sabato 31 luglio 2021

Ultimi mesi da Sindaco ad Aiello del Friuli.

Oggi un post personale. La storia viandante che è la Vita prepara una nuova svolta.

Il Messaggero Veneto pubblica una relativamente ampia intervista, nella quale spiego perché la mia esperienza di Sindaco si concluderà con le prossime elezioni amministrative, nel mese di ottobre.

Ad Aiello del Friuli ho trascorso dieci anni della mia vita, cinque come parroco, tra il 1990 e il 1995, cinque come sindaco, tra il 2016 e il 2021. Sono state due esperienze totalmente diverse, quasi opposte. Da giovane prete, tutto era incentrato sulla relazionalità e fondamentalmente sulla ricerca del consenso, lasciando in secondo ordine gli aspetti più organizzativi, peraltro gestiti in piena autonomia e in forma ben poco aperta al dialogo democratico. Da adulto amministratore, ho privilegiato lo studio e la conoscenza della struttura politica e tecnica del Comune, a scapito del tempo da dedicare alle relazioni immediate con le persone. A suo tempo ho approfittato della visione ancora un po' arcaica del sacerdozio, ricevendo molto rispetto - a volte forse un po' formale - insieme a un'immediata ventata di simpatia. Ora ho apprezzato la schiettezza ruvida e la naturale diffidenza che caratterizza i cittadini nel loro porsi in qualsiasi modo nei confronti dei vari livelli di rappresentanza. Se nella prima versione sono stato decisionista, potendo contare su numerosi collaboratori disponibili a realizzare le indicazioni ricevute dall'alto, nella seconda ho accolto l'indispensabile aiuto e sostegno degli ottimi tecnici comunali (tutte e tutti, nessuno escluso), mentre l'aspetto sicuramente più faticoso del cammino quinquennale è stato la ricerca di buone pratiche condivise, soprattutto con i componenti del gruppo che mi ha invitato, nell'inverno 2016, ad accettare di lasciare Gorizia per dedicarmi alla cura amministrativa dei paesi di Aiello del Friuli e Joannis. 

E' stata una bella esperienza, il livello dell'impegno del Sindaco - etimologicamente "colui che realizza la giustizia insieme" - è ancora quello della più immediata valenza della "Politica", intesa come arte di coordinare la polis. In sintesi, emergono i problemi (nel senso etimologico di "ciò che viene gettato innanzi") e si cerca di "venirne fuori insieme". A volte ci si riesce, a volte no, ma sempre si cerca di realizzare questo obiettivo partendo da una consapevolezza più alta, cioè dalla certezza che solo la Cultura deve essere il faro di orientamento e il fondamento di qualsiasi azione politica e sociale. La diversità, in ambito realmente democratico, dovrebbe proprio essere basata sulla differente visione culturale e non sulle semplici scelte quotidiane e indifferibili che tutti - di qualunque colore sia l'appartenenza politica - dovrebbero portare avanti con onestà e semplicità.

Avrei preferito essere sottoposto alla valutazione di questi ultimi anni di presenza ad Aiello, attraverso il voto espresso dalle cittadine e dai cittadini. Tuttavia l'esercizio del "potere" del Sindaco è giustamente limitato dai rappresentanti eletti e non eletti del Progetto a cui è stato legato, nel caso di Aiello la lista civica denominata appunto Progetto Comune. In ogni comunità ci si ritrova attorno a finalità e obiettivi precisi, ma portando in essa l'onore e l'onere dell'esperienza, della concezione della vita, del carattere, della sensibilità di ciascuno. A volte l'amalgama funziona e si ottengono percorsi politici entusiasmanti, in grado di valorizzare l'unità del gruppo e la specificità di ogni suo componente. A volte invece non funziona e le più affascinanti idealità vanno a scontrarsi con l'altrettanto avvincente mistero della natura umana, nella sua complessità e particolarità.

Non sono certo i miei espliciti orientamenti, decisamente a Sinistra, né alcune decisioni indissolubilmente legate alla responsabilità del "primo cittadino", il motivo della scelta di una parte di Progetto Comune di non propormi una ricandidatura che sarebbe stata naturale. E' invece il mistero della quotidianità delle relazioni tra le persone, là dove l'apparentemente marginale diventa determinante, mentre l'apparentemente fondamentale diventa elemento del tutto trascurabile.

E così mi preparo a voltare un'altra pagina della mia vita, molto contento di averla potuta scrivere, senza alcun rancore o recriminazione. Solo porto nel cuore la consapevolezza che nel cammino della vita non si cessa mai di imparare, che la regola fondamentale del viandante è l'adattabilità, la disponibilità alla permanenza come al cambiamento e che l'unica soluzione nei momenti di smarrimento del sentiero è quella di non fermarsi a piangere sul latte versato, ma continuare a marciare, in attesa del segnale successivo.

mercoledì 28 luglio 2021

Nova Gorica e Gorizia, in viaggio verso il 2025...

Una luce senza confini

Il "viaggio" verso Nova Gorica/Gorizia capitale europea della Cultura è iniziato. Le due parti si stanno riempiendo di manifesti colorati che presentano le opportunità e le risorse di un territorio straordinario.

Bene. Anzi, molto bene.

La strada è lunga e se il buongiorno si vede dal mattino, c'è da guardare avanti con qualche punta di ottimismo. Sia in ambito sloveno che italiano sembra siano state messe in campo molte potenzialità e la "macchina" sembra effettivamente essere partita.

Quali sono gli obiettivi da "centrare" in questo lungo periodo?

E' una domanda importante, al di là della ovvia realizzazione di molti piccoli e grandi progetti finalizzati alla crescita economica e alla promozione turistica.

Dalla risposta a questo interrogativo dovrebbe derivare la ricerca, per così dire, di "un'anima" o di "uno spirito".

In fondo, dalla disgregazione dell'Impero Austro-ungarico in poi, non è più esistito uno spirito "goriziano". Ci sono stati molti altri aggettivi, spesso enfatizzati in modo conflittuale e contrapposto. Ci sono stati molti tentativo di ricomposizione. Tuttavia non si può negare che il XX secolo e il primo ventennio del XXI siano stati caratterizzati da una serie ininterrotta di cambiamenti culturali e trasformazioni strutturali. Il percorso verso il 2025 potrebbe quindi costituire il primo momento di ripensamento intorno a una possibile ritrovata "unità nella diversità".

Potrebbe, appunto. In realtà ciò accadrà se si terrà presente soprattutto il coinvolgimento pieno e convinto di ogni cittadina e cittadino abitante non solo a Nova Gorica e a Gorizia, ma anche nelle valli dell'Isonzo/Soča e della Vipava/Vipacco, nonché nel territorio aquileiese, negli attuali limiti geografici dell'Arcidiocesi di Gorizia.   

Le persone che abitano nei due capoluoghi, oppure a Bovec o a Tolmin, ad Ajdovščina o a Vrtojba, a Villesse o a Cervignano, si "sentono" Goriziane? C'è un comune sentimento di appartenenza che unisce giovani e anziani? Ci sono esperienze di studio, di ricerca, di arte, di sport che abbiano come finalità anche la costruzione di un sentiero da percorrere insieme e la valorizzazione della specificità di ciascuno? La coscienza dell'unicità del "local" si può coniugare con quella della pluralità del "global"?

La risposta immediata, senza dubbio, è "Sì!" Per il momento ci sono molte realtà, forse, ma soltanto forse marginali, su diversi piani. In questi giorni ci sono stati i festival culturali e musicali di Cerkno (jazz), Grad Snežnik, Topolove. Presto ci sarà l'intelligente fine settimana di Če-povem (a Čepovan!) con artisti e conferenzieri di levatura internazionale, a fronte di relativamente esigue risorse finanziarie ed enorme volontà di condivisione e cooperazione. Sono piccole realtà, ancora limitate, ma dimostrano come, per ciò che concerne la costruzione dello spirito o dell'anima comuni, l'amicizia sincera sia un elemento imprescindibile, conditio sine qua non, fondamento di qualsiasi altro programma di attenzione alla cultura, all'ambiente, al lavoro, alla vita sociale.

E' solo l'inizio di una riflessione che continuerà. Per il momento questo post si conclude con due auspici.

Il primo è che si metta mano al più macroscopico degli ostacoli alla costruzione dello "spirito Goriziano". E' vero che la lingua non è tutto, tuttavia è un elemento molto ma molto importante. Se l'apprendimento della lingua dell'uno o dell'altro non è rilevato come urgenza assoluta, con l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole e l'avvio di corsi di formazione per gli adulti, la "capitale della Cultura" sarà solo uno spot pubblicitario. Per imparare la lingua dell'altro, almeno per poter comunicare ciascuno nella propria e comprendersi reciprocamente, occorre un'apertura di cuore e di mente possibili sono nell'ambito di una forte e autentica amicizia. La comunicazione senza amore è soltanto pubblicità.

Il secondo è che tra i tanti orizzonti turistici, no ci si dimentichi di quello "lento". L'attesa inaugurazione del ponte ciclabile di Solkan, il "successo" di cammini internazionali e locali, la straordinaria "ciclo-pedonale" dalla sorgente alla foce dell'Isonzo potrebbero essere occasioni eccezionali. Poche attività come il camminare o il pedalare possono consentire l'approfondimento di autentici ed efficaci rapporti di conoscenza e di affetto tra chi vive in un territorio e chi lo viene a conoscere da lontano. La piazza e la stazione della Transalpina, con il suo accogliente info point, potrebbero essere il punto di arrivo e di partenza, oltre che l'elemento simbolico più rilevante, di una vera Capitale europea della Cultura!     

venerdì 23 luglio 2021

Vaccini: Scienza o scienza?

Premessa per evitare equivoci: la prossima settimana riceverò la seconda dose di Astra Zenica.

Mi ha colpito ciò che ha detto Laura Boldrini, spiegando la ragione della scelta di vaccinarsi "perché ho fiducia nella Scienza". Nel contesto è proprio da scrivere così, con la S maiuscola.

Anch'io ho deciso di vaccinarmi, per motivi meno teorici tipo poter visitare le persone che mi sono care, girare per l'Europa o pranzare all'interno di un ristorante. Tutto sommato, anche per il motivo dichiarato dalla parlamentare del pd, perché "ho fiducia nella scienza".

Solo che nel contesto della mia scelta lo scrivo con la s minuscola.

Sì, perché il problema di fondo è epistemologico, ovvero che cosa si intenda con il termine "scienza". E' cioè essa la ricerca del "finis" (inteso come finalità, ma anche come conclusione, limite e confine), all'interno di un orizzonte predeterminato, come propone l'aristotelismo tomista? Oppure è la potenzialmente infinita conoscenza che deriva dalla sperimentazione e dalla continua verifica, come dai postulati derivati dalla visione galileiana?

Insomma, per dirla in termini ordinari, il dibattito attuale sui vaccini assomiglia molto a quello filosofico metafisico relativo all'esistenza di Dio. 

C'è chi ritiene la Scienza un Assoluto, dotato dei conseguenti trascendentali di Verità Bellezza e Bontà. E chi invece pensa che la scienza sia l'affermazione per eccellenza del relativo, non soltanto perché ogni "scienziato" ha una visione diversa dall'altro, ma anche perché non si riconosce in essa alcun criterio di definitività, incentrata come è sulla continua verificabilità e falsificabilità di ogni provvisoria ipotesi.

Si lasci perdere per ora la comunque importante influenza del sistema mediatico che è riuscita a trasformare la questione dei vaccini in un campo di battaglia tra tifoserie, pro-vax e anti-vax, con reciproche accuse di ignoranza e complottismo.

Ci si soffermi invece su un paio di dati di fatto.

Il primo riguarda la falsità dell'affermazione secondo la quale chi pone dei dubbi sull'utilizzo di vaccini necessariamente molto "giovani", sia inevitabilmente da confinare nella schiera dei ciarlatani o degli stregoni. Accanto a molti scienziati che con buone ragioni ne sostengono l'efficacia e la necessità, ce ne sono molti altri - altrettanto esperti e competenti - che mettono in guardia rispetto al loro uso. Quindi non esiste un'unica verità scientifica in questo campo. Quando ci sia appella alla Scienza a cosa ci si riferisce? A un'autorità suprema indiscussa, alla maggioranza della "comunità scientifica" (e cosa si intende con questo concetto?), alla propria "sensazione di verità"? Scelgo questi esempi, richiamando sullo sfondo le motivazioni metafisiche tomiste relative all'affermazione della fides, nel suo rapporto con la ratio: autorità suprema del Creatore, autorevolezza della comunità (Chiesa) che interpreta nel tempo la volontà suprema, il "sensus fidei fidelium", inteso come sensazione dell'intero popolo che viene riconosciuta come norma di verità da vagliare da parte del magistero.

Il secondo dato di fatto è che la maggior parte delle persone non hanno alcuno strumento per poter discernere, se non appunto fidarsi di ciò che si sente e crearsi una propria opinione. Ovvero si tratta proprio di un atto, più che di fiducia, di fede. Si tratta cioè di credere, non sulla base di una razionalità esercitata nel discernimento, bensì sulla base dell'accettazione di ciò che affermano i gruppi di scienziati che sostengono una tesi oppure di ciò che propongono gli assertori della tesi opposta. Le loro posizioni sono effettivamente scientifiche nel senso moderno del termine, ovvero basate sui criteri della sperimentabilità e della verificabilità. Le scelte conseguenti delle singole persone sono invece basate sull'accettazione dell'autorità degli uni o degli altri e sull'adesione al contenuto della loro proposta.

Ecco perché io ho accettato di vaccinarmi e perché ritengo ingiusta e inefficace la demonizzazione reciproca in atto tra i due schieramenti. Non accolgo Astra Zenica perché "ho fiducia nella Scienza", ma molto più umilmente perché analizzando le posizioni contrapposte, mi sembra leggermente più ragionevole dare credito a chi sostiene l'efficacia del vaccino piuttosto che a chi la mette in dubbio. E' perché sono influenzato dal massiccio spiegamento degli eserciti mediatici? O perché apartengo a un'area politica che in generale è più orientata al sì che al no o al dubbio? O è perché al fondo della mia coscienza qualcosa mi spinge verso una direzione piuttosto che l'altra?

In fondo, sono più o meno le stesse domande che mi pongo intorno al credere nel trascendente o meno. E ancora più in fondo, a chi chiede le ragioni della fede di un credente, la risposta più appropriata resta tutto sommato sempre un forse deludente ma - questo sì! - razionalissimo "non lo so!".

martedì 20 luglio 2021

20 luglio 2001/2021, in memoria di Carlo Giuliani

Il ricordo odierno è dedicato al giovane Carlo Giuliani, nel 20mo anniversario della morte, durante gli assalti della polizia, in Piazza Alimonda - per tanti oggi Piazza Giuliani - a Genova, in occasione del G8.
Era il primo anno del III millennio. Si erano da poco chiusi i festeggiamenti e i propositi dell'anno 2000. Erano stati fissati gli obiettivi del Millennio e sembrava realizzabile, entro il 2020, il sogno della riduzione sistematica della fame, dell'analfabetismo, della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Si parlava, in termini molto concreti, di cancellazione del debito internazionale, di solidarietà e partenariato fra le Nazioni, addirittura di Stati Uniti del Mondo. La Chiesa cattolica aveva appena chiuso la porta santa del Giubileo della Redenzione, i movimenti contrari alla globalizzazione dei mercati sfilavano apparentemente vincenti sulle strade delle Capitali occidentali, personaggi straordinari come la Klein, il Galtung e tanti altri modellavano in forma sociologica e scientifica le fondamenta di "un altro mondo possibile", le guerre balcaniche erano un preoccupato ricordo e i rappresentanti delle religioni sembravano cercare più ciò che unisce rispetto a ciò che divide.
Ebbene, i due avvenimenti principali della terribile estate 2001 riportavano bruscamente gli abitanti del Pianeta a una realtà molto diversa dal sogno dell'"homo planetarius" vagheggiato negli anni '80 del XX secolo dal compianto profeta Ernesto Balducci.
La repressione cruenta della manifestazioni di protesta contro il G8 di Genova non fu un incidente di percorso, un episodio di sangue voluto da poliziotti troppo zelanti e sfuggito di mano alle autorità. Nella cabina di regia delle cosiddette "forze dell'ordine" era presente incredibilmente un ministro. Chiunque sia stato a Genova in quei giorni ha visto e può rendere testimonianza. Le distruzioni impressionanti, i cassonetti rovesciati e bruciati, le vetrine spaccate sono state opera di mai indentificati personaggi mascherati, gli stessi ai quali venivano consegnati i bastoni per agire dall'interno dei cortei e provocare la reazione dei robocop armati e in assetto di guerra. L'irruzione nella caserma Diaz è stato forse l'episodio più vergognoso della storia italiana degli ultimi 50 anni, con una vera e propria mattanza perpetuata nei confronti di giovani inermi, venuti da tutto il mondo per celebrare la propria voglia di cambiamento. Negli anni successivi, le sentenze dei tribunali, i libri e i film sull'argomento hanno portato alla luce la Verità su quei giorni. I responsabili della violenza se la sono cavata con poco, alcuni di loro sono stati perfino promossi ad altri importanti posti di responsabilità. Il risultato, da parte dei "potenti" del mondo, è stato raggiunto. Da quel momento il movimento per un altro mondo possibile, per un'alternativa al capitalismo iperliberista, è entrato in una crisi profonda che continua fino a oggi, venti anni dopo. 
L'altro evento planetario è stato l'attentato alle Torri Gemelle di New York, l'11 settembre. E' difficile non collegare la studiata repressione di Genova alla tragedia americana, soprattutto valutando le conseguenze dei due episodi, lontani ma anche molto vicini. I circa 3000 morti di quella strage, i cui contorni reali sono ancora avvolti nell'ombra del mistero, hanno innescato una serie ininterrotta di vere e proprie piccole ma sanguinose guerre mondiali. Centinaia di migliaia di persone, praticamente in tutti i continenti, la maggior parte di esse civili inermi, hanno pagato con la vita non tanto la volontà di "prendere Bin Laden" o paralizzare le centrali del terrorismo, quanto quella di rendere il Pianeta un luogo insicuro, a tutto vantaggio del controllo militare da parte dei "padroni del vapore". Il 15 febbraio 2003 hanno sfilato 15 milioni di persone, per dire il proprio convinto "no" alla guerra. Un paio di settimane dopo Bush junior scatenava la seconda guerra del Golfo, distruggendo qualsiasi possibilità di evoluzione pacifica delle relazioni internazionali. L'"imposizione della democrazia" ha significato la fine anche del movimento per la pace, ridotto di fatto a piccoli motivati gruppi, dalle varie ispirazioni, oggi più portati a una testimonianza marginale che a un reale e concreto sguardo nonviolento sul mondo.
Insomma, celebriamo la memoria di Carlo Giuliani e dei feriti di Genova con una sensazione di delusione, ma anche con la speranza che la loro sofferenza non sia stata inutile e che i semi di futuro seminati in quei giorni possano finalmente germogliare. C'è sempre un inverno di nascondimento e di gelo prima di una primavera rigogliosa. Sarà così? 

lunedì 19 luglio 2021

Clergy, un film che fa male, proprio per questo da vedere!

L'età (spirituale?) dell'oro per la Chiesa polacca è finita da parecchio tempo. L'onda lunga del pontificato di Papa Wojtyla sembra ormai essersi attenuata e con essa i film celebrativi di Andrzej Wajda o di Krsztof Zanussi. Sono tempi difficili e certamente realistici, in una Polonia iperconservatrice, ma anche vivaio di fermenti di protesta e innovazione.
In questo contesto, nel 2018, esce nelle sale cinematografiche Clergy, un film di Wojciech Smarzowsky. E' un atto di denuncia nei confronti della potente gerarchia ecclesiastica polacca. La storia, avvincente, è molto più credibile di quanto a prima vista si possa pensare. Salvati da un incendio, tre preti si incontrano per ricordare l'evento. Da questo inizio, dai tratti quasi comici, derivano le tre storie parallele.
Un parroco di campagna attraversa i sentieri dell'alcolismo e della lussuria. Ne esce con meno guai di tutti, quando la gravidanza della donna con la quale convive e un incidente che (a torto) ritiene di aver provocato, lo convincono a cambiare vita e inoltrarsi sulla via della convivenza e dell'abbandono dell'abito clericale.
Un monsignore in carriera, in procinto di partire per Roma e assumere incarichi importanti nel Vaticano polacchizzato a cavallo del Millennio, smascherato nelle azioni pedofile nei confronti dei seminaristi, ricorre ai trucchi più criminali per insabbiare le accuse ed evitare un processo e un fallimento esistenziale.
Un sacerdote catechista viene accusato di atti sessuali nei confronti di adolescenti e rischia il linciaggio. Internato in una specie di manicomio per preti, capisce che la sua ultima missione non può essere altro che quella di smascherare l'ipocrisia, accusando proprio l'importante monsignore che lo aveva rovinato appena uscito dall'infanzia.
Un simile collage non può che finire assai male, nel fango delle fondamenta della chiesa che dovrebbe essere costruita in onore dello squallido Vescovo e nelle fiamme - quasi invernali - che avvolgono il prete finalmente deciso a dire la verità, inascoltato e marginalizzato da una Chiesa che si può permettere di vilipendere in tutto la parola del Vangelo.
Tutto ciò scandalizza, offende, fa male al cuore. Il regista non fa sconti e dalla visione se ne esce con le ossa rotte e con una domanda decisiva. La questione della pedofilia dei preti, taciuta per decenni con conseguente persecuzione dei denuncianti, è davvero marginale? E' un problema che riguarda le "mele marce"? O la Chiesa ufficiale, quella di Francesco per intenderci, non dovrebbe forse domandarsi se le incredibili dimensioni del fenomeno non manifesterebbero piuttosto una grave crisi sistematica del sacerdozio cattolico celibatario. L'arrivismo, l'immoralità, il nascondimento delle debolezze, l'arroganza, sono molto più frequenti rispetto ad altri ambienti o almeno più sorprendenti. Il celibato non può essere certo considerata la causa diretta della pedofilia. Ma certamente una vita affettiva vissuta nell'anormalità, a causa di un'imposizione anacronistica, può creare un clima di disagio profondo che può anche portare a soddisfare la propria carenza d'affetto strumentalizzando in modo schifoso i più deboli. L'immaturità che impedisce di avere a che fare con i propri pari, porta facilmente a imporre le più inaudite violenze ai più piccoli.
Non sarebbe forse ora di lasciarsi provocare da film come Clergy, invece di nascondersi sempre dietro l'offuscamento dell'argomentazione tacciata di "esagerazione" e di indebita "generalizzazione"? 

domenica 18 luglio 2021

Sul coronavirus, il caos regna sovrano

La confusione regna sovrana. Mentre la variante Delta si moltiplica, portando a infauste previsioni per il resto dell'estate e soprattutto per il prossimo autunno, proporzionalmente si diffondono notizie totalmente contrastanti. La maggior parte dei contagiati aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, non è vero quasi nessuno, le varianti crescono proprio come adeguamento del virus al vaccino, no è una sciocchezza, chi è colpito non sta particolarmente male e non è così contagioso, non è vero il fatto è che per il momento prende solo i giovani e così via.

Questa mancanza di chiarezza, alimentata anche dalle posizioni dei politici a caccia di voti, tende alla creazione di due "partiti", uno contro l'altro, come spesso accade nell'Italia bipolare o maggioritaria, che dir si voglia.

L'area dei "convinti" ritiene di essere l'unica depositaria della Scienza, relegando il ruolo di studiosi che esprimono perplessità nello spazio della magia e della stregoneria. Viceversa, coloro che hanno dei dubbi accusano i primi di essere schiavi di un complotto internazionale e quasi di provocare apposta malattia e morte.

Così la "guerra" si fa molto dura, alimentata, come in tutti i conflitti, dai media che sposano l'una e l'altra posizione sottolineando con forza i "casi singoli": qua il no-vax che muore di covid-19 non dopo aver espresso il proprio pentimento, là il vaccinato che muore arrabbiato contro chi gli ha di fatto imposto la soluzione per lui letale. Da una parte si auspica l'esclusione dai pubblici uffici di chi si rifiuta di sottoporsi alla puntura, dall'altra si grida alla fine della democrazia a causa del mancato rispetto del diritto individuale. In nome della sicurezza si costringono gli anziani nelle residenze assistite a un regime praticamente carcerario, contestato dai "libertari" che ritengono che molti anziani siano morti più di solitudine che di coronavirus.

Per i comuni mortali è praticamente impossibile discernere chi abbia ragione e chi abbia torto. E' senz'altro vero che il vaccino è un prodotto dell'intelligenza e della scienza umane, ma non è affatto vero che tutti quelli che lo contestano non siano valenti scienziati di lunga esperienza. E' vero che alcune posizioni contrarie al vaccino sono espresse con toni inaccettabili e a volte fantascientifici, non è vero che tutti coloro che pongono delle questioni problematiche siano dei ciarlatani. E' vero che ognuno può dire ciò che ritiene opportuno, come è vero che chi - anche con buone ragioni - esprime pareri diversi da quelli "ufficiali", viene letteralmente cancellato dai media. Non siamo forse a questo punto, ma certe censure sembrano proprio orientare all'impressione di prove di regime o di pensiero unico.

Come uscire da questa situazione, evitando possibilmente le strumentalizzazioni di una destra che attualmente sembra avere grande capacità di fiutare l'opinione delle masse? Forse sarebbe necessario almeno abbassare tutti i toni e riportare il dibattito nel suo alveo pacifico. A tutti interessa vincere la pandemia, ma occorre accettare che non ci siano soluzioni facili o precostituite. Occorre che gli scienziati dialoghino fra loro, senza demonizzare le loro diversità. Occorre che i politici riconoscano la centralità di una riflessione approfondita sul destino della sanità pubblica e sui disastri conseguenti a una troppo frequente valorizzazione di quella privata. Occorre che i cittadini si informino più che possono, ma senza cadere nella tentazione di trasformarsi in tifosi, di una parte o dell'altra, rispettandosi a vicenda, anche quando le diverse posizioni sembrano difficilmente conciliabili.

E' necessario vincere il coronavirus, senza per questo indebolire la Democrazia. Ci riusciremo? 


sabato 17 luglio 2021

Genova 2001: ricordi e considerazioni, venti anni dopo...

Sono passati 20 anni, ma la memoria di quei giorni di Genova è ben impressa nella mente e nel cuore.

Iniziando dalla fine, si può dire che la tragedia del 20 luglio, cioè tutto ciò che ha accompagnato la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, ha raggiunto l'obiettivo che i signori del G8 avevano desiderato. Una settimana di incontri ad altissimo livello tra esponenti dell'allora grande movimento no-global - migliaia  di scienziati, attivisti, simpatizzanti - aveva dimostrato "un altro mondo possibile", alternativo a quello voluto dai più potenti governanti della Terra, riuniti per incrementare le disragioni del Capitalismo liberista. La repressione violenta di quei giorni ha di fatto cancellato i laboratori, le idee, le prospettive, le proposte e da quel momento non è stato più possibile, almeno finora, recuperare la passione, l'entusiasmo e la forza di convinzione. Sì, esistono ancora gruppi e movimenti che da quell'esperienza traggono ispirazione per proporre una società antirazzista, nonviolenta, umana e accogliente. Ma sono minoritari, sia dal punto di vista politico che culturale, pur essendo stata riconosciuta da tutti i tribunali la ragione di coloro che protestavano e il torto dei vertici della polizia. Non sono mai state invece accertate le responsabilità dei capi politici del tempo, da Berlusconi a Fini - misteriosamente presente nella cabina di regia delle "forze dell'ordine" - e di Ruggiero, scomparso successivamente dalla scena politica. Due anni dopo, il 15 febbraio 2003, 15 milioni di sostenitori della pace erano scesi in piazza nelle capitali del nord del mondo, per contestare il governo USA in procinto di scatenare la seconda guerra del Golfo. Il tutto finì purtroppo con l'ennesima tempesta nel deserto e l'annientamento dell'Iraq. Ne conseguì un disincanto e una delusione i cui segnali sono ancora evidenti, anche qui con la sostanziale marginalizzazione del movimento per la pace.

E ora il mio ricordo personale, confermando quanto appena scritto. La mattanza genovese è stata voluta e pianificata, con lo scopo di azzittire la forza pacifica e intelligente del pianeta anticapitalista.

Il 19 luglio ero a Roma, con il prof. Alberto Gasparini, allora direttore dell'ISIG. Eravamo stati ricevuti da Giulio Andreotti, per organizzare un grande convegno a Gorizia sulle "città divise" (Gerusalemme, Nicosia, Mosca, Roma e Gorizia), chiedendo il suo aiuto per invitare esponenti qualificati di quei mondi, in ambito accademico, culturale e politico. Ricordo che sentendo ciò che stava accadendo a Genova, mi aveva sconsigliato di andarci la mattina dopo. La sua preoccupazione incrementò il desiderio di essere là, lasciando i "Palazzi" romani per immergermi nel "mio" mondo no-global.

Giunsi a Genova nella tarda mattinata del 20 luglio, lasciai l'auto poco prima dello stadio di Marassi e mi incamminai verso il centro. Lo scenario era quello di una guerra. Mentre davanti allo stadio si svolgevano scontri, lungo tutta la via bruciavano i cassonetti e non c'era neppure una vetrina intatta. Qualcuno timidamente faceva capolino, aprendo la porta di casa e sbirciando fuori. Ho chiesto a diversi abitanti della zona cosa fosse successo e tutti hanno offerto la stessa versione. Tutta la mattina la zona era stata presa d'assalto da gruppi di persone mascherate che avevano distrutto tutto ciò che capitava loro davanti. Erano i famosi black blok, famosi per il loro nome, ma assolutamente sconosciuti, senza volto e nome, al punto che la loro opera distruttiva, vera miccia che ha innalzato alle stelle la tensione provocando l'intervento delle schiere della polizia contro i manifestanti inermi, è tuttora avvolta nel mistero e non è mai diventata oggetto di inchiesta giudiziaria.

Con il cuore a pezzi, giunsi al tunnel della ferrovia, oltre il quale era previsto il passaggio della manifestazione principale, migliaia di donne, uomini, bambini all'inizio festosi e multicolori. Già nella galleria, si respirava cattiva aria. Con altri giornalisti si è passati oltre, nella via primcipale. Ci siamo diretti verso la testa del corteo, caratterizzata dalle tute bianche dei giovani attivisti. Alle nostre spalle cominciò l'attacco della polizia. Sirene a tutto volume, sinistro battere di manganelli sugli scudi di plexigass delle centinaia di robocop in assetto di guerra, sibilo di lacrimogeni e fumo ovunque. Il corteo inerme - nessuna benché minima presenza dei facinorosi che avevano messo a ferro e fuoco la città nelle ore precedenti - è costretto disordinatamente a retrocedere. Non riesco a raggiungere la piazza, ormai il caos regna sovrano e il frastuono degli elicotteri rende impossibile perfino il pensiero. Si sentono colpi, come di mortaretti, grida di persone terrorizzate e ferite. E' il momento culminante, lo sparo che uccide un giovane e con lui le speranze di decine di migliaia di convinti sostenitori dell'idea di un mondo migliore.

Quasi trascinato dalla folla in fuga, ritorno verso il tunnel, con un anziano giornalista incontrato sulla via. Ci insegue una piccola pattuglia, sparando lacrimogeni a tutto spiano. Il tunnel è ormai invaso da una nebbia pesante, si riesce a transitarlo trattenendo più possibile il respiro. Dall'altra parte sembra tornata la calma. Gli occhi lacrimano, non soltanto per i gas inoculati - per quello lacrimeranno al sole per alcuni anni successivamente - ma soprattutto per ciò che hanno visto, l'attacco sistematico, speriamo non definitivo, alla Democrazia.

Di tutto il resto, compresa l'incredibile mattanza della Caserma Diaz, una delle più grandi vergogne italiane dal dopoguerra, ho sentito la testimonianza di amici e compagni presenti, oltre che la documentazione offerta dai giornali e soprattutto dai verbali processuali che hanno condotto fino alla verità. I responsabili di quelle ingiustizie spaventose se la sono cavata con poco, alcuni addirittura sono stati promossi a nuove responsabilità, dopo aver truccato prove, armato i misteriosi devastatori mascherati, infierito su donne e bambini.

Ecco, questa è stata la "mia" breve e indimenticabile Genova 2001. Il senso di quelle giornate era chiarissimo a chiunque fosse stato presente. I tribunali hanno confermato autorevolmente, almeno in parte, eventi e responsabilità.  Le valutazioni, venti anni dopo, non sono altrettanto semplici. Il mondo è radicalmente cambiato e non certo in meglio. Gli obiettivi e le speranze del nuovo Millennio sono naufragate, travolti dal crollo delle Twin tower due mesi dopo e dalla conseguente sanguinosa guerra infinita. Recuperando l'entusiasmo soffocato in quei giorni, la questione non può essere soltanto un nostalgico e inquieto sguardo al passato, ma la domanda assillante e urgente su quale possa essere il futuro... o meglio, "i futuri" di ogni essere umano e dell'ambiente vitale che tutti ci accoglie. 

mercoledì 14 luglio 2021

Gli eroi di Wembley a Roma: panem et circenses

Gli dei dell'Olimpo sono scesi fra gli umani. Dopo la celebrazione rituale nel tempio di Wembley, gli eroi vincitori, ricevuto l'omaggio delle pubbliche Autorità, si sono concessi all'entusiasmo delle folle. Tutti hanno gridato e inneggiato, agitando mani e bandiere, danzando intorno al re capitano e alla Coppa che racchiude sogni infiniti, come il re Davide intorno all'Arca dell'Alleanza intronizzata nel tempio di Gerusalemme.

L'ondata di felicità ha scosso le fondamenta dell'ordine sociale, gli dei hanno compiuto il miracolo, hanno cancellato d'un tratto la pandemia. Forse anch'essa era stata un castigo del pantheon capitalista o forse del monotesimo del Soldo, al quel tutto ormai sembra asservito, comprese le divinità dello spettacolo, del calcio e della comunicazione globale.

Là dove fino a qualche giorno prima regnavano il silenzio e la paura, ora si innalzano al cielo fragorose urla di giubilo. Dove non ci si poteva incontrare, se non in segreto e in circoli ristretti, ora la massa si accalca intorno ai nuovi conquistadores. Dove c'era l'obbligo della mascherina, in un periodo perfino passeggiando nei boschi, ora risplendono i sorrisi e le manifestazioni di gioia. 

E gli dei dispensano, dall'alto della corriera aperta verso il cielo, le loro parole e i loro gesti, raccolti con le lacrime agli occhi dai discepoli in trance. Invitano a cantare tutti insieme, in una solenne liturgia di lode e ringraziamento. Ormai è finito il tempo della malattia, del nascondimento. 

Qualche miscredente tutore dell'ordine, preoccupato per la salute pubblica, osa mettere in discussione l'autorità suprema e le sue manifestazioni, giunge addirittura a vietare il corteo degli dei. Qualcuno azzarda qualche dubbio, qualche perplessità sulla serata di Wembley, il divin Capitano che atterra il giovane inglese prendendolo senza alcuna pietà per la collottola, gettandolo ai suoi piedi e ridendo di fronte al cartellino giallo (giallo!!!) estratto da un arbitro intimidito dal trascendente.

Come osano il questore e il prefetto? Mettersi contro "i ragazzi" che vogliono restituire ai fedeli l'omaggio, la preghiera e l'incitamento ricevuti durante il combattimento? Come osa qualcuno mettere in discussione la bellezza, la bontà, la bravura degli eroi? Non ci si rende conto che gli dei le leggi le impongono, non possono certo essere costretti a obbedire?

Intanto il Potere, fonte e culmine della religione capitalista, se la gode. Mentre la follia serpeggia tra il popolo, si rafforza sempre più e sempre più tiene in pugno l'umanità.

Amen

lunedì 12 luglio 2021

Čestitke Slovenji! Per il referendum, un voto sull'acqua pubblica dai molteplici significati

L'Isonzo Soča a Gorizia
Di chi è l'acqua? A chi appartengono le rive dei fiumi?

Queste domande molto importanti dovrebbero presupporre un'unica e ovvia risposta: sono un bene comune, appartengono a tutte e tutti i cittadini.

Invece purtroppo non è così. In Italia il clamoroso successo del referendum a favore dell'"acqua pubblica" è stato calpestato dalle leggi successive che ne hanno di fatto tradito lo spirito e le speranze. E per quanto riguarda le rive, basta un breve giro anche sulle vicine sponde dell'Isonzo per scoprire che i cartelli di "proprietà privata" hanno di fatto superato il numero delle specie vegetali infestanti, contribuendo - questi e quelle - a tenere lontano i veri proprietari (cioè tutti!) dalla loro proprietà (il fiume). Chi ha i capelli bianchi ricorda i bagni agli Scogli? le camminate sulla ghiaia lucida? le pagaiate su kajak da una parte all'altra? Ebbene, tra dighe che si aprono e si chiudono senza preavviso, cani che digrignano i denti, cartelli che invitano a girare largo, l'impresa è diventata assai problematica e anche pericolosa.

Il tema è stato all'ordine del giorno in Slovenia negli ultimi mesi, grazie al referendum proposto da una serie di associazioni che hanno voluto contestare un emendamento alla legge sulle acque che - a detta non solo dei promotori ma anche della quasi totalità degli esperti - avrebbe consentito la costruzione di strutture leggere e a uso pubblico sulle rive dei fiumi e dei laghi sloveni. Non è chiaro che cosa si intenda con questi concetti, fatto sta che dietro al burocratese dell'emendamento è difficile non intravvedere l'ennesimo tentativo di appropriazione da parte dei privati, sostenuti dal governo di destra, di ciò che dovrebbe, per diritto naturale, essere pubblico.

Si è trattato di una lotta di Davide contro Golia. Sì, perché da una parte c'erano numerose associazioni ambientaliste e sociali che avevano pochi mezzi mediatici e finanziari per realizzare una grande campagna referendaria, dall'altra tutte le forze governative, con la "potenza di fuoco" che ogni forma di potere istituzionale porta con sé. La strategia era chiara, sminuire l'importanza della consultazione popolare, auspicando - con ragionevole certezza - una presenza minima alle urne.

E invece, come ogni tanto accade, ha vinto Davide, sulla scia della forza di base creata in un anno e mezzo di "venerdì per la democrazia" che sono stati in grado di mobilitare le folle in una serie ininterrotta di meeting intelligenti, creativi e artistici. In questo modo, il quasi 90% di elettori che hanno votato contro l'emendamento, hanno voluto dare un segnale importante e inequivocabile anche al Governo di Janez Janša: il popolo non sta dalla vostra parte, la "piazza" chiede le vostre dimissioni! Il che, per un populista, è una contraddizione letale, il popolo "scarica" il capo che pretende di essere il suo rappresentante!

Tramonto sulla Sora

Congratulazioni alla Slovenia per questo ottimo risultato.

Complimenti per aver portato alle urne, in un Paese non certo innamorato delle votazioni di qualunque tipo esse siano, quasi la metà degli aventi diritto, un obiettivo raggiunto in modo straordinario, se si pensa che solo nel caso del referendum sull'adesione o meno alla NATO si erano raggiunti certi numeri.

Complimenti per aver dato un convinto segnale a favore dell'acqua pubblica, contro qualsiasi tipo di privatizzazione e asservimento del bene pubblico agli squallidi interessi di parte.

Complimenti per aver indicato un metodo di lavoro sul quale sarà necessaria una riflessione ovunque, in particolare anche nei complicati ambienti della sinistra italiana. Le associazioni di base hanno dimostrato la fortissima capacità di incidenza e di organizzazione delle masse popolari, senza per questo entrare in conflitto con le forze politiche più rappresentative dell'area. Ciò significa che l'impatto della base che innalza con diversi strumenti la sua voce non è in contrasto, anzi in qualche modo rinnova, rincuora e ripropone una nuova modalità di esercizio della democrazia rappresentativa, esercitata tradizionalmente dai partiti. E' un no all'antipartitismo per definizione, un sì alla dialettica costruttiva e intensa tra carismaticità popolare e istituzionalismo strutturale.

Insomma, per chi vive sul confine è un ennesimo messaggio, un nuovo caldo invito a incontrarsi per scambiarsi le esperienze, condividere lotte per la giustizia sociale e per l'ambiente, costruire insieme al di là dei limiti e dei confini. Per l'intanto, rallegriamoci con gli sloveni e proclamiamo: vivano l'acqua, i fiumi e i laghi, siano sottratti agli interessi dei mercanti della natura e della vita!

Tra Storia e Natura, nella Brda slovena

L'arco di pietra nella gola Krčnik
Alla ricerca dell'abitato di Kožbana, a metà strada tra Dobrovo e la cima del Korada, si incontra una meraviglia della natura, formata dall'incessante lavoro delle acque sulla dura pietra carsica.

La piccola e suggestiva gola Krčnk, raggiungibile in qualche minuto dalla strada grazie a un sentiero scavato tra le radici dei faggi, offre uno scorcio del tutto inatteso, nascosto in una delle infinite pieghe che caratterizzano il Collio sloveno.

Un arco di pietra, scavata e resa liscia dallo scorrere del fiume, sembra quasi introdurre in una strettoia, dove le pareti non distano più di un metro, da una parte all'altra dell'abisso. L'acqua scorre lentamente e il tintinnio della cascata gareggia con gli uccelli e i grilli nell'offrire una dolce sinfonia ch ben si accompagna alla forza energetica del luogo.

Sì, sotto Kožbana e a un paio di chilometri da Slapnik, il paese abbandonato ricco di interessanti motivi architettonici popolari.

Ma perchè proprio a Kožbana? Perché proprio in questo sperduto villaggio, un tempo abitato da numerose famiglie e ora mantenuto vivo da pochi, si è tenuta la scorsa domenica una particolare commemorazione. 

Labari partigiani a Kožbana
Domenica 9 luglio 1944, nel territorio di Brda è stata infatti festa grande. Fu la prima volta nella storia della nazione slovena che venne organizzato un raduno per un’elezione libera. L’incontro avvenne in una radura circondata da alberi vicino al villaggio di Kožbana. Vi parteciparono oltre 2.000 persone. All’incontro, parlarono: il presidente del Comitato di liberazione nazionale compagno don Edko Ferjančič “Taras”. Alla riunione parteciparono anche il famoso combattente antifascista e membro nazionale del partito comunista, parlamentare del Regno d’Italia perseguitato dal regime fascista, compagno Jože Srebrnič e il membro del partito comunista sloveno Leopold Krese “Jost”. Per la missione alleata partecipò il maggiore inglese Vincent Hadley “Tucker” mentre l’Esercito di Liberazione Jugoslavo era rappresentato dal compagno Tine Remskar . Come rappresentante delle donne del Collio era presente la compagna Pavla. I partigiani italiani erano rappresentati dal commissario politico della di brigata “Garibaldi-Natisone” compagno Giovanni Padoan “Vanni” e dal comandante della Brigata “Garibaldi-Natisone” compagno Mario Fantini “Sasso”.

Il monumento che ricorda l'evento
Certo, immaginare migliaia di persone riunite, ancora nel pieno della guerra di liberazione jugoslava e con la presenza di autorità rappresentanti di tutte le parti in lotta, è un qualcosa di veramente impressionante. 

Alle speranza suscitate da quell'incontro, nel cuore del Collio Sloveno, ha fatto riferimento il relatore ufficiale della commemorazione, avvenuta 77 anni dopo. La manifestazione, semplice e molto ben organizzata, è stata realizzata con gli immancabili e sempre emozionanti canti partigiani e con la lettura delle poesie e degli scritti dei combattenti. Da parte sua, Igor Komel, direttore del Kulturni dom di Gorizia, nella sua complessa e interessante orazione, ha proposto l'elevazione a patrimonio culturale UNESCO il Fronte di Liberazione sloveno, le cui memorie sono ben conservate nei boschi e nelle valli dell'intera Nazione. Komel ha ricordato anche i numerosi sacerdoti che hanno scelto di stare dalla parte dell'"Osvobodilna Fronta". venendo per questo deportati e uccisi nel campo di Jasenovac. "Sarebbe opportuno - ha detto - che anche la Chiesa ricordasse questi autentici martiri che non hanno risparmiato la loro vita pur di rimanere accanto al loro popolo".

E se, di fronte ai labari delle associazioni partigiane (presente anche l'ANPI di Cividale) si è ovviamente ricordato il sacrificio di tutti coloro che hanno perso la vita per la giustizia e la libertà delle nuove generazioni, l'incontro è stato particolarmente originale e festoso, non ricordando un episodio tragico di guerra, ma il coraggio di un'intera popolazione - donne, uomini e bambini - che hanno sfidato la drammaticità del momento per riunirsi e trovare forza dalla loro unione per affrontare le inevitabili, successive battaglie.

venerdì 9 luglio 2021

Lavorare meno lavorare tutti (anche nella Pubblica Amministrazione)

Un'altra vicenda di ordinaria burocrazia riguarda la questione delle assunzioni del personale negli enti pubblici.
Ci fu un tempo, ormai (per fortuna) lontano, nel quale i Comuni, le Province, le Regioni, lo Stato e soprattutto le Aziende in un modo o nell'altro "partecipate", erano dei veri e propri "postifici". Si trovava lavoro facilmente, grazie alla vicinanza a questo o quel partito, naturalmente con una disponibilità corrispondente alla proporzione di voti ricevuti nelle elezioni precedenti. Si aggiungano altri enti o persone - parroci, dirigenti d'azienda, professionisti vari - in grado di influenzare tali scelte e si ottiene non solo una folla immensa di impiegati molto spesso ampiamente in sovrannumero, ma addirittura l'"invenzione" di mansioni inutili e inesistenti.
A chi con un sorriso sornione ritiene tutto ciò un'esagerazione, si potrebbe rispondere con un'ampia serie di esempi, che vanno dalla richiesta del partito dal quale proviene la raccomandazione per stabilire se ci sia ancora qualche posto da assegnare, alla miriade di persone "impegnate" - quasi sempre loro malgrado - con la compilazione della Settimana Enigmistica.
Certo, le vicende degli ultimi venti anni, alla luce del famoso slogan "contro i posti e i costi della politica", hanno portato a un forte miglioramento della situazione e se permangono ancora settori di più nascosta influenza sui decisori, nella maggior parte dei casi l'opinione pubblica è riuscita a marginalizzare tali episodi, in grado di scandalizzare chiunque ne venga a conoscenza. E' uno, forse uno dei pochi risultati positivi della cosiddetta "moralizzazione" della politica, raggiunta a suon di continue e clamorose inchieste portate avanti da coraggiosi magistrati nel nome del valore imprescindibile dell'"onestà".
Detto questo, è da rilevare che la riduzione consistente delle assunzioni, la diminuzione molto sensibile del personale che opera negli enti amministrativi e il progressivo invecchiamento delle persone portatrici di grandi responsabilità personali e collettive, non hanno portato soltanto alla riduzione e ormai spesso alla scomparsa dell'ormai quasi estinto esercito dei raccomandati, ma anche e operativamente soprattutto a una sempre più marcata carenza di personale professionale e, di conseguenza, a una diminuzione sistematica dei servizi al cittadino.
Le posizioni organizzative e i sempre più rari loro collaboratori, soprattutto ma non solo negli enti numericamente più piccoli, non solo hanno sempre lavorato al massimo delle loro potenzialità, ma ora si trovano ad affrontare problematiche e legislazioni nuove che mettono a dura prova la loro stessa tenuta fisica e psichica. Inoltre, a partire dalle ultime riforme della pubblica amministrazione, la responsabilità civile dei "politici" è stata trasferita in buona parte ai "tecnici", costringendo questi ultimi a lavorare in un costante clima di minaccia di sanzioni e di denunce, stante anche il sempre più difficile quadro nel quale si collocano l'erogazione dei contributi, le gare per l'assegnazione degli incarichi, le procedure burocratiche per la loro realizzazione.
Il problema quindi non è certo più il risparmio dovuto al "taglio" di posti di lavoro. Una volta sfoltito il bosco degli impieghi inutili - e tale operazione si può dire ormai conclusa - diventa scandaloso che certe amministrazioni locali manifestino soddisfazione per i bilanci "aggiustati" attraverso la riduzione dei dipendenti. E' invece indispensabile agire per riaprire la strada opposta, quella cioè delle assunzioni, unica possibile per sbloccare una situazione di progressiva paralisi di tutto ciò che riguarda la cosa pubblica in Italia (e forse non soltanto in Italia). 
La questione non è relativa ai soldi. Essi ci sono e ne arriveranno molti altri, anche nel periodo del dopo pandemia. Si tratta di poterli usare investendo su nuovi ed efficienti posti di lavoro, soprattutto in relazione all'occupazione giovanile, senza costringere le nuove generazioni a infiniti e umilianti percorsi di avvicinamento al mondo del lavoro, dove spesso le loro competenze e capacità sono mortificate e le paghe sono ai limiti del caporalato.
Non che fosse giusta la situazione precedente, tuttavia senza una seria, controllata e molto ben regolamentata politica delle assunzioni, si sarà ben presto costretti alla chiusura di molte attività, alla loro concentrazione, con grave ricaduta sulla vita ordinaria dei cittadini. 
Un ultimo spunto. Davvero avere poco personale è un risparmio per la collettività? Non credo di essere l'unico ad aver pensato a ciò, dopo circa un'ora e mezza di attesa in un particolare ufficio: sommando i presenti, si può dire che in quel giorno (ma lo stesso vale quasi ogni giorno) siano state perse almeno 36 ore complessive rimanendo pazientemente in fila, quelle cioè che garantirebbero, oltre il benessere degli utenti, anche un nuovo ragionevole e sostenibile posto di lavoro.
Discorsi superficiali? Mah, può anche essere, tuttavia con i discorsoni profondi dei cosiddetti "esperti", si è arrivati a una situazione che è e che diventerà sempre più drammatica.  

martedì 6 luglio 2021

Il ritorno di Karl Marx

Tiskovna Slovenija, Vojsko
Dal punto di vista dei numeri, la Sinistra è in caduta libera dai tempi della fine del PCI. Sì, il riferimento è alla Sinistra, quella che si è frammentata in una miriade di partitini, pochi dei quali ancora ancorati all'idea del comunismo. Perché l'altra parte, quella passata attraverso l'esperienza del PDS, dei DS, dell'Ulivo 1 e 2, della Margherita (con i transfughi dall'antica DC e dal PPI), dell'attuale Partito Democratico, difficilmente potrebbe essere definita "Sinistra".
Che fare per invertire questa rotta, tenendo presente che in realtà il "pensiero di sinistra" trova una rappresentanza culturale ben più significativa e consistente rispetto a quella offerta dalle competizioni elettorali?
Occorre essere Sinistra. Ciò significa ripartire essenzialmente dall'analisi della società comunista, tenendo presente che la "profezia" di Karl Marx si è di fatto realizzata, anche se non sembra che molti se ne siano accorti. E' davvero trionfante il Capitalismo? O ha raggiunto il suo apice e avviato una drammatica parabola discendente?
Essere Sinistra significa ritrovare la via delle masse dei lavoratori, "soffiati" alle élite sedicenti "democratiche" dalle effimere promesse dell'anti-ideologia liberista. Significa ritornare alla base, al prendersi carico della quotidianità dei problemi delle persone, a rispondere alle situazioni di palese ingiustizia, a costruire un sistema pubblico in grado di marginalizzare progressivamente il privato, a realizzare la giustizia sociale, in un contesto internazionalista e mondialista, ad affermare la libertà di circolazione delle persone, il diritto al lavoro sicuro, al giusto salario, all'abitazione, al ricongiungimento familiare.
Attenzione attenzione!!! Venti anni di demonizzazione di Berlusconi, l'edizione italiana della guerra mediatica planetaria che ha trasformato l'umanità in una massa enorme di servi, come colpiti dai razzetti omologanti del "Minivip" di Bruno Bozzetto, non lo hanno demolito, ma fortemente rafforzato, in assenza di serie proposte politiche sul lavoro, sull'ambiente, sul futuro dei giovani e dei nuclei sociali. Venti anni di demonizzazione dell'improponibile Destra neofascista e razzista attuale non l'hanno indebolita, ma costantemente fatta crescere, con un consenso ottenuto soprattutto negli strati più deboli della popolazione.
Certo, sono importanti i diritti e le lotte per la loro affermazione. ma se si lascia alla Destra il campo dell'ascolto e del tentativo di rispondere ai problemi quotidiani delle persone, nelle fabbriche, nelle scuole, nei luoghi della sofferenza e della cultura, nelle famiglie senza soldi per arrivare a fine mese o senza la possibilità di pagare l'affitto... Se si lascia a Casa Pound l'onore di lottare per i senza casa, sia pur "prima gli italiani", senza produrre uno straccio di alternativa concreta e pratica... poi non ci si può lamentare se la Destra stravince e la "sinistra" straperde.
Qualcuno propone, forse strategicamente, il "passo indietro", la rinuncia ai simboli e alle identità, almeno quelle partitiche troppo compromesse con il Potere. Ma è davvero questa la via per risollevarsi? E se il passo indietro fosse invece quello di ritrovarsi sotto una nuova edizione della falce e del martello, riprendendo i sentieri interrotti alla vigilia della crisi delle ideologie, ritrovando unità non in ipotetici cartelli troppo localizzati, ma in una visione del mondo, della politica e della società fondata sull'uguaglianza dei diritti, sulla solidarietà internazionale e su una libertà totalmente radicata nella giustizia sociale? 

sabato 3 luglio 2021

Nazarin (1959), di Luis Buñuel

Nazarin è un film di Luis Buñuel, del 1959. 

Incentrato sulla figura di un prete che mette a repentaglio tutte le proprie sicurezze per condividere la sofferenza dei più poveri, contiene molte delle tematiche proposte dal grande regista spagnolo.

La vicenda ripropone in termini attualizzati la passione di Gesù, il "Nazareno". Il giovane protagonista dedica tutto ciò che ha a chiunque lo incontri, ricevendo in cambio spesso derisione e incomprensione. La superstizione popolare lo trasforma, suo malgrado, in una specie di taumaturgo che suscita effimeri entusiasmi nei deboli e totale disprezzo da parte dei rappresentanti del potere.

E' il potere civile a ricercare e condannare il sacerdote - un vero "prete di strada" che dorme nei fienili, pronuncia parole di consolazione a chi ne ha bisogno, vive di elemosine e di duro lavoro quotidiano. Ma anche il potere religioso si accanisce contro di lui, i novelli Ponzio Pilato e Caifa si accordano per portarlo alla fine.

Anche il suo supplizio, un lungo percorso sotto il sole cocente verso un probabile patibolo, ricorda la prima via crucis. I compagni di dolore lo insultano perché non li toglie dalla loro situazione liberandoli dalla prigionia, ma uno di essi lo difende e parla con lui.

Le figure dei classici "peccatori" - prostitute, ladri, anche assassini - sono descritte con un alone di empatia e condivisione, un contraltare evidente alle squallide forme dei benpensanti politici ed ecclesiastici.

Come sempre in Buñuel non ci sono happy end, come del resto nei racconti evangeli della passione. Nazarin, come il Nazareno, va verso la morte in totale solitudine, lo abbandonano proprio tutti, anche le donne che lo avevano seguito come improbabili discepole. "Che senso ha avuto la tua vita?" - gli chiede l'austero compagno di carcere che lo aveva aiutato.

Il suo volto triste è la risposta. Un'esistenza trascorsa a cercare di alleviare l'umano dolore gli appare all'improvviso insensata. Anzi, proprio la sua bontà profonda è spesso la causa involontaria della sofferenza altrui, in un intreccio misterioso tra il bene e il male, nel quale non è mai così evidente il confine tra i due regni, soltanto apparentemente contrapposti.

Che senso ha avuto la tua vita? Sì, è la domanda che esce dal film e si proietta nello spazio e nel tempo e giunge fino a ciascuno di noi, nella consapevolezza che non esistono risposte preconfezionate o scontate, ma che esse devono essere conquistate giorno dopo giorno, nella faticosa e maestosa sfida della Vita.