geografico che in qualche modo, paradossalmente, diventa la condizione per una nuova vicinanza. Insomma, un libro assolutamente da leggere e una testimonianza da rivivere per cercare una risposta alla forte domanda che gli autori pongono ai lettori: quando finisce una guerra? Solo con i trattati di pace e non piuttosto nell'interminabile ricerca di un nuovo equilibrio, attraverso la necessaria e sofferta cura di ferite profonde e non sempre guaribili?