domenica 31 maggio 2020

Un grido di dolore... da ascoltare, prima che sia troppo tardi

Premessa (non si sa mai): dietro ai manifestanti arancioni c'è il soffio del neofascismo e i loro punti programmatici rasentano la farneticazione. Inoltre, la trasgressione ostentata delle leggi a meno che non impongano un'obiezione di coscienza, è molto pericolosa per la civile convivenza e per il rispetto del bene e dei beni comuni. L'imposizione delle mascherine e il divieto di assembramento possono trovare i cittadini più o meno concordi, ma non si può certo pensare che siano norme liberticide o disumane. Devono pertanto essere osservate, ovunque ma soprattutto nei luoghi in cui la pandemia ha mietuto più vittime e provocato più danni.
Detto doverosamente questo, non si può nascondere la realtà dietro ai colori più neri che arancioni delle piazze. Milioni di persone sono state messe in ginocchio dalle "serrande abbassate" (traduzione italiana del lockdown) e attendono risposte assai complicate da una classe politica che si trova in evidente difficoltà. I proclami sono tanti, ma i fatti sono pochi e non sempre per mancata volontà da parte dei decisori. La pioggia di provvedimenti - a volte surreali, anche dal Governo ci si potrebbe attendere qualche autocritica - scoraggia la ricerca delle soluzioni e le complicazioni burocratiche rendono particolarmente delicato l'accesso ai promessi benefici. La relazione con l'Europa è critica, con un percorso ondivago corrispondente all'identità di un Consiglio dei Ministri condizionato dalle opposte esigenze dei suoi membri. Il titolo V della Costituzione ha dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, tutta la sua debolezza stemperando l'urgenza degli interventi in una lotta continua tra Stato e Regioni. Le piazze di mezzo mondo si riempiono intanto di contenuti ben più pregnanti e solidi di quelli dei penosi "arancioni", dai ciclisti che stanno mettendo a dura prova il governo Janša in Slovenija alle folle che sfidano la violenza incredibile della polizia di Trump negli Stati Uniti sconvolti dal delitto John Floyd.
I velivoli militari producono inquinamento acustico e seminano nuvole colorate sui cieli dei capoluoghi italiani, panem et circenses. Suscitano qualche applauso e numerose critiche. Soprattutto non basta voler accendere un anacronistico "orgoglio italiano" per evitare di porsi delle grandi e importanti domande, sul presente e sul futuro. Non è più il tempo degli esperti che disquisiscono di tutto e di più, è il momento dell'autentica Politica con la P maiuscola, in grado di trarre fuori dal guado l'Italia, l'Europa e il Mondo, in una nuova dimensione, non più neoliberista, ma autenticamente sociale e solidale.
E la Sinistra? Una parte di essa sembra troppo allineata al Governo di cui fa parte per smarcarsi dalle scelte più lontane dalla propria tradizione. Un'altra parte non riesce a organizzarsi e a proporre in modo coerente ed efficace una risposta di massa al grido di aiuto e di dolore. E tanti cittadini, troppi, si sentono attratti da una Destra semplificatrice, razzista e populista. Occorre rendersene conto, demonizzare i sobillatori è giusto, il fascismo è un reato, non un'opinione. Ma alle folle esasperate che li seguono non sarà sufficiente presentarsi stracciando le vesti. E' urgente ritrovare unità e trasformare gli ambiziosi programmi di una nuova Internazionale Progressista in scelte quotidiane e concrete da attuare a tutti i livelli, dagli enti locali agli organismi planetari, prima che sia troppo tardi...

sabato 30 maggio 2020

Perché "Centri estivi" e non invece "Scuola"?

Questo non è facile da capire. Bambini, Ragazzi e Giovani non vanno a scuola dall'inizio di marzo. Alcuni, forse la maggior parte, ha potuto accedere alla cosiddetta Didattica a Distanza, ottima alternativa alla presenza che richiede ancora alcuni perfezionamenti ma si dimostra promettente per il futuro. L'anno scolastico dovrebbe finire ufficialmente, di solito, intorno alla metà di giugno, quello delle scuole dell'infanzia il 30 giugno. Gli insegnanti, in ogni caso, dovrebbero essere a disposizione anche oltre tali date, e non soltanto per garantire lo svolgimento degli esami.
Ai Comuni sono promessi 150 milioni di euro, alle famiglie - sotto forma di buono Baby Sitter - fino a 1200 euro. Per cosa? Per organizzare i Centri Estivi, obbedendo a speciali regole, chiamate adesso "linee guida" e determinate dalle regioni sulla base dei vari DPCM, Ordinanze e quant'altro. Dovrebbero addirittura iniziare il 3 giugno, cosa pressoché impossibile per il settore pubblico, forse realizzabile per i privati, almeno per ciò che concerne l'offerta a chi - indipendentemente dal "buono" - se lo può permettere. L'unico metodo possibile, per ciò che concerne un ente amministrativo, è l'assegnazione di un incarico a una cooperativa, in grado di inviare educatori e animatori professionisti, chiamati al difficile compito di "inventare" un percorso didattico, ludico e socializzante per gruppetti molto piccoli - 5, 7 o 10 piccoli per ogni adulto, a seconda delle età.
Ora, la domanda è: ma perché organizzare i centri estivi e non prolungare l'anno scolastico fino almeno alla fine del mese di giugno, se non oltre? I bambini o ragazzi che siano sarebbero seguiti non da persone sconosciute o addirittura da volontari, ma dai loro stessi insegnanti, che li hanno accompagnati anche "a distanza" in questi lunghi mesi. Non occorrerebbe spendere niente di più, a meno che non si pensi a un sacrosanto incentivo alla categoria dei docenti, il lavoro sarebbe molto più efficace e tutte le strutture di un territorio (istituti scolastici, parrocchie, realtà associative e naturalmente i Comuni) potrebbero collaborare mettendo a disposizione spazi e tempi.
I "centri estivi" potrebbero essere così ridotti a un tempo ben più breve, al massimo da metà luglio a fine agosto, proseguendo così il percorso di socializzazione e formazione già avviato e consentendo ai genitori di lavorare in tutta tranquillità.

Alla scoperta di Gorizia: Via Franconia

Nevio Costanzo, che ringrazio molto, propone la ripresa di un itinerario goriziano bellissimo, sostanzialmente dimenticato dai più e definitivamente sepolto dagli interminabili (nel senso che non finiranno mai!) lavori per la costruzione degli ascensori in castello. Per me era il biglietto da visita che mostravo ai visitatori, accompagnandoli sul castello attraverso la Via Franconia. Come tanti ricordi - perfino una pista da sci di fondo da condividere due o tre volte negli inverni di qualche decina d'anni fa - suscita la collina sovrastante l'Arcivescovado... ab


Ci sono alcune vie di Gorizia che meriterebbero di essere valorizzate, oltre a quelle cosiddette centrali. Una di queste è via Franconia, una laterale di via del Rafut, - toponimo particolare - ma non meno interessante del trittico vicolo del molino, via del Poligono e via della Cappella, quasi dirimpettaie a questa che ricorda il nome di un vitigno ed una regione geografica tedesca.
La via in oggetto è recentemente ritornata alle cronache in quanto strada di accesso al cantiere per la realizzazione della ormai storicizzata salita meccanica al castello di Gorizia, ove all’interno del perimetro, in più occasioni, sono state rinvenute testimonianze della precedente presenza dell’uomo.
La strada, più gentilmente, la via, ti porta dentro ad un bosco. Un bosco in città. Ed è una ricchezza che poche città possono vantare. Ma come scrivevo all’inizio, può/deve essere valorizzata. In qualche “cassetto” dovrebbe esserci ancora un progetto il cui scopo era quello di collegare il colle del castello con quello della Castagnavizza  e con l’ex Seminario (ora sede universitaria). Un progetto transfrontaliero.
In questo periodo, facendo di necessità virtù, abbiamo imparato quanto è importante muoversi con le proprie gambe (piedi - bici) e, probabilmente, scoperto anche apprezzato luoghi poco conosciuti, prima celati dal parabrezza o finestrino dell’automobile.
Un passaggio importante, quello di via Franconia, che come qualcuno ricorda, collegava la zona del Rafut a via Carducci, costeggiando il parco dell’Arcivescovado.

Nevio Costanzo (testo e foto)



giovedì 28 maggio 2020

No alle riammissioni informali dei migranti in Slovenia

Oggi un'importante riflessione di ICS e Fondazione Caritas di Trieste. ab


Le scriventi organizzazioni, che a Trieste da anni organizzano il sistema di
accoglienza e protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, esprimono forte
preoccupazione in relazione all'applicazione delle cosiddette riammissioni informali
dei migranti in Slovenia. Ricordiamo infatti che non è ammessa alcuna riammissione
o altra forma di respingimento nei confronti di chi intende presentare la domanda di
asilo ma – ai sensi delle norme vigenti – la domanda di asilo va comunque registrata
nel Paese nel quale lo straniero si trova, con successiva eventuale applicazione del
Regolamento Dublino III per stabilire se il Paese competente a esaminare la domanda
sia l'Italia o un altro Paese dell'Unione.
Le scriventi organizzazioni evidenziano inoltre come siano fatti noti a chiunque –
perciò non possono essere ignorati dalle autorità italiane – che tra Slovenia, Croazia e
Bosnia esista da tempo un fenomeno di respingimenti a catena di migranti che in tal
modo vengono illegittimamente allontanati dal territorio dell'Unione nel quale
avevano fatto ingresso per chiedere protezione. Dette persone, come evidenziato da
tutti i rapporti internazionali, sono soggetti a gravi violenze durante tutta la cosiddetta
“rotta balcanica”.

mercoledì 27 maggio 2020

Venerdì 28, alle 18, incontro online Rete degli amministratori Diem25.

DiEM25 è il movimento per la democrazia in Europa, ma anche una parte importante della nuova Internazionale Progressista che sta muovendo i primi passi per la costruzione di un mondo più equo e più giusto. All'interno del Movimento si sta costituendo una "rete di amministratori" che vuole aiutare la traduzione dei fondamenti politici e culturali nella concreta quotidianità delle scelte amministrative. Quello di venerdì sera sarà il secondo incontro internazionale, su facebook e su zoom (i link saranno comunicati quanto prima), dopo quello tenuto ad Aiello del Friuli lo scorso ottobre.  Di seguito il comunicato-invito all'iniziativa. ab

La Rete degli Amministratori di DiEM25 propone un momento di riflessione in grado di connettere e coniugare il green new deal con le buone pratiche e le esperienze delle comunità locali.
🔴 In un momento in cui la proposta dell'Internazionale Progressista sembra aver trovato il giusto spazio per un percorso in grado di superare il capitalismo liberista, diventa importante considerare la necessità che tale ampia visione politica e culturale possa concretizzarsi nelle vicende che riguardano ogni persona.
🔴 Il colloquio che sarà proposto si pone la finalità di condividere alcune esperienze di base, collocandole nel più ampio alveo della ricerca di un altro modo di concepire le relazioni con l'ambiente, la giustizia sociale, l'accoglienza illimitata, il superamento delle tragedie della fame e della guerra.
🛠 E' possibile cominciare questa trasformazione del mondo nelle piccole comunità? Siamo convinti di sì e questo è il nostro specifico contributo, una piccola tappa, nel grande cammino verso un mondo più equo, giusto e solidale
> Andrea Bellavite, sindaco di Aiello del Friuli (Italia)
> Aizpea Otaegi, sindaca di Errenteria, provincia di Gipuzkoa (Paesi Baschi)
> Massimo Moretuzzo, consigliere regionale FVG già sindaco di Mereto di Tomba (Italia)
> Nathalie Robilliart Nat Halie, consigliera comunale Mons en Barœul (France)
Roger De Bernardin
, consigliere comunale S.Stefano di Cadore (Italia)
> Konstantinos Xylomenos, consigliere comunale Karditsa (Ελλάδα)
Paola Giulia Pietrandrea
, capolista "Solidarité Écologie Citoyenneté" a Nogent sur Marne (France)
> con il contributo di 
Michele Fiorillo
, esperto di teoria e pratiche della democrazia deliberativa, Scuola Normale Superiore
> conduce 
Stefano Spivach
, già consigliere comunale Teglio Veneto (Italia)
Aderiscono e supportano l'iniziativa:
➡️ DSC Veneto Orientale 1, Verona 1, Padova 2, Udine 1, Bologna 3, Venezia 1, Diem25 Ιωάννινα 1DSC, DiEM25 Forlì 1, Diem25 Lille
➡️ ΜέΡΑ25, DiEM25 Ελλάδα
Un particolare ringraziamento a 
Νίκος Βακολίδης
 e Paola Urbinati per la loro disponibilità, a Kosta Juri per la grafica militante, a 
Edoardo Scatto
 ed 
Enrico Caccin
 per l’assistenza tecnica.
📌📌 La Rete degli Amministratori Locali di DiEM25 per il Municipalismo Radicale, è una opportunità formidabile per connettere le mille esperienze municipali, grandi e piccole, che funzionano. Uno strumento dinamico che lavora in modalità open source, per lo scambio di buone pratiche amministrative. Una filiera agile, capace di trasformare in azione politica e di portare lontano, istanze che, partite da piccole comunità, potrebbero faticare nel raggiungere l’obiettivo perseguito.
Per tradurre a livello locale la visione europea di DiEM25, legando genti e luoghi con rapporti di amicizia e di mutuo aiuto se necessario.
📌📌 Unisciti a noi per cambiare l’Italia e l’Europa: www.diem25.org/join
🔴 L’INTERNAZIONALE PROGRESSISTA unisce intellettuali e politici di tutto il pianeta. Dalla prima ministra Islandese Katrín Jakobsdóttir a Yanis Varoufakis - Γιάνης Βαρουφάκης, Fernando Haddad, Arundhati Roy, Gael Garcia Bernal, Carola Rackete e tante/i altri. Per info: www.progressive.international

Verso il 2025 nel "Goriziano", la Cultura fondamento dell'azione politica

Nova Gorica (e Gorizia) sarà capitale europea della cultura nel 2025? Si è in attesa del responso, con la consapevolezza della forte concorrenza di altre località slovene importanti e meritevoli del prestigioso riconoscimento.
Certo, la motivazione che potrebbe portare il piatto della bilancia dalla parte del territorio "Goriziano" è la realizzazione, nel cuore del'Europa, di un'efficace collaborazione tra le comunità che vivono da una parte e dall'altra del con-fine.
Etimologicamente, il confine è il luogo in cui si mettono insieme due "fini", ovvero un ambito per natura destinato alla collaborazione nella diversità. La condizione è che non sia "frontiera", ovvero occasione di mettersi "uno di faccia all'altro", in un contrasto che può generare solo divisioni, più o meno violente.
Nova Gorica, Gorizia e le aree che trovano in essa il proprio punto di riferimento - in specie le valli dell'Isonzo e del Vipacco, il Carso goriziano e l'Agro aquileiese - raggiungeranno il loro obiettivo se davvero la Cultura sarà il fondamento della loro azione politica.
Si tratta di creare occasioni importanti per confrontare concezioni della vita e visioni del mondo, prospettive filosofiche e accenti autenticamente spirituali, in un dialogo serrato tra diversità e in un comune desiderio di conoscersi reciprocamente. 
Ben vengano quindi gli incontri bilaterali tra sindaci separati (speriamo ancora per pochissimo) dalla rete della Transalpina, ben vengano gli allargamenti di interesse ad altri Comuni, in Slovenia e in Italia, senza dimenticare che tali rapporti dovrebbero anzitutto favorire la costruzione di un permanente e intenso dialogo anzitutto culturale, unico fondamento di ogni strategia politica.
Per questo, valorizzate come un'opportunità le differenze ideologiche e sottomesse le appartenenze partitiche al più alto desiderio di raggiungere insieme la meta, occorre che ovunque, ma soprattutto nella parte italiana dove sembra non essere ancora molto chiara la straordinaria opportunità, si convochino quanto prima i sindaci dei Comuni dell'intero territorio (non solo quelli politicamente "affini"), affinché si facciano promotori di una ampia consultazione di tutto ciò che in esso agisce sotto il nobile concetto di "Cultura".
Sì, perché solo l'unione nella diversità sarà la forza in grado di convincere i decisori sulla scelta di Nova Gorica, "capitale europea della Cultura".

domenica 24 maggio 2020

24 maggio, una proposta: Togliere "La leggenda del Piave" dal cerimoniale dell'onore ai caduti

105 anni sono passati dal "passaggio" dei fanti sopra gli ancora intatti ponti del Piave. Fu un evento che il fascismo pose alla base del mito della nuova Roma e che, come l'ira di Achille, infiniti addusse danni agli italiani. Forse non tutti sanno che... - indimenticabile rubrica della Settimana Enigmistica - ...che anche oggi, nell'anno di grazia 2020, la musica e le parole della Leggenda del Piave sono previste come obbligatorie (e non sostituibili) nel cerimoniale ufficiale della deposizione della corona ai caduti di tutte le guerre. Per questo, il 4 novembre come il 25 aprile, ricordando i morti della Resistenza o di Nassyria, perfino celebrando insieme agli austriaci qualche momento di pace, il ritornello è sempre lo stesso: "Il Piave mormorò, non passa lo straniero (Ehò...)". Che cosa si ricorda, insieme alla funesta entrata in guerra dell'Italia nel 1915? 25 milioni di morti, tra i quali quasi un milione e mezzo di italiani, l'epoca del nazi-fascismo, la crisi del '29, la miseria di interi popoli... La Prima Guerra Mondiale è stata un'orribile, inutile strage, un massacro nel quale è stata decimata un'intera generazione di giovani, "uomini contro", ragazzi costretti a uccidere altri ragazzi "dallo stesso identico umore ma dalla divisa di un altro colore". Quindi, non c'è niente da celebrare, soltanto il mesto ricordo di chi ha dovuto imbracciare le armi, spesso sotto la minaccia di essere a sua volta fucilato rifiutandosi di uscire dalla trincea. Il ricordo dei combattenti, ma anche dei quasi sempre dimenticati civili - in Italia oltre mezzo milione! - uccisi dalla bombe, dagli stenti e dalla pandemia del momento, non dovrebbe mai più essere associato a quell'ingiusto inizio, ma alla speranza che prima o poi, tacciano le armi e si muovano gli aratri. Altrimenti, sarebbe come voler ricordare le vittime della Seconda Guerra Mondiale celebrando l'invasione della Polonia da parte dei soldati nazisti. Ecco allora una buona occasione per cambiare un cerimoniale (obbligatorio) ormai vetusto e guerrafondaio: basta suonare e cantare La leggenda del Piave! Sostituiamola se non proprio con La guerra di Piero dell'indimenticabile Faber, almeno con qualche altro dolce canto alpino, presente nel cospicuo patrimonio regionale o nazionale italiano. Per esempio, in Friuli Venezia Giulia potrebbe essere suonata l'aria della stupenda Stelutis alpinis oppure, a livello nazionale, Dio del cielo Signore delle cime oppure, se si vuole restare legati alle vicende belliche, Monte Nero Monte Rosso (... traditore della vita mia...) oppure ancora, se si vuol osare un po' di più, O Gorizia tu sei maledetta... In ogni caso, non La leggenda del Piave!

sabato 23 maggio 2020

Goriziano/Goriška: skupaj, insieme

E'  molto bella la fotografia che riprende i due sindaci, Ziberna e Miklavec, mentre discutono intorno a un tavolo interrotto dalla rete confinaria della Transalpina. Gorizia e Nova Gorica, due città una città, dialogano attraverso i loro rappresentanti e guardano insieme al futuro. Nell'immediato, si tratta di insistere presso i rispettivi governi nazionali perché vengano immediatamente rimosse la barriere, consentendo di riprendere la normale relazione di collaborazione e amicizia tra le genti che vivono intorno al purtroppo ripristinato confine. Non è un compito facile, dal momento che i due primi cittadini, per ottenere questo risultato, devono convincere i riottosi livelli amministrativi superiori, in particolare i due Capi di Governo ma anche il Presidente della Giunta del Friuli Venezia Giulia. I primi infatti sono alle prese con i numeri di contagi da Covid-19 e utilizzano il virus come strumento per tenere sotto controllo un crescente malcontento delle "piazze" (rispettivamente di sinistra e di destra). Il secondo, Fedriga, è condizionato da una parte dal buon senso dall'altra dalle esigenze di partito (Lega) a d affermare tutto e il contrario di tutto, confini straaperti per i turisti provenienti dall'estero ma più chiusi possibile per quelli che dall'Italia vorrebbero raggiungere i luoghi di villeggiatura sloveni e croati; confini straaperti a chi viene a portare denaro, confini strachiusi a chi fugge dalla miseria, dalla guerra e dalla fame. Riusciranno i due primi cittadini a convincere i "sorestans", anche contrastando, se necessario, le loro stesse appartenenze politiche? La foto della Transalpina sembra orientare a una risposta positiva.
Altra questione è quella relativa a che cosa si dicono i due sindaci, al di là della giusta richiesta. Non è una semplice curiosità, ma l'interesse per ciò che riguarda ogni cittadina e cittadino, non solo residente nelle due/una città, ma anche nelle Valli dell'Isonzo e del Vipacco, nei territori aquileiese e carsico oppure, allargando ulteriormente lo sguardo, in quel gran territorio che ai tempi del Presidente del F-VG Illy si chiamava euroregione e a quelli del Presidente della Provincia Gherghetta veniva definita europrovincia. 
Gorizia e Nova Gorica, impegnati nella corsa a diventare "capitale europea della Cultura nel 2025", potrebbero essere capofila in questa nuova costruzione della Mitteleuropa, procedendo dalla Cultura e proseguendo attraverso tutti gli altri settori dell'umano vivere. Ma questo è un altro discorso, che richiede un'altra approfondita riflessione.

giovedì 21 maggio 2020

Castello, sorprese dal sottosuolo? Un'antica intervista...

Durante gli scavi per la costruzione degli ascensori al castello di Gorizia sono stati trovati sette scheletri. Ormai si rasentano i venti anni da quando si è cominciato a parlare di questa faraonica e inutile opera e oltre dieci da quando sono iniziati i lavori. Sospesi mille volte, sempre per motivi del tutto prevedibili, hanno costituito un vero e proprio pozzo di san patrizio, nel quale sono finiti milioni e milioni di euro dei contribuenti. Lo stop questa volta è di ordine archeologico e, anche se tutto fa propendere per storie di vita relativamente recenti, le ricerche nel piazzale antistante alla Cattedrale hanno dimostrato che la vicenda di Gorizia è ben più antica rispetto a quel famoso documento del 1001 che la cita per la prima volta. Una novità? Non sembrerebbe proprio, se si va a una vecchia intervista, pubblicata sul blog del Forum per Gorizia. Ma non ricordo bene, era una fake news o una realtà? In ogni caso, se non proprio una profezia, era una fondata intuizione...

18 Novembre 2010 by Leave a Comment

Incontriamo in piazza Vittoria il prof. A. Schöneleben, esperto in storia delle religioni antiche. Sembra molto colpito, non tanto dall’antico maniero quanto dalla conformazione del colle. Accetta per la verità non troppo volentieri di rispondere a un paio di nostre domande.
Professore, cosa le sembra il nostro castello?
Il castello non mi dice molto, si vede chiaramente che è stato ricostruito dopo le devastazioni della prima guerra mondiale: ho visto alcune fotografie, se è stato ridotto a un simile ammasso di macerie posso solo immaginare quante bombe inesplose sono ancora presenti nel terreno circostante!
E allora, perché è venuto in piazza Vittoria?
So che per lei sono particolari insignificanti, tuttavia questo colle ha una collocazione del tutto particolare, sostanzialmente isolato al di là del piccolo anfiteatro morenico che chiude la valle del fiume Frigidus… Come si chiama adesso?
Si chiama Vipacco, ma continui, la prego…
Su colline di questo tipo in epoca remota venivano costruiti i santuari celtici: ormai sono innumerevoli gli esempi, alcuni molto significativi anche dalla vostre parti, anche se lei mi sembra poco erudito forse avrà sentito parlare della montagna di Buja a Nord di Udine, del Col de Zuca a Invillino e del recentemente scavato Tonovcov Grad presso Kobarid. Normalmente gli stessi colli sono stati poi cristianizzati e infatti sono state scoperte ovunque chiese fondate tra il IV e il VI secolo, spesso costruite in alto e in luoghi poco accessibili per evitare funeste devastazioni. E altrettanto spesso accanto alle chiese sono stati edificati nel medioevo castelli in grado di offrire rifugio anche dalle malattie tipiche delle troppo umide pianure.
Lei pensa che lo stesso possa essere accaduto per il nostro castello?
Non dico che sia così, ma è un’ipotesi plausibile e suggestiva che si potrebbe facilmente dimostrare: del resto la presenza di una chiesa come quella di Santo Spirito – penso che qualcuno abbia pensato di scavare sotto il pavimento marmoreo per vedere se ci sono i resti di edifici preesistenti – sta a dimostrare una mai venuta meno frequentazione socio religiosa del sito. E poi…
E poi?
Poi c’è tutta la parte non coperta dal castello e dal Borgo che è archeologicamente molto promettente: pensi, tutta la zona coperta dal bosco che si eleva sopra l’imbocco di quella triste galleria potrebbe nascondere delle sorprese archeologiche in grado di rivoluzionare la storia della città, e non solo… Non sto dicendo che magari si può riscontrare una mega piramide a gradoni come qualche sedicente archeologo vuole dimostrare esserci a Visoko in Bosnia. Si tratta solo di compiere qualche saggio, carotare la salita e probabilmente scoprire che anche qui i celti avevano una loro importante base religiosa.
Lo sa che proprio lì vogliono costruire un ascensore?
Non credo in simili assurdità e non mi interesso di politica: a parte che il colle mi sembra bello così come è, ma se è vero quello che lei mi dice credo che sia indispensabile una perizia da parte di archeologi competenti; l’eventuale cementificazione potrebbe sottrarre al bene comune dei documenti straordinari che se scoperti comproverebbero l’esistenza di una montagna sacra dove gli dei antichi potrebbero aver vegliato per millenni sulle sorti degli “ur-goriziani”. Adesso però sono entrato nel cortile del palazzo arcivescovile: mi lasci camminare in pace su questo splendido sentiero, voglio proprio godermi il silenzio e la solitudine del bosco.
Grazie professore e a presto…

mercoledì 20 maggio 2020

Ricordi in cammino...

Non si prevedono lungo distanze per questa seconda giornata, da Aosta a Saint Vincent. Appena uscito dalla vetusta Augusta Praetoria, bella città dalle numerose vestigia romane, riesco a complicarmi il cammino, decidendo di seguire gli invitanti segnali collocati dai diversi Comuni. Inizia un interminabile saliscendi, di per sé divertente e promettente, ma non particolarmente adatto a chi deve ancora percorrere circa 1000 km per raggiungere Roma e si porta 10 kg di zaino sulle spalle. Arranco per raggiungere i rus, antichissime condotte d'acqua che tagliano a intervalli regolari i versanti delle alte montagne. Mi sembra di seguire dei piani di volo, collocandomi a una quota stabilita per raggiungere una meta senza interferire con la direzione di altri aerei. In realtà non incontro nessuno e spesso, molto spesso, queste improvvisate vie alpine si interrompono, costringendo a frequenti cambi di altitudine. Un accidentato sentiero mi permette di risalire la china, sbucando su una stretta strada asfaltata. Un gigantesco cane pastore, sdraiato sotto il sole, custodisce il passaggio. Mi vede, si alza di scatto e inizia ad abbaiare, lanciandomi sguardi che a un analfabeta totale in linguaggi animali, sembrano tremendamente minacciosi. Cerco di abbozzare un timido saluto, agitando il cappello e sfornando un terrorizzato sorriso e mi tuffo verso destra, aumentando progressivamente la velocità, con la costante impressione di una belva alle spalle, pronta a gettarsi su di me al primo movimento inconsulto. Cammino cammino - come in tutte le favole che si rispettano - e non giungo alla casetta di cioccolata, ma a un campo dove l'asfalto termina e un gruppo di agricoltori mi guarda con un po' d'invidia. Si stanno spezzando la schiena per tirare fuori dalla terra le patate, mentre io vado a cercarmi volontariamente la fatica, mulinando le gambe sulla Francigena sotto il sole cocente. "Perché non vieni ad aiutarci, se ti piace tanto sudare...". Non me lo faccio ripetere due volte, mi libero dal sacco e mi chino a raccogliere i tuberi, rendendomi subito conto di quanto una giornata in un campo di patate sia ben più impegnativa rispetto a una tappa di quaranta chilometri a piedi! Per mia fortuna, dopo qualche minuto i raccoglitori, vuoi per un impeto di pietas nei miei confronti, vuoi perché anch'essi hanno bisogno di una pausa, mi congedano con una bella risata: "Guarda che stai sbagliando completamente strada, devi risalire fino al bivio e continuare sul viottolo asfaltato fino al successivo segnale della Via". Non mi riempie di paura la mezz'ora di cammino in più - ormai la meta di giornata non è certo Saint Vincent - ma l'idea di ritrovare quell'enorme cane, forse più affamato di prima. Mi avvicino circospetto, vedo la bestia accucciata dove l'avevo lasciata, cammino sulle punte dei piedi, almeno quanto consentito a un viandante affaticato, oriento lo sguardo di qua e di là cercando la via di fuga, decido, in caso di necessità, di gettarmi di corsa giù per il prato ripido - meglio un volo sull'erba che finire i propri giorni nelle fauci di un animale feroce... Il cane si alza pigramente, scodinzola allegro e bonario, con gli occhi mi invita a seguirlo. Non me lo faccio ripetere due volte e in men che non si dica mi trovo davanti al cartello che indica la continuazione della Francigena, naturalmente, sull'ennesimo rus sconnesso. L'animale, soddisfatto, brontola felice e ritorna al bivio, per avvisare abbaiando il prossimo camminatore distratto e per accompagnarlo sulla retta via.

martedì 19 maggio 2020

I sin-daci nel coronavirus

Una delle figure protagoniste di questo periodo è quella del Sindaco. Se ne sono visti di tutti i tipi. All'inizio c'erano i rassicuranti che combattevano contro i prudenti. I primi organizzavano feste in piazza, nei locali e perfino nei ristoranti cinesi per dimostrare ilo loro disprezzo del pericolo incombente, gli altri cercavano di preparare i propri cittadini ad affrontare tempi molto duri.
Poi c'è stato il momento della consapevolezza e praticamente tutti sono corsi ai ripari, ma in modi molto diversi. Si sono visti sindaci (e sindache) sceriffi, con tanto di troupe televisive al seguito, a caccia di malcapitati che si attardavano a chiacchierare nei parchi pubblici o sui moli delle città di porto. Altri sono arrivati a minacciare ritorsioni pesanti agli incauti trasgressori, urlando dai video amatoriali tutta la loro passione (o rabbia repressa) per la vita delle comunità. Alcuni si sono trovati a piangere lacrime amare a fianco dei familiari dei morti, impossibilitati perfino a portare un ultimo saluto o a partecipare al funerale dei propri congiunti. Qualcuno ha perso la vita, a dimostrazione di un rapporto privilegiato e costante del primo cittadino con la sua gente. Molti si sono limitati a una sobria informazione quasi quotidiana, cercando di tradurre in termini comprensibili la pioggia di norme nazionali e regionali che si sono riversate sui cittadini, settimana dopo settimana. C'è anche chi ha riscoperto la vocazione del  sindaco "padre" (se non proprio "padre padrone"), riempiendo di abbracci e baci virtuali gli abitanti del proprio Comune, consolando, incoraggiando, rimproverando più o meno benevolmente. Altri al contrario, hanno ritenuto di fornire i mezzi affinché ciascuno potesse seguire la propria via, con coscienza e responsabilità, possibilmente pensando con la propria testa nel diluvio di più o meno interessate informazioni mediatiche. Insomma, sono migliaia di persone diverse, migliaia di modi diversi di esercitare quella "giustizia insieme" alla quale rimanda la stessa etimologia della parola "sin-daco". In mezzo alla bufera, ovunque e sempre, sono stati un punto di riferimento, delicato o pesante, professionale o familistico, responsabilizzante o impositivo, valorizzante o assistenzialista. In ogni caso, equo e solidale.

lunedì 18 maggio 2020

Chiesa e Stato (2)

Quindi, quale è il problema? Quello di non considerare la fede e la religione - ma soprattutto la religione - come elementi finalizzati a un particolare giudizio o visione sulla realtà. Credere o non credere in un orizzonte trascendente non toglie o aggiunge nulla alla comune responsabilità di essere, prima di ogni altro aggettivo, "umani".
Per questo è un po' fastidioso il costante invito a uomini di chiesa nelle varie trasmissioni radiotelevisive, quasi che l'essere esperti in questioni religiose abiliti ad esser "brave persone" o comunque competenti in materia di etica e morale. E' vero, la forza politica e culturale della Chiesa è ancora enorme e ciò offre una speciale valenza agli interventi del papa, dei vescovi o dei sacerdoti. Ma la loro parola contribuisce alla causa in quanto essi sono esseri umani come tutti gli altri oppure in quanto - a causa degli immensi intrallazzi esistenti tra Chiesa e Stati - sono facilmente strumentalizzabili e strumentalizzati da chi detiene il Potere? Giusto per portare un esempio, l'attuale vescovo di Roma, Francesco, come del resto i meno gettonati predecessori, dice spesso parole sulle quali sarebbe difficile trovare un motivo per essere in disaccordo: è meglio la pace che la guerra, meglio l'accoglienza che lasciar morire la gente nel mare, meglio volersi bene che volersi male... Ma queste sagge e indiscutibili affermazioni vengono rilanciate con grande enfasi dai media perché effettivamente contribuiscono al miglioramento della vita sul Pianeta o soltanto perché la Potenza della Chiesa enfatizza e rende immensamente più forti quelle stesse, a volte ovvie, espressioni?
Se non esistesse il Vaticano, se non ci fossero le Nunziature apostoliche, se non ci fossero decine di migliaia di parrocchie, in Italia finanziate con un 8/1000 a dir poco discutibile, la forza del papa sarebbe la stessa, andrebbe lo stesso in mondovisione a pregare per la fine della pandemia, sarebbe ancora un punto di riferimento per capi di stato e personaggi della cultura?
Forse l'indicazione che lo stesso Francesco sta proponendo - più con la sua persona che con una peraltro urgente e indispensabile riflessione teologica che l'accompagni - è la trasformazione stessa della cattolicità: ma una Chiesa senza infallibilità del papa, senza distinzione "ontologica" ma solo "funzionale" tra clero e laicato, non solo non giudicante ma anche rispettosa di ogni forma di Amore sacramentale compreso quello omosessuale, in grado di affermare il primato della coscienza sulla legge e di rinunciare a qualsiasi privilegio (in Italia, l'insegnamento della religione cattolica con nomina dello Stato, condizionata dall'idoneità conferita da un'autorità religiosa; l'8/1000 determinato sulla base dei contribuenti e non dei soli sottoscrittori; l'esenzione dall'imu per buona parte degli edifici ecclesiastici, ecc.), sarebbe ancora "questa" Chiesa cattolica costantiniana? No, non sarebbe la stessa, si inaugurerebbe un nuovo cristianesimo, ecumenico, aperto alla dimensione teocentrica interreligiosa, lealmente impegnato in un mondo nel quale ciascuno affermerebbe la propria concezione della vita e del mondo come contributo alla crescita democratica, prima delle esigenze connesse all'appartenenza strutturale.
Continuiamo a riflettere... 

domenica 17 maggio 2020

Un libro da non perdere: "Pot", di Nejc Zaplotnik. In italiano "La Via", traduzione D. Jelinčič

Pot, è il titolo dello stupendo libro scritto nel 1982 da Nejc Zaplotnik, grande alpinista sloveno travolto l'anno successivo da una valanga sul Manaslu. Dopo quasi quaranta anni, il testo è accessibile anche al lettore italiano, con il titolo La Via, grazie alla splendida traduzione dello scrittore Dušan Jelinčič, maestro nell'arte non solo di trasformare le parole, ma anche di adattarle al cuore e alla mente di un italiano appassionato alla lettura, al senso della vita e al racconto di montagna. Il consiglio, per chi può, è quello di leggere sia la versione originale in sloveno che quella in italiano, ognuna illumina l'altra permettendo di scoprire nuove suggestioni e nuovi particolari.
In realtà, è difficile definire "La Via" un racconto di montagna. Sì, la roccia delle Alpi Giulie o del Cervino, le lisce strapiombanti pareti della valle di Yosemite in America, la catena equatoriale del Kilimangiaro e i ghiacci eterni dell'Himalaja sono lo sfondo di un quadro che rappresenta nella sua essenza la Vita.
Zaplotnik non scrive in modo ordinato, ci porta nel cuore di una gelida notte su un minuscolo terrazzino affacciato sul vuoto e racconta i ricordi della quotidianità, la moglie amata, i bimbi che giocano felici e attendono il suo ritorno. Parla del suo lavoro, delle sue corse in automobile nei meandri della dolce regione slovena della Gorenjska e dal tran tran di una mal sopportata ordinarietà innalza lo sguardo verso le cime rocciose delle Alpi di Kamnik o ci conduce nel cuore delle più avventurose scalate del Karakorum.
Non si incontrano i classici racconti di imprese straordinarie, anche se non manca la descrizione di passaggi impegnativi o di interminabili percorsi scavati nella neve tra paura di slavine, fragore di seracchi che si schiantano in laghi congelati. La montagna è una parte del richiamo a un'esistenza che abbia un senso, alla ricerca di un'autenticità smarrita dalla civiltà occidentale. L'autore è un inquieto viandante, attratto da ciò che sembra impossibile e mai soddisfatto dal raggiungimento di qualsiasi obiettivo. Raccoglie un florilegio di vette e di nuovi itinerari da suscitare l'invidia di qualsiasi alpinista, ma preferisce dedicare più pagine ai volti dei compagni di scalata, soprattutto degli incredibili sherpa nepalesi.
Comunica con discrezione la gioia della conquista e descrive con maggiori particolari le proprie emozioni di fronte alla sobria dignità delle genti della montagna o ai volti dei bambini che soffrono a causa della malattia e della fame. Zaplotnik è sempre fuori posto, mentre vengono celebrati i suoi successi pensa soprattutto al padre che consola il figlio seduto su uno straccio in un corridoio di ospedale nepalese.  
La critica alla società capitalista si alterna all'ammirazione per chi vive nella Natura selvaggia, in mondi che lo scalatore non ha avuto il tempo di vedere totalmente contaminati dall'esplosione del turismo di massa verso l'Everest. L'amore per la propria terra, traboccante nei racconti delle scalate sui Monti della Val Trenta o sul Triglav da Vrata, emerge anche nei momenti di desolazione e tristezza. Il desiderio di infinito si scontra con le necessità di ogni giorno e nel rischio supremo torna prepotente la nostalgia di una casa accogliente.
E' anche un inno all'amore e all'amicizia. Come su tutto ciò che è più intimo, Nejc sembra fin troppo delicato quando racconta la sua vita affettiva, anzi forse lo spiraglio dal quale è possibile comprenderla è soltanto la dolcissima dedica, Al mio migliore amico in questo mondo, a mia moglie Mojca. Dell'amicizia invece si parla molto, soprattutto di quella incrollabile che si costruisce quando si è vicini e si condivide il labile confine con il mondo del non-essere. In questo orizzonte c'è spazio per l'umorismo - quante risate in certi particolari che caratterizzano le giornate degli alpinisti - ma anche per lo sguardo serio e sereno sulla morte, quando questa arriva all'improvviso, a causa del gelo, di un chiodo staccato dalla roccia o di una scivolata inarrestabile verso l'abisso. Non c'è giudizio sulle qualità tecniche, non c'è la classica accusa contro la montagna assassina, non c'è rabbia. Resta solo la consapevolezza che la vita val la pena di essere vissuta e che per portarla avanti non ci si può lasciar morire ogni giorno nella banalità delle chimere della società dei consumi. Occorre invece affrontarla, giorno dopo giorno, sapendo che ciascuno potrebbe essere l'ultimo, quello forse che dischiuderà i sigilli posti sulle porte della Verità.
Nejc Zaplotnik ha scoperto la sua "Via", al termine della ricerca? La valanga che lo ha travolto sulla montagna più amata, il Makalu, ha dischiuso l'orizzonte infinito al quale anelava? Chi lo sa? Di certo la sua breve vicenda esistenziale può essere raccolta nel motto che sintetizza il libro: Chi  cerca la meta, resterà vuoto quando l'avrà raggiunta, chi invece trova la via, avrà la meta sempre dentro di sé.
NEJC ZAPLOTNIK, Pot, Mladinska knjiga založba, Ljubljana 2018
NEJC ZAPLOTNIK, La Via, traduzione Dušan Jelinčič, ed. Versante Sud 2020 

sabato 16 maggio 2020

La quiete dopo la tempesta

Chissà perché oggi, percorrendo in bici le colline e camminando per l'affollato Corso goriziano, mi sono venute in mente le parole della celebre poesia di Giacomo Leopardi:
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
Con l'opra in man, cantando,
Fassi in su l'uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
Della novella piova;
E l'erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand'è, com'or, la vita?
Quando con tanto amore
L'uomo à suoi studi intende?
O torna all'opre? O cosa nova imprende?
Quando dè mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d'affanno;
Gioia vana, ch'è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! Assai felice
Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana.

venerdì 15 maggio 2020

Stato e Chiesa (1)

La Religione riguarda la coscienza di ciascuno oppure ha una sua rilevanza anche sociale? Così posta, la domanda ha una risposta ovvia, nessuno può negare il ruolo fondamentale delle religioni nella costituzione delle società umane, nel bene e nel male.
Ma appunto, ciò che ha determinato la nascita, crescita e morte di immensi imperi, è davvero un sistema di miti, riti e prescrizioni morali legato alla misteriosa e intima relazione con il Mistero trascendente? Oppure, consapevolmente o meno da parte di chi l'ha utilizzata per scopi "politici", non ha proprio nulla a che fare con il divino, se non appunto per la sistematica strumentalizzazione?
A questo punto la domanda non è più così scontata. Per esempio, in una parte del mondo occidentale, il cattolicesimo assume un'importanza enorme, anche nei sistemi democratici che, nella loro relatività, non dovrebbero per definizione essere troppo inclini ad accettare posizioni ispirate a riferimenti assoluti. Eppure, la maggior parte della vita civile anche di uno Stato sedicente laico come l'Italia, presuppone dei riti religiosi che accompagnano il percorso della vita degli individui e della società nel suo insieme. I funerali di Stato si svolgono di solito nelle chiese, ci sono ancora le liturgie in molte scuole, all'inizio e alla fine dell'anno, i sacramenti accompagnano la crescita anche civile, attraverso il battesimo, la prima comunione e la cresima che per la stragrande maggioranza degli italiani costituiscono veri e propri riti di iniziazione dell'infanzia e dell'adolescenza, del tutto indipendenti dai loro originari significati e dalla loro complessa simbologia. 
Anche in questo periodo, enorme risalto è stato dato ai gesti di preghiera - peraltro alquanto suggestivi e coinvolgenti - posti da papa Bergoglio in occasione della pandemia oppure alle controversie dall'ampio risvolto mediatico tra rappresentanti del clero a favore della pace e dell'accoglienza, contrapposti ad altri tradizionalisti, desiderosi di salvaguardare la dottrina postcostantiniana della Chiesa.
E' interessante notare che la dottrina sulla quale si fonda l'Impero cattolico è una clamorosa fake news. Anche oggi, pur senza possedere altra dimensione geografica che non sia lo Stato della Chiesa, la Chiesa cattolica ha un immenso patrimonio immobiliare, mobiliare e culturale, accumulato sulla base della teorizzazione dell'unione dei poteri spirituale e temporale, basata sulla donazione dell'Imperatore Costantino. E' un documento falso, riconosciuto come tale nel 1420, ma tuttora fondamento della pretesa, da parte dei cattolici, di interferire - a partire dalla propria appartenenza a una comunità religiosa - negli affari e nelle vicende della Comunità civile.
Vale la pena di approfondire un po'...

martedì 12 maggio 2020

Lo spirito dei piedi, ovvero il desiderio di vivere...

E i viandanti? Un blog che ha come titolo "Lo spirito dei piedi" non può non chiedersi: che cosa fanno in questo periodo i viandanti?
Dove sono i "pellegrini assoluti", ovvero quelli che hanno deciso di lasciarsi alle spalle una vita ordinaria per affrontare i rischi dell'ignoto e del cammino permanente? Volevano dare risposte alternative alle classiche domande: dove abiti? cosa fai nella vita? hai famiglia? Volevano sopravvivere grazie all'incontro e all'ospitalità delle persone. E si sono trovati costretti a trovare un'abitazione, a dover condividere il "fare nulla" con i coinquilini, ha tenere le distanze da chi avrebbe potuto sostenerli. Forse però la loro disponibilità all'incertezza e all'imprevisto avrà permesso nuove scoperte, un nuovo cammino, nel quale i piedi hanno forse potuto parlare non in movimento ma in un momento di pausa.
E il "pellegrini relativi"? Quelli che a centinaia di migliaia affollavano le vie verso Santiago, Roma o Gerusalemme? O i mille cammini minori sparsi ormai ovunque in Europa? Tutti gli albergue sono chiusi, le strade di nuovo libere, gli abitanti ormai abituati agli zaini in movimento, ora attoniti nel constatare il vuoto e il silenzio. Forse è l'occasione per riscoprire l'autentico valore del "pellegrinare", per scoprirsi dei privilegiati le cui "imprese" sono rese possibili non soltanto dalla propria volontà, ma dalla salute, dal tempo a disposizione e anche da denaro. Non ci saranno più cammini soltanto "per moda", probabilmente la pausa forzata aiuterà a capire quanto è più bello e salutare andare a piedi nelle città e nel contempo purificherà le vere motivazioni di chi ritaglierà uno spazio e un tempo alla propria vita borghese per "vagare attraverso i campi" alla ricerca del Mistero.
Anche gli alpinisti hanno fatto una pausa e nell'estate ritroveranno una natura più rigogliosa, quasi stupita di essere stata per un paio di mesi rispettata, come non accadeva forse addirittura da secoli. Già i panorami verso la pianura padana limpida, dalla cima del Sabotino - laggiù, lontano, per la prima volta visibile il luccichio di Venezia - in questi giorni senza smog, lasciano presagire un meraviglioso frutto dell'assalto ai monti, di nuovo alla conquista dell'inutile.
Una categoria di persone ha invece continuato a camminare, quella di coloro che fuggono dalla fame, dalla guerra e dalle violenze d'ogni tipo. La rotta balcanica non si è arrestata, nonostante le criminali repressioni ai confini tra Grecia e Turchia, tra Bosnia e Croazia. Per molti, rinchiusi nei campi di concentramento a Lesbo e a Samos, in Turchia e in Libia, è stato meglio tentare di fuggire, rischiare l'incontro con il virus piuttosto che la morte per fame. E molti non ce l'hanno fatta, camminanti dispersi nelle sabbie del Sahara, tra le onde del Mediterraneo, nei boschi dei Balcani.
E, all'arrivo in Italia, per i pochi che ci sono riusciti, si sono aperti i centri per il rimpatrio, esposti più di ogni altro ambiente al contagio e costretti a prepararsi l'unico viaggio ancora concesso, quello di rientro verso i luoghi da cui erano scappati, con lo stomaco vuoto e il terrore negli occhi.
Ecco dunque, lo spirito dei piedi continua a guidare le menti e i cuori, i percorsi nomadici sono ancora lunghi e difficili, chi cammina, ancora una volta, indica a tutti la direzione per poter sopravvivere. O meglio, per poter autenticamente vivere...

lunedì 11 maggio 2020

Je suis Aisha...

Dove siamo arrivati? Quello che è accaduto tra sabato e lunedì va al di là della semplice etica individuale o deontologia professionale. Si profila un  vero e proprio disegno di chi, approfittando dell'abissale ignoranza dei più in materia religiosa, vuole recuperare un facile consenso in un periodo non troppo semplice per le mire dei populisti. 
Il giorno dopo la liberazione di una persona rapita nel cuore dell'Africa, invece di riempire i media di espressioni di immensa gioia e di ringraziamento nei confronti di tutti coloro che hanno contribuito a raggiungere tale obiettivo, una parte del giornalismo e del mondo social italiano si cimenta nell'impresa di raggiungere il peggio del peggio dell'informazione, sulla scia degli squallidi politici di riferimento.
Certo, trent'anni di indottrinamento da parte delle televisioni berlusconiane, il razzismo e il populismo fascio-leghista e la cronica divisione e debolezza della sinistra italiana, tutto ciò ha portato tanta ignoranza e analfabetismo culturale.
Ma a tutto c'è un limite e stavolta sembra proprio essere stato superato. Non si parla degli insulti di ogni tipo piovuti su una giovane che ha voluto dedicare parte della sua vita alla cooperazione e alla solidarietà internazionale. Non se ne può parlare perché la vicenda di una persona così aperta e generosa come Aisha verrebbe svilita se solo si prendessero in considerazione le corbellerie sputate da iperpagati guardoni patologici che si continua ancora a nominare con il nobile termine di "giornalisti".
Tuttavia non si può tacere del tutto. Le bestemmie contro di lei sono anche bestemmie contro l'Islam e manifestano il livello becero di una parte del popolo italiano che non conosce neppure i più elementari rudimenti del cristianesimo e si permette di disquisire sul significato di una straordinaria Religione, professata da un miliardo e mezzo di persone. No, questa ignoranza è davvero insopportabile. Non sapere cosa ci sia scritto nel Corano, non avere un'idea neanche lontana del lungo percorso della storia islamica, non sapere nulla delle complesse e spesso estremamente costruttive relazioni tra Islam, Cristianesimo e religioni, non dialogare con nessun musulmano senza quindi avere la minima idea di ciò che molti imam e fedeli stanno portando avanti per la causa della pace nel mondo, confondere autentica pietà e elevatissima spiritualità con marginali istanze politiche di matrice armata... trovarsi in questa situazione e voler sparare assurde e ignoranti sentenze, rivela il venefico obiettivo - dichiarato o nascosto che sia - di voler riacquistare un appannato consenso tentando in-coscientemente di costituire una frangia di pericoloso e violento integralismo cattolico, potenzialmente distruttivo, oltre a tutto (per fortuna) esplicitamente sconfessato e condannato da chi guida in questo momento la Chiesa Cattolica nel suo insieme. 
Davvero preoccupante...

domenica 10 maggio 2020

Silvia è libera, una grande notizia!

Silvia Romano è libera. Questa è la notizia che ieri sera ha riempito di gioia familiari, parenti, amici e quasi tutti gli italiani, per una volta distolti dalle preoccupazioni del periodo per inneggiare al ritorno. Silvia era in Africa per condividere la sua vita con quella di altre persone, in un contesto completamente diverso da quello nel quale era abituata a vivere. Come tanti altri suoi coetanei si era avvicinata al mondo della cooperazione internazionale, in Italia coordinata da alcune federazioni che riuniscono qualche centinaia di piccole e grandi Organizzazioni Non Governative. L'ispirazione viene da quei "mondi" improntati all'internazionalismo, cioè a una visione non egocentrata e autarchica della realtà, una parte di quello cristiano (nelle sue diverse confessioni) e una parte di quello della sinistra sociale. Se l'espressione non fosse inaccettabile per chi ritiene che "tutto il mondo è paese" e che "ogni uomo è mio fratello", si potrebbe dire che questo enorme esercito di pace - costituito dai volontari e dai professionisti che operano con enorme competenza e sensibilità "là dove la terra brucia" - veramente aiuta le persone "a casa loro". Non a caso che si riempie la bocca di questo slogan non fa proprio nulla, contestando chi accoglie i profughi da guerre e fame e riducendo al massimo le risorse per la cooperazione e il partenariato internazionale. Migliaia di europei percorrono invece le strade più impervie del Pianeta per vivere esperienze di solidarietà e amicizia fra popoli. Può ben capitare che qualcuno incappi in situazioni delicate e possa perdere la libertà e a volte la vita. Non si tratta di eroismo, ma di semplice consapevolezza della propria umanità e della fraternità che tutti unisce. Per questo il ritorno di Silvia Romano non deve essere visto come il rientro del vincitore da una battaglia, ma come il risveglio della coscienza di tutto ciò che ognuno di noi è: parte di una fragile umanità nella quale l'unica percezione che ha un senso è quella che conduce alla condivisione e alla solidarietà. Neppure una parola merita chi in questo momento non riesce a rallegrarsi per la liberazione di Silvia. Una parola di ringraziamento va a tutti coloro che si sono adoperati per realizzare questo obiettivo, a chi ha tenuto desta la memoria e anche - bisogna onestamente riconoscerlo anche da parte di chi non è sempre tenero con l'esecutivo attuale - al Governo Conte che ha perseguito, con i servizi segreti, la realizzazione del sogno. Insieme alla stragrande maggioranza delle persone che hanno seguito con apprensione la vicenda, ci uniamo a questo momento di collettiva felicità nel gridare: SILVIA E' LIBERA!

sabato 9 maggio 2020

9 maggio 1950 - 9 maggio 2020


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"Sogno un’Europa in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito a un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia" (Francesco)
Oggi è la Festa dell'Europa. Si ricorda la data della Dichiarazione Schuman del 1950. Il giorno dopo la memoria dei cinque anni trascorsi dalla fine ufficiale della Seconda Guerra Mondiale in Europa, prendeva avvio da quel momento il lungo percorso verso l'integrazione fra i paesi europei.
Sono passati 70 anni e in questi giorni l'idea - nata peraltro dalla riflessione di un gruppo di illuminati intellettuali confinati durante il fascismo nella sperduta isola di Ventotene - sembra più che mai importante e più che mai lontana dall'essere realizzata.
Avrebbe dovuto essere l'unione degli stati europei. In realtà, fino al 1989, è stata quella di una piccola parte di essi, più della metà infatti ne erano esclusi e tra gli uni e gli altri passava un confine talmente alto da essere definito "cortina di ferro". Inoltre il legame tra gli aderenti è stato essenzialmente legato a interessi economici, anche per la non realizzata democratizzazione degli organi gestionali. Fatto sta che dai singoli Stati la "cessione di potere" all'Unione è stata piuttosto debole: la Banca Centrale, la moneta unica (non per tutti), una Commissione di fatto svincolata dal controllo del Parlamento con conseguente fragilità del sistema di rappresentanza, l'intervento cooperante in diversi ambiti del sistema di ciascuno insieme a regole a volte più penalizzanti che facilitanti. Non è certo questo il sogno del federalismo europeo, non realizzato neppure dopo l'ingresso dei Paesi dell'est che hanno portato - in particolare la Polonia e l'Ungheria - venti di populismo e chiusura in quella che sempre di più appare come una "fortezza" e non un luogo di solidarietà e di scambio.
Il coronavirus ha impietosamente rivelato l'incapacità di trattare un grande problema comune come un impegno da affrontare tutti insieme e non come una specie di guerra dove nel "tutti contro tutti" l'unico a guadagnarci è stato ed è proprio il vero infinitesimale ma potentissimo "nemico".
La soluzione non sta nel chiudere le porte all'idea della coesione europea o alla speranza che il suo reale funzionamento possa preludere alla costituzione degli Stati Uniti del Mondo. Senza negare l'intrinseca debolezza attuale, occorre rilanciare la proposta di una coesione continentale e mondiale che superi gli attuali egoismi e l'asservimento alle lobby affaristiche planetarie. Per fare questo occorre che il Green New Deal, lanciato due anni fa dal movimento Diem25 con Yanis Varoufakis e divenuto poi una specie di slogan talmente ripetuto da essere del tutto svigorito, torni a essere il punto di riferimento per le politiche globali e locali. In altre parole, si tratta di coniugare strettamente la giustizia sociale - e quindi il tema del diritto al lavoro (lavorare meno lavorare tutti), al giusto salario, alla sicurezza, al rispetto delle diversità, all'autentica democrazia, al contrasto alle povertà - con la tutela dell'ambiente - e quindi la lotta contro l'inquinamento, il contrasto ai cambiamenti climatici, il rispetto e la tutela di tutti gli esseri viventi, il comune affronto dei disastri naturali. Perché ciò accada, è indispensabile ritornare al punto di partenza: la Cultura, ovvero la concezione del mondo frutto dell'incontro e del dialogo tra le diverse visioni (in altre parole la Cultura fondamento dell'autentica Democrazia). Ne saremo capaci? Si realizzerà il grande ideale pronosticato da Schuman - e non solo da lui - dell'unità nella diversità, non solo dell'Europa ma del Mondo intero? Il "grande silenzio" indotto dal coronavirus porterà a un risveglio, a un vero "nuovo corso" oppure porterà al sonno definitivo della ragione?

venerdì 8 maggio 2020

Rimuovere i confini!

Un cartello sopravvissuto allo scorrere dei tempi

Confine del Preval


Al Rafut
Tra Erjavčeva e via San Gabriele
La proposta di ripristinare la "propustnica" per il passaggio del confine tra Slovenia e Italia non è una "sciocchezza", come dichiarato sui quotidiani odierni da Walter Bandelj. E' uno spunto di discussione, attraverso il richiamo a un simbolo che ha caratterizzato altre epoche, favorendo il superamento di confini che sembravano invalicabili.
Il coronavirus ha trovato del tutto impreparata l'Europa, con tutte le sue strutture sociali, culturali, economiche e ideologiche. La risposta alla pandemia è stata del tutto diversificata, ogni Stato si è comportato in modo diverso dall'altro, anzi per molti, l'Italia anzitutto, è stata perfino un'occasione per tentare di risollevare l'orgoglio nazionale. Soprattutto all'inizio, sembrava che fosse una Nazione a combattere contro un nemico razionale, dimenticando che l'assassino misterioso era un essere nanomicroscopico che gli scienziati stentano perfino a chiamare "vivente". Non c'è stato nulla costruito insieme, né un protocollo sanitario, né il reperimento dei presidi, né un confronto tra scienziati ricercatori, né una comunicazione condivisa, niente... Anzi, nell'affrontare il tema economico finanziario sono emersi tutti gli egoismi dell'Europa attuale, facendo risorgere odi atavici e perfino locuzioni dimenticate in altri meandri della storia, i crucchi che vogliono conquistare il mondo, la perfida Albione, il pericolo rosso, quello giallo, l'opportunismo degli Yankee.
Per questi motivi vivere sul confine è in questo tempo di nuovo nello stesso tempo interessante e inquietante. Certo che si vorrebbero togliere tutte le barriere fra gli Stati, ma realisticamente ciò non sembra essere fatto imminente, anche perché le diverse Regioni d'Italia hanno affrontato in modo molto diversificato l'ondata dei contagi e difficilmente si può pensare a un trattamento unitario della problematica, senza rischiare un vero e proprio conflitto di competenze tra centralismo e federalismo.
Nel frattempo, mentre la situazione si va stabilizzando, è possibile pensare a un trattamento speciale per le persone che vivono a ridosso del confine? E' possibile aprire varchi, anche solo ciclopedonali, per intensificare la relazione di aiuto e di crescita culturale da una parte e dall'altra? Ancor di più, oltre al ripristino della normalità delle relazioni tra novo e staro goriziani, è possibile recuperare il ddl proposto dall'allora senatrice Fasiolo, finalizzato alla creazione di un ampio "punto franco" coivolgendo tutto il territorio delle province di Trieste e Gorizia, insieme alla Primorska, da Koper a Bovec, da Postojna a Nova Gorica?
Ecco allora, nessuno sogna il ripristino di documenti quasi archeologici. Il loro richiamo vuole solo dire che se in tempi di ben maggiore distanza la propustnica si è rivelata una soluzione efficace, in momenti come quelli attuali si possono trovare altre forme di relazione e convivenza sul confine, in  grado di trasformare la difficoltà in opportunità. Potrebbe essere un piccolo ma potente segnale di rifiuto del nazionalismo, del populismo e dell'egoismo, in nome dell'accoglienza, della reciprocità e della solidarietà.

giovedì 7 maggio 2020

Che cosa ci lascerà la pandemia?

La parola greca παν/δημια significa "qualcosa che coinvolge tutto il popolo". Un po' come la demo-crazia. Condizione perché la pan-demia possa essere un approfondimento e non la fine della demo-crazia è che ciascuno rifletta sul che cosa è stato e sul cosa sarà. Ringrazio di cuore Nevio Costanzo che offre oggi questo importante spunto di discussione. Buona lettura... ab 

Cosa ci lascerà questa pandemia, oltre la perdita di persone, di lavoro? I sacrifici di tutti saranno valsi a qualcosa? Ma la domanda più appropriata è “Cosa ci ha insegnato la pandemia?”

Abbiamo imparato a fare il pane in casa, messo a posto librerie e collezioni di dischi; i fiori sui balconi e terrazze meritano premi, abbiamo chiesto al vicino se aveva bisogno di qualcosa, condiviso la rete WiFi con chi ne era sprovvisto.

Abbiamo fatto camminate sul Calvario e sul Sabotino, scoperto nuovi luoghi dietro casa.I genitori hanno potuto insegnare ai loro figli l’andare in bici lungo le strade cittadine, per le poche auto in circolazione.

Siamo usciti ad acquistare il pane, il quotidiano, andando a piedi o in bici quando prima, per abitudine, l’auto era la nostra poltrona viaggiante, aumentando la sedentarietà.

Il problema che si pone adesso è quello legato alla mobilità. I mezzi pubblici hanno già molte restrizioni per evitare la prossimità dei passeggeri.
Come ben documentato, una parte dell’inquinamento atmosferico deriva dall’abuso dell’automobile privata.

Quindi, l’auto privata sarebbe il sostituto? Le Amministrazioni di Milano, Firenze, Roma ecc. ed anche europee, non hanno lo spazio fisico per assorbire altre automobili.

Un'auto parcheggiata occupa venti lo spazio di chi va a piedi o in bici, e quaranta quando è in movimento, informa Luca Bertolini urbanista.
Inoltre, quando lo spostamento casa lavoro - casa scuola non supera i quattro - cinque chilometri, è più pratico e conveniente usare la bici.

Come si stanno attrezzando queste città? Realizzano piste ciclabili, per favorire al massimo lo spostamento con la bici per evitare l’intasamento dei mezzi pubblici. Piste ciclabili temporanee, che potrebbero diventare definitive.

Gorizia è piccola, non ha i problemi delle grandi città, si dice, ma è meglio migliorare ed allargare l’orizzonte pensando di programmare una mobilità intercomunale / internazionale proprio per non disperdere quanto abbiamo, nonostante tutto, imparato a beneficio nostro, dell’Ambiente.

Nevio Costanzo

mercoledì 6 maggio 2020

6 maggio 1976

Verso le 19 il trillo del citofono ci aveva fatto sobbalzare. Avevo 16 anni e frequentavo la I Liceo. Con mio padre stavamo guardando un telegiornale e mia madre stava preparando la cena perché doveva andare a tenere una conferenza presso la sua scuola a Gradisca. Andai a rispondere, aprii la porta e appoggiato alla ringhiera della scala attendevo con una certa curiosità il visitatore, il cui nome non mi aveva suggerito alcun volto. Era un giovane africano, veniva dall'Uganda, inviato da un prozio missionario a salutare i parenti "goriziani". Studiava in Italia la teologia, in quel tempo non era molto frequente incontrare sulla propria strada persone provenienti da altri Continenti. L'accoglienza fu davvero entusiastica, preparammo subito la stanza e poco dopo ci trovammo tutti attorno a una minestra fumante e a una bistecca ben cotta. Mia madre a malincuore ci lasciò, mentre mio padre e io cominciammo a tempestare di domande il nuovo venuto che rispondeva con grande piacere, parlando con un'invidiabile calma che contrastava con il nostro grande desiderio di conoscere.
E arrivarono le 21. C'era un caldo opprimente, tutte le finestre erano aperte ed era evidente la stranezza di un clima che costringeva alle maniche corte già dall'inizio di maggio. Il pavimento della cucina sembrò leggermente sussultare, diedi un'occhiata a mio padre che tradì una leggera sorpresa, mentre Jean continuava serenamente a raccontare della vita ugandese. Dopo una manciata di secondi tutto cominciò a sobbalzare, gli armadi della cucina dondolavano come ubriachi, i piatti cadevano con frastuono dalle mensole, i lampadari oscillavano impazziti. Ci alzammo e senza guardarci indietro percorremmo a tutta velocità le sei rampe di scale e ci trovammo in un batter d'occhio sulla strada, la Via Angiolina, affollata di persone trafelate che avevano avuto la nostra stessa idea. La sensazione era quella di un'impotenza assoluta di fronte a una Natura infinitamente più potente di noi. E Jean? Jean lo ritrovammo una mezz'ora dopo, quando, terminato l'accesso di panico, eravamo risaliti. Stava consumando tranquillamente la sua insalata e alla domanda se non avesse avuto paura, aveva seraficamente risposto che se il suo destino fosse stato quello di morire in quel modo, non avrebbe potuto cambiarlo, tanto valeva finire tranquillamente di mangiare. Verso le 23, rientrata anche mia madre da Gradisca, sono arrivate le prime notizie del disastro che si era verificato nel Medio Friuli. La mattina successiva trovammo la scuola chiusa e, saliti sull'auto di un compagno già diciottenne, andammo più velocemente possibile nella zona terremotata. In quei tempi non esisteva la Protezione Civile e ogni aiuto, nelle prime ore dopo il dramma, era accolto con benevolenza. Incuranti dell'oggettivo pericolo, ci inoltrammo per le vie di Gemona e ci inviarono a trasportare i cadaveri estratti dalle macerie, dalle case a una specie di centro di raccolta. Un silenzio di morte incombeva ovunque, rotto ogni tanto dalle nuove scosse di terremoto che facevano tremare come foglie le case rimaste miracolosamente ancora in piedi. Non avrei mai più dimenticato quelle impressioni, quei giorni di maggio, quella sensazione di una tappa della storia di quella terra e della mia vita: la fine di un'epoca,l'inizio di un'altra, come in effetti poi fu. Questo è stato il mio 6 maggio 1976.