martedì 30 giugno 2020

Slovenia 2020: El pueblo unido hamas sera vencido!

Tanto tuonò che piovve. O meglio, cominciò a piovere. In Slovenija le manifestazioni contro la corruzione del Potere, in particolare in merito a uno dei consueti scandali sulla compravendita delle mascherine anticovid, sono iniziate nel pieno delle "serrande chiuse", con figure di piedi disseminate ovunque. Appena possibile, la contestazione si è trasformata in tintinnante processione di migliaia di biciclette, sostituite, dopo il lockdown, da una gran folla di camminatori. Il Governo ha cercato di reprimere la protesta, arrivando fino a vietare l'accesso alla Piazza della Repubblica, il luogo per eccellenza dello Stato sloveno e ordinando alla polizia in tenuta antisommossa di portare fuori con la forza delle braccia i manifestanti rei di proclamare, davanti al Parlamento, il dettato della Costituzione. Ma i cortei sono continuati, governati non dalle tradizionali forze politiche d'opposizione, ma orientato dalla declamazione delle poesie e dalla realizzazione delle più svariate performance artistiche. E poi una parte della stampa, in particolare Mladina, già in prima fila ai tempi delle rivendicazioni dell'indipendenza negli anni 1988-1991, ha denunciato in modo puntuale e documentato tutto ciò che si era svolto nell'ombra, sotto il cappello autoritario e repressivo del Governo Janša. Risultato: oggi si sono dimessi il ministro dell'interno e il capo della polizia, mentre il ministro dell'economia è finito sotto inchiesta. Insomma, si tratta di una vera e propria valanga che potrebbe ulteriormente ingrandirsi e arrivare a travolgere anche il livelli più alti del Potere. I capitoli successivi di questa vicenda sono ancora tutti da scrivere, nel frattempo si fa strada una certezza, quella che il popolo non è più passivo destinatario delle politiche elaborate da altri, ma torna protagonista, nel cuore dello Stato. Almeno, così sembra stia accadendo in Slovenija, oggi, 30 giugno 2020.

domenica 28 giugno 2020

Un Profeta fra noi, Aboubakar Souhamoro

Un uomo sta percorrendo il Paese, mettendo in discussione il sistema di vita che provoca invisibilità e marginalizzazione. Si tratta di Aboubakar Souhamoro, sindacalista ivoriano da diversi anni in Italia. Come gli antichi profeti, denuncia e propone. Dichiara finito un modo di gestire il Potere che divide il Pianeta tra poveri e ricchi, tra coloro che sono realmente soggetto di diritti e quelli che invece ne sono sistematicamente privati, dimenticati dalle leggi e dalle regole. Non fa distinzioni tra governi gialli verdi o rosa. Distingue soltanto chi fa gli interessi di tutti, a cominciare dai più fragili e deboli e chi invece si fa in realtà portavoce degli interessi multinazionali dei più ricchi, anche se a parole sembra voler sostenere politiche di giustizia e di equità.
Se la Sinistra è la parte politica che si fa carico dei dolori dei dimenticati e della denuncia di ogni schiavitù, proclamando il diritto al lavoro per tutte e tutti e la realizzazione della giustizia sociale. allora Souhamoro è oggi il vero rappresentante della Sinistra in Italia. E' un difensore dei miseri, ma anche il sostenitore di una Cultura che deve essere espressione di ogni essere umano, valorizzare la realtà di ogni vivente. Per questo è anche un poeta e nei suoi discorsi - regolarmente pubblicati sui canali social - riesce finalmente a scaldare il cuore, a convincere, a trovare armoniose parole la cui forza deriva dalla sofferenza e dalla condivisione.

Come ogni profeta, vuole essere un segno di contraddizione e invita a riunirsi non intorno alla sua persona, ma aderendo e portando avanti le idee di coloro che finora non sono ascoltati, non trovano voce nel consesso della politica attuale. Per questo, ha contestato gli Stati Generali dei ricchi, dove ha potuto incontrare il Presidente Conte dopo essersi incatenato davanti a Villa Doria Pamphili richiamando l'attenzione sulle migliaia di esclusi dai benefici previsti dalle recenti leggi legate al coronavirus. E per questo, in antitesi, ha chiamato al raduno in Piazza san Giovanni a Roma, il "luogo" simbolico per eccellenza del I maggio, del Sindacato e delle lotte operaie, gli Stati Popolari, ovvero non i rappresentanti degli straricchi, ma quelli della gran parte della popolazione italiana e mondiale.

E' giusto sostenere gli Stati popolari. Se daranno voce a cento o mille forme di lotta come quelle evocate da Souhamoro, forse davvero - fuori dalle asfittiche segreterie dei partiti, delle strategie organizzative e delle puntigliose teorie divisorie tra le mille correnti l'una contro l'altra armata - il 5 luglio sarà una data storica. Dall'assemblea di Piazza San Giovanni - e da molte altre piazze del Pianeta, riempite dal grido di chi non vuole sacrificare il futuro al dio denaro - potrà nascere finalmente una vera Sinistra, voce di chi non ha voce, forza autenticamente politica in grado di sovvertire gli attuali rapporti di forza, in Italia, in Europa e nel Mondo

Coronavirus: dai ragazzi un invito all'attenzione

A volte, anzi spesso, i più giovani sono dei veri maestri di vita.
E' accaduto in questi giorni ad Aiello del Friuli, dove il sindaco e i consiglieri che fanno parte del Consiglio Comunale dei Ragazzi hanno proposto a se stessi e a tutti un bell'esercizio. Ispirandosi ai quattro segni delle carte da gioco, hanno ritenuto di proporre alcune domande relative al periodo - drammatico ed eccezionale - delle  "serrande chiuse" nei mesi di marzo e aprile. Cosa ha significato quel rimanere chiusi in casa? Hanno individuato la tragicità degli avvenimenti che hanno portato alla malattia e alla morte migliaia di persone in Italia e centinaia di migliaia in tutto il mondo, hanno rilevato le preoccupazioni di chi ha perso il posto di lavoro. Hanno tuttavia anche sottolineato i tanti aspetti positivi, quali la riscoperta del silenzio e del valore della solitudine, il rispetto per la natura, la ricostruzione di relazioni familiari da molto tempo date troppo per ovvie e scontate. Si sono infine proiettati verso il futuro, domandandosi che cosa resterà di queste esperienze, che tutti auspichiamo rimanere uniche e irripetibili. Saremo migliori di come eravamo prima? Avremo fatto tesoro degli errori del passato? Ci riscopriremo più aperti alle sorprese della vita, più attenti alle necessità degli altri, più delicati nei confronti del creato?
Sono belle e importati domande che provengono dalla sensibilità del Pianeta Giovani, che troppo spesso gli adulti snobbano o comunque non conoscono. Sarebbe proprio bene che tutti ci ponessimo gli stessi importanti interrogativi, affinché le sensazioni e i pensieri di questo periodo non vengano subito dimenticati e tutto ciò che abbiamo vissuto possa tramutarsi in forza, coraggio e impegno, per essere protagonisti e non solo passivi spettatori, nella costruzione del prossimo futuro.

sabato 27 giugno 2020

I venerdì di Ljubljana: Svoboda je glagol, Libertà è Azione...

Ieri, 26 giugno, è stato il nono venerdì di protesta in Ljubljana e in Slovenija. Le migliaia di persone che si riversano ogni settimana nelle piazze e sulle strade, chiedono la fine dello janšismo, un approccio politico ritenuto dai manifestanti nazionalista, neoliberista e populista. Per i più giovani inoltre, questa visione incarnata dall'attuale Governo, guidato proprio da Janez Janša, rappresenta tutto ciò che fa parte di un passato ormai incapace di generare prospettive di speranza. Assenti per lo più i simboli e i volti dei partiti, anche di quelli d'opposizione, la contestazione trova i propri riferimenti soprattutto negli artisti. Le poche parole pronunciate sono delle vere poesie, i numerosi cartelli rivelano una straordinaria creatività nel sottolineare, accanto alla denunciata corruzione del sistema di potere, anche il razzismo, il trattamento inumano dei profughi, la rovina della Natura, la cancellazione dei diritti e la repressione poliziesca. Il punto di partenza sembra originale e interessante: la Cultura (con la C maiuscola) si propone come fondamento oggi di una protesta, domani di una nuova stagione politica. Non a caso è particolarmente significativa l'immagine del più importante poeta sloveno, France Prešeren, incatenato e triste. La grande statua si trova nella piazza a lui dedicata, nel luogo più centrale e visitato della capitale slovena. La scritta ordinariamente riporta correttamente il cognome Prešeren, che in sloveno significa anche "gioioso". Nella protesta si è visto cambiare il nome in Žalosten, che significa "triste". E' questo forse l'elemento innovativo e come tale pericoloso, forse la spiegazione del fatto che si parli così poco altrove di ciò che sta accadendo a Ljubljana. Non si tratta di congiure di palazzo, di sostituzione di governi variamente colorati. Si tratta di un popolo, o almeno di una parte di esso, che vuole partire dalla coscienza della propria autentica e profonda identità, per aprirsi a una visione nuova della Democrazia. Non si tratta di demolire il concetto di rappresentanza - anche se in Slovenia le percentuali dei votanti alle elezioni sono ordinariamente piuttosto basse - ma di ridare piena dignità alla partecipazione viva e attiva di tutti alla gestione del bene e dei beni comuni. La protesta può essere un modello per altri Paesi? Può nascere una nuova visione della Cultura e della Politica capace di unire rappresentatività e partecipazione assembleare? Si apre una strada verso un'Europa (e un Mondo...) non più dei mercati e delle lobby finanziarie, ma dell'ecologia, del lavoro e delle persone?
E' un po' troppo presto per dirlo, l'auspicio è certo quello che la forza poetica dei cortei sloveni non venga soffocata dal caldo dell'estate incipiente o ancor peggio da nuove restrizioni provocate da eventuali recrudescenze del coronavirus. E' un seme gettato, innaffiamolo affinché la pianta che da esso germoglia possa estendere la propria ombra ben al di là dei confini di una Nazione. Nel frattempo si accolga nel cuore uno degli slogano ricorrenti , "Svoboda je Glagol", la Libertà è Verbo, cioè parola che diventa gesto, azione...

La democrazia rosicchiata

E così, sembra che ci sia il "Giorno delle elezioni", dove dovrebbero essere raggruppati appuntamenti regionali di grande importanza, scelte di enti locali e referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari.
Che senso abbia il taglio dei parlamentari non si capisce tanto bene. O meglio, la motivazione superficiale è evidente ed è facile preda di posizioni populiste.Si fa per risparmiare, sottintendendo che un organo politico è di per sé un peso economico per lo Stato. La riduzione della rappresentanza in realtà è riduzione della forza della già in crisi democrazia rappresentativa. I territori saranno sempre più staccati da chi dovrebbe dare loro voce, le comunità numericamente minoritarie perderanno qualsiasi peso a livello nazionale e i pochi eletti (in tutti i sensi) saranno ancor più "casta" di quanto già non lo siano. "Ma in altri Paesi i Parlamenti funzionano in altro modo, con un rapporto più ampio tra elettori ed eletti". Sì, è vero, anche se non ovunque. ma ogni Paese ha caratteristiche molto diverse e il nostro sistema si è configurato così come è, per rispettare quella grande varietà di culture, lingue e dialetti, posizioni politiche che da sempre hanno reso originale e specifica la situazione italiana. "E i risparmi? Come contenere allora i costi della politica?" Semplicemente riducendo le paghe. Non si abbassi il numero dei parlamentari, si abbassino invece le loro paghe e si cancellino i loro assurdi e anacronistici privilegi. E, già che ci si è, si taglino anche le paghe e si cancellino i privilegi dei consiglieri regionali i quali, spesso senza alcuna responsabilità reale, guadagnano cifre mensili da capogiro, collezionando stipendio, diaria per il viaggio quotidiano (indipendentemente dal fatto che il viaggio si effettui o meno) e contributo secco esentasse per il pranzo. Dimezzando tutto ciò si otterrebbe senz'altro un ben maggiore beneficio senza per questo accelerare la distruzione del senso della rappresentanza.
Anche per ciò che concerne la "Giornata delle elezioni" c'è da esprimere forte perplessità. Si sa che, a differenza degli altri tipi di referendum, quello costituzionale non richiede il raggiungimento del quorum e quindi paradossalmente anche un solo elettore potrebbe determinarne l'esito. Ora, la campagna elettorale in molte grandi Regioni italiane soffocherà qualsiasi altra tematica politica e c'è il concreto rischio che a un'indubbiamente crescita del corpo elettorale chiamato alle urne per le elezioni amministrative corrisponda una scarsa possibilità di adeguata informazione su un tema estremamente delicato e importante. Per questo sarebbe stato meglio distinguere i due momenti, anche in questo caso mettendo in primo piano la partecipazione consapevole del cittadino rispetto alla necessità di "fare presto", con la scusa di recuperare nel più breve tempo possibile gli appuntamenti già previsti e poi rinviati a causa delle "serrande chiuse" imposte dal coronavirus.
In ogni caso, che si tenga o non si tenga il 14 settembre, la mia personale proposta è di votare contro il taglio degli eletto alla camera dei Deputati e al Senato della Repubblica.

mercoledì 24 giugno 2020

Il ritorno del Narodni dom

Mi permetto di dissentire. Trovo che l'"evento" storico più importante del 2020 in Friuli Venezia Giulia sia la restituzione del Narodni dom alla comunità slovena di Trieste. L'auspicio è che la presenza dei due Presidenti della Repubblica, di Slovenia Pahor e d'Italia Mattarella, sia un bel segno del desiderio di procedere con nuovo slancio nel cammino della comunione nella ricchezza delle diversità. L'incendio del Narodni è stato uno dei primi segni della violenza fascista, prodromo di quel razzismo sempre più evidente che condurrà la Nazione fino alle vergognose leggi razziali, proclamate da Mussolini proprio a Trieste nel 1938. La simbolica restituzione è un sacrosanto gesto di riconciliazione, anche se avvenuto quasi un secolo dopo quei tragici avvenimenti.
In questo contesto, la visita al discusso Monumento di Basovizza che ci azzecca? Ammesso e non concesso che quella sia davvero la tomba di tante vittime del periodo della presenza jugoslava in Trieste, in ogni caso ci si riferisce a eventi accaduti al termine della Seconda guerra mondiale, ultimo frutto velenoso di un conflitto voluto dai fascisti e dai nazisti. Che significato ha andare a Basovizza nello stesso giorno dell'inaugurazione del Narodni dom? Perché togliere anche la ribalta mediatica a un evento molto importante, supponendo che i media si scateneranno sulle immagini dei due presidenti che rendono omaggio nello stesso momento alle vittime delle foibe del 1945 e ai fucilati del gruppo TIGR del 1929? Cosa si vuol dire? Forse che l'inchino davanti alla presunta foiba in qualche modo "pareggi" a destra l'effetto della riconsegna del Narodni dom? L'incendio del centro culturale sloveno sarebbe posto sullo stesso piano degli eventi accaduti nel maggio del 1945? Che senso ha?
E anche la "par condicio" proposta da Pahor non ha molto senso, i morti ricordati nell'"altra" Basovizza sono stati fucilati dai tribunali fascisti perché essi volevano difendere i diritti del loro popolo, occupato dagli italiani dopo il Trattato di Rapallo. La visita congiunta ai due siti cosa vuol significare? Non tanto che la violenza è sempre violenza e che la dittatura è sempre dittatura, ma che è equivalente il giudizio storico sugli eventi provocati dal fascismo in venti anni di regime e quello sulle tragedie avvenute contestualmente alla definitiva liberazione dal nazi-fascismo. E questo è storicamente e moralmente inaccettabile, un ritorno alla teoria della riconciliazione delle memorie che si sperava superata dallo sguardo verso un comune futuro, come proposto dal quasi dimenticato Documento della "Commissione storica internazionale" che dal 2001 attende di essere valorizzato non certo come meta finale, ma come semplice punto di partenza per qualsiasi passo successivo.
In conclusione, cari Presidenti! Vivete in pienezza la festa del Narodni dom a Trieste. Al resto dedicate altri tempi e altre giornate...  

lunedì 22 giugno 2020

Rivoluzione culturale per una vera Demo-Crazia

"E meno male che non ci sono il capitone e la zucchina..." Questo ritornello ci accompagna da quasi un anno, evidenziando ancora una volta la debolezza di una sedicente sinistra incapace ancora di andare oltre la critica all'avversario. E' un film già visto con Berlusconi, cresciuto nei consensi proporzionalmente agli attacchi e alle derisioni ricevuti dai suoi avversari politici. anche ora c'è chi ritiene che il declino dell'impresentabile dipenda dall'efficacia delle critiche e non invece dai suoi clamorosi errori. Gli elettori che abbandonano il loro ex idolo sono delusi dal fatto che egli non abbia raggiunto alcuno dei suoi roboanti obiettivi, non convinti dall'intelligenza e dall'umanità dei discorsi che si sentono nell'entourage del Governo giallorosso. Infatti i sondaggi non rilevano uno spostamento verso il centro e il centro sinistra, ma la ricerca di un nuovo leader non tanto più a destra quanto meno fanfarone e più pratico del fu ministro dell'interno.
In questo contesto si salva perfino al mediocrità del presidente del consiglio Conte, che potrebbe essere un bravo vescovo dell'era pre-Francesco, capace di dire cose talmente ovvie da suscitare un moto di rabbia in chi l'ascolta con spirito critico e un irrazionale entusiasmo in chi sente nei suoi paroloni - inclusione, rilancio, rinnovamento, innovazione e così via - un accento in grado di suscitare ancora speranza, una specie di rivolo di fango umido nell'assoluto deserto.
Forse, se ci fossero stato al governo gli "all'inizio citati", ne avremmo viste di ben peggio, questo è vero, ma almeno avremmo avuto il coraggio di scendere in piazza per protestare contro tutto ciò che sta accadendo e che è insostenibile. Lasciamo perdere la reclusione assoluta di milioni di italiani, con una serie di misure a volte contraddittorie, a volte non troppo ben chiarite nel loro affidarsi agli umori mutevoli di scienziati da prima pagina, comunque - in presenza di non lodelvoli modalità diverse sperimentate senza successo in altre parti del mondo - dimostratesi nella loro essenza necessarie per superare un momento di crisi gravissimo.
Ma come accettare supinamente la non avvenuta cancellazione dei decreti (in)sicurezza? Come accettare la legge sulla "regolarizzazione", autentica montagna che partorisce il topolino? Come sopportare un Governo che a parole chiede verità per Giulio Regeni e poi non soltanto impone la liberazione di Patrick Zaky, ma addirittura vende grandi partite d'armi a uno Stato che usa la tortura come metodo di coercizione? Come avere ancora pazienza quando il tempo della proprietà pubblica dei beni comuni sempre allontanarsi sempre più? Come non dare voce al grido dei lavoratori che invocano il diritto al lavoro e alla sicurezza? Come evitare l'impennata dei prezzi, non imposti soltanto dalle pur iper-capitaliste regole europee, ma anche da un liberismo selvaggio e anacronistico? Solo per portare un esempio che è stato alla base delle controversie proteste dei gilet jaune in Francia, si veda il prezzo della benzina: il crollo del petrolio ha fatto sì che le pompe in Slovenia eroghino la "verde" a 1,000 euro al litro (sì, proprio 1,000, il contatore del prezzo e quello del contenuto corrono alla stessa velocità). In Italia, si va da un minimo di 1,350 a un maddimo (constatato oggi in  autostrada, di 1,699, ovvero 35 centesimi in più che fuori dall'autostrada e 70 centesimi in più rispetto alla Slovenia). E' possibile speculare fino a questo punto sugli automobilisti che devono viaggiare per lavoro, soprattutto in questo periodo in cui ancora non sono disponibili che pochissimi treni, anche sulle tratte principali?
"Allora vorresti che tornino i suddetti"? Certo che no, ma vorrei anche che il dolore che alberga nel cuore delle masse non sia interpretato e gravemente strumentalizzato soltanto dalle destre e neppure da moti di piazza difficili da interpretare. Vorrei che ci fosse un'autentica rivoluzione sociale, che possa nascere da una completa rivisitazione della relazione tra la democrazia rappresentativa e la democrazia partecipata, tra la forza carismatica dell'assemblea e l'intelligenza creativa di chi è chiamato a rappresentarne le istanze. In altre parole, vorrei una vera Demo-Crazia.   

sabato 20 giugno 2020

Da Lubiana può iniziare una protesta planetaria?

Dalla fine di aprile, appena concluso il periodo di chiusura nei comuni, ogni venerdì sera a Lubiana si svolge una grande manifestazione di piazza. Iniziata come iniziativa di ciclisti che riuscivano a unire l'esigenza di essere in tanti con quella di rispettare le distanze obbligatorie, la protesta si è sviluppata in altro modo, con grande successo, al punto da portare ogni volta sulle strade tra le 5000 e le 10000 persone. 
L'obiettivo principale è stato fino a poco tempo fa raggiungere la piazza della repubblica, dove sono collocati il Parlamento e le istituzioni politiche e culturali più importanti dell'intera Slovenia. Da un paio di venerdì l'accesso al sito è stato bloccato e presidiato e coloro che hanno tentato di scavalcare le transenne per occupare uno dei luoghi simbolo dell'appartenenza al popolo, sono stati prelevati con la forza e trascinati oltre le barriere da una folla di poliziotti in tenuta antisommossa.
La repressione non ha indebolito ma rafforzato i cortei che si sono sviluppati in tutta la città, raggiungendo tanti altri centri del Potere statale. 
Ma che cosa contestano i manifestanti? Quali sono le loro rivendicazioni?

  L'impressione è che tutti siano     accomunati da una generalizzata   avversione nei confornti dell'attuale   premier Ivan Janez Janša, da 100 giorni   presidente del consiglio dei ministri, da   subito dichiaratamente vicino   all'ungherese Orban e al gruppo europeo   di Višegrad. Viene contestata la deriva   autoritaria e repressiva, nascosta sotto   l'esigenza di combattere il contagio da coronavirus.

Il clima delle proteste è ovunque molto pacifico e a volte anche simpatico, con cori e balli spontanei ovunque, slogan curiosi e originali, performance artistiche di strada.

Tuttavia molti altri sono i temi proposti dai numerosi cartelli esplicativi, rigorosamente sono vietati gli emblemi di partito. C'è chi condivide la protesta planetaria contro il razzismo, stringendo il pugno davanti all'ambasciata americana, curiosamente caratterizzata da un balcone fiorito con i colori della bandiera della pace. Ci sono gruppi ambientalisti che richiamano i disastri del cambiamento globale, così come si mettono in evidenza le associazioni spirituali che ripropongono il ritorno alla terra madre. Molto spazio hanno i temi legati alle migrazioni, con la condanna esplicita dei respingimenti dalla Slovenia alla Croazia e del violento trattamento riservato ai profughi rigettati oltre i confini       della Croazia nel territorio   bosniaco.Naturalmente c'è solidarietà nei confronti delle persone prese di mira dalla polizia e si esprime forte preoccupazione per i tentativi di reprimere con la forza i moti popolari. Accanto alle ordinarie questioni più strettamente politiche, fanno capolino le problematiche nazionali e internazionali.La forza della contestazione sta forse proprio nella tenacia del ritrovarsi - ogni volta di più - ogni venerdì senza eccezioni. E sta anche nella tranquillità di una folla capace di resistere a qualsiasi provocazione da parte di una polizia la cui presenza è talmente assillante da far pensare proprio a un disegno voluto per seminare paura e sollecitare reazioni.Se ne parla poco, fuori dalla Slovenia, di ciò che sta avvenendo a Lubiana e - anche se in modo meno eclatante - in altre città (compresa Nova Gorica). Perché questo apparente disinteresse? Forse perché le migliaia di sloveni che sfilano nelle vie della capitale, dietro al contrasto a quello che chiamano janšismo nascondono il desiderio di esprimere un disagio piú profondo. È il dolore di un'umanità oppressa dal tramonto del capitalismo occidentale. Ciò che sta accadendo a Lubiana potrebbe innescare simili eventi a Roma, a Parigi o a New York. E queste folle intergenerazionali e multicolori, forse potrebbero costringere la democrazia rappresentativa a ripensarsi. Potrebbero far germogliare una nuova stagione di partecipazione, nella giustizia e nella libertà. E di ciò i detentori del Potere, qualunque orientamento post-ideologico abbia, non possono che avere un sano timore...

venerdì 19 giugno 2020

Valentin Stanič, un genio goriziano quasi dimenticato

I goriziani probabilmente riconoscono facilmente la torretta in altro a destra. Pochi tuttavia saprebbero riconoscere la chiesa, se non gli studenti che frequentano l'Istituto scolastico di via Italico Brass. E anche la maggior parte di questi non saprebbe rispondere alla domanda su cosa ci faccia una chiesa nel cortile di una scuola.
Eppure il luogo è storico e parla di una delle personalità più geniali della storia di Gorizia. E' stato ricordato ieri pomeriggio, nel corso di un semplice ma molto intenso momento di incontro, grazie all'iniziativa del Kulturni dom di Gorizia che ha invitato la cittadinanza a ricordare Valentin Stanič, autentico poliedrico genio.
Nato a Bodrež è stato un autentico "costruttore di ponti", non solo in senso metaforico, ma anche pratico, essendosi adoperato e avendo collaborato al disegno del primo bel ponte che ha collegato le due sponde del fiume nel vicino paese di Kanal ob Soči. Ha lasciato il segno del suo passaggio a Salzburg, dove ha studiato e in diversi altri luoghi dell'Impero asburgico. Si è avvicinato alla Natura, con una speciale passione per la montagna. Tra i primi alpinisti sulla vetta del GrossGlockner, ha conquistato diverse vette, tra le quali il Watzman e molte altre, nelle Giulie e nelle Carniche. Per lui l'arrampicata non era un semplice gesto sportivo, ma un'espressione di amore per i paesaggi naturali. Ha fondato una delle prime associazioni ambientaliste d'Europa, in particolare finalizzata alla tutela degli animali, dimostrando una straordinaria sensibilità verso il mondo degli esseri viventi nel loro insieme. Diventato sacerdote, ha potuto esercitare il suo ministero in ambienti molto poveri, sull'altopiano della Bajnšice e a Ročinj, piccolo borgo a nord di Kanal. La sua grande preparazione gli ha consentito di essere un grande educatore e maestro, donando la dimestichezza con la parola ed elevando il tenore culturale di quei piccoli paesi. Nominato canonico, Valentin giunge a Gorizia nel 1819 e vi resta fino alla morte, non certo per trascorrere una tranquilla pensione. Colpito dall'emarginazione sopportata dalle persone con difficoltà uditive, fonda la scuola per coloro che fino a non molto tempo fa venivano ancora definiti "sordomuti", creando per loro uno spazio di apprendimento, ma anche di socializzazione e di ricreazione. La chiesa nella foto fa parte del complesso voluto dallo Stanič e collega strettamente lo spazio spirituale con quello lavorativo, essendo ad essa collegati i laboratori per l'introduzione ai mestieri. Tra le altre attività, il sacerdote di Bodrež realizza anche una rudimentale tipografia, per tradurre in linguaggio scritto la nobiltà della parola orale. Insomma, per la sua attività di prete maestro, si potrebbe definire un "don Milani" dell'800. Purtroppo Gorizia non ha ricordato a dovere questo suo importante personaggio, come prete appartenente alla tradizione religiosa del popolo sloveno, a metà strada tra il predicatore protestante Primož Trubar e il dolce poeta Simon Gregorčič. Mentre in Germania è dedicato al suo nome il più importante premio alpinistico nazionale e in Slovenia sono stati realizzati lapidi e busti in suo onore, oltre che un sentiero che porta il suo nome e che collega Solkan con Kanal attraverso le creste del Sabotin e del Korada, a Gorizia c'è solo un piccolo parcheggio, un piccolo gesto di riconoscenza dovuto al benemerito sforzo di Aldo Rupel e della commissione toponomastica della Giunta Brancati. Il Comune, ma anche l'Arcidiocesi di Gorizia, dovrebbero certamente ricordarlo in modo più sentito e più degno.

mercoledì 17 giugno 2020

Giovedì 18 giugno, ricordo di Valentin Stanič


Giovedì 18 giugno, alle ore 16, presso la scuola isis di Via Italico Brass in Gorizia, Igor Komel, Vlado Klemše e Andrea Bellavite ricorderanno la figura di Valentin Stanič, a 200 anni dalla sua venuta a Gorizia, dove è stato fondatore della benemerita scuola per i sordomuti, istituzione durata fin quasi ai giorni nostri. Chi era Stanič? Ne riprendiamo alcuni tratti dal libro Isonzo, edito da LEG nel 2014. 
Uno dei più singolari rappresentanti della cultura slovena d’ogni tempo è Valentin Stanič. Nato a Bodrež, minuscola frazione a due chilometri da Kanal, nel 1774, compie gli studi a Tarvisio, Klagenfurt e Salzburg, prima di essere ordinato sacerdote nel 1802. Esercita il ministero sacerdotale in diverse parrocchie dell’Arcidiocesi di Gorizia, unendo la testimonianza di fede a un non comune spirito avventuroso e pionieristico. Avvicinatosi alla montagna già nel periodo degli studi salisburghesi, ha legato il suo nome a molte straordinarie imprese alpinistiche. Tra esse, la seconda ascensione del Grossglockner, la più alta vetta dell’Austria, e molte altre “prime” sulle più alte montagne della Slovenia della Carinzia e del Friuli. Appassionato di botanica, ha dimostrato sempre un grande attaccamento alla natura, fondando anche un’associazione contro il maltrattamento degli animali. Ha contribuito alla decisione di edificare il ponte in pietra di Kanal, si è prodigato nella diffusione del vaccino contro il vaiolo, ha amato il mondo giovanile, realizzando ovunque centri di formazione e scuole. Giunge fin quasi ai tempi attuali la scuola dei sordomuti di Gorizia, realizzata grazie al suo intervento nel 1840. Canonico del Duomo, è morto a Gorizia il 29 aprile 1847.
A Valentin Stanič sono dedicati un busto artistico nel centro di Kanal, una piazzetta in Gorizia, presso quello che è stato il “suo” istituto per i sordomuti, numerose vie in paesi e città della Slovenia. E’ ricordato anche attraverso la dedicazione di un prestigioso premio conferito ogni anno dalla sezione di Monaco di Baviera del club alpino tedesco a persone che si sono distinte nell’amore all’umanità e alla natura. C’è anche un lungo itinerario, una sorta d’alta via, che collega Salcano, presso Gorizia, con Kanal ob Soči, consentendo agli escursionisti di attraversare in cresta tutto il Monte Sabotino, il Korada e parte del Kolovrat. Per chi se la può permettere, è una splendida camminata, che si svolge sempre immersi in una splendida cornice ambientale e in un territorio che letteralmente in ogni suo lembo, “sanguina storia”.

In memoria di una bimba morta sulla spiaggia della Libia

E' un po' difficile scrivere di altro, quando la notizia del giorno è quella di una bambina di cinque mesi trovata morta sulla spiaggia della Libia. E' una delle oltre 20.000 persone che sono morte nel Mar Mediterraneo dal 2014 in poi. Eppure, come accaduto con Alan Kurdi, l'immagine di un corpicino devastato riesce ancora a "bucare" la coltre dell'indifferenza e a mettere in discussione, almeno per un attimo, le coscienze.
Quella bimba non è vittima di un incidente, ma delle politiche assurde degli Stati africani ed europei. Sì, questi e quelli. I primi, i cui capi sono di solito "figli" e "nipoti" dell'antico colonialismo, costringono le popolazioni in condizioni di vita inumane, spesso aggravate da conflitti fomentati dagli interessi economici del Nord del Mondo. I secondi, in compagnia con quelli dell'America Settentrionale e dell'Oceania, non sono in grado, nonostante gli enormi mezzi a disposizione, di produrre una Politica delle migrazioni che si rispetti.
E così, chi in modo becero e violento, chi in modo gentile e ipocrita, si accettano i respingimenti in mare, l'affidamento alle guardie costiere libiche, i campi di concentramento della Turchia e delle isole greche, le bastonate ai confini tra la Croazia e la Bosnia, tra la Turchia e la Grecia, il riaccompagnamento illegale di chi arriva in Italia, "deportato" in Slovenia, poi in Croazia e infine nella Bosnia ancora martoriata dal coronoavirus.
La bambina sulla spiaggia offre la sua vita alla voce forte di Soumahoro, che in Italia ribadisce la necessità di regolarizzare i braccianti e i lavoratori irregolari, di cancellare la vergogna dei Decreti In-Sicurezza targati Salvini (ma anche Conte e Di Maio...), di chiudere i CPR immediatamente, di ripristinare, così come era, lo SPRAR per un'accoglienza e un'integrazione reciproca degni di questo nome.
Avanti dunque, parliamo anche d'altro, la vita è finita solo per quella bimba e probabilmente per la sua famiglia. Ma almeno, si cerchi di non dimenticare troppo in fretta e di lottare perché questa ennesima tragedia non sia accaduta invano.

domenica 14 giugno 2020

Un cartello da restaurare

Giardini di Gorizia, 14 giugno. Il bellissimo cartellone promosso da Isonzo-Soča è ancora lì, pronto a illustrare luoghi, eventi e storia di un territorio unico. Purtroppo poco dopo l'assai opportuna installazione, avvenuta con il consenso e la partecipazione anche del Comune di Gorizia, oltre che con l'aiuto concreto degli operai comunali, l'amministrazione ha invertito la rotta negando di aver mai concesso il patrocinio. Da allora è passato molto tempo, di sicuro più di un anno e il manifesto ha subito ogni sorta di offesa. Prima si è dovuto incollare un brutto listello scuro a nascondere i numerosi sponsor, poi si è assistito a penosi palleggiamenti di responsabilità sui quotidiani locali, infine qualche nostalgico neofascista ha pensato bene di rovinarlo, deturpandolo con un pennarello rigorosamente nero. E così questo pannello, inneggiante alla bellezza della convivenza nella diversità delle lingue e delle culture, è diventato l'ennesimo segno di una chiusura mentale che non fa bene all'intero territorio. Spesso si vedono le persone - turisti e non - sostare davanti al cartello, incuriosite e anche a volte con un blocco appunti per segnare i luoghi da visitare. I più scuotono la testa davanti alle immagini imbrattate, tanto più chi sa che è ormai troppo tempo che la situazione è la stessa. E' urgente che l'Amministrazione Comunale ritorni al suo percorso originario, ribadisca il proprio appoggio alla meritoria opera e la faccia immediatamente restaurare. Sì, perché così come è, è un pessimo segnale ai "giudici" che dovranno decidere quale sarà la capitale europea della cultura nel 2025.

giovedì 11 giugno 2020

Edipo Re

Sigmund Freud ha di fatto blindato l'interpretazione della straordinaria tragedia di Sofocle. Edipo è diventato la chiave ermeneutica per penetrare oltre la porta del conscio e scoprire i desideri inconfessabili, quelli relativi all'uccisione del padre e al matrimonio con la madre.
Ogni tanto rileggere uno dei più alti capolavori letterari e teatrali è molto utile e, come accade sempre con i testi antichi, ogni volta si scopre qualcosa di nuovo o forse, balza agli occhi un nuovo punto di vista.
Tralasciando il terribile "crescendo" che porta il signore di Tebe ha scoprire passo dopo passo una verità che solo l'indovino Tiresia, nella sua cecità, era riuscito a "vedere", ci sono alcuni aspetti particolarmente interessanti che non sempre vengono rilevati.
Anzitutto la totale mancanza di pietas di Edipo - e di tutti i protagonisti, compreso il coro - nei confronti dell'incauto viaggiatore che, insieme alla scorta, aveva tentato di oltrepassare il viandante rischiando di schiacciarlo nei pressi del famoso trivio. Non si tratta di un semplice incidente stradale, ci lasciano le penne Laio e tutti i suoi accompagnatori, trascinati dalla furia omicida del passante offeso. Lo scandalo non sarà l'assassinio di tutta la compagnia, chi siano i morti è del tutto irrilevante, il dramma è incentrato esclusivamente sul riconoscimento del padre.
In secondo luogo, come capita spesso nel teatro greco, è difficile cogliere la demarcazione fra il bene e il male. Il servitore che ha deciso di salvare Edipo invece di lasciare il neonato in preda ai denti delle fiere, ha agito perché mosso da un sentimento umano, chi se la sentirebbe di lasciare sui monti un esserino piccolo e indifeso? Eppure tutto era già scritto nel destino: il figlio avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, ovvero avrebbe compiuto i più gravi delitti immaginabili in quel tempo. Ci si può ribellare al destino? Una buona azione può portare conseguenze cattive? Se qualcuno - dio o uomo che sia - potesse prevedere la mostruosità di una vita dedita solo al Male, perché non dovrebbe impedire che essa abbia inizio? Fin dove giunge il libero arbitrio, se tutto è determinato dal fato?
Anche Giocasta non è indenne da atteggiamenti per lo meno discutibili. E' lei che per il "bene" del marito e di sé stessa, ha deciso di abbandonare il proprio figlio sul Citerone. I problemi se li pone solo quando intuisce la verità dietro alle parole oscure dell'araldo che viene ad annunciare la morte del padre adottivo di Edipo. Prima per lei quell'uomo è solo colui che risolve il problema posto dalla sfinge, soluzione dell'enigma che sembra spalancare a colui che ha indovinato i cuori e le menti di tuti i tebani.
Infine è straordinaria l'intuizione di Sofocle: proprio colui che riesce a comprendere la soluzione dell'enigma, proprio lui finisce in un vortice di dolore immenso e incomprensibile. Davvero la scoperta della dignità dell'Uomo corrisponde alla consapevolezza della sua intrinseca fragilità.

mercoledì 10 giugno 2020

Due navi da guerra e il silenzio su Giulio Regeni

Il Governo, o meglio i governi italiani non hanno fatto niente per ottenere VERITA' PER GIULIO REGENI. Questo si sa e non c'era bisogno degli avvenimenti di questi giorni per confermarlo.
La grande commessa militare dell'Italia all'Egitto è un ulteriore scandalo e rivela una duplice evidenza, cancellando silenzi imbarazzati e ipocrisie. 
Da una parte, come chiaro fin dal primo giorno della terribile vicenda del giovane di Fiumicello, "gli affari sono affari" e non c'è diritto umano che tenga. Gialloverdi o giallorosa che siano al potere, il risultato è sempre lo stesso, al fi là delle chiacchiere di circostanza. Se non fosse per la gigantesca mobilitazione resa possibile dalla tenacia della famiglia Regeni, oggi nessuno ne parlerebbe più, come si parla poco di Patrick Zaki e niente delle migliaia di torturati e uccisi in Egitto e in altri Paesi del mondo.
Dall'altra la questione è anche un'altra, e non legata solo al rispetto nei confronti di Giulio, come sembrerebbe intendere la sempre più timida Laura Boldrini. Viene infatti detto, senza mezzi termini e senza trafiletti invisibili nella trentesima pagina dei giornali, che l'Italia è una grande venditrice di armi, a qualsiasi Paese in grado di pagare, compreso quelli dove la tortura è elemento di sistema, i diritti umani sono negati e vige la persecuzione politica e ideologica. I capi del Governo, i ministri della Difesa e quelli dell'Economia si susseguono l'uno all'altro, tutti si inchinano davanti a chi proclama che "la guerra è una follia" e che "i trafficanti di armi sono criminali", tutti nel contempo si adeguano alla legge del dio denaro e di fatto favoriscono in ogni modo la produzione e la vendita dei più sofisticati strumenti bellici. Il Governo Italiano è un trafficante d'armi legalizzato.
Crimi, capo politico del movimento più rappresentato attualmente in Parlamento, afferma che la mancata vendita delle navi da guerra non avrebbe favorito la verità per Giulio Regeni. Scandalosamente, con una sola frase evidenzia l'impotenza dell'attuale maggioranza nell'imporre come minimo il ritiro dell'ambasciatore italiano e la messa in discussione di Al Sisi e nel contempo la mancanza di scrupoli nel vendere all'Egitto e altri Paesi armi finalizzate a uccidere.
A questo punto, non resta altro che ringraziare del fato che in Italia ci siano la famglia Regeni, gli armatori di Mediterranea, i Comitati per l'Accoglienza e la Solidarietà Internazionale, costruttori di pace e di giustizia che mantengono viva la speranza che ancora, "un altro mondo è possibile". 

10 giugno 1940, l'Italia entra nella guerra voluta dal nazi-fascismo

Giornata terribile per l'Italia, il 10 giugno di 80 anni fa! Mussolini celebrava l'apice della funesta dittatura fascista proclamando in Piazza Venezia a Roma la partecipazione alla seconda guerra mondiale. Quasi nessuno oggi se ne ricorda, l'anniversario sembra passare in secondo piano di fronte alle problematiche del presente. Forse, più probabilmente, è scomodo ricordare che gli italiani hanno applaudito in massa, con entusiasmo - salvo rare eccezioni - una decisione che ha provocato milioni di morti e una serie ininterrotta di distruzioni, le cui conseguenze durano fino ai giorni nostri. Il fascismo è corresponsabile con il nazismo della tragedia bellica, delle leggi razziste e dei campi di sterminio, delle città rase al suolo per piegare le potenze militari tedesca e giapponese, delle sanguinose attività della malinconica ma tragica Repubblica di Salò, anche delle deportazioni verificatesi nel maggio triestino e goriziano del '45, ultimo capitolo di una storia iniziata quel 10 giugno 1940. 
Se non ci fossero stati i contestatori del regime - prima del 25 luglio 1943 pochi, poi sempre di più fino all'ottenimento della Liberazione - la sconfitta sarebbe stata totale, invece la presenza di tanti che hanno versato il loro sangue per la giustizia e la libertà, ha in parte riscattato l'inenarrabile vergogna di una piazza che urlava la propria macabra adesione alle parole più terribili pronunciate da un balcone rimasto per sempre nella memoria collettiva.
Per questo sembra proprio inopportuna l'indizione di una commemorazione ufficiale della "liberazione" di Gorizia e Trieste, decisa per il 12 giugno dai rispettivi Consigli Comunali. A nessuno è negato il diritto di ricordare i defunti, esseri umani che hanno perso la vita negli ultimi giorni della guerra voluta dal nazi-fascismo. E' giusto pensare alle vittime, spesso innocenti, che sono state deportate e alcune di esse uccise, ma non si può parlare di "liberazione". E' diverso dedicare un fiore con pietas all'umana sofferenza di ogni uomo, rispetto a esprimere una riflessione di ordine storico. L'unica Liberazione, con la L maiuscola, è stata quella dal nazismo e dal fascismo, condizione che ha consentito la fine della guerra. L'unica celebrazione deve restare solo quella del 25 aprile. Le tragedie conclusive sono i colpi di coda di un conflitto del quale sono colpevoli non solo Mussolini ma anche gli italiani che lo hanno sostenuto per venti anni e che hanno inneggiato alle sue farneticanti parole, il 10 giugno 1940, giorno della vergogna.

domenica 7 giugno 2020

Oltre le idee, solo le emozioni?

La democrazia rappresentativa dovrebbe funzionare a grandi linee così. In ogni Nazione (o gruppo di Nazioni o anche potenzialmente in unico stato mondiale) i Parlamenti dovrebbero essere luoghi di confronto tra portatori di diverse idee della vita, della società e del mondo. Il loro serrato dialogo dovrebbe portare all'elaborazione e all'approvazione delle leggi, espressione appunto del massimo punto di incontro tra le weltanschaung rappresentate. Per esempi, la visione liberale che sottolinea la libertà d'impresa e la necessità di diminuire l'intervento pubblico sull'iniziativa privata deve lasciarsi mettere in discussione dalla visione sociale che al contrario privilegia l'intervento statale e il servizio pubblico come condizione perché il privato, in nome della propria libertà, non generi disuguaglianza e ingiustizia. Così dovrebbe essere, ma...
...ma se vengono meno le idee e le ideologie, che sono manifestazioni di un'intrinseca razionalità, che cosa rappresentano gli eletti? Sulla base di cosa vengono scelti dai votanti, nel momento in cui fanno appello a generici e inevitabilmente condivisibili principi assoluti, democraticità, libertà, onestà, ecc., svincolati da qualunque parvenza di sistema coerente di valori?
La conseguenza inevitabile, allo stato attuale delle cose e prima di un indispensabile ripensamento del concetto stesso di democrazia, è la crisi sistemica, almeno sotto due punti di vista.
Da una parte le scelte elettorali dipenderanno sempre meno dalla razionalità e sempre più dall'emozionalità. Intendiamoci, questo è sempre accaduto, ma oggi, con gli strumenti informatici e con il progresso impressionante delle comunicazioni, è facile immaginare scenari nei quali i pochi detentori dei codici informatici potranno controllare di fatto gli orientamenti di una massa sempre più grande di persone, impossibilitate a pensare ad altro che al proprio (o meglio a quello degli "influenzatori" di turno) immediato tornaconto.
Dall'altra gli eletti saranno sempre più svincolati da un potere reale di intervento sulla società, determinato invece dai potentati economici sempre più in grado di controllare i processi di cambiamento planetario. In questo contesto, non potendo legiferare su ciò che è determinante, cercheranno il seggio solo per garantire a sé stessi o al gruppo di appartenenza piccoli privilegi da antica casta censuaria.
Quindi? Quindi è inutile che la sinistra si scandalizzi perché la propria coerente razionalità sembra interessare sempre a meno persone. E' necessario che a essa si unisca una forte capacità di mobilitazione delle coscienze attraverso l'esercizio delle emozioni. Lo hanno capito Greta Thunberg e pochi altri, perforando con gigantesche azioni di massa il muro dell'indifferenza post-ideologica. ma è necessario che la loro esperienza diventi materia per una nuova stagione democratica, oltre i confini da tempo superati della classica dialettica tra liberalismo e socialismo.
Riflessione a caldo, leggendo Y.N. HARARI, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani 2019

venerdì 5 giugno 2020

Troppo giovani e troppo vecchi...

La mia generazione - figli degli anni '60 - ha avuto una caratteristica molto particolare. Si è stati troppo giovani fino al giorno in cui ci si è svegliati troppo vecchi.
Si è infatti cresciuti seguendo dei "mostri sacri". In politica c'erano coloro che avevano fatto la Resistenza, giovani rampolli nel primo dopoguerra e inamovibili centri di potere fino al crollo delle ideologie, accompagnati e qualche volta sostituiti dai protagonisti del '68. Il giornalismo e la televisione hanno presentato sostanzialmente gli stessi volti fino a tempi molto recenti, Pippo Baudo, Mike Bongiorno e Raffaella Carrà presentavano i più importanti spettacoli nazionali, alternandosi al ritmo delle frequenti e ripetute presidenze del Consiglio. In ambito scientifico i "baroni" occupavano le cattedre universitarie e per poter aver un minimo diritto di parola i giovani dovevano farsi largo portando per anni le borse dei titolari. Nella Chiesa dominata da una gerontocrazia inamovibile, si facevano strada i rampolli del Concilio Vaticano II, blindandone l'interpretazione - da destra e da sinistra - sostanzialmente fino all'epoca dell'attuale Pontificato di Francesco. E ovunque ci si sentiva dire che "manca ancora l'esperienza", che "occorre farsi", che "giungerà il momento giusto"... 
E quando, dopo tanta attesa, neo-quarantenni o appena-cinquantenni pieni di ottime intenzioni, si è finalmente raggiunta l'età in cui smettere i calzoncini corti dell'apprendistato e indossare le toghe solenni del Potere, è arrivato lui, il se-dicente "rottamatore".
E all'improvviso ci si è sentiti "vecchi", custodi di un ordine al quale in realtà non si è mai appartenuto, scavalcati dall'orda delle nuove generazioni d'assalto, pronte a liquidare le cariatidi del passato e a slanciarsi verso il nuovo Sole dell'avvenire. Il renzismo ha portato le nuove generazioni in Parlamento, con un calo vertiginoso degli indici di età media, le tv statali e private si sono riempite di volti nuovi, meteore di un istante sotto gli sguardi preoccupati o bonari degli stagionati conduttori storici, i preti ipergiovani si sono divisi il cattolicesimo tra progressisti entusiasti "francescani" e tradizionalisti da far impallidire la memoria di Lefebvre. E tutti a dire che il valore dei valori è il "cambiamento", qualunque esso sia. L'esperienza è diventato un freno del quale liberarsi, salvo stritolare anche i nuovi venuti nella stessa Restaurazione appena avviata. Insomma, cose già viste...
E noi in mezzo, la generazione dei troppo giovani fino al giorno in cui non siamo diventati troppo vecchi.

martedì 2 giugno 2020

Il ritorno delle piazze

Già prima della pandemia, negli ultimi anni, sono cresciuti grandi movimenti di rivendicazione e protesta, tali quali non si vedevano dalle manifestazioni anti G8 a Genova nel 2001 o dalla mobilitazione generale per la pace nel mondo, il 15 febbraio 2003, alla vigilia della II guerra irachena.
Le piazze occidentali si sono nuovamente riempite, a livello planetario grazie a Greta Thunberg con milioni di giovani impegnati nei venerdì per il clima e ai diversi pride realizzati in tutte le più abitate città del Nord del Pianeta. In Italia la solidarietà con gli immigrati ha permesso di organizzare straordinari (e ben poco pubblicizzati) cortei, con presenze nell'ordine oltre i 100.000 a livello nazionale, oltre i 10.000 nel Friuli Venezia Giulia. Le "sardine", si pensi ciò che si vuole del loro non sempre chiaro orientamento culturale, hanno avuto il merito di riavvicinare alla politica rappresentativa milioni di cittadini, soprattutto giovani. Ovunque hanno ripreso il loro percorso le marce per la pace, la giustizia e i diritti delle persone.
Tutto ciò è stato momentaneamente bloccato dal virus globale che tra gli altri danni ha portato anche quello dello scoraggiare i grandi raduni di popolo, a causa del distanziamento imposto dalle discusse esigenze di evitare il contagio. Anzi, dopo il tempo del silenzio e delle "serrande abbassate", la sfida ai governi ritenuti colpevoli di terrorismo psicologico e strumentalizzazione dei fatti, è diventata uno degli elementi della nuova protesta, fatto proprio ordinariamente dalle destre dove i governi si definiscono di sinistra e dalle sinistre là dove i governi sono di destra.
Negli Stati Uniti le vicende tragiche di Minneapolis hanno da una parte rivelato un'America molto sensibile ai diritti umani e scandalizzata da forme di repressione disumane per non dire criminali. Ma hanno anche dato l'occasione a Trump di uscire dalla marginalizzazione provocata dalla confusa gestione del coronavirus e recuperare il ruolo di "custode" degli interessi delle multinazionali, di parte degli industriali e soprattutto di quel mondo agricolo che costituisce il suo grande bacino elettorale.
In Slovenia decine di migliaia di ciclisti invadono ogni venerdì la Capitale e le altre principali città, sfidano il nuovo premier Janša, contestandone la pericolosa deriva autoritaria e l'"amicizia" con i principali capi sovranisti e nazionalisti dell'Unione Europea. La loro protesta si va ampliando di settimana in settimana, ma riuscirà a convincere la popolazione non legata alle città, serbatoio di fedeli per la sofferente Chiesa slovena e per le istanze della destra di potere?
In Italia sembra accadere il contrario, le contestazioni vengono dai gilet arancioni ma anche dalla destra razzista e xenofoba che organizzano assembramenti senza mascherine non solo per esprimere perplessità sulle scelte sanitarie, ma soprattutto per chiedere la rimozione di un Governo che sembra ostaggio dei reciproci veti posti dalle due maggiori forze che lo sostengono. E il continuo stracciarsi le vesti del popolo della sinistra (o presunta tale), senza la capacità di produrre efficaci proposte alternative, non fa altro che ridare vigore alle formazioni leghiste e neofasciste, indubbiamente molto più capaci di ascoltare e strumentalizzare il disagio di settori sempre più ampi delle regioni d'Italia.
Insomma, sono tornate "le piazze", ma in assenza di una cultura di base in grado di orientare la vita politica, esse assumono forme nel contempo entusiasmanti in quanto in grado di generare senso di appartenenza e ambigue in quanto difficilmente trasformabili in progetti e programmi sociali autenticamente sostenibili.
Insomma, è un periodo di delicata ricerca, di rischiose avventure, di molta sofferenza, di grande interesse...