Dal grembo della
terra, limpido come un cristallo e azzurro come il cielo, erompe silenzioso,
abbondante, l'Isonzo, la meravigliosa Soča. Non ostenta la propria nascita, preferisce una pudica
riservatezza. Chi vuole vederlo neonato, deve affrontare la fatica del salire,
l'assaggio della pietra, il rischio dello strapiombo, anche se con la sicurezza
di una corda di ferro e di qualche gradino intagliato nella roccia. Lo
spettacolo è incomparabile, con le meravigliose montagne d'intorno, le vette
nude, d'inverno coperte da una candida coperta di neve, i fianchi fasciati dai
toni del verde, macchie scure di boschi incantati e chiari sprazzi dei pascoli
erbosi. E' forte soprattutto l'energia vitale, il Deus Aesontius risale dagli
inferi e visita la terra, percezione del sacro »tremendum et fascinans« che
suscita timore e di stupore, dell'inquietante »sublime« che genera l'emozione e
sollecita l'etica della responsabilità.
Questione di
istanti, momenti del tempo che riempiono di significato il tempo; la profondità
silente e cristallina si trasforma subito in cascata e l'acqua si precipita
nella vertiginosa fessura da essa stessa scavata, sciogliendo paziente, nei
millenni, la roccia. La Soča infante, riflettendo gioiosa i raggi del Sole o
sfidando impertinente il fragore del temporale, ricorda ancora i misteri
nascosti nel ventre del monte e li racconta a chi lo sa ascoltare: il mare che
diventa vapore, la pioggia che scende dal cielo, la neve attesa dal suolo per
il riposo invernale, le immense grotte e le fonti remote, da cui scendere di
nuovo verso il mare. Il fiume è l'allegoria dell'esistenza, dell'immensa
avventura dell'essere e del divenire.
Pochi, entusiasmanti salti, qualche centinaio di metri e un quinto del dislivello compessivo è già »bruciato«. Sono solo pochi minuti, che riescono a incantare i sensi in un ambiente grandioso, con la musica dell'acqua che canta la salmodia della bellezza, battendo i tasti umidi delle rocce levigate. La fonte dell'Isonzo/Soča è situata a m.1087, nel cuore del gruppo montuoso della Mojstrovka, separato dal massiccio del Prisojnik e del Razor dall'ameno Passo Vršič. Il primo ponticello in legno – con esso il rifugio, l'asfalto e il parcheggio – è a quota 886: da qui l'istintività della Natura comincia a intrecciarsi con la consapevolezza della Storia. Dopo il prologo impressionante, dove perfino i sentieri sassosi si arrestano intimoriti davanti all'impeto della nuova vita, ora l'impronta dell'Uomo diventa evidente: ed è Trenta, villaggi abbarbicati sui pendii ed eroiche memorie di bracconieri alla caccia del camoscio sulle cenge ardite, graziosi cimiteri nella valle remota con i nomi che ricordano l'epopea delle Giulie, ardite terrazze arginate dalla pietra dura per strappare alla terra un pezzo di pane quotidiano e croci disseminate dalle guerre, decine di migliaia di giovani vite falciate. Riposano per sempre qui, sempre senza un volto, spesso senza un nome. (Da antiche letture...)
Nessun commento:
Posta un commento