lunedì 31 ottobre 2022

31 ottobre, Giorno della Riforma, Dan Reformacije

Busto di Primož Trubar, castello di Rubja
Si racconta che il 31 ottobre 1517 Martin Lutero avrebbe affisso le sue famose 95 tesi sul portale della chiesa del castello di Wittenberg. Che sia andata veramente così non si sa, ma di certo il movimento protestante riconosce nella pubblicizzazione di quelle idee l'inizio della Riforma che ha trasformato profondamente il cristianesimo e ha influenzato in modo decisivo la storia dell'Europa.

L'inizio del vento di cambiamento che ha soffiato sul XVI secolo è stato lo scandalo della vendita delle indulgenze. La Chiesa di Roma aveva tollerato, anzi favorito, una concezione dell'al di là finalizzata esclusivamente a rimpinguare le casse, a scapito soprattutto dei più poveri. La questione toccava nervi assai sensibili, riguardanti essenzialmente la possibilità nientemeno che di abbreviare il "tempo" del Purgatorio - per sé e per i propri cari - in cambio di alcune preghiere e di sostanziose offerte.

In sostanza, si diceva che l'assoluzione sacramentale offrisse il perdono dei peccati, ma non la piena remissione della pena, che sarebbe stata cancellata - in parte o in toto - con l'atto di indulgenza da parte del Papa e dei suoi delegati. Naturalmente ciò poteva accadere soltanto se l'interessato si trovasse nel settore della purificazione e non nell'inferno, dove sarebbero rinchiusi, senza alcuna possibilità di amnistia, coloro "che morranno ne le peccata mortali", per dirla con san Francesco che comunque con tutta questa storia non c'entrava proprio niente. Da tenere conto che, nonostante la sacrosanta critica luterana secondo la quale l'ignobile pratica dell'indulgenza era soltanto un modo di strumentalizzare la paura della morte per spillare soldi alla povera gente, tale dottrina teologica esiste ancora, sia pur riformata e resa più attuale a partire dall'anno santo straordinario del 1993.

Tuttavia è da ricordare che il contrasto alle indulgenze - dai cui proventi, secondo alcuni, papa Giulio II avrebbe avviato la ricostruzione rinascimentale della Basilica di San Pietro a Roma, demolendo ciò che rimaneva della stupenda basilica costantiniana - è soltanto l'inizio. Il dibattito suscitato da Lutero si sviluppa nelle corti europee, con un'incredibile forza e rapidità di diffusione. In particolare i punti principali della critica luterana alla chiesa di Roma, dal punto di vista meramente teologico, possono essere ricondotti a tre. Il primo riguarda la salvezza eterna che non può essere ottenuta dai "meriti" delle persone (e quindi meno che meno da atti umani che mercificano la relazione con il divino), ma soltanto dalla "grazia" di Dio, che non condanna l'uomo peccatore ma lo accoglie nel dono della vita del suo Figlio crocifisso. Il secondo si riferisce alla trasmissione della Rivelazione esclusivamente attraverso la Scrittura, che deve essere interpretata con libero esame da parte di ogni cristiano che trova in essa la fonte della libertà. Il terzo è relativo alla "sola fede", l'unica forma di conoscenza che consente all'uomo di corrispondere al dono di Dio, che non può in alcun modo essere compreso con la sola forza dell'umana ragione, intrinsecamente insufficiente a superare i suoi limiti spaziali e temporali. Queste tre dimensioni segnano un distacco incolmabile con una Chiesa cattolica che ritiene di essere "simul sancta et peccatrix", depositaria della retta e infallibile interpretazione dei testi sacri e della tradizione ritenuta altrettanto sacra, ma anche investita del compito di custodire la "Natura" e la "Ragione" naturalmente portata, se esercitata rettamente, a conoscere Dio in quanto principio e fine di tutte le cose.

Se si attribuisce al cogito cartesiano l'avvio della rivoluzione filosofica che rovescia il dominante aristotelismo tomista in nome del primato del pensiero sull'essere, non si può dimenticare che dal punto di vista teologico sono stati Martin Lutero e i predicatori della Riforma ad aprire la strada dell'avvento dell'uomo moderno europeo, con tutti gli onori e gli oneri che tale concetto comporta. Tra i predicatori del primo protestantesimo, a sud del Danubio, è da menzionare Primož Trubar, lo straordinario personaggio sloveno che ha percorso le strade di mezza Europa - passando anche per Goriza e dintorni - per annunciare il Vangelo. In Slovenia ha scritto e pubblicato i primi testi stampati, tra i quali l'Abbecedario e il Catechismo, motivo per cui è considerato il padre della letteratura slovena. Ed è per questo che in un Paese con una piccola minoranza numerica protestante, si celebra con grande solennità la Festa Nazionale il 31 ottobre, "Dan Reformacije".

Per celebrare questa particolare "Giornata", si propone l'ascolto di uno dei più conosciuti e importanti inni scritti da Martin Lutero, Ein' Feste Burg:     https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/45/Ein%27_Feste_Burg.ogg

domenica 30 ottobre 2022

Pacifismo e guerra, l'ora di un profondo rinnovamento

 

Ormai sono passati molti mesi dall'inizio della guerra in Ucraina. Lo scenario per il momento non sembra purtroppo essere molto diverso da quello dei primi giorni. Il conflitto si è stabilizzato, nel senso che continua con il suo carico di morte e distruzione. Il mondo cosiddetto occidentale è totalmente schierato dalla parte di Zelensky e per il momento invia vecchi e nuovi armamenti che consentono una resistenza sanguinosa e un prolungamento a oltranza dei combattimenti. L'unica voce autorevole che invita a deporre le armi e a trattare con la forza della diplomazia, è quella di papa Francesco che, mai come in questo momento, sembra essere un profeta inascoltato.

O meglio, è ascoltato da un'area abbastanza composita di sostenitori delle ragioni di una pace che non può essere raggiunta immettendo sul campo armamenti sempre più sofisticati. Ai movimenti pacifisti di area cattolica e comunista, si sono aggiunte frange provenienti dal settore anarchico e libertario, oltre che da isolati settori della politica parlamentare. Fra questi, una parte consistente dei Cinque Stelle sembrano essere più liberi rispetto al tempo in cui, inseriti nel governo Draghi, erano costretti a "tacere e andare avanti". C'è da aspettarsi, per lo stesso motivo, uno spostamento su posizioni pacifiste anche di alcuni settori del Partito Democratico, svincolati dalla necessità di sostenere senza tentennamenti le ragioni di Zelensky (e forse anche, si spera, le politiche migratorie degli ultimi anni).

Detto, o meglio scritto questo, c'è da domandarsi quanta forza abbiano queste voci. In tutta Italia, dallo scorso mese di marzo e poi ancora di più dallo scorso 21 ottobre, si svolgono manifestazioni per una pace senza armi. Il prossimo 5 novembre, a Roma, si prevede un corteo che dovrebbe raggiungere "numeri" di altri tempi. Ma servirà a qualcosa? E' difficile dirlo, per il momento quello dei costruttori di pace sembra essere un recinto tollerato dal sistema, più che uno spazio di rivendicazione in grado di disturbare effettivamente il Potere. Per quanto riguarda le iniziative locali, l'impressione, con tutto rispetto, è più quella di raduni di reduci che di forze giovani e innovative che sappiano farsi veramente e concretamente ascoltare. 

Certo, piuttosto che niente è meglio piuttosto. Tuttavia l'ammissione di una sostanziale inincidenza e di piccoli successi autoreferenziali ("Siamo in tanti!", "C'era anche la RAI", "le musiche erano molto belle", e così via...), nonostante gli sforzi profusi, dovrebbe essere preludio a qualche nuovo passo, su sentieri diversi rispetto a quelli finora battuti. Forse occorre che la generazione dei grandi movimenti contro la guerra in Iraq, successiva a quella "mitica" anti intervento americano in Vietnam, sappia farsi da parte e, come si suol dire, lasciare spazio ai giovani. Le nuove "leve", per usare un termine militaresco, hanno già dato prova di grandi capacità con gli indimenticabili "venerdì per il futuro". Forse è necessario dare loro molto più ascolto e spazio, anche offrendo spunti di riflessione come sta facendo il buon Francesco, ma lasciando a essi la possibilità di esprimersi, di organizzare e di costruire, magari anche in modi e forme molto diversi da quelli ai quali ci si è ormai abituati.

Il rischio del più o meno stanco ripetersi del rito esiste, pur nella piena consapevolezza della necessità di non tacere. Ma se in ogni azione per costruire un "altro mondo possibile" non si percepisce la presenza che di pochissimi giovani e manca la sensazione di un autentico rinnovamento, il grido di pace sarà ascoltato soltanto da coloro che lo elevano. Non toccherà le coscienze e nessuno, nei piani alti della politica e della cultura, si preoccuperà neppure di soffocarlo.

sabato 29 ottobre 2022

Gorica, l'urgente necessità di passare dal multilinguismo al plurilinguismo.

 

Secondo il Consiglio d’Europa, con il termine plurilinguismo si intende la varietà di lingue che un individuo o un insieme di individui è in grado di utilizzare. Il plurilinguismo include pertanto la varietà linguistica indicata come “lingua madre” o “prima lingua”, “seconda lingua” etc. Per multilinguismo, invece, si intende la presenza in un’area geografica, indipendentemente dalle sue dimensioni, di più varietà linguistiche.

Nova Gorica e Gorizia, o meglio da qui in poi "Gorica" è realtà multilinguistica o plurilinguistica?

Non è una questione di secondaria importanza. Finora, la parte antica della città è stata sostanzialmente multilinguistica per ciò che concerne la quasi totalità della popolazione italiana, plurilinguistica per quanto riguarda la componente culturale slovena. In altre parole, gli italiani vivono in un territorio nel quale non sono in grado di comprendere la lingua degli altri abitanti, mentre gli sloveni sono in grado di parlare e comprendere, oltre allo sloveno anche l'italiano. Diversa è la situazione della parte nuova della città, diversa ma non migliore. Infatti a Nova Gorica sono sempre meno coloro che comprendono la lingua italiana, imparata soprattutto grazie alle trasmissioni televisive captate oltreconfine, dalle persone "dai quaranta anni in su". Quindi anche la parte più moderna del territorio goriziano sta perdendo una sua specifica identità plurilinguistica, che l'aveva caratterizzata dal momento della sua fondazione, nel 1947, avendo ospitato migliaia di persone provenienti dalle diverse repubbliche della Jugoslavija, in un contesto quindi esemplare, nel quale era possibile parlare diverse lingue e comprendere quelle degli altri.

Non si capisce bene perché, ma questa questione, assolutamente decisiva per l'interpretazione del ruolo di una terra storicamente di confine tra diversi mondi, non sia ancora all'ordine del giorno dell'avvicinamento alla capitale europea della cultura 2025. Non si tratta solo di apprendimento delle lingue, ma anche di conoscenza delle reciproche storie e culture. Come è possibile che ancora oggi in nessuna scuola italiana della "vecchia" Gorica non ci sia l'insegnamento obbligatorio dello sloveno? E come è possibile che anche nella scuole della "nova" Gorica non sia obbligatorio lo studio dell'italiano?

Il grande onore di essere capitale culturale d'Europa dipende dal riconoscimento della compenetrazione culturale tra le diverse realtà che insistono sul territorio. Ma senza una convinta scelta di percorrere la strada del plurilinguismo, andando oltre al tradizionale multilinguismo, sarà possibile realizzare tale obiettivo? Cambierà qualcosa nel 2025 e soprattutto, dal 2026 in poi? L'esempio delle scuole slovene in Italia, sempre più frequentate anche da studenti provenienti da famiglie di lingue e cultura italiana, potrà essere seguito e indicherà la strada maestra da percorrere da tutti oppure resterà solo un'opportunità "sfruttata" dai nuvlei familiari più attenti e sensibili alla specificità del luogo?

mercoledì 26 ottobre 2022

Il prof. Košuta parla del poeta France Prešeren: il video del "dialogo"

 

Il prof. Miran Košuta (foto Jan Komel)
Martedì sera il Kulturni dom di Gorizia ha ospitato la presentazione della nuova edizione delle "Poesie" di France Prešeren, in lingua originale con la traduzione e l'apparato critico curati dal prof. Miran Košuta. L'iniziativa è stata realizzata nell'ambito dell'edizione autunnale della rassegna "Il libro delle 18.03".

E' stato un dialogo appassionato e avvincente che ha permesso a chi non conosceva il grande poeta - nato a Vrba nel 1800 e morto a Kranj l'8 febbario 1849 - di avvicinarsi alla sua opera e a chi già lo aveva letto, di approfondirne i contenuti grazie alla competenza e sapienza di Miran Košuta. 

Si è trattata di una vera e propria lezione, valorizzata dal genere dialogico, un'efficace introduzione alla vita e all'opera di colui che è considerato il sommo letterato del mondo sloveno. Ed è stato anche un originale approccio all'innovativo metodo di traduzione, finalizzato a mantenere vivo sia lo "zven", il suono che il "pomen", il significato di ogni composizione. Per tutti coloro che sono interessati e che non hanno potuto partecipare di persona all'interessante serata, si riporta il link per entrare nella conversazione attraverso il filmato curato da  Nevio Costanzo e pubblicato già il giorno dopo su Youtube:  https://www.youtube.com/watch?v=tpAPT-qHhHg&t=1782s

martedì 25 ottobre 2022

France Prešeren

Viene presentato questo martedì 25 ottobre - Kulturni dom, ore 18 - il volume delle "Poesie" di France Prešeren, in lingua italiana. E' il frutto di un grande lavoro di traduzione e critica letteraria compiuto dal prof. Miran Košuta, narratore, saggista, insegnante e traduttore.

Non è la prima edizione in italiano della principale e unica opera pubblicata nella lingua materna prima della morte del poeta sloveno. La precedente, a suo tempo abbastanza diffusa è datata 1976, curata da Francesco Husu. La seconda risale al 1998, curata da Marija Pirjevec e con traduzione di Giorgio Depangher. Questa nuova opera ha molti pregi e può essere un ottimo strumento offerto al pubblico italiano per conoscer non solo la poetica di Prešeren, ma anche a storia culturale e letteraria del popolo sloveno nella prima metà del XIX secolo. Come nel 1998, viene riprodotta opportunamente anche la versione in sloveno, corredata da un approfondito apparato critico che consente di contestualizzare e di comprendere meglio ogni componimento. Tuttavia, a differenza delle precedenti, questa versione vuole mantenere, come scrive lo stesso curatore, "lo zven e il pomen", il suono e il significato, con un linguaggio accessibile e nello stesso tempo innovativo.

Ecco allora che l'opera si sdoppia, pur rimanendo profondamente unitaria. Da una parte emerge il grande poeta sloveno, nati a Vrba nel 1900 e morto a Kranj l'8 febbraio 1849. Si tratta di un accesso molto originale alla poesia romantica dell''800 europeo, che offre alta dignità alla lingua letteraria slovena e nel contempo sottolinea la forte relazione con la vita della comunità popolare e locale. Prešeren scrive di amore e di cultura, di politica e di religione, riesce perfino a regalare un originalissimo mito fondatore, nel "Krst", "Battesimo alle sorgenti della Savica", l'epopea di Črtomir e Bogomila, due anti-eroi collocati all'origine della coscienza identitaria. In questo senso può essere paragonato a Leopardi, anche se la ripetizione quasi ossessiva della rima baciata consente un singolare intreccio fra la tradizione e la novità. Come molti sanno, una strofa del "Brindisi" di Prešeren fa parte dell'inno nazionale sloveno, un canto che inneggia al vino e alle gioie della vita e che si conclude con un forte anelito alla pace e alla giustizia tra tutte le nazioni.

Dall'altra parte è Košuta che dona un sorprendente approccio alla traduzione. Le poesie tradotte in italiano prendono nuova vita. Non tradiscono ma trasmettono nella poetica contemporanea, uniscono il romanticismo con la postmodernità, creano un grande spazio di incontro artistico tra i popoli che si sentono rappresentati dalla lingua slovena e da quella italiana. Il risultato è un affidamento di responsabilità a chi vive intorno a un confine, quello di seguire l'esempio di Miran, diventando capaci di valorizzare da una parte la propria storia e cultura, dall'altra quella del "vicino", disponibili a creare un'ulteriore "forma" di linguaggio, una sorta di mediazione creativa, quella caratteristica di una "cultura di frontiera", intesa come passaggio, compenetrazione, commistione.

 

domenica 23 ottobre 2022

La Slovenia sceglie il nuovo Presidente, nell'"anno delle votazioni"

 

Invito ufficiale al voto
Per la Slovenia il 2022 è senza dubbio un anno "elettorale".

La chiamata alle urne è iniziata il 24 aprile, con la netta vittoria del partito Svoboda del nuovo primo ministro Robert Golob e della coalizione di centro sinistra formata anche da SD (Socialni Democrati, una specie di Partito Democratico) e da Levica (più o meno la nostra Sinistra). Nell'occasione il premier uscente Janez Janša e il suo partito SDS (Slovenska Demokratska Stranka) sono stati sonoramente sconfitti, insieme a tutte il resto della coalizione del centro destra, fatta eccezione per NSi (Nova Slovenija - Krčanski Demokrati), una sorta di Democrazia Cristiana post litteram.

Questa domenica, 23 ottobre, il secondo importante atto. la scelta del nuovo Presidente della Repubblica, successore di Borut Pahor. E' interessante notare la particolare forma di elezione. Come si sa, in Italia il Capo dello Stato non è eletto direttamente dal popolo, ma da una rappresentanza politica formata dai parlamentari delle due Camere più gli elettori provenienti dalle Regioni. In Slovenia, anche se non si tratta di un sistema presidenzialista o semipresidenzialista e se il ruolo corrisponde quasi del tutto a quello del presidente italiano, la decisione è affidata ai cittadini. I quali, appunto, sono chiamati in questo giorno a offrire la loro indicazione. Ci sono ben sette candidati, la maggior parte dei quali legati esplicitamente o implicitamente ai partiti di riferimento. Cominciando da sinistra, si trova anzitutto il giovane esponente delle Levica Miha Kordiš, su cui si concentrano le speranze di coloro che si aspettano un cambiamento radicale. le forze governative legate al presidente Golob e al partito SD orientano il voto verso Milan Brglez, per l'occasione disiscritto dal partito con il quale è stato eletto al Parlamento Europeo, del quale ancora fa parte. Vladimir Prebilič, attuale apprezzato sindaco di Kočevje, è stato proposto dal mondo ambientalista del partito Vesna, uscito con le ossa un po' rotte dalle elezioni politiche dove non ha ottenuto alcun seggio e da altri elettori. nell'area di centro si trovano due donne, entrambe indicate da gruppi di liberi elettori, La prima si chiama Nataša Pirc Musar, ex giornalista che ha ricevuto un endorsement importante come quello del già presidente della Repubblica Milan Kučan. L'altra è Sabrina Senčar, espressa dal gruppo Resni,ca (signifca "Verità") che raccoglie molti settori della protesta contro il governo precedente, come pure l'arcipelago dei movimenti anti-vax. Infine, la destra schiera due figure note, in quanto entrambi ministri nel governo precedente di Janez Janša. Nova Slovenija schiera Janez Cigler Kralj e la componente più forte del conservatorismo sloveno, l'SDS guidato dallo stesso Janša, orienta verso Anže Logar, suo potente ministro degli esteri. Difficilmente uno di questi sette potrà raggiungere subito il fatidico 50 per cento più uno, pertanto i primi due se la dovranno vedere con il ballottaggio che con ogni probabilità si terrà tra due settimane, il prossimo 6 novembre.

Ma per gli elettori sloveni la stagione delle votazioni non sarà ancora finita. L'autunno porta con sé le "localne volitve", quelle che riguardano i sindaci e i consigli comunali, i quali, a differenza che in Italia, vengono eletti tutti insieme ogni quattro anni. L'appuntamento per il primo turno è per il 20 novembre, al quale seguirà il turno di ballottaggio due settimane dopo, il 4 dicembre. 

C'è ancora tempo in mezzo per chiamare ancora una volta tutti alle urne la domenica 27 novembre, quando ci saranno ben tre referendum, promosso dalle destre alla ricerca di una rivincita rispetto alle politiche di primavera e di un espediente per ostacolare il lavoro del nuovo governo. Gli sloveni dovranno esprimersi sulla legge nazionale sulla televisione pubblica, sull'aumento dei ministeri nel governo e sull'organizzazione e finanziamento della realtà degli anziani.

Insomma, almeno sei giornate di voto in un anno: se non è un record, poco ci manca!

sabato 22 ottobre 2022

... ma soprattutto così!

 


Così, oggi...

Syracusis anicula deos cotidie obsecrabat ut Dionysius, crudelissimus civitatis tyrannus, incolumis sempre esset diuque viveret. Dionysius, re nova cognita, mulierem in regiam adduci iussit precumque causam quaesivit. Anicula liberius respondit : “Olim Syracusis iniquus tyrannus imperium tenebat; cum e vita excessiset, ferocior tyrannus urbis arcem occupavit, ideoque vehementer cupiebam ut eius dominatus quam brevissimus esset. Sed postea habuimus te, omnium tyrannorum saevissimum et violentissimum. Ita deos pro tua salute obsecro, ne post mortem tuam tyrannus etiam peior civitati contigat”. Tam liberum ac facetum responsum Dyonisius punire noluit et aniculam dimisit incolumen. (Valerius Maximus, I sec. a.C.-I sec. d.C.)

martedì 18 ottobre 2022

Il dado è tratto, il Giro d'Italia salirà sul Lussari

E così, come previsto, la tappa a cronometro sul Monte Lussari si farà. Anche solo a vederla sulla mappa del Giro d'Italia è una forzatura, un brevissimo frammento totalmente isolato, ci si arriva con un lungo trasferimento stradale e si va via addirittura con l'aereo, per la passerella finale ai Fori Imperiali di Roma.

La febbre del consumo ha così contagiato anche questo luogo meraviglioso, questa reliquia di un ambiente che fino a pochi anni fa era ancora incontaminato.

Ci si può immaginare quella giornata di maggio. Automobili, elicotteri, motociclette, pedoni assiepati. E sotto il santuario, la piazza dell'arrivo, le interviste, gli autografi, il processo alla tappa. E ci si può immaginare che cosa resterà. Una strada di cemento che, nonostante i divieti, invoglierà tanti a domandare permessi, un'area un tempo occupata da un laghetto trasformata in parcheggio, rumori di motori di veicoli che arrancano in salita, emissioni da tubo di scappamento al posto delle fragranze boschive. E' l'addio alla tranquillità di un luogo tanto caro a tutte le genti che abitano ai piedi del monte, sloveni, austriaci, italiani e friulani.

E' un addio che vale anche per i veri amanti della bicicletta. Molti, inforcando la mountain bike, hanno già raggiunto il Lussari, la strada sterrata è da anni un buon banco di prova per chi ha gambe e polmoni. si sono fatte anche gare, di velocità in salita, anche con molto concorso di pubblico. Poteva bastare, anche per rilanciare l'uso della bicicletta come mezzo che unisce cultura, economia, umanità e salute. Nessuno aveva mai neppure immaginato un simile consumo di suolo, la cementificazione di una stradina di montagna, il lancio nel circo del turismo globale. E' vero, le avvisaglie c'erano tutte. La funivia aveva riempito i fine settimana d'inverno di sciatori innamorati della stupenda pista Di Prampero, mi aveva consentito anche a chi non ha il dono o la forza per camminare di sperimentare la spiritualità dell'ambiente. C'era stata una lunga battaglia per evitare la trasformazione dell'antica via dei pellegrini in pista da sci. E pensare che fino agli anni '80 del XX secolo era ancora possibile vedere alcuni tratti del selciato di pietre lisce sulle quali molti pellegrini salivano in ginocchio per ore!

Insomma, il Monte Lussari è uno scrigno di storia, di fede, di bellezza paesaggistica e anche di arte. E' un luogo che è rimasto nei secoli così affascinante anche per la fatica richiesta per raggiungerlo. Forse per questo, la tappa del Giro d'Italia sembra a molti - certo, non a tutti - più che una provocazione, un'inutile profanazione di un tempio della Natura e dell'Umanità. 

Sono consapevole che ciò non interesserà a nessuno, ma da appassionato ciclista e da abbastanza fedele spettatore della corsa rosa, quest'anno non seguirò le sue tappe, meno che meno la diciannovesima, la cronoscalata da Valbruna al Monte Lussari.

domenica 16 ottobre 2022

Gli Iron Maiden oltre l'Iron Curtain, 12 aprile 1981

 

Foto Nevio Costanzo
Ecco un'interessante gemma, una vera e propria curiosità culturale. La "rubo", con l'autorizzazione dello scopritore nonché fotografo, da quello straordinario osservatore di particolari angoli goriziani che è Nevio Costanzo.

E' chiaramente una pietra confinaria, con il numero seriale 58 ben dipinto. Fino a qua niente di strano. Ma se si aguzza la vista, si scopre che sotto qualcuno ha scolpito una scritta in inglese: Iron Maiden passed the iron curtain 12-4-1981.

Sì, proprio gli Iron Maiden, i musicisti del celebre gruppo inglese, sono passati per Gorizia, hanno attraversato il valico confinario della Casa Rossa e sono entrati in Jugoslavija, forse per una tournée o per chissà quale altro motivo.

Hanno voluto, gli interessati o chi per loro, lanciare un messaggio ai posteri, giocando ironicamente sul termine "iron". La "fanciulla di ferro" ha attraversato la "cortina di ferro" che evidentemente non era così chiusa come qualcuno voleva far credere.

Non esiste più la Jugoslavija, non esiste più la cortina di ferro. Esistono ancora i confini, sono quelli dell'Unione europea, spostati di qualche centinaio di chilometri e diventati reticolati insormontabili di acciaio per chi fugge da fame guerra e persecuzioni. Ma quella scritta è ancora visibile, ricordo di un tempo che sembra molto più lontano dei quasi 42 anni trascorsi da quel mese di aprile del 1981.

sabato 15 ottobre 2022

"Andemo de là". Una gita a Nova Gorica.

 

Circa 60 persone, provenienti da Gorizia e dintorni, accogliendo l'invito del "Libro delle 18.03", hanno visitato Nova Gorica.

Sembra una gita un po' strana. Perché dedicare una mattina alla conoscenza di una città distante al massimo venti chilometri dalla residenza degli intervenuti? Perché in realtà la distanza non è geografica, ma storica e la divisione che ha segnato questa terra soltanto recentemente sta svanendo dalla testa degli abitanti.

Un po' grazie a una guida di eccezione, Pavla Jarc, direttrice del Kulturni dom di Nova Gorica e competente storica dell'arte, un po' grazie a una costruttiva curiosità, i partecipanti sono stati resi partecipi di tanti aspetti e angoli nascosti, a un passo al di là del confine.

Nella stazione della Transalpina c'è stato l'incontro con Kristina Markova, referente dell'importante info point turistico internazionale. Si è poi fatto sosta alla Carinarnica, il piccolo edificio doganale sul confine tra la Erjavčeva ulica e la via San Gabriele. Si sono poi ammirati alcuni dei tanti busti scolpiti, soffermandosi in particolare ad ascoltare le voci poetiche di Ljubka Sorli Bratuž, Alojz Gradnik e Simon Gregorčič. Grazie alla parola sapiente di Pavla, hanno trovato forma e spiegazione le numerose statue presenti in città, soprattutto le più recenti espressioni di arte moderna e postmoderna. Ci si è soffermati sulla Fornace, unico edificio esistente prima dell'avvio delle fondamento di Nova Gorica, nonché sulle reliquie dell'antico cimitero, al posto del quale oggi c'è la stazione delle corriere. Non poteva mancare un passaggio nella piazza del "travnik", davanti al Municipio, una discesa nell'interessante sala espositiva, la Mestna Galerja e un'istruttiva passeggiata guidata all'interno della bellissima Knižnica, la Biblioteca della città.

L'obiettivo non dichiarato ma del tutto centrato è stato quello di far comprendere che Nova Gorica e Gorizia non sono due città separate, ma un unico agglomerato urbano, uno antico e uno moderno. Questa diversità, marcata anche dalle lingue e dalle espressioni artistiche e culturali, invece di essere un ostacolo, è una risorsa preziosa della quale rendersi conto ed andare orgogliosi. Del resto, la nomina di Capitale europea della Cultura è stata determinata proprio da questa simbiosi tra vecchio e nuovo, tra tradizione e innovazione, tra tanti idiomi e ricerca di unità. Grazie Pavla per la guida delicata e intelligente, grazie Paolo Poli per aver pensato a Nova Gorica, come sorprendente meta della prima "passeggiata" di questa edizione autunnale del Libro delle 18.03.

venerdì 14 ottobre 2022

Evropska Prestolnica Kulture 2025. Che cosa è la Capitale Europea della Cultura 2025?

L'assegnazione a Nova Gorica della Capitale europea della Cultura, nell'anno 2025, ha un passato, un presente e un futuro.

Il passato affonda le radici fino alla fine della seconda guerra mondiale. Il conflitto che ha insanguinato il mondo, unito alle sofferenze inflitte soprattutto alla popolazione slovena durante il regime fascista e l'occupazione nazifascista, ha provocato grandi devastazioni, materiali e spirituali, al territorio. Ma è già negli anni '50 che le ferite delle arbitrarie divisioni - alcune immagini, per usare un termine moderno, erano diventate virali, come quelle relative al cimitero di Miren o alla stalla separata dalla casa padronale - hanno cominciato a essere piano piano rimarginate. Sindaci illuminati, da una parte e dall'altra del vecchio confine, operatori culturali dalle larghe visioni, vescovi e sacerdoti desiderosi di camminare insieme, hanno permesso alla frontiera goriziana di non essere una "cortina di ferro", ma un luogo di passaggio, sempre meno difficile da oltrepassare. L'indipendenza della Slovenia e la dissoluzione della Jugoslavia hanno permesso di compiere un altro passo in avanti nelle relazioni reciproche. Il processo di avvicinamento si è compiuto nel 2004, con l'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea e soprattutto nel dicembre 2007, con l'adesione all'area Schengen. Da allora il confine ha cominciato a sparire anche dalla testa degli abitanti ed è diventato via via più normale non soltanto costruire affari, ma anche incontrarsi, conoscersi, intessere amicizie a relazioni affettive.

Il presente riguarda la candidatura a essere Capitale europea della Cultura nel 2025. Ogni anno sono due le Capitali europee della Cultura e vengono decise sulla base delle proposte che derivano dai diversi Stati, a rotazione. A ogni Nazione l'onore capita quindi circa una volta ogni 14 anni. In Italia l'ultima Capitale è stata Matera, nel 2019. La Slovenia ha candidato per il 2025 diverse città, ma la scelta finale è stata riservata a cinque: Ptuj, Kranj, i dintorni di Ljubljana, i quattro Comuni sloveni affacciati sull'Adriatico e, appunto, Nova Gorica. La scelta, come si sa, sulla base del contratto progettuale definito "bid book", è caduta su Nova Gorica, grazie al rapporto stabilito con la vecchia Gorizia italiana. Quindi, la dizione esatta è: Nova Gorica, capitale europea della cultura o meglio ancora Evropska Prestovlnica Kulture (EPK), con il sostegno e insieme a Gorizia. Il percorso fino al 2025 è stato per il momento abbastanza tormentato, anche per la frequente sostituzione delle persone chiamate a guidarlo e per la ricerca di strumenti burocratici adeguati per gestire un ambizioso programma che coinvolge di fatto due Stati. Sono stati così attivate due strutture di coordinamento per realizzare l'obiettivo di raccogliere finanziamenti dall'Europa, dalla Slovenia, dall'Italia e dalla Ragione Friuli - Venezia Giulia, Zavod per Nova Gorica e il già esistente GECT/EZTS composto dai tre comuni confinanti di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter/Vrtojba. Questa ultima istituzione è operativa da oltre dieci anni, ha realizzato diversi obiettivi, il più visibile viene inaugurato proprio in questa giornata di ottobre 2022, la bellissima passerella sull'Isonzo a Salcano, nodo determinante nella costruzione della pista ciclabile dalla foce alla sorgente del fiume.

Il futuro riguarda i sogni che si potrebbero realizzare, che cosa potranno essere - a partire dal 2026 - Nova Gorica, Gorizia, ma anche tutto il territorio che comprende le valli dell'Isonzo/Soča e del Vipacco/Vipava, il Carso sloveno e la Bassa Friulana Aquileiese. Tante sono le ipotesi possibili. Per esempio, con l'aiuto dei centri di ricerca accademica e scientifica dedicati alle relazioni internazionali e alla diplomatica, la zona potrebbe diventare Laboratorio di costruzione di pace e giustizia, centro di addestramento dei corpi civili di pace, luogo di avvio di trattative per popoli che si trovano momentaneamente in guerra. In questo senso, posta nell'area settentrionale della cosiddetta "rotta balcanica", la Capitale della Cultura dovrebbe segnalarsi per una straordinaria capacità di accoglienza, individuando modalità originali e creativi per far sì che chi fugge da guerra, fame e persecuzioni possa essere e sentirsi pienamente a casa propria. Inoltre, data l'importanza del Novecento Goriziano, potrebbe essere un realtà molto attrattiva per gli studi storici e antropologici, per gli approfondimenti botanici e zoologici, per la salvaguardia di un ambiente particolarmente bello e in parte incontaminato. Si potrebbero immaginare istituzioni socio-economiche in grado di generare lavoro, valorizzando l'asse orizzontale che dal Nord Italia si dirige verso Lubiana e il centro Europa e quello verticale, dall'Adriatico al Mare del Nord. Nova Gorica e Gorizia potrebbero quindi essere un vero nodo di scambi commerciali e soprattutto culturali, senza dimenticare il ruolo storico della vicina Aquileia, alla cui forza generativa spirituale e culturale guardano qualcosa come 9 attuali Nazioni e almeno 42 soggetti religiosi cristiani e non solo. Potrebbe altresì essere un luogo di approfondimento filosofico, invitando pensatori di tutto il mondo a confrontarsi sulla sostenibilità di un futuro che si presenta incerto, anche sul piano della visione teorica. A Nova Gorica e Gorizia si dovrebbe iniziare l'elaborazione di una nuova sintesi di pensiero, in grado di integrare valori e aporie dell'aristotelismo medievale e dell'idealismo moderno e postmoderno, senza dimenticare gli apporti delle culture extraeuropee. Sì, proprio a Nova Gorica e Gorizia, definite da molti "cerniera tra Oriente e Occidente".

Non si tratta dunque di realizzare qualche strada in più o di risistemare gli arredi urbani, neppure di svolgere qualche specifica azione teatrale o musicale. Si tratta di cambiare radicalmente mentalità, di sentirsi tutti parte di una straordinaria realtà internazionale che, per quanto geograficamente piccola, può offrire all'Europa e al Mondo intero una proposta credibile di giustizia, pace e fraternità.

giovedì 13 ottobre 2022

ASSANGE LIBERO! La maratona del 15 ottobre.

J.Assange, quadro di Abel Herrero
L'avvio della nuova legislatura del Parlamento italiano, le tradizionali e stucchevoli manovre per le elezioni dei vari presidenti e vicepresidenti, rischiano di far dimenticare un importantissimo appuntamento.

Sabato 15 ottobre ci sarà la maratona internazionale per la liberazione di Juljan Assange. In tutto il mondo ci saranno manifestazioni, incontri informativi, momenti di riflessione sull'incredibile - o forse fin troppo credibile! - caso del giornalista australiano.

Tutti ricordano perché sia entrato in un'odissea giudiziaria che lo ha portato a conoscere le più tremende umiliazioni che un essere umano possa ricevere. La sua "colpa" è una sola, quella di aver svolto con grande serietà la propria professione e aver rivelato scena e retroscena dei più clamorosi intrighi che hanno portato il pianeta a essere così come è.

Lo ha fatto in nome di un giornalismo che non deve essere il "cane da compagnia del Potere", ma il "cane da guardia della democrazia", denunciando tutto ciò che ostacola o rende evanescente quel "potere del popolo" che la parola stessa dovrebbe evocare. Assange non ha guardato in faccia nessuno, potenti della terra o magnati dell'economia e per questo è da quasi un decennio imbucato in una corsia di terrore che sembra non avere mai fine.

Manifestare a favore di Juljan non è tanto (o soltanto) rivendicare il sacrosanto rispetto dei diritti della persona, ma è proprio rivendicare la dignità del sistema che dovrebbe vedere ogni cittadino protagonista del governo del proprio Stato o del proprio Comune. Ogni segreto che impedisce la comprensione del reale svolgersi degli avvenimenti è una ferita profonda al sistema che dovrebbe consentire a tutti - nessuno escluso - di esercitare quel "potere che appartiene al popolo", come recita l'articolo 1 della Costituzione Italiana.

Mentre un'infinita serie di segreti - militari, politici, sanitari, finanziari... - determina l'esistenza quotidiana delle persone e delle società, si condanna e si distrugge la vita stessa di un giornalista che si ribella a questo stato di cose, nel nome di una formazione ed educazione all'autentico esercizio del "potere del popolo". Il caso Assange è un caso emblematico. se sarà estradato e ulteriormente condannato, avremo una tragica conferma della deriva di un sistema che di "democratico" ha soltanto il nome. Se invece la "maratona" del 15 ottobre avrà un successo e Assange ritroverà la libertà della quale ha totalmente diritto, si potrà guardare ancora al futuro con un barlume di speranza. 

A tutte e tutti l'invito a dedicare almeno un pensiero, sabato 15, a Juljan Assange, in qualunque situazione ci si trovi a vivere un nuovo giorno di grazia di questo difficile anno 2022. 

mercoledì 12 ottobre 2022

Tutti in piazza per la pace, contro la guerra e l'invio di armi

Qualcosa, o qualcuno, finalmente si muove. Finita l'ubriacatura della campagna elettorale, a quella forte di Francesco e a quella numericamente flebile dei gruppi pacifisti, si è aggiunta la voce di alcune forze politiche italiane. Questa volta presumibilmente in tanti, forse molti anche tra coloro che hanno espresso il loro disagio non andando a votare, ci si troverà sulle piazze italiane. Si manifesterà per dare sostegno a chi è contro la guerra, in Russia, in Ucraina e in tutto il mondo. Si chiederà a gran voce che Putin fermi l'inaccettabile aggressione dell'Ucraina, che Zelensky accetti immediatamente di trattare una pace che riconosca i diritti dei russofoni che abitano nel Donetsk e nella Crimea, che gli Stati Uniti non interferiscano aggravando una situazione tremendamente delicata, che l'Unione europea si adoperi in tutti i modi per portare i contendenti alla trattativa e al dialogo, che non si inviino più armi all'Ucraina, le quali - come ampiamente previsto - hanno trasformato un conflitto risolvibile in un incubo acuito dalla minaccia nucleare.

Ecco, quest'ultimo è l'elemento discriminante, che rende incomprensibile o relega al livello di mera strumentalizzazione l'iniziativa del Partito Democratico, il quale - distinguendosi dagli altri - propone un sit-in davanti all'ambasciata russa a Roma chiedendo un armistizio, senza esprimersi intorno agli armamenti.

La manifestazione ad Aviano, il prossimo 22 ottobre alle ore 16.30, promossa da Europe for Peace e condivisa da numerose sigle, è schierata senza equivoci e vuole richiamare dall'intera regione Friuli - Venezia Giulia e dal vicino Veneto, tutti coloro che non vogliono genericamente la pace, ma che sono convinti che l'unico modo per ottenerla è rinunciare a qualsiasi utilizzo di armamenti e strumenti realizzati soltanto per seminare morte e distruzione.

Facciamo sentire alta la nostra voce. No alla guerra, no alle armi, sì al dialogo, alla trattativa, alla diplomazia.

Vaticano II, sessanta anni dopo. Alba o tramonto?

L'11 ottobre 1962 si apriva solennemente il Concilio Vaticano II. Si è trattato di un evento, durato poco più di tre anni (8 dicembre 1965), convocato da Giovanni XXIII con l'esplicita intenzione di aggiornare il cammino della Chiesa cattolica al tempo della modernità.

Molte sono le intuizioni innovative che hanno caratterizzato il Concilio. La più eclatante e immediatamente riscontrabile è stata la riforma liturgica, con l'introduzione delle lingue correnti al posto del latino nei riti. La Costituzione Sacrosanctum Concilium, approvata nel 1963, è stato il primo documento fondante approvato, la altre tre Costituzioni (Lumen Gentium sulla Chiesa, Dei Verbum sulla Rivelazione, Gaudium et Spes sul rapporto tra Chiesa Cattolica e Mondo contemporaneo), sono state promulgate successivamente, accanto a molti altri Decreti e Dichiarazioni dedicati a temi specifici, quali l'unità dei cristiani, il rapporto con le religioni, la formazione sacerdotale, le comunicazioni sociali, la scuola, l'apostolato dei laici e tanti altri.

Le altre grandi prospettive, aperte dal Vaticano II, sono meno conosciute e proposte non senza contraddizioni, dovute soprattutto alla necessità di raggiungere compromessi tra gli episcopati tradizionalisti e quelli progressisti. Il metodo di risoluzione delle controversie, basato sull'affermazione contemporanea di diverse posizioni, ha consentito di raggiungere la sostanziale unanimità di voto sulle prese di posizione ufficiali, lasciando nel contempo aperta la discussione su temi di grande importanza. Per esempio, se è vero il definitivo superamento dell'espressione "extra ecclesiam nulla salus", è altrettanto vero che la Lumen Gentium - a differenza della dichiarazione Nostra Aetate - afferma la presenza della pienezza della Verità soltanto nella Chiesa cattolica. Si parla di collegialità episcopale per ciò che concerne la guida della comunità, ma non viene neppure scalfito l'assoluto primato del Papa, meno che meno viene affrontata la questione dell'infallibilità "ex cathedra", proclamata dogmaticamente cento anni prima dal Vaticano I con un dettato a dir poco anacronistico. Si tratta dell'equiparazione della dignità di servizio tra laici e presbiteri, ma si ribadisce la distinzione addirittura "ontologica" tra sacerdozio battesimale e ministeriale. Si sottolinea il primato della libertà di coscienza sull'obbedienza alla legge, ma si ribadisce che l'unica realtà deputata alla corretta interpretazione della Scrittura e della Tradizione è quella del Magistero dei Vescovi in unione con il "Sommo Pontefice". Si raccomandano la piena partecipazione del cristiano alla vita pubblica e sociale e la scelta di un ripudio costante della guerra come strumento di risoluzione delle controversie tra le persone e i popoli, ma non si avviano processi di allontanamento dai privilegi e collateralismi politici e culturali che hanno spesso infangato il buon nome della Chiesa. Si proclama la libertà nei confronti dei beni materiali e terreni, ma non viene neppure sfiorata l'idea di uno smantellamento della Città del Vaticano, ultimo residuo di un potere temporale che dovrebbe essere considerato ormai definitivamente superato dalla Storia.

L'impressione è dunque che il Concilio Vaticano II abbia preso atto dei grandi cambiamenti che hanno interessato tutte le società planetarie negli ultimi due secoli, ma che non abbia voluto "definire" nulla, lasciando il compito di spostare i confini dell'interpretazione - più a destra o a sinistra, per usare categorie politiche - alle generazioni successive. Il che poi è accaduto, con molte tensioni, verso la Tradizione o verso il progresso, che hanno portato più volte la Chiesa sull'orlo dello scisma. Gli stessi vescovi di Roma che si sono succeduti hanno rilevato nella loro stessa persona tali contraddizioni. Paolo VI è colui che ha voluto continuare e portare a termine il Concilio, dopo la morte di Roncalli. Ha seguito i primi passi della sua applicazione, ondeggiando in modo assai sofferto tra innovazione (Populorum Progressio) e conservazione (Humanae Vitae). Giovanni Paolo I, nella sua brevissima esperienza durata appena un mese, ha avuto il tempo di passare dal plurale maiestatis alla prima persona singolare, ma anche di prendere in esame il dossier economico della Santa Sede, conoscenza che secondo le teorie complottiste ma non del tutto peregrine, sarebbe alla base della sua morte improvvisa. Giovanni Paolo II ha avuto una presenza molto incisiva sul piano delle relazioni ad extra, c'è chi lo riconosce come concausa del crollo dei muri tra est e ovest d'Europa, ma ha confermato con una certa rigidezza le posizioni meno avanzate del Concilio per ciò che concerne la vita interna della Chiesa. La sua posizione è stata enfatizzata dal suo successore, papa Ratzinger che con raffinata visione teologica ha ribadito la chiave ermeneutica della filosofia aristotelica e tomista come unica fondante l'identità teologica dei cristiani, lasciandosi poi travolgere da un'incredibile serie di scandali vaticani che lo hanno portato alle repentine e inattese dimissioni "per motivi di salute". Francesco ha affrontato il pontificato offrendo un campionario di atteggiamenti che hanno suscitato entusiasmo in una parte più avanzata della comunità credente e critiche anche feroci - spinte fino ai dubbi sulla legittimità dell'elezione - nell'altra parte più conservatrice.

In questa situazione, non basta dire che "occorre solo applicare i dettati conciliari", perché questo è già stato tentato negli ultimi sessanta anni, con il risultato di un'incertezza venefica sul cammino da seguire. E' vero anche che affermare tutto e il contrario di tutto può nell'immediato evitare scontri insanabili, ma a lungo andare il dubbio permanente può risultare molto più pericoloso e condurre all'insignificanza di posizioni sempre contraddette da quelle opposte. C'è bisogno invece di un nuovo Concilio, aperto anche alle altre chiese, alle religioni, ai diversi ateismi. Potrebbe essere un'assemblea mondiale di rappresentanti di alto livello, uniti nella ricerca di nuove coraggiose prospettive da offrire alla Chiesa cattolica del Terzo Millennio. Una simile assise avrebbe la legittimazione teologica e sociale per orientare autorevolmente le speranze suscitate dall'alba del Concilio Vaticano II, evitando che l'aurora si trasformi direttamente in tramonto. 

lunedì 10 ottobre 2022

Il Cimitero di Miren

La storia del cimitero di Miren/Merna ha fatto a suo tempo il giro del mondo. La linea di confine del 1947 lo ha infatti diviso in due parti, cosicché la teoria delle tombe era divisa dal filo spinato. Si raccontano mille episodi intorno all'assurdità di una divisione che è arrivata fino a dividere i morti, con gravi disagi per le famiglia, costrette a volte a rischiare l'arresto, se non anche qualcosa di peggio, pur di poter onorare i propri cari. Questa incredibile situazione è rimasta inalterata addirittura fino al 1974, quando il miglioramento delle relazioni tra Jugoslavia e Italia, ha consentito di spostare il confine e di farlo coincidere con il muro di cinta del camposanto. Oggi una linea retta di mattonelle arancioni ricorda ai visitatori non soltanto la fine di una vicenda che a provocato molte sofferenze nella gente, ma anche la stupidità intrinseca della guerra e delle conseguenze che essa provoca, a breve e lunga distanza di tempo. "Spomni se name" c'è scritto su ogni piastrella, "Ricordati di me", un invito a una memoria che si trasformi in impegno per la giustizia e per la pace.

Nelle stanze situate all'ingresso è stato allestito una bella esposizione documentaria, parte integrante di quello splendido "museo diffuso del Novecento" che ha permesso di cambiare destinazione alle casermette di frontiera, da luoghi deputati al controllo del passaggio delle persone e delle merci a opportune occasioni di ricordo del passato e di proiezione verso un futuro di impegno, di amicizia e di pace. Da ormai oltre quindici anni, la stazione della Transalpina, la Carinarnica tra via San Gabriele e l'Erjavčeva ulica, il Rafut, la torretta di avvistamento nei campi di Vrtojba e appunto il cimitero di Miren/Merna  sono diventati luoghi di approfondimento di ciò che è stato l'importante Novecento Goriziano, attrattivi e didatticamente molto ben allestiti. Naturalmente in Slovenia. Dalla parte italiana, nonostante le proposte portate già a partire dal 2007 dalla rivista Isonzo Soča a livello mediatico e in Consiglio Comunale soprattutto da Anna Di Gianantonio e dagli altri consiglieri del Forum per Gorizia, si è fatto ben poco. A parte l'appena inaugurata ma non ancora aperta e custodita sede del Rafut, la casa di Salcano è stata venduta ai privati, le strutture di Via San Gabriele, Šempeter e Merna sono in rovina e di un lavoro concordato con il Goriški Muzej restano solo l'auspicio e il desiderio. E' stata un'altra occasione perduta, una carenza grave nella possibilità di conoscere in maniera intelligente, costruttiva e coordinata il passato antico e recente di questa terra.

Già che ci si è, si segnala un'altra delle tante curiosità che si possono incontrare nel piccolo, ma storicamente importante cimitero. Una statua colpisce e attira subito l'attenzione. C'è una lunga scritta che giustifica tanto onore. Il defunto si chiamava Giuseppe Giovanni Marussig. Doveva essere un tipo in gamba, dal momento che viene ricordato come straordinario da familiari e amici "inconsolabili". In realtà è stato anche un po' sfortunato, vissuto poco più di 55 anni e morto poco dopo aver raggiunto la pensione, dopo 33 anni di lavoro. Ah sì, che lavoro? E' stato esperto capitano marittimo, al servizio del Lloyd Austro Ungarico. Un po' strano vero? Un uomo nativo di Miren, località ai piedi del Carso relativamente distante dal mare, diventa "valoroso" solcatore delle onde del Mediterraneo e - ci si può immaginare - anche dell'Oceano. 

Insomma, tutto ciò per dire che una breve visita il cimitero di Merna se la merita, magari accompagnata dall'acquisto dei buoni e sani prodotti della terra che gli agricoltori della zona quasi ogni giorno vendono nei paraggi. 

"Il latte dei sogni", un giorno in Biennale

 

Ieri sono stato a visitare la Biennale di Venezia 2022.

Molto interessante. Particolarmente originale risulta essere il taglio femminile e femminista dell'esposizione, le artiste sono la stragrande maggioranza e certamente questa particolarità incide fortemente sulla forza e la linearità dei messaggi. C'è inoltre una significativa accentuazione sociale e politica che rinvia in parte alla fine degli anni '60 e alla prima parte del successivo decennio, quando l'arte non era mai considerata fine a sé stessa, ma rinviava a una visione essenzialmente rivoluzionaria del presente.

Il tema dominante sembra essere proprio la possibilità stessa di un futuro. Scorrono immagini terribili, la cui trasformazione in opera poetica non diminuisce ma acuisce l'orrore. I macelli dove si compie il destino di milioni di animali cresciuti negli allevamenti intensivi si alternano alla distruzione sistematica del suolo e alla perdita di ogni rispetto nei confronti della madre terra.

Inutile dire che ci sono intensi richiami all'urgenza di un pacifismo in grado di contestare in ogni modo il proliferare delle armi, direttamente proporzionale alla crescita delle più assurde ingiustizie e di una spaventosa disumanità. Il punto di arrivo di questo percorso della societas globalizzata del Capitale e del Consumo è la catastrofe nucleare, non provocata tanto dall'insipienza degli strateghi del terrore quanto dall'inevitabile declino della stessa natura di homo sapiens. Il padiglione centrale, in diversi modi e attraverso le "forme artistiche" più diversificate, trasmette questa inquietante sensazione in ogni suo angolo. E' introdotto da un'enorme statua di un'elefantessa verde che sembra voler rappresentare il pachidermico viaggio nella cristalleria dell'antropologia e della biologia, il rischio di un'estinzione non certo determinata dalla volontà degli animali. Le esposizioni dei singoli Paesi riecheggiano l'argomento fondamentale, proponendo artiste individuali capaci di aggiungere qualche granello di speranza a una situazione riconosciuta comunque deprimente.

Come in ogni sua edizione, anche quest'anno la Biennale provoca e fa pensare. L'inquietudine valorizzata dalla bellezza del gesto artistico non è una masochistica e fatalistica chiusura dentro la propria malinconia. E' invece l'unica possibilità di essere e sentirsi pienamente umani, consapevoli dell'abisso vicino al quale si cammina, preoccupati per la generale incoscienza e nello stesso tempo ancora convinti che qualcosa, magari poco, sia ancora possibile salvare. La responsabilità umana è enorme, occorre assumere come compito l'assunzione del "latte dei sogni", titolo della rassegna. "Bere il Sogno" è accogliere la concretezza di un'utopia che non è il luogo impossibile, ma l'unica, ultima chance per la sopravvivenza di tutti.

La Biennale sarà aperta fino al 27 novembre. Vale davvero la pena di spendere una giornata per coglierne il potente appello.

mercoledì 5 ottobre 2022

Putin e Zelens'ky, venite nella pace ad Aquileia!

Tramonto nella basilica matriarcale di Aquileia
Era purtroppo fin troppo facile prevedere gli sviluppi della guerra fra Russia e Ucraina. Quello che non ci si poteva immaginare è che quasi nessuno avrebbe lavorato per favorire trattative e costruire accordi di pace. Tra le persone che hanno accesso alle prime pagine dei giornali, l'unico che è stato coerente, fin dal primo giorno, è stato papa Francesco. Non è un caso che lo spazio a lui dedicato sui media si è improvvisamente rarefatto, mentre fino all'inizio dell'attuale conflitto le sue esternazioni venivano immediatamente raccolte da tutti. Anche nel forte intervento della scorsa domenica le ha cantate a Putin, affinché la smetta di inviare truppe a massacrare e a farsi massacrare in Ucraina e le ha cantate a Zelens'ky, chiedendogli di accettare subito un dialogo per una tregua. Si può dire di tutto di questo vescovo di Roma - forse potrebbe spendere qualche parola in più sul Tigray o sulla straordinaria protesta delle donne dell'Iran - ma non che non si sia impegnato per fermare i combattimenti in Ucraina.

E così accade che il conflitto, endemizzandosi, diventi sempre più grave e che possa da un momento all'altro allargarsi ad altri Paesi o interagire con altre situazioni delicate del Pianeta. Non si deve dimenticare poi la crisi energetica, con tutto il patrimonio di speculazione che porta con sé, al di là della facile attribuzione di responsabilità solo al protrarsi della guerra in territorio europeo. Le minacce - reali o strategiche che siano - di utilizzo della bomba atomica rendono ancor più surreale il clima, da una parte  dall'altra dell'Atlantico. Nel bel mezzo di questa confusione ci si mette anche la Corea del Nord con i suoi test missilistici verso il Giappone e con la risposta statunitense nella stessa zona.

Insomma, c'è tanta benzina sul fuoco e ormai il classico cerino potrebbe essere gettato da un momento all'altro. Come correre ai ripari? Ci si aspetterebbe un soprassalto gigantesco delle diplomazie di tutto il mondo, un correre da una parte all'altra dell'Europa per trovare immediate e durature situazioni. Invece no, il problema è ancora fermare Putin con le sanzioni che stanno per mettere in ginocchio tutti i paesi che le applicano e l'invio di ulteriori sofisticate armi al presidente ucraino. Ormai dovrebbero essere quasi esauriti gli arsenali delle armi convenzionali custodite negli Stati Uniti e nell'Unione europea. Adesso che fare? Migliorare la qualità e aumentare la quantità? O inserirsi finalmente in un cammino opposto a quello percorso finora, accogliendo - tutti, non solo Putin e Zelens'ky - l'appello a deporre gli strumenti di morte e ad avviare strategie di fraternità e pace?

Nova Gorica e Gorizia potrebbero essere luoghi in cui avviare trattative, ma nonostante le intenzioni esplicitate sui giornali, non se ne è fatto nulla. Aquileia potrebbe essere ancora di più adatta, come luogo di riferimento storico anche per le popolazioni di Kiev e di Mosca. Questi nostri territori che hanno visto tanto sangue versato, possono ora diventare faro ci collaborazione, solidarietà e pace per tutto il mondo. questa sarebbe la vera porta della "capitale europea della Cultura". Con la mediazione di Francesco, si potrebbe inviare l'invito agli emissari di Putin e Zelens'ky, affinché comincino a incontrarsi da queste parti, fuori dai riflettori planetari. Il sindaco di Aquileia ha già pubblicamente raccolto con convinzione la proposta, nel corso della presentazione del Libro delle 18.03, sottolineando come la Basilica patriarcale (o meglio, matriarcale) sia stata consacrata nel 1031, prima quindi dello scisma tra Oriente e Occidente. Come tale è riconosciuta sia dagli ortodossi russi che dagli uniati ucraini e in questo caso anche le confessioni cristiane interessate, potrebbero effettivamente essere e sentirsi "a casa propria".

martedì 4 ottobre 2022

Save the date. Il 7 ottobre Gratton presenta al Kulturni dom il libro su mons. Pietro Cocolin

 

La copertina: case a Saciletto. Di Evaristo Cian
Venerdì 7 ottobre, alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia, il giornalista e scrittore Pier Paolo Gratton presenterà il suo libro "Non lasciatemi solo. Storia di Mons. Pietro cocolin, il Vescovo che voleva fare il parroco". Introdurranno il volume il direttore del Kulturni dom Igor Komel, il sindaco di Ruda Franco Lenarduzzi, il vicario generale dell'Arcidiocesi Armando Zorzin e il giornalista Andrea Bellavite che ha curato la prefazione del testo.

E' una biografia. L'autore ripercorre infatti tutti i passaggi della vita del protagonista, cominciando dalla nascita a Saciletto di Ruda, ripercorrendo gli anni della gioventù fino all'ingresso in Seminario. Dopo l'ordinazione sacerdotale, inizia il racconto delle prime esperienze ministeriali, a Cormons e Terzo d'Aquileia. L'approdo alla amatissima Aquileia e poi la nomina al duomo di Monfalcone sono gli antefatti dell'inattesa chiamata alla cattedra dell'Arcidiocesi di Gorizia. Sono gli anni dell'immediato dopo Concilio e mons. Cocolin non si risparmia nel tentativo di attuare nel territorio Goriziano le grandi intuizioni dell'assise romana. Gratton narra gli avvenimenti e scandagli l'animo con il quale vengono affrontati, attraverso una documentazione eccezionale, quella fornita dai diari scritti dallo stesso vescovo e quella offerta dalle ricche e vivaci testimonianze dei collaboratori, degli amici e dei familiari. Ne emerge un ritratto toccante e interessante, di un uomo che percepisce la propria solitudine nell'affrontare un compito enorme, in anni molto delicati per il contesto ecclesiale e sociale, con l'aiuto di molti collaboratori ma anche con la critica sistematica di molti detrattori. Come recita il sottotitolo, chissà quante volte il vescovo avrebbe voluto tornare a essere un semplice parroco, senza dover porsi come "padre" davanti a quei compagni di sacerdozio che fino a poco prima erano stati suoi "fratelli"!

E' anche un libro di storia. Il pregio del volume curato da Pier Paolo è quello di sfuggire  alle tentazioni dell'agiografia e della retorica. Questa qualità è resa possibile dallo sguardo acuto dello storiografo che analizza accuratamente i contesti. Si conoscono così gli ambienti agricoli del ventennio fascista nella Bassa Friulana e si evidenzia l'assurdità del processo di italianizzazione del territorio, evidente anche nella Chiesa e nel Seminario di Gorizia nel quale vengono espulsi e perseguitati i candidati sloveni. Si assistono a scene da "don Camillo e Peppone" nei primi passi da parroco di mons. Cocolin, coinvolto nelle diatribe tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista nell'immediato dopoguerra. E ci si accorge che forse la vera sfida al cristianesimo, quella più difficile da vincere, è quella lanciata dalla società del consumismo, della secolarizzazione e della crisi dei valori. I quindici anni di episcopato a Gorizia raccontano di un uomo che vuole dare alla sua comunità ecclesiale uno sguardo universale, aprendo la missione in Costa d'Avorio. Sottolineano la passione per la comunicazione e per il rinnovamento, evidenziano il desiderio di costruire relazioni importanti e fraterne fra le chiese sorelle di Gorizia e di Koper/Capodistria, notano la consapevolezza dell'importanza di un profondo e radicale cambiamento culturale e sociale. Non mancano le incertezze, come accade in ogni vicenda umana, i dubbi suscitati dal caso Sant'Anna, il coinvolgimento del clero agli inizi del caso Basaglia, il lancio dell'idea di un grande convegno ecclesiale di chiarimento e rilancio pastorale, osteggiato al punto tale da suscitare nel presule un senso di delusione profonda. Forse il dialogo - è un ipotesi dell'autore, non documentata in quanto il contenuto è ancora nascosto negli archivi - con il Papa Giovanni Paolo II nel corso della visita ad limina all'inizio del 1967 o forse proprio la sensazione di non riuscire a raggiungere l'obiettivo prefissato, hanno fiaccato anche il suo fisico e lo hanno portato alla breve malattia che lo ha condotto alla morte, ad appena 61 anni.

Gratton lancia anche una proposta molto concreta. Nel testamento l'Arcivescovo ha lasciato scritto il desiderio - nei limiti delle possibilità - di essere sepolto nella Basilica di Aquileia. Chissà, forse questo libro potrebbe smuovere qualcosa e rendere concreto il realizzarsi di tale mandato, con un trasferimento delle reliquie (nel senso di "ciò che rimane") dalla Cattedrale di Gorizia alla Basilica Patriarcale.

In ogni caso, un libro da leggere e una presentazione al Kulturni dom da non perdere!

lunedì 3 ottobre 2022

3 ottobre, Giornata della Memoria e dell'Accoglienza

 

Il 3 ottobre 2013, a poche miglia dal porto di Lampedusa, il naufragio di una delle tante navi di un'effimera speranza, ha provocato la morte di 368 persone, alle quali sono da aggiungere 20 dispersi.

368 esseri umani, soggetti di diritto come ogni altro simile, hanno perso il dono prezioso della Vita, inghiottiti dai flutti del mare profondo.

Non sono certo gli unici, da allora fino a oggi, il Mediterraneo si è bevuto altre 24.473 esistenze, un vera voragine nella quale è coinvolta anche la mostruosa indifferenza con la quale vengono ormai accolte notizie di questo genere.

E' uno dei motivi per i quali è stata istituita la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza, un momento di riflessione, di ricordo e di indispensabile impegno. Ogni anno, il centro delle commemorazioni è sempre Lampedusa, ma un'altra città italiana si propone come richiamo a tutte le altre. Di solito si è trattato di città di approdo dei migranti in fuga dalle guerre e dalla fame, quest'anno la scelta è caduta su Trieste.

Un centinaio di persone si è riunita nel comune di san Dorligo della Valle (Dolina) e ha simbolicamente percorso un brevissimo tratto della rotta balcanica, altro percorso nel quale tante vite si sono spezzate, a a causa delle percosse ricevute o degli improbi attraversamenti di boschi e di fiumi impetuosi. Ci sono stati brevi e interessanti interventi, ma a parlare più di ogni discorso sono stati i segni del passaggio quotidiano di decine di persone, provenienti dal vicino confine con la Slovenia, giunti in Italia dopo inenarrabili difficoltà, nella speranza di essere accolti. Molti di loro, fino allo scorso anno, venivano rintracciati e riportati in Slovenia, da lì in Croazia e poi in Bosnia, in una specie di tragico gioco dell'oca vissuto alle spalle dei più poveri fra i poveri della Terra, stranieri in terra straniera. Giunti quasi alla meta e prima di essere "beccati" dalle forze dell'ordine, dopo aver perso tutto ciò che possiedono, devono librarsi perfino della loro identità, per non essere respinti nel Paese dal quale sono partiti o per farsi riconoscere come minorenni non accompagnati. E devono anche lasciare tutto ciò che potrebbe servire a un'improbabile identificazione. E così, il dolce percorso nel bel bosco che nasconde l'orrendo parco dei serbatoi petroliferi di san Dorligo, a poche centinaia di metri dalla romantica e affascinante Val Rosandra, è cosparso di vestiti abbandonati, sacchi a pelo, documenti sparsi, perfino fotografie strappate che lasciano presagire storie ben più dolorose che avventurose. Ogni giorno, racconta il sindaco di Dolina, tutto viene raccolto e portato all'inceneritore e ogni giorno si torna daccapo, uno stillicidio di piccole memorie disseminate sull'orlo della foresta.

Come non pensare ai corpi martoriati, quelli che Linea d'Ombra, con Lorena, Gianandrea e tanti altri accolgono e curano ormai da anni nel Piazzale dei Popoli davanti alla stazione di Trieste? O a quelli ammassati nei nuovi lager costruiti dal capitalismo, in Libia, in Turchia, nelle isole greche, in Centri Per il Respingimento come quello di Gradisca? Cosa ne sarà di un'Europa incapace di trovare pace nei suoi stessi confini, pronta a costruire nuovi muri finalizzati a dividere il Mondo tra il regno dei ricchi e quello dei poveri? Cosa ne sarà di un Pianeta nel quale l'80% della popolazione fa molta fatica a trovare qualcosa da mangiare, mentre il 20% viene schiacciato dall'eccessiva abbondanza che crea obesità fisica e intellettuale? Nel quale una minima parte si può permettere di viaggiare per puro piacere, mentre l'altra - vilipesa e maltrattata dalla prima - può muoversi solo rischiano la vita nell'attraversare deserti, mari e boschi selvaggi, soltanto per poter dare un futuro di sopravvivenza alla propria famiglia?