domenica 31 ottobre 2021

Ha senso conferire la cittadinanza onoraria al Milite ignoto?

Il campanile di Aquileia, sopra le tombe degli "eroi"
E' vero che ogni essere umano "reverendum est" e che pertanto ogni defunto merita onore e rispetto.

Altra questione è l'interpretazione della storia, con i suoi simboli, a volte contingenti e fuggevoli, a volte più duraturi.

Per questo la storia del Milite Ignoto, che riposa all'altare della patria dopo essere stato scelto da Maria Bergamas di Gradisca, svenuta su una delle bare allineate nella Basilica di Aquileia esattamente cento anni fa, deve essere rivisitata con delicatezza, ma anche senza retorica.

Il milite ignoto, come gli altri dieci che riposano nel cimitero sotto il campanile della Basilica di Aquileia, è uno tra le decine di milioni di morti provocati dall'orrenda carneficina che è stata la prima guerra mondiale.

Al di là dell'umana pietas nei confronti del defunto e della sua povera madre, perché sottolineare con tanta enfasi, cento anni dopo, la traslazione del suo corpo da Gorizia/Aquileia a Roma? Che cosa si vuole ricordare? Perché addirittura conferirgli la cittadinanza onoraria postuma?

Molti si affrettano a sottolineare il clima del tutto diverso, la maggior armonia tra i popoli che avevano combattuto in quel tempo gli uni contro gli altri, il messaggio di pace che scaturisce dal ricordo di un giovane perito nel corso di un'immane conflitto.

Si vuole forse ricordare che vale la pena dare la vita per la propria patria? Come a dire che sempre "vale la pena" morire per qualsiasi tipo di ideale. Difficilmente si può trovare un qualcosa di così radicalmente importante in una guerra sconvolgente, che a detta di quasi tutti gli storici si sarebbe potuta evitare con un minimo di sforzo diplomatico in più, reso vano dagli interessi economici e politici dei potenti del tempo.

Sono i militari a tributare i principali onori al milite ignoto. Ma sarebbero proprio loro a dover cogliere l'occasione per affermare come i veri interpreti della pace siano stati in quel tempo i disertori, che si rifiutavano di obbedire agli ordini assurdi di generali macellai, non volendo togliere la vita a giovani come loro. Forse si potrebbe dare la cittadinanza onoraria e tributare le medesime celebrazioni al "disertore ignoto", ucciso dai fucili di carabinieri obbedienti che dovevano sparare a chi si rifiutava di saltare fuori dalla trincea al grido di "Avanti Savoia".

O forse, se proprio occorre ricordare in modo così solenne le vittime di quell'inutile strage, si potrebbe farlo in termini internazionali, dedicando una giornata di memoria a tutti i caduti, su tutti i fronti, con diverse divise e soprattutto senza alcuna divisa. Chissà perché, quando ci si riferisce alla prima guerra mondiale, si è portati a pensare che siano morti soltanto i soldati, quando invece, secondo stime abbastanza documentate, solo in Italia sono circa 600mila i morti militari e altrettanti 600mila quelli civili. Allargando lo sguardo ai belligeranti, si raggiungono cifre ancor più spaventose, ben oltre i dieci milioni di morti in tutta Europa e anche oltre.

Per questo molti ritengono che, con tutte le più buone intenzioni, la celebrazione di quest'anno, con l'enfatizzazione strumentale del sacrificio di un unico soldato, ucciso dai politici che hanno scelto di entrare nel conflitto e dai generali che hanno studiato e attuato la disumana strategia della trincea, non possa essere una memoria di pace, bensì un ricordo retorico di un avvenimento lontano. Potrebbe essere quasi un gesto del tutto avulso dalla realtà attuale, e allora che senso avrebbe? Oppure potrebbe essere una tardiva giustificazione dell'ingiustificabile catena di scelte colpevoli che ha portato quel povero ragazzo a morire senza un nome sui monti di Trento e allora sarebbe inaccettabile.

Il ricordo del milite ignoto, quello degli altri milioni di militi ignoti e noti, quello di ulteriori milioni di vittime civili note e ignote, più che alla ricostruzione storica di un evento importante per la storia e l'unità d'Italia, dovrebbe portare a un comune, internazionale riconoscimento, di quanto sia assurda ogni guerra di conquista, di quante distruzioni provochi e di quanto dolore venga seminato. Senza dimenticare che dalle membra maciullate, irrorate da tanto sangue versato, non sono nati fiori di giustizia e di libertà, ma si sono poste le condizioni per la crescita del fascismo e del nazismo, prodromi della seconda e ancor più terribile guerra mondiale.

No quindi alla cittadinanza onoraria al Milite Ignoto, sì a quella dedicata a tutti i defunti Costruttori di autentica pace, ignoti o noti che siano.

lunedì 25 ottobre 2021

Nova Gorica/Gorizia, anche capitale europea della giustizia e della pace, dal 2025?

Il Kulturni dom, in via Brass 20 a Gorizia
Stasera (lunedì 25 ottobre), alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia, si parlerà di difesa non armata dell'Europa e del mondo. Un appuntamento davvero da non perdere. Sarà una bella occasione per "lanciare" una proposta antica e nuova. Correva l'anno...

...correva l'anno 2001. E' difficile dimenticarlo, il 19 luglio ero a Roma, insieme al prof. Alberto Gasperini, allora direttore dell'ISIG. Abbiamo incontrato un rappresentante della Segreteria di Stato vaticana e poi siano stati ricevuti da Giulio Andreotti, nel suo studio di senatore a vita. Avevamo poi incontrato due referenti del mondo accademico israeliano e palestinese. L'idea era quella di organizzare un convegno internazionale a Gorizia sulle "città divise" e si pensava a Roma/Città del Vaticano, Gerusalemme/Gerusalemme est, Nicosia e naturalmente Nova Gorica/Gorizia. Era in corso a Genova il famoso tragico G8 e la mattina del 20 ero letteralmente volato con la mia pandina in Liguria, in tempo per assistere alla feroce repressione delle manifestazioni no global, a due passi dalla piazza Alimonda che per molti di noi da allora è stata ribattezzata Piazza Carlo Giuliani.

Quale era l'obiettivo? 

Quello di accelerare il processo di trasformazione del territorio goriziano in laboratorio di giustizia e di pace, in termini molto concreti e non soltanto come un piacevole slogan.

Del resto, non è un caso che a Gorizia sia stata realizzata una prestigiosa facoltà di scienze diplomatiche in seno all'Università di Trieste e di scienze internazionali presso l'Università di Udine. Anche le facoltà presenti a Nova Gorica sottolineano da sempre l'indirizzo internazionale, come pure gli istituti di ricerca territoriali, tra i quali l'Istituto di Sociologia Internazionale (ISIG), gli Incontri Culturali Mitteleuropei (ICM) e tanti altri enti storici, sociologici e culturali.

In tali ambiti, senza che le città sul confine dessero segnale di conoscenza e consapevolezza, transitarono negli anni '90 importanti personaggi della politica planetaria, tra i quali Michail Gorbačev ed Eduard Shevarnadze, solo per fare due nomi. Soprattutto, in quel periodo, la zona era considerata ideale per favorire i primi scambi diplomatici fra negoziatori di paesi belligeranti. Si tratta dei primi passi che sono necessari per preparare i documenti da trasmettere ai livelli successivi, fino alla fase finale con la firma e la stretta di mano ufficiali, queste ultime sì, in luoghi ben più noti e con ampia pubblicità mediatica.

La prospettiva indicata insieme ad Alberto Gasperini era quella di un rilancio convinto di tale "vocazione" delle due città di confine, là dove la definitiva abolizione della rete confinaria che ancora non era stata smantellata, avrebbe reso possibile non solo logisticamente, ma anche simbolicamente, la realizzazione di tale progetto.

In sintesi, la case dello studente/djaški dom di Nova Gorica e Gorizia, come pure i numerosi istituti religiosi e conventi disseminati dai centri città a Sveta Gora, da Miren a Kostanjevica, come pure gli spazi delle comunità protestante e anche di quella musulmana, le caserme quasi totalmente dismesse, sarebbero tuttora tanti luoghi ideali per ospitare delegazioni, anche numerose, di Paesi belligeranti. La particolare configurazione di "zona di (ex) confine" potrebbe permettere di organizzare, oltre ai momenti assembleari e agli indispensabili colloqui individuali, anche gite turistiche, facendo conoscere tragici siti di guerra, ma soprattutto testimonianze di una pluridecennale ricostruzione di relazioni e rapporti di pace. La visione delle bellezze paesaggistiche e la degustazione dei prodotti tipici enogastronomici potrebbero inoltre creare il contorno ideale per iniziare sguardi reciproci improntati, dalla diffidenza all'inizio della collaborazione.

In questo senso la/le città potrebbero essere il luogo ideale per realizzare anche il centro internazionale di addestramento dei Corpi Civili di Pace europei. Giovani di tutta Europa potrebbero trovare alloggio e permanenza a Nova Gorica e Gorizia, studiare presso le facoltà locali, vivere esperienze di conoscenza reciproca e costruzione insieme, percorrere avventurosamente durante l'estate i sentieri collegati alla splendida e interessantissima "Pot miru, via della pace", dal passo Predil a Trieste. Potrebbero, in poche parole, diventare un vero "esercito senza armi", da inviare, professionalmente e non come volontari, in zone di guerra per accompagnare i processi di pacificazione, sostenere le popolazioni colpite dalla guerra, intervenire, fin dove possibile, negli spazi della comunicazione per proporre il metodo nonviolento come alternativa credibile e sostenibile all'uso della forza armata.

Nova Gorica/Gorizia, capitale europea della Cultura nel 2025. Potrebbe essere contestualmente anche l'inizio della "capitale europea dei processi di pacificazione e della nonviolenza attiva"? 

domenica 24 ottobre 2021

I Corpi civili di pace a difesa della nuova Europa. Lunedì 25 ottobre alle 18, al Kulturni dom

Si parla molto in questo periodo delle celebrazione in occasione del centesimo anniversario della traslazione della salma del Milite ignoto da Gorizia ed Aquileia a Roma.

Il Punto Pace di Gorizia vuole proporre una riflessione alternativa, sottolineando non solo l'orrore della guerra che falcia la vita di milioni di esseri umani, civili e militari, ma anche una nuova visione della "difesa" di una terra, non necessariamente armata.

L'Europa potrebbe essere all'avanguardia in questo percorso, organizzando, attraverso gli istituti accademici e forme di addestramento dedicate, i "copri civili di pace". Dovrebbero essere delle formazioni di persone che vengono preparate e affrontano responsabilmente e professionalmente, le difficili situazioni delle popolazioni in guerra.

Tali corpi, se ben allestiti, possono anche creare un valido sostegno diplomatico ai negoziatori che si prefiggono lo scopo di risolvere i problemi tra i popoli e le nazioni non con i cannoni e le bombe, ma con la grande forza dell'intelligenza e della creatività umane.

Ne parleranno domani, lunedì 25 ottobre, alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia, il prete giornalista Paolo Iannaccone, Andrea Bellavite, i volontari dell'Operazione Colomba delle Comunità Giovanni XXIII. E sarà ospite per la prima volta a Gorizia Padre Bogdan Knavs, guardiano del Convento di Sveta Gora (Monte Santo), molto noto in Slovenia per le coraggiose posizioni pacifiste e umaniste. Sarà letto anche un intervento di Alessandro Capuzzo, del Comitato pace e convivenza Danilo Dolci di Trieste e Maria Carla Biavati, dei Corpi Civili di Pace. L'incontro sarà coordinato dalla giornalista Selina Trevisan e nel corso di esso saranno premiati i disegni sulla pace elaborati dai bambini nel corso dei Centri estivi da poco conclusi.

Tutti sono invitati a partecipare a questo incontro, davvero da non perdere!!!

venerdì 22 ottobre 2021

E ora, spazio ai filosofi e agli artisti...

Verso il grande evento (foto Nevio Costanzo)
L'incontro tra Borut Pahor e Sergio Mattarella a Nova Gorica e Gorizia è stato un evento di grande importanza. Come è stato detto, un confine che è stato in passato sinonimo di distanza e divisione, oggi è diventato punto di incontro e di amicizia tra i popoli.

I due presidenti hanno ricevuto gli onori nella piazza principale di Nova Gorica, hanno visitato i ponti di Salcano, hanno incontrato i cittadini, attraversato le vie di Gorizia, celebrato l'unità di intenti sulla piazza della Transalpina e nel teatro Verdi.

Si è trattato di un vero e proprio pellegrinaggio civile, non tanto sui luoghi della memoria quanto su quelli che proiettano verso il futuro, quello immediato con l'appuntamento importante del 2025, quello più lontano con la definitiva consapevolezza della bellezza di un territorio caratterizzato dall'unità nella diversità.

Non si tratta di un "punto di partenza", come con un po' di retorica è stato scritto da molti, meno che meno un "punto di arrivo". E' stata una tappa, di portata storica data la - peraltro non nuova - presenza contemporanea di due Presidenti della Repubblica, da sempre non soltanto collaboranti ma anche amici. E' stata anche l'occasione per dare il via ufficiale al già avviato percorso di avvicinamento alla data della Capitale europea della Cultura.

E' giunto il momento di coinvolgere tutta la popolazione, affinché l'occasione non sia limitata all'interesse di pochi addetti ai lavori, alla ricerca di qualche finanziamento o alla celebrazione di qualche evento riservato alle autorità del caso. Tutti, dagli enti e istituti accademici alle associazioni culturali, dalle categorie produttive agli ordini professionali, soprattutto dalle istituzioni a ciascun singolo cittadino, si è chiamati a un accelerazione e alla moltiplicazione delle occasioni di conoscenza e autentica fraternità.

Perché questo accada, prima della comunque necessaria elaborazione di progetti e ricerca di fondi per realizzarli, occorre che ci sia una convinta partecipazione della base. Il primo passo non può che essere un urgente cambiamento relativo all'apprendimento delle lingue. Come giustificare una Capitale della Cultura, scelta proprio per il suo essere particolare e armonica "casa" delle diversità, senza che ogni abitante sappia almeno comprendere la lingua dell'altro? E' indispensabile muoversi in questo senso, sia moltiplicando le occasioni di studio e ricerca per gli adulti, sia soprattutto inserendo l'italiano e lo sloveno - oltre all'inglese veicolare - come materie obbligatorie nelle rispettive scuole di Nova Gorica e di Gorizia.

In secondo, ma altrettanto importante luogo, occorre il massimo coinvolgimento possibile delle persone e delle realtà che "fanno" cultura. Ciò significa ovviamente che ogni residente può contribuire con la propria preparazione e le proprie competenze, ma anche che chi ha una particolare ispirazione, sia essa letteraria o più generalmente artistica, deve essere protagonista. Il futuro del territorio Goriziano dovrà essere improntato dalla ricerca della Bellezza, quella autentica che non nega la drammaticità della Storia o la malinconia dell'Esistenza, ma le sublima in una concezione profonda dell'essere e dello stare insieme.

Si facciano avanti dunque i poeti, i pittori, i filosofi, i teologi, i cercatori del significato del Tutto. Anche coloro che sono chiamati alle nobili azioni della Politica e dell'Economia siano un po' artisti, o almeno ascoltino chi ha il dono di vedere "più in là". Perché solo così Nova Gorica e Gorizia non saranno capitale europea della Cultura soltanto per un anno, ma continueranno a essere anche dopo punto di riferimento per chi vuole costruire una nuova Europa, laboratorio di giustizia e di pace al servizio di ogni "cittadino del mondo".  

giovedì 21 ottobre 2021

DOBRODOŠLA PREDSEDNIKA, BENVENUTI PRESIDENTI!!!


Nella foto di Nevio Costanzo, il centro della piazza Transalpina/trg Evropa, il luogo simbolico più significativo dell'incontro tra il presidente Pahor e il presidente Mattarella. In attesa di ascoltare gli inni nazionali e soprattutto le parole dei due massimi rappresentanti delle due Repubbliche, un caldo augurio di BENVENUTI FRA NOI/DOBRODOŠLI, a loro due e a tutti gli altri ospiti della città, unica nella sua diversità, di Nova Gorica/Gorizia.

martedì 19 ottobre 2021

La maggioranza astensionista, inquietante vincitrice di tutti i ballottaggi...

Ci fu un tempo in cui ci si meravigliava di quanti pochi elettori andassero alle urne negli Stati Uniti e ci si chiedeva il senso di una preferenza espressa da meno della metà della popolazione. Si leggeva con una punta di divertimento il racconto di Asimov che preconizzava l'algoritmo che avrebbe indicato il nome dell'unico votante che con la sua decisione avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia dalla parte maggioritaria dell'opinione pubblica.

I ballottaggi di questi giorni, ma anche il primo turno di due settimane fa, sono una doccia fredda. Il tradizionalmente abbastanza puntuale elettorato italiano ha dato prova di un enorme assenteismo, in una tipologia di elezione - le amministrative comunali - che dovrebbe favorire il coinvolgimento e la vicinanza dei cittadini. 

In questo modo, qualche domanda sull'effettivo valore del sistema è inevitabile. Si prendano due esempi, per "par condicio" quello di Roma e quello di Trieste. Rispetto al numero complessivo di potenziali elettori, nella Capitale Gualtieri è stato scelto di fatto dal 24,5%, neppure uno su quattro. Ancora più eclatante il dato riguardante Dipiazza, con circa il 21%, eletto quindi con una preferenza espressa ogni cinque possibili elettori. 

Certo, è vero che chi non partecipa ha sempre torto, ma il dato è eclatante. Se si considera normale, fisiologica si usa dire, un'astensione intorno al 25-30%, un'elezione che annovera meno della metà degli aventi diritto offre una forte, anche se non chiara, indicazione politica.

Non si va a votare perché non lo si ritiene importante, ma soprattutto perché non ci si sente rappresentati da nessuno di coloro che si candidano, meno che meno da coloro che nel segreto delle stanze dei maggiorenti, decidono chi proporre e chi scartare. 

La grande crisi della democrazia rappresentativa è una delle tante espressioni della mai decollata democrazia partecipativa. Inoltre, l'impressione che le decisioni vengano prese ovunque, ma non nelle istituzioni eletto dal popolo, accresce la sfiducia dei cittadini, sempre più estromessi dalle scelte che li riguardano più da vicino. Inoltre, sono sempre meno presi in considerazione gli strumenti di partecipazione diretta, come i referendum - nazionali e locali - o le leggi e i regolamenti proposti a partire dall'iniziativa popolare. La forma "partito", necessaria in un sistema come quello definito dalla Costituzione italiana, non può che mostrare tutta la sua debolezza, senza un chiaro orientamento verso il coinvolgimento convinto e non supponente dell'intera cittadinanza. La mancanza di fiducia nei propri rappresentanti è alla base anche della rivendicazione "fai da te", che senza un'adeguata capacità di ascolto, può sfociare purtroppo nella violenza neofascista o nell'ingiustificata repressione.

Più che esultare quindi, i vincitori di questa tornata di ballottaggi sono chiamati a riflettere e a trovare urgenti percorsi di riavvicinamento a quella che genericamente viene definita "gente", sperando che ormai non sia già troppo tardi.   


lunedì 18 ottobre 2021

A Trieste, una brutta pagina per la democrazia

Quella che si sta scrivendo in questi minuti a Trieste è una bruttissima pagina della "democrazia".

No, non si possono accettare le offese ai giornalisti nell'esercizio del loro lavoro. Sono da denunciare e fermare i facinorosi fascisti che assaltano le sedi dei sindacati. Si può essere del tutto d'accordo con la scelta governativa di imporre il green pass ai lavoratori o la vaccinazione obbligatoria. Si possono esprimere dubbi sull'efficacia e l'opportunità del ventilato blocco del porto. Si può in poche parole non essere affatto dalla parte dei portuali e di coloro che sono scesi in piazza con loro.

Ma l'intervento della polizia, della guardia di finanza e della altre forze dell'ordine contro migliaia di cittadine e cittadini inermi a mani alzate, deve essere denunciato come degno di uno Stato totalitario e non più democratico. Oggi tocca ai manifestanti "no green pass", è già toccato e capiterà di nuovo a chi contesterà le politiche migratorie oppure a chi vorrà impedire la crescita del neofascismo in Italia.

No, non si può accettare tutto. Quella di Trieste non è una "guerriglia", ma un assalto unilaterale delle forze dell'ordine contro i manifestanti. Se in una democrazia i rappresentanti del popolo non trovano altre soluzioni che gli idranti e i lacrimogeni per sciogliere una manifestazione pacifica, la situazione è veramente molto grave.

Nel momento in cui a Trieste si esercita uno dei più importanti diritti, quello del voto e l'astensionismo supera ormai sensibilmente la soglia psicologica del 50%, non è la "forza della politica", ma la "pseudopolitica della forza" a prendere il sopravvento.

E' vero che raramente un dibattito è stato così aperto e controverso come quello sul green pass e sui vaccini, capace di scombinare tutti gli schieramenti tradizionali di destra o di sinistra, affiancando nemici storici nel sostenere l'una o l'altra tesi, spaccando fronti fino a questo momento coesi e portando la divisione tra gli amici e i parenti stretti.

Personalmente, da vaccinato e da persona perplessa di fronte alle proteste presso il porto di Trieste, ritengo del tutto sproporzionata la violenza delle forze dell'ordine, invoco un soprassalto di coraggio da parte di chi dovrebbe rappresentare il popolo e non solo gli interessi della propria parte, mi chiedo, preoccupato, a chi giovi l'innalzamento della tensione oltre i limiti della ragione.

domenica 17 ottobre 2021

Canti partigiani nella chiesa di Sveta gora (Monte santo)

Sta per iniziare il concerto, presbiterio di Sveta gora
L'orchestra e il coro Partizanski pevski zbor di Ljubljana hanno accompagnato, lo scorso sabato pomeriggio nella chiesa di Monte santo (Sveta gora), la celebrazione in memoria dei partigiani caduti per la libertà. Nel corso di una solenne Messa, sono stati ricordati coloro che hanno donato la loro vita nella lotta di Liberazione dal nazifascismo, coloro che hanno contribuito in modo decisivo non solo a sconfiggere gli oppressori, ma anche a salvare la vita, la cultura e l'arte del popolo sloveno.

Dopo il momento liturgico, musicisti e suonatori hanno riempito il presbiterio, offrendo a tutti i presenti uno straordinario concerto di canti partigiani. Con un arrangiamento musicale delicato e coinvolgente, hanno entusiasmato ed emozionato. Le parole e le note che risuonavano sotto le volte del tempio mariano, hanno consentito di comprendere quanto l'esperienza della fede - nella sua dimensione più profonda e autenticamente laica - possa essere radicata nel cuore delle persone. Quando non viene soffocata nella prigione delle prescrizioni religiose o delle regole canoniche, può diventare punto di riferimento e di profonda comunione tra persone che hanno i medesimi obiettivi esistenziali, anche se appartenenti a differenti concezioni del mondo.

In Italia nelle chiese cattoliche non è - almeno ufficialmente - consentito eseguire canti o brani musicali non legati direttamente alla ritualità, addirittura spesso si arriva a vietare Beethoven o Mozart, in quanto alcune loro composizioni non sono finalizzate alla liturgia e quindi non sono ritenute degne di una chiesa. Chi ha avuto la sorte di partecipare al bellissimo concerto a Monte santo, si è sentito coinvolto dall'armonia e dalla forza delle musiche partigiane, ma soprattutto si è sentito parte di un'umanità solidale, accomunata dal desiderio di costruire, anche a costo della propria vita, un mondo migliore, radicato in una pace che non può essere autentica senza giustizia e senza libertà.

In questo senso l'evento è stato veramente "sacro", intendendo con tale concetto ciò che vince l'egoismo e fa sì che la persona vada oltre alla propria dimensione individuale e si senta corresponsabile del bene da seminare tra gli altri esseri umani e più in generale tra tutti i viventi. Ci si può in questo modo davvero riconoscere tutte e tutti, sorelle e fratelli o, come più volte ripetute sabato, compagne e compagni nel cammino della medesima umanità.

Padre Bogdan Knavs
Regista e guida di questo avvenimento è stato padre Bogdan Knavs, l'attuale giovane, decisamente coraggioso e intraprendente guardiano del santuario. Una guida come lui potrà veramente fare di Monte santo/Sveta gora ciò che è stato nei secoli passati, ma con nuovi e ancora inesplorati orizzonti. Per le genti slovene, friulane e italiane è sempre stato un importante riferimento, visibile semplicemente alzando lo sguardo dalla Laguna di Grado alla campagna aquileiese, dalle montagne innalzate sulle valli dell'Isonzo e della Vipava, dalle città di Gorizia e Nova Gorica. Ora, anche in vista della capitale europea della Cultura 2025, potrebbe essere un luogo di spiritualità universale, dove potersi incontrare come credenti e non credenti, come appartenenti a differenti concezioni della vita e della fede, come partigiani che lottano per la libertà dei propri popoli, ma anche per l'abbattimento dei muri e dei reticolati che impediscono all'Europa di essere modello di accoglienza e umanità, "una" nella valorizzazione delle sue diversità.

sabato 16 ottobre 2021

16 ottobre, tra la deportazione nazista degli ebrei ad Auschwitz (1943) e l'elezione al pontificato di Wojtyla (1978)

Roma, Sinagoga e Basilica di San Pietro
Il 16 ottobre 1943, alle 5.15, le SS iniziano la deportazione di oltre mille ebrei di Roma ad Auschwitz e nei campi di stermino nazisti. E' una pagina orribile della storia italiana, da non dimenticare, soprattutto in questi tempi di pericolosa rinascita di fenomeni riconducibile al neofascismo e al neonazismo. 

Il destino dell'ebraismo e quello del cattolicesimo si intrecciano a Roma, fin dalle origini del cristianesimo. E' sempre stato un rapporto complesso, a volte di scontro, o meglio di esplicita persecuzione da parte dei sedicenti cristiani, a volte di incontro e di riconoscimento reciproco, come avvenuto soprattutto negli ultimi decenni. 

Se è vero che clamorosamente il Concilio Vaticano II, celebrato neppure venti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, non ha riservato neppure un accenno alla Shoah nei suoi principali documenti, è altrettanto vero che dopo l'elezione di Papa Wojtyla si è usciti da una fase di inaccettabile silenzio "diplomatico", soprattutto attraverso il riconoscimento degli ebrei come "fratelli maggiori" dei cristiani. Per questo oggi, accanto a uno dei più vergognosi anniversari della storia d'Italia, se ne può ricordare un altro sicuramente meno drammatico, anche se in altro modo importante per le vicende relative all'Europa e al Mondo "a cavallo" tra il secondo e il terzo millennio. 

Proprio il 16 ottobre 1978 è stato infatti eletto Vescovo di Roma Karol Wojtyla. Il suo pontificato è stato tra i più lunghi della storia, concluso con la sua morte, il 2 aprile 2005. Acclamato "santo subito" dalla folla di Piazza san Pietro, ha risalito con estrema rapidità la carriera della canonizzazione, proclamato "beato" dall'immediato successore, il suo amico e massimo collaboratore Ratzinger e "santo" da papa Bergoglio.

E' difficile restringere a un post la valutazione su un periodo così prolungato e importante non soltanto per la Chiesa ma per il mondo intero. La forte personalità e un'acuta intelligenza lo hanno senza dubbio reso protagonista degli avvenimenti di un periodo caratterizzato da enormi trasformazioni politiche. Non si possono dimenticare anche le vicissitudini che hanno toccato il suo corpo, trasformandolo dalla "superstar" del primo triennio nel fragile convalescente dopo l'attentato del 13 maggio 1981, dall'instancabile viaggiatore in tutti i Continenti alla debole figura del malato sempre più piegato dalla sofferenza e incamminato verso l'ultima pagina della vita. E' stata un'esistenza in mondovisione, si potrebbe dire, con la riduzione della sfera privata al mero minimo indispensabile.

Dai moti popolari di Solidarnosc in Polonia agli eventi collegati al crollo del muro di Berlino nel 1989, dalle tragiche guerre balcaniche all'attacco terroristico alle Twen towers di New York, dall'estate "dei tre papi" agli interventi militari in Afghanistan e Iraq, in tutto è stato sempre presente, con la sua voce autorevole e informata, guida abbastanza accentratrice della Chiesa ancora alla ricerca della via da seguire nel post-concilio.

Se le reazioni del "giorno dopo" furono contrastanti, con le tante perplessità contrapposte alla vox populi, a distanza di ormai quasi venti anni è meno difficile proporre qualche valutazione, svincolata dagli entusiasmi e dalle delusioni del momento.

Per usare criteri politici, si deve distinguere la politica estera da quella interna. Se è vero che il ruolo di Giovanni Paolo II nella trasformazione dell'Europa negli ultimi anni del Novecento deve essere senz'altro ridimensionato, non si può neppure ridurre all'espressione di pii auspici il primo trionfale viaggio in Polonia nel 1979 e il costante e reiterato richiamo alla debolezza dei sistemi socialista ma anche capitalista. Sul piano delle preoccupazioni per la pace planetaria, Wojtyla non ha mai fatto mancare la propria voce, a volte con gesti eclatanti come l'invito alla preghiera di tutti i rappresentanti delle religioni planetarie ad Assisi nel 1987, a volte con accenti fortemente accorati come nel richiamo esplicito al presidente USA Bush a non avviare quella che si sarebbe rivelata la catastrofica guerra all'Iraq, a volte proponendo nuove prospettive di teologia sociale come con la dichiarazione della fine del concetto di "guerra giusta" in occasione del conflitto delle isole Falkland/Malvinas, a volte infine arrampicandosi sugli specchi della legittimità di un non mai meglio specificato "intervento umanitario" nel ginepraio della Bosnia dilaniata dalle milizie nazionalistico religiose. Insomma, si è trattato di una presenza importante, ruotata attorno all'attesa piena di speranza e alla successiva drammatica delusione del Giubileo dell'anno 2000, dove tutti gli auspici - dagli obiettivi del millennio alla libertà dalle guerre, dalla concordia tra le religioni al dialogo con il mondo a-religioso - sono stati travolti dall'esplosione dei terrorismi di ogni colore, dal soffocamento - spesso violento - delle istanze delle basi popolari in marcia ovunque per la giustizia e per la pace, dalla mancanza sempre più marcata di rispetto per l'ambiente naturale e sociale.

Meno efficace è stato il contributo di papa Wojtyla alla concezione della Chiesa cattolica e al suo rapporto con il mondo. Attestato sulle tradizionali concezioni filosofiche aristoteliche-tomiste condite con una buona dose di un personalismo evidentemente determinato dagli scritti di Mounier, Marcel e soprattutto Max Scheler, non ha di fatto voluto affrontare nessuna delle problematiche ecclesiologiche e pastorali lasciate insolute dal recente Concilio Vaticano II. Non ponendo in discussione i trascendentali (Verità, Bontà, Bellezza) di una corrente della tradizione filosofica occidentale, ha ribadito tutti i "divieti" della teologia morale, soprattutto per ciò che concerne l'inizio e la fine della vita, l'autodeterminazione delle persone, le scelte e gli orientamenti sessuali. Ha ribadito senza dubbi il dettato del Vaticano I riferito all'infallibilità in materia di fede e di morale, giungendo fino quasi alla definizione dogmatica e alla negazione del dibattito intorno al sacerdozio femminile. Non ha de-clericalizzato la Chiesa e ha di fatto orientato il dialogo ecumenico e interreligioso a prospettive non troppo lontane dall'antica concezione della "pienezza della Verità", detenuta soltanto dal Cattolicesimo. Non si sono affrontate questioni pressanti quali il celibato presbiterale obbligatorio e si sono presi provvedimenti molto blandi nei confronti della terribile piaga della pedofilia dei religiosi, ricondotta solo alla "debolezza" dei singoli senza accettare mai una riflessione sulle carenze del sistema di formazione e di realizzazione dell'esperienza sacerdotale. 

Insomma, è come se ci fossero state due diverse velocità di intervento, la prima incentrata su una robusta antropologia radicata nella convinzione della centralità dell'Uomo redento dal Cristo e dalla necessità di proteggere l'ambiente vitale, la seconda sul ruolo e sulla pretesa dominante della Chiesa anche sulla sfera dell'etica individuale e sociale.

Certamente è troppo poco, non si possono certo liquidare oltre 26 anni di storia in una manciata di righe. Sicuramente gli anni romani di Wojtyla devono ancora essere molto approfonditi e scandagliati, per comprendere anche le conseguenze attuali, sia nell'ambito geopolitico che in quello ecclesiastico, determinato fra l'altro dal silente ma difficilmente occultabile conflitto fra i suoi coesistenti successori con i rispettivi agguerriti sostenitori, Josef Ratzinger e George Bergoglio.

giovedì 14 ottobre 2021

Solidarietà a Kappa Vu, fuori dal Salone del libro di Torino

Dall'ottimo giornale online Friulisera si apprende non soltanto che l'editrice Kappa Vu è stata estromessa dal Salone del libro di Torino, ma anche che l'attuale Amministrazione regionale ha rivendicato le pressioni sugli organizzatori finalizzate all'esclusione.
La motivazione è direttamente ricondotta dall'Assessora alla Cultura alla famosa Mozione 50 approvata nel 2019 dal Consiglio Regionale del FVG, con la quale si rifiutava qualsiasi appoggio ad autori o editori accusati di "negazionismo delle foibe".
A parte la già notata incongruenza di quello che si configura di fatto come un "divieto di studio" nei confronti di un fenomeno complesso sul quale numerosi ricercatori - molti dei quali proprio grazie a Kappa Vu - si sono cimentati con intelligenza e utilizzo sistematico del metodo storico scientifico, l'intervento della Regione presso il Salone del libro suscita forti brividi.
Non si tratta più "soltanto" di evitare il finanziamento di chi si adopera per la crescita culturale dei cittadini della Regione, ma si arriva addirittura a interferire con l'organizzazione di una rassegna nazionale che dovrebbe per definizione essere aperta a tutti gli apporti, esclusi quelli contraddittori rispetto alle leggi italiane che riconoscono la libertà di pensiero ed espressione. In altre parole, sembra che si sia tornati al tempo della censura ideologica, fatto questo molto grave, in un momento in cui è aperto nella società civile un importante e inquietante dibattito sull'esercizio delle libertà costituzionali.
Tenendo presente che Kappa Vu ha pubblicato centinaia di volumi, in lingua italiana slovena e friulana, destinati a un pubblico vasto, di tutte le età e dai più svariati interessi culturali, la penalizzazione della casa editrice risulta ancora più incomprensibile e persecutoria, in quanto determinata esclusivamente dalla presenza tra i titoli, di alcuni testi di studiosi molto seri, liberi da qualsiasi pregiudizio ma non disposti al lasciarsi intimorire.
Piena solidarietà alla Kappa Vu, presente fra l'altro con il proprio stand e protagonista a pieno titolo in alcuni incontri nell'ambito del Festival èStoria di Gorizia, con l'augurio che intorno a questi temi non scenda il silenzio ma torni a prevalere la ragione, ovvero il dialogo e il confronto documentato tra storici che cercano di offrire ai lettori contributi grazie ai quali crescere nel dialogo e nell'umile ma tenace ricerca della verità.

Vaccini sì, vaccini no. Una corda troppo tesa...

Due premesse, sperando di creare uno spazio di confronto e non di scontro.
La prima. Sono vaccinato due volte e, dentro il fiume impetuoso di un'informazione pressoché incontrollabile, ho personalmente ritenuto giusto sottopormi al trattamento.
La seconda. Non certo da oggi, ritengo che le formazioni sedicenti fasciste o neofasciste avrebbero dovuto essere sciolte da lungo tempo e, dal momento che ciò non è ancora avvenuto, debbano essere poste immediatamente fuori legge, in quanto lesive dello spirito della Costituzione della Repubblica.
Detto questo, come non esprimere una forte preoccupazione per ciò che sta accadendo?
E' molto pericoloso l'innalzamento della tensione sociale provocato dalla radicalizzazione delle posizioni e dalle loro conseguenze. L'obbligo del green pass è oggettivamente difficile da imporre, anche a causa della confusione generata dal continuo flusso di notizie contradditorie. Scienziati, opinionisti, giornalisti, semplici cittadini si alternano nel dire tutto e il contrario di tutto. In questo modo, senza specifiche competenze, il pubblico si sente trascinato da una parte o dall'altra, un una serie di discussioni sempre più accese che non portano solo alle manifestazioni contrapposte nelle piazze, ma anche a divisioni insanabili tra amici o perfino all'interno delle famiglie.
Chi ritiene necessario vaccinarsi, accusa non solo chi non lo fa ma anche chi osa esprimere qualche fragile dubbio, di essere un'incosciente minaccia alla salute del mondo, di volere l'espandersi dell'epidemia, la morte di centinaia di migliaia di persone e il tracollo di un'economia sbilanciata nelle esigenze di cura dei potenziali malati. Chi invece rifiuta il vaccino, considera gli altri dei sadici apportatori di sostanze nocive all'organismo umano, responsabili di una miriade di morti improvvise e di fatto denigratori del dettato costituzionale che garantisce la libertà nella cura e nella "gestione" del proprio corpo. Il rischio molto concreto di perdere il lavoro comporta inoltre una vera e propria angoscia nella ricerca delle farmacie dove poter ottenere il tampone, con perdite notevoli di tempo e di soldi, oltre alla reale possibile paralisi del sistema produttivo provocata da manifestazioni di lavoratori - vaccinati e non - che ritengono di difendere i diritti costituzionali.
Naturalmente i primi si sentono supportati dalla cosiddetta Scienza (con la S maiuscola) e tacciano di follia senile o stregoneria fior di premi Nobel che affermano il contrario, senza riconoscere che sono migliaia gli studiosi, come pure stimati medici e operatori sanitari che evidenziano ragioni opposte alle loro. I secondi rilevano chissà quali complotti orditi dalle multinazionali e dai governi non più democratici, supportati da uomini di scienza e giornalisti ritenuti naturalmente prezzolati, presentando paragoni irricevibili con altri tragici eventi del XX secolo.
Con queste premesse, davvero è difficile pensare di andare lontano e le strumentalizzazioni politiche ed eversive sono fin troppo esplicite ed evidenti. 
Se non si trova un tavolo di dialogo, oltrepassando la supponenza degli uni e la rabbia degli altri, il rischio di uno scontro, anche fisico, diventa sempre più reale. L'abisso che si sta creando tra gli uni e gli altri, condito da un'intolleranza reciproca senza precedenti vicini nel tempo, scava una distanza che non promette nulla di buono, tanto più tenendo conto della possibile ondata di forzata disoccupazione e conseguente paralisi di molti settori lavorativi, che non può che portare alla previsione di una lotta più duratura e potenzialmente più violenta di quella che per ora è stata fagocitata da pochissimi criminali fascisti che con le loro "gesta" hanno di fato azzerato la legittima richiesta di ascolto elevata da centinaia di migliaia di persone in tutta Italia.
Che fare allora? E' sicuramente urgente de-radicalizzare le posizioni, invocando un profondo rispetto reciproco e una forte disponibilità, da parte di tutti, a comprendere - non necessariamente a condividere - gli uni le "ragioni" degli altri. Soltanto attraverso il dialogo, si possono trovare soluzioni ai complessi problemi che si è chiamati ad affrontare. E tale confronto, libero, possibilmente sereno e rispettoso, è compito di tutti, dai pulpiti dei media alle aule delle università, dalle riunioni indette dalle associazioni ai dialoghi quotidiani intessuti nei luoghi della vita e della socialità.
Scendendo dagli altari della sicumera e della pretesa dell'unica Verità, si può iniziare un confronto dialettico che possa portare a una molto più umile, ma indispensabile relativa e momentanea verità, sulla quale convergere in attesa di maggiore chiarezza e di minori tensioni.

martedì 12 ottobre 2021

Al Lussari, una salita autunnale

Edicola con affresco, la prima caduta di Gesù
Ci si può salire una o cinquanta volte, ma il cammino verso la cima del Monte Lussari è sempre emozionante. Il dolce sottofondo musicale del rio, alimentato da decine di ruscelli provenienti dalle profondità della terra accompagna il rumore cadenzato dei passi. Le prime casere, un tempo abitate e frequentate dai valligiani pastori, stanno crollando, piegate dall'inesorabile procedere del tempo. Su una di esse, ormai ridotta soltanto a una piattaforma coperta dalle erbe, c'era scritto "meglio un giorno da leone che cent'anni da pecora". Anno dopo anno, la scritta indelebile era stata spezzata, una lettera da un pezzo di tetto crollato, un'altra dal muro sbrecciato dal gelo. Intorno gli alberi nascevano, crescevano e venivano tagliati, in un ciclo apparentemente eterno, condizionato invece anch'esso dal mistero del tempo. 

Poi c'è il crocifisso, a quota 1200 metri. Quante persone ha visto passare, chi fermandosi per una preghiera, chi per deporre un sasso in ricordo di chissà quale dolore, chi per fermarsi un attimo e tirare un sospiro, chi senza neppure voltarsi e procedendo di fretta, per sfidare la montagna con la forza delle gambe e della mente. E' un luogo meraviglioso e suggestivo, carico di energia spirituale!

Da lì inizia la Via Crucis, con le edicole affrescate a segnare il passo pellegrino. Sono state risistemate recentemente, con improbabili restauri dei dipinti originali del grande Tone Kralj. Nella loro semplicità sono un inno all'arte, nella mescolanza delle forme e dei colori di uno dei più importanti pittori del XX secolo e di qualche coraggioso artista locale che si è voluto cimentare in una ben ardua, ma nell'insieme riuscita, impresa.

E poi finalmente, sia arriva alla Malga Lussari, poi alla selletta con il più bel panorama sui fratelli Mangart e Jalovec, dall'altra parte sul Montasio e sul gruppo dello Jof Fuart, in questi giorni imbiancati da un sottile velo di neve, come sparsa con delicatezza e discrezione dall'autunno incipiente. La meta è vicina, il santuario nel bel borgo medievale risplende alla luce del Sole. E' chiuso, non c'è funivia e non ci sono turisti. Ma la presenza si sente soprattutto nell'assenza e dalla cima la bellezza delle Alpi Giulie e Carniche parla più dell'oscurità del banchi raggruppati nel tempio e lo scrigno della Natura si apre alla vista come un tabernacolo infinito, Cima Cacciatore si offre alla vista come un'immagina sacra custodita nel buio.

Cima Cacciatore, con la prima neve
Occorre scendere a valle, le giornate ormai sono corte. Ma c'è il tempo per un'ultima sorpresa, l'unico incontro di oggi è con Peter. Con il suo silenzioso cagnolino scende rapido, mi sorpassa e poi si ferma. Con la punta della racchetta raccoglie una carta e la inserisce in un sacchetto che tiene tra le mani. "Ogni anno salgo quassù almeno 100 volte, anche 200 prima del lockdown" - mi dice con una punta di sano orgoglio. "E perché così spesso? Non potresti conoscere qualche altro monte, oltre al Lussari?". "No, da quando sono in pensione (una quindicina di anni), mi sono prefisso di tenere pulito il sentiero. La domenica e in estate tutti i giorni, sono migliaia coloro che salgono e non puoi immaginare quanti rifiuti scaricano sulla via e soprattutto nell'erba o nel bosco, dove credono che nessuno se ne accorga". Ecco svelato un piccolo mistero, una domanda che effettivamente spesso ci si pone salendo: come fa a essere sempre così pulito, un percorso affrontato da così tanta gente ogni anno? E' così perché Peter quasi ogni giorno sale di mille metri per liberare i prati e il bosco da cartacce, plastiche di ogni tipo, attualmente da decine di mascherine anti covid ("Ne potrei vendere a quintali", dice ridendo). Ovviamente lo fa esclusivamente perché ama la Natura. Con la sua serenità mi ha fatto pensare a un santo. Forse di quelli un po' simpaticamente eccentrici, dei quali si parlava un paio di settimane fa a èStoria.

venerdì 8 ottobre 2021

Nova Gorica e Gorizia, crocevia di percorsi europei, a piedi e in bicicletta

Ponte ciclabile sull'Isonzo/Soča a Solkan (prossima apertura)
Mentre si stanno giustamente raccogliendo le firme per indire un referendum per mantenere la pista ciclabile appena realizzata "sperimentalmente" sulla carreggiata di Corso Italia in Gorizia e per fermare l'inopinata intenzione di riportarla sui controviali, si ragiona anche in termini più ampi. 
La funzionale pista appena realizzata e già minacciata fa parte infatti del già previsto asse ciclabile tra la stazione ferroviaria "sud" e quella "nord", in altre parole tra quella di Gorizia e quella di Nova Gorica. Essa non soltanto renderebbe molto più ecologica e attraente la città (ovviamente sistemando in modo diverso i parcheggi al centro della carreggiata), ma sottolineerebbe una vocazione geografica e storica che, se valorizzata, potrebbe aprire inusitate prospettive per il futuro della Cultura, della Socialità, dell'Ambiente e delle Attività Produttive del territorio.
Il "Goriziano" è infatti un formidabile crocevia tra est e ovest, tra nord e sud, per ciò che concerne la viabilità ciclabile e pedonabile. La zona è infatti particolarmente interessante dal punto di vista paesaggistico, straordinariamente importante per ciò che concerne la storia del Novecento, assai adatta dal punto di vista tecnico operativo.
L'asse ciclabile "da oriente a occidente" (o viceversa) prevede la direttrice Lubiana - Gorizia - Verona, attraverso la bella e relativamente poco trafficata "via romana" da Logatec al passo di Hrušica e ad Ajdovščina, la ridente ed energetica Vipavška dolina e, dopo Gorizia, l'intera poetica pedemontana fino al Piave, a Bassano e alle prime pendici dei Lessini. Quello dal settentrione a mezzogiorno prevede la possibile alternativa nobile all'Alpe Adria, attraverso i passi Predil o Vršič, per discendere quasi tutto il corso dell'Isonzo, risalire il Carso triestino per raggiungere il mare a Koper e Pirano. E' facile pensare agli affascinanti collegamenti con le vie che da Lubiana portano verso l'est o il nord dell'Europa o con quelle che da Verona intersecano la purtroppo non ancora completata ciclo-autostrada del sole dalla Germania verso Roma o ancora alle potenzialità dello sguardo verso l'Istria reso possibile dalla "Parenzana". 
Nova Gorica e Gorizia costituiscono il più importante incrocio di tali impegnativi percorsi. Perché non approfittarne, investendo per completare i (tanti) tratti ancora incompleti e dotare di un'adeguata segnaletica le infrastrutture, preoccupandosi di ridurre al massimo i disagi e i pericoli per i cicloturisti, soprattutto negli attraversamenti cittadini?
Più semplice la questione riguardante i viandanti. Chi cammina ha a disposizione attualmente talmente tante possibilità che resta solo l'imbarazzo della scelta. Ma anche qua, come non pensare a un itinerario unitario che, sulle tracce della Jakobova pot, prima e del cammino delle sette chiese della Valle del Vipacco poi, conduca fino a Gorizia e da lì possa scendere su sterrati già abbondantemente riconosciuti e sperimentati fino ad Aquileia? Per quanto riguarda l'asse perpendicolare, c'è semplicemente da riunire le già presenti e ben segnalate strade dei pellegrini o dei viandanti culturali. Da Aquileia si può risalire verso il Friuli con il Cammino Celeste oppure piegare verso Gorizia attraverso San Canzian d'Isonzo, il parco fluviale di Turriaco, Fogliano, San Martino del Carso e lambire il suggestivo santuario di Mirenski grad. Da Gorizia e Nova Gorica, si può risalire ai tre monti goriziani (Škabrjel, Sveta Gora e Sabotin) e dal Sabotino continuare lungo l'alta via Valentin Stanič e poi le creste del Korada e del Kolovrat fino a Solarje, risalendo lo spettacolare e assai interessante Pot miru (Via della Pace), tracciato sull'antico fronte della prima guerra mondiale. 
Nova Gorica e Gorizia sono anche in questo caso crocevia di Cammini, internazionali o di più breve gittata. Perché non approfittarne, tenendo conto dell'indotto che ovunque il "turismo lento" sta portando in diverse zone d'Europa? Il Cammino di Santiago, con il boom seguito alla visita di Papa Wojtyla, "fa" ogni anno 300mila marciatori, tra pellegrini, sportivi o semplici curiosi. La Francigena, da Canterbury a Roma, non arriva a simili numeri ma sta sempre più prendendo piede. E là dove passano i viandanti, con i loro circa 25-30 chilometri al giorno, c'è bisogno di alberghi per la notte, di strutture per la ristorazione, di negozi di ogni tipologia, di farmacie, anche di centri di riflessione e di spiritualità. In altre e forse solo apparentemente più superficiali parole, si creerebbero straordinarie occasioni di incontro tra popoli e culture, centinaia di posti di lavoro e di opportunità per far conoscere la meraviglia e l'appassionante interesse della "nostra" affascinante regione "senza confini", nel cuore dell'Europa.

mercoledì 6 ottobre 2021

Confine "vecchio"? Non sembrerebbe, leggendo i pannelli informativi del Comune

Sì, lo so, è solo una disattenzione, la dimostrazione di una debole sensibilità ormai relegata nell'archivio della storia "goričana". Proprio per questo è da segnalare, senza alcun intento polemico, ma per ovviare quanto prima in tempo di percorsi verso Nova Gorica capitale europea della Cultura 2025.

La colonna informativa proposta dall'ormai datato progetto romoliano Let'sGO riporta la descrizione del luogo in lingua italiana, tedesca e inglese. Manca ovviamente lo sloveno, come in molte altre descrizioni di luoghi importanti del territorio.

Ma in questo caso la segnalazione è particolarmente pressante. Ci si trova infatti sulla piazza della Transalpina, chiamata Trg Evrope dall'altra parte della linea di confine.

E' evidente che la mancanza di un'informativa anche in lingua slovena, nel punto simbolo della nuova stagione di dialogo e piena collaborazione fra sloveni e italiani, è un fatto rilevante e grave. Essendo appunto spiegabile solo con la memoria di un passato ormai sepolto (anche se la posa delle colonnine informative segue di qualche anno l'ingresso della Slovenija in Schengen), si spera che il tutto venga sistemato correttamente quanto prima, tenuto conto tra l'altro che c'è tutto lo spazio possibile per aggiungere l'indispensabile traduzione.

Altrimenti sarebbe davvero singolare che proprio nel tanto decantato "spazio comune" delle/della Gorica, trovino spazio l'italiano, l'inglese e il tedesco, ma non lo sloveno! Confine "vecchio" sì, ma non ancora rimosso dai pannelli informativi del Comune.

Riflessioni fuori tempo sul 25 dicembre cristiano

Colomba dello Spirito, Via Rastello, GO
Intorno al 167 a.C. il tempio di Gerusalemme fu distrutto da una coalizione di popoli circostanti. Grazie all'organizzazione militare di una vera e propria Resistenza, il condottiero Giuda Maccabeo con un manipolo di suoi collaboratori, dopo una campagna militare di stampo che i vincenti definirebbero eroica e i perdenti terroristica, riesce a riconquistare la Città Santa, a riedificare il Tempio e a rinnovarne la Dedicazione al Dio di Israele.
Il luogo santo per eccellenza degli Ebrei fu devastato in un giorno identificabile con l'attuale 25 dicembre. Per questo, tre anni dopo, il Tempio profanato fu ripristinato in tutte le sue funzioni, in data 25 dicembre 164 a.C. 
E' logico pensare immediatamente alla data, che ricorda simbolicamente il momento dell'inizio dell'era cristiana. 
Accanto ai festeggiamenti del Sol invictus, delle memorie mitraiche e naturalmente del particolare momento del Solstizio d'inverno, quando il Sole sembra essere più lontano dalla Terra e le giornate stanno per ricominciare ad allungarsi, è un'altra sottolineatura dell'ovvio valore emblematico e simbolico della data natalizia. 
Per i primi cristiani - o meglio per quelli già avvezzi al sistema di potere parallelo a quello imperiale dell'avanzato IV secolo - Gesù Cristo è il vero "Sol invictus", è Lui che scalda e illumina l'universo di presenza divina, ma è anche il nuovo Tempio, distrutto e ricostruito in tre giorni, come dalla profezia riportata nei Sinottici. Come ogni anno, tuttora, si celebra l'Hanukkah (o festa della Dedicazione) per otto giorni, così avviene anche per il Natale con la sua "ottava" liturgica.
Insomma, il Contestatore per eccellenza dell'ordine costituito, viene a essere identificato con le più tradizionali memorie storiche e naturalistiche delle religioni antiche. Colui che ha predicato il superamento del sacerdozio ebraico è divenuto il "Sommo Sacerdote". Colui che ha abolito la distinzione tra sacro e profano, tra giorni festivi e feriali, ha intessuto della memoria sua e dei suoi discepoli l'intro anno solare. A cominciare dalla festa del Natale.

lunedì 4 ottobre 2021

Finalmente, un timido sorriso anche per chi guarda verso sinistra

Con tutti i sondaggi nazionali orientati verso la celebrazione delle formazioni di Destra proiettate verso una maggioranza assoluta in Parlamento, può sorprendere l'evidente trionfo della sinistra moderata nelle elezioni amministrative riguardanti alcune fra le numericamente più importanti città italiane.
Milano, Bologna e Napoli vedono passare al primo turno i candidati sostenuti dal PD e spesso da inedite maggioranze comprendenti anche formazioni più o meno civiche o esplicitamente di sinistra. A Roma Gualtieri dovrebbe passare al ballottaggio senza troppi problemi, forse con maggiore difficoltà il candidato del centro sinistra a Torino. Neppure a Trieste, che molti davano conquistata al primo turno da Dipiazza, il centro destra può dormire in questi quindici giorni sonni tranquilli, incalzato da Russo che sarà di certo sostenuto dalla piacevole e giovane sorpresa Laterza con Adesso Trieste e dagli altri rivoli superstiti della Sinistra. Si aggiunga naturalmente l'elezione di Letta in Parlamento e si può comprendere come il Partito Democratico, dopo anni non propriamente entusiasmanti, può finalmente abbozzare un sorriso. Si spera, senza montarsi troppo la testa. Ha senz'altro ritrovato un ruolo centrale nell'asse politico del centro sinistra e della sinistra italiani, ma non per questo può pensare di poterne fare a meno, occhieggiando magari a destra con l'unico fine di mantenere il potere.
La destra si può consolare con la Regione Calabria, con cittadine di media dimensione come Pordenone e con tanti piccoli Comuni sparsi nella Penisola. Tra essi c'è anche il "mio" Aiello del Friuli, dove l'inspiegabile estromissione del sindaco in carica da parte della sua maggioranza e il contestuale spostamento verso il centro destra del gruppo che ha mantenuto il nome e rivendicato i "successi" dell'amministrazione uscente, non hanno evidentemente prodotto i risultati sperati.
Il risultato è stato sorprendente fino a un certo punto, in realtà le previsioni degli ultimi mesi segnavano una forte discontinuità tra i sondaggi relativi alle preferenze politiche nazionali e quelli riguardanti i candidati sindaco nelle grandi città. Ciò significa che occorre mantenere desta l'attenzione, il Paese si sta spostando pericolosamente verso derive razziste e fasciste e, nonostante il più o meno alto apprezzamento riservato alle personalità che si sono presentate per rivestire la carica di sindaco, c'è da supporre che prima delle prossime elezioni politiche nazionali ne vedremo ancora delle belle.
Se si può raccogliere un messaggio più precisamente politico, sembra evidente una strada da percorrere, soprattutto nelle elezioni a doppio turno. Se in passato sembrava sostenibile ed efficace la proposta di tanti candidati sindaco stretti da alleanze elettorali per il secondo turno, oggi non è più così. Sembra invece funzionare lo schema "più liste con un unico candidato sindaco". Naturalmente i patti devono essere chiari e sarà interessante vedere come andranno avanti coalizioni tanto articolate e diversificate come quella che ha portato Lepore alla vittoria a Bologna. Perché spesso può essere relativamente facile convincere gli elettori, mettendo insieme le diversità, ma è certamente più delicato amministrare per cinque lunghi anni, se appunto non si hanno idee condivise e percorsi almeno tendenzialmente comuni. 
Se non lo si fosse capito, è un messaggio subliminale anche alla sinistra e al centro sinistra goriziani, o meglio goričani, dove l'"unità nella diversità" potrebbe essere confrontata anche con un gruppo di lavoro - e forse poi una lista - con lo stesso simbolo a Nova Gorica e Gorizia, accomunate nel 2022 dalle elezioni locali..
Come infine non riconoscere che il vero vincitore di questa tornata elettorale è l'astensionismo, giunto a Roma, come pure a Trieste, oltre la soglia della maggioranza assoluta? Ciò significa che chi amministra una città lo fa, di fatto, con il consenso di fatto, al massimo del 25% dei voti degli elettori, tre cittadini su quattro non scelgono di fatto il loro sindaco. Certo, è la regola ella democrazia rappresentativa, tuttavia è anche un segnale importante del quale si deve tenere conto, se non si vuole cadere dalle nuvole nel momento in cui il sistema democratico manifesta tutti i suoi limiti e le criticità. 
Buon lavoro quindi a tutte e tutti gli eletti, nella certezza che gli enti locali consentano ancora quello stretto rapporto tra cittadino e suo rappresentante che dovrebbe caratterizzare l'autentica Politica.

Che cosa è la Verità? Logica, etica, estetica nella democrazia del relativo

Non spaventatevi per il titolo. Dopo l'amletico "essere o non essere", questo è il problema: "assoluto o relativo". Ed esso centra con i criteri del nostro voto alle elezioni, con la scelta se vaccinarsi o meno, con una probabile guerra o la pace planetaria, con l'accoglienza illimitata o meno dei migranti, con l'affrontare una crisi di coppia con il divorzio o con un nuovo accordo, con le piste ciclabili e il turismo lento, con la scelta se vivere o morire, con le (infinite?) forme dell'amore, perfino con l'affermazione, la negazione o il dubbio sull'esistenza del Trascendente. Se potete, leggete ed eventualmente commentate. In ogni caso, grazie, almeno dal mio punto di vista.

Il punto, in effetti, è proprio questo: ammesso e non concesso che questa domanda abbia una risposta, che cosa è la Verità?

E' un interrogativo che ha enormi conseguenze, anche sulla vita quotidiana. Infatti, il tema della Verità coinvolge immediatamente - cioè senza mediazione - quelli altrettanto fondamentali della Bontà e della Bellezza.

Si è scritto tutto con la maiuscola, supponendo l'esistenza di "una" logica, di "una" etica e di una "estetica". Tutto andrebbe bene, se fossimo nati in qualche landa dell'Europa medievale intrisa del pensiero aristotelico e tomista. sarebbe semplice stabilire chi ha ragione e chi no, chi agisce bene e chi male e non sarebbe certamente bello ciò che piace, ma piacerebbe ciò che è bello. E il sovrano, incoronato da Dio mediante il suo rappresentante sulla Terra, sarebbe il garante di tutto ciò. Obbedendo a lui, si vivrebbe nella giustizia, disobbedendo, nell'iniquità.

Invece l'orologio del tempo ha ruotato rapidamente le sue lancette, dilatando lo spazio delle relazioni all'intero Pianeta, permettendo di scoprire l'esistenza di altri mondi diversi da quello medievale europeo, proponendo nuove forme interpretative dell'esistenza, del pensiero come fondamento dell'essere (cogito, ergo sum e non più sum, ergo cogito), della scienza non più come ricerca delle cause in un universo creato limitato, ma apertura degli orizzonti verso l'illimitato.

Tutto ciò ha relativizzato le grandi parole riferite alla percezione della realtà, dall'oggettivismo si è passati al soggettivismo, in forme sempre più particolareggiate e radicali. Non è più lecito usare la maiuscola dell'Assoluto, è necessario confrontarsi sulla quotidianità del Relativo, sul dialogo tra diverse verità, tra differenti concezioni della bontà, tra legittimamente articolate concezioni della bellezza.

Il sistema di esercizio del potere corrispondente è la democrazia, ovvero il risultato del confronto fra diverse concezioni della vita che si attua con la norma regolamentaria, cioè con la norma, la legge, frutto di una più o meno riuscita, ma sempre parziale e mai definitiva, sintesi. Non si tratta della ricerca del minimo comune multiplo, ma del massimo comune divisore.

E' evidente che nel tempo del trionfo - definitivo ma anche agonico - della tecnologia, la questione dell'effettiva "libertà di scelta" da parte dell'individuo è assai inquietante. Più che di relativismo s dovrebbe parlare di lobbysmo, più che di soggettivismo di dominio del più influente, cioè di chi detiene più degli altri i mezzi finalizzati alla creazione del consenso.

Ed ecco allora gli interrogativi prima suggeriti, riproposti in termini drammatici: se attraverso un processo democratico, sale al potere una forza politica antidemocratica, occorre accettarlo in quanto attuazione della regola oppure è necessario intervenire (violentemente, dal momento che si tratterebbe della ribellione di una minoranza nei confronti di una maggioranza)? Per tutelare quale bene? Quello relativo di chi ha vinto le elezioni o quello altrettanto relativo di chi le ha perse? Chi ha ragione e chi ha torto?

Oppure, per portare un esempio attuale, nel momento in cui ci si confronta sull'utilizzo o sulla pericolosità dei vaccini, riconoscendo posizioni alquanto diversificate sia tra gli scienziati che tra i medici, sia tra gli opinionisti che tra i politici, come può orientarsi un cittadino privo di mezzi per discernere? Di fatto si schiererà da una parte o dall'altra, procedendo da un giudizio di coscienza, nella piena consapevolezza della sua parzialità. 

Il riconoscimento della legittimità della diversità di opinioni e punti di vista da parte del soggetto, implica insomma la drammaticità di un dialogo che per essere tale non dovrebbe mai sfociare nella violenza fisica, ovvero nel tentativo di annullare la soggettività dell'uno in nome della soggettività dell'altro. Insomma, la teoria della nonviolenza, intesa non come forma religiosa dell'assoluto, ma come metodo pratico per affrontare l'inevitabile conflittualità fra le parti, deve essere rispolverata e riproposta quanto prima per evitare che il dibattito sia determinato da una specie di legge della giungla dove ogni uomo sia lupo per l'altro uomo.

La teoria della nonviolenza potrebbe essere l'aria che si respira sul ponticello fragile, sospeso fra la Verità aristotelico tomista ormai ammuffita nella soffitta della Storia e la debole ma dominante Certezza che determina le scelte individuali e collettive della modernità e della postmodernità.

Mica si potrà mettere in discussione tutto, perfino le conclusioni di Einstein? - dice qualche persona illuminata, preoccupata dalle possibili derive di una simile situazione. Già, Einstein, la cui principale "visione" è stata proprio la teoria della "relatività generale"!   

domenica 3 ottobre 2021

Santi folli

Tra i tanti eventi collegati al Festival èStoria di Gorizia, è stato interessante dialogare con Guido Alliney e Gerado Favaretto sul tema dei "santi folli".
Se il secondo, psichiatra di professione, ha sottolineato temi collegati soprattutto al rapporto tra individuo e società, il primo, storico medievale, ha illustrato alcune figure più specificamente chiamate proprio "santi folli", vissuti nella seconda parte del primo millennio in condizioni ai confini tra spiritualità e pazzia.
In realtà, il tema è quanto mai attuale. Chi è il santo? Chi è il folle? Ed è importante che tali interrogativi si pongano proprio nel parco goriziano dove Basaglia ha avviato il suo tentativo di liberazione delle persone con problematiche mentali da quel carcere peggiore del carcere che si chiamava manicomio.
"Visto da vicino, nessuno è normale", diceva, considerato in fondo a sua volta un santo folle. E chi è il matto? Quello rinchiuso dentro un recinto da una società che non lo sa accogliere oppure tutti coloro che stanno "fuori" e non si accorgono della propria venefica assuefazione ai criteri dettati dal potere politico e culturale?
Di fatto, nella storia della spiritualità, non soltanto cristiana, il santo, mentre è in vita, non è quasi mai considerato tale. Meno che meno egli stesso si definisce "santo", essendo naturalmente incline a contestare, esplicitamente o implicitamente, una forma o un sistema di vita imposto dalle regole comuni del vivere sociale. Il santo, mentre è in vita, è in realtà uno scomodo carismatico che mette in discussione le certezze dell'istituzione, la quale inevitabilmente lo deride, lo emargina, quando non lo perseguita senza pietà.
Dopo la morte, quando la carica rivoluzionaria insita nella follia dell'uomo spirituale è ancora forte, l'istituzione ha un formidabile strumento per disinnescarla. In ambito cattolico si chiama canonizzazione. La follia santa viene innalzata sugli altari, quasi crocefissa e resa in questo modo troppo lontana dall'ordinaria esistenza per influire ancora, per mobilitare le coscienze. L'istituzione se la cava con poco e il profeta ritenuto un pericoloso soggetto da tacitare si trasforma in modello ed esempio da seguire. Ma non è più lui, bensì la maschera con la quale viene ricoperto per impedire la contaminazione e la rivelazione della verità.
Santi folli, dunque e folli santi. Forse non si tratta di persone eccezionali, di figure inaccessibili dalle quali tenersi possibilmente alla larga. Forse si tratta semplicemente di coloro che, come direbbe Soren Kierkegaard, hanno voluto essere disperatamente sé stesse e ci sono riuscite. A differenza della stragrande maggioranza che non ha neppure immaginato di provarci e che si è imprigionata da sola nella spirale noiosa e ottusa del conformismo, dell'obbedienza acritica, della coscienza obnubilata. Ha accettato l'imposizione del Potere che da nulla si sente minacciato quanto dalla forza creativa che scaturisce da una Libertà vissuta. Nella santità e/o nella follia, appunto. 

sabato 2 ottobre 2021

La Giornata Mondiale della Nonviolenza


Pochi lo sanno, ma il 2 ottobre è la Giornata Mondiale della Nonviolenza. Si ricorda infatti il giorno di nascita di Gandhi, il 2 ottobre 1869, il più noto profeta moderno del Satyagraha.

Che cosa è la Nonviolenza? E' un metodo di relazione fra le persone e le comunità fondato sul rifiuto della difesa armata e dell'offesa fisica inferta all'interlocutore. Ciò significa che la scelta di non utilizzare i mezzi di distruzione dell'altro, è fondata su una visione del mondo e non su una mera strategia di risoluzione dei conflitti.

Per Gandhi "la ricerca della verità non ammette l'uso della violenza nei confronti dell'avversario, ma richiede che questo venga distolto dall'errore con la pazienza e la comprensione. Infatti ciò che sembra vero a una persona può sembrare errato a un'altra. E la pazienza significa sofferenza. La dottrina in tal modo assume la caratteristica di difesa della verità, non attraverso la sofferenza dell'avversario ma attraverso la propria sofferenza".

Ne consegue che nella controversia è più efficace essere feriti che ferire, perdere la propria vita invece di toglierla. Il che ovviamente non significa affatto passività o mancanza di coraggio nell'affrontare la lotta. Al contrario, la risoluzione nonviolenta richiede la massima disponibilità all'eroismo di chi dona la propria vita, non in base a un principio ideologico astrato ma alla semplice constatazione, che tutti facciamo parte di tutto, siamo connessi inscindibilmente al Cosmo, alla Natura e a ogni essere vivente.

Il metodo nonviolento si radica nei meandri più profondi e nascosti della persona e rovescia qualsiasi idea di dominio di una parte sull'altra.

E' una risposta forte anche alla situazione contemporanea, dove sempre meno si affronta il drammatico tema della diversità di opinione in un contesto democratico, nel quale l'esercizio del Potere è fondato sull'ottenimento della maggioranza dei consensi. Tale situazione, in particolare dopo il successo delle forme di governo "maggioritarie", tende a dividere i cittadini in due schieramenti fortemente contrapposti. 

Se Terzani diceva che solo la comprensione delle "ragioni" del cosiddetto "nemico" può consentire l'avvio di un dialogo, oggi sembra difficile trovare tale atteggiamento non soltanto nello scontro ideologico finalizzato alla conquista degli spazi di influenza economica e politica, ma anche nel quotidiano dibattito su scelte individuali - importanti proprio in quanto umane - come per esempio come porsi di fronte all'obbligo vaccinale o al suo rigetto.

Proprio per questo è necessario ricordare la Giornata internazionale della nonviolenza attiva, in un periodo in cui sembra avvicinarsi il tempo di una nuova Resistenza. Come comportarsi davanti all'evidente crescita di forze politiche di orientamento razzista, xenofobo, antidemocratico o filofascista? C'è un'alternativa allo scontro violento, verbale o fisico che sia? Che fare se democraticamente raggiunge il potere una forza antidemocratica? E' possibile ancora credere nelle parole insegnate da Gandhi o si è destinati a non uscire nella giustizia e nella pace dai contrasti se non con uno scontro fisico tra i portatori di diversi punti di vista?  

Sono domande drammatiche e attuali, per questo è bene rispolverare la teoria e la pratica del Satyagraha, per la verità un po' dimenticato negli ultimi tempi...