martedì 25 aprile 2023

Alla sera del 25 aprile. Contro la mentalità fascista, "ora e sempre Resistenza"

 

Reti e gabbie nel CPR di Gradisca
Si conclude un 25 aprile molto interessante. Preceduto dalle consuete polemiche, a livello nazionale e locale, ha assunto un particolare significato nel primo anno del governo di destra.

Le commemorazioni sono state molto partecipate e coinvolgenti, anche con la presenza dei giovani, ordinariamente abbastanza assenti negli ultimi anni. Le riflessioni sono state ovunque intense e condivisibili, là dove si è sottolineato non tanto il pericolo del ritorno del duce, ma quello ben più sottile della crescita silenziosa e spesso camuffata di una mentalità fascista, dalla quale può nascere qualsiasi mostro.

In questi giorni sono stati diversi gli esempi relativi a segni preoccupanti e inquietanti di tale "mentalità". L'altra sera, Giorgio Beretta, con ampia e approfondita documentazione, ha sollevato il velo sulla produzione e sul mercato delle armi, quelle leggere e quelle militari. E' incredibile il traffico "legale" dei governi - tutti quelli recenti che si sono succeduti, di vario orientamento, almeno apparentemente - con Paesi in guerra o ben lontani dall'essere retti da sistemi democratici. Così come è incredibile la facilità con la quale si può ottenere un porto d'armi e il mancato censimento delle armi legalmente detenute con regolare porto d'armi (si può solo immaginare il mercato illegale!).

Un altro esempio, tra i purtroppo tanti, arriva dal famigerato CPR di Gradisca d'Isonzo. E' stato diffuso un filmato terribile, relativo a un giovane migrante detenuto gettato per terra da un manipolo di poliziotti in tenuta antisommossa, con segni di grande sofferenza e di tremende ferite sulla schiena. La versione dei compagni di cella e dell'avvocata che segue le sue problematiche è quella di un selvaggio pestaggio scaturito dalla semplice richiesta di poter parlare con il proprio legale. Quella della questura denuncia una rivolta in corso e la necessità da parte della polizia di ripristinare l'ordine. Come al solito, ognuno può credere ciò che ritiene giusto, ma alcuni dati sono oggettivi, primo fra tutti il colore del sangue fuoriuscito dalle ferite, filmate con delicatezza dai vicini di stanza. Ciò che accade nel CPR è top secret, ci vogliono giorni, a volte anni, per giungere a una parvenza di verità, come già accaduto in occasione delle morti e dei ferimenti degli scorsi anni. Le persone sono tenute come bestie nelle gabbie, come i leoni prima di essere immessi nell'arena del circo. Le gabbie esistono da quando il CPR, a quei tempi chiamato CPT, era stato aperto, nei lontani tempi di un governo sedicente di centro sinistra. Si parla di "ripristinare l'ordine", rigettando sul pavimento tra le sbarre, con violenza, le persone che rivendicano il rispetto dei propri elementari diritti. L'opinione pubblica tace, anzi sembra che una cospicua parte di essa approvi e accetti l'assurda proposta di moltiplicare ulteriormente questi centri di sofferenza e di detenzione.

Latita nel frattempo una qualsiasi progetto di accoglienza che non sia repressiva, così come nelle guerre in atto sembra scontato che l'unica soluzione possibile sia l'uso delle armi, per innalzare il livello dello scontro. Con le prospettive di un'accoglienza dignitosa e umana, appassisce anche la passione per il dialogo, per la trattativa, per l'autentica diplomazia, soffocata da una disperante rinuncia a esercitare la nobile arte della Politica, che è confronto aperto e dialettico fra diversi punti di vista - esclusi quelli che negano diritto di cittadinanza all'autentica democrazia - per giungere insieme a una forma di legislazione condivisa.  

Ecco, sì, sono segnali di una mentalità fascista, anche se non sembra ancora essere attivo un regime fascista. Il consenso generato da numerosi indicatori di disumanità non può essere sottovalutato. Per questo è bene concludere questo 25 aprile con le classiche parole, richiamate oggi dal presidente Mattarella a Cuneo, "ora e sempre Resistenza".

Buon 25 aprile... con le parole di don Milani

In questo 25 aprile, ripropongo un celebre passo della Lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani. Scritta nel 1965, conserva buona parte della sua attualità, anche nella sommaria rievocazione della guerra nazi-fascista e nel riconoscimento del valore della Resistenza. Il priore di Barbiana, nato esattamente 100 anni fa (27 maggio 1923), fu denunciato e sottoposto a processo per questo scritto a favore della pace e dell'obiezione di coscienza al servizio militare. La celebrazione del 25 aprile ricorda tutti coloro che hanno partecipato a quella che lui definisce "l'unica guerra giusta - se così si può dire -  del XX secolo". (ab)

 ...Poi dal '39 in là fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia,Russia).

    Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici più nobili che l'umanità si sia data.
    L'uno rappresenta il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, libertà e dignità umana ai poveri.
    L'altro il più alto tentativo dell'umanità di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri.
    Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni libertà se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei(la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente).

    Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono più avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra è stata un confronto di ideologie e non di patrie?

    Ma in questi cento anni di storia italiana c'è stata anche una guerra «giusta» (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra:la guerra partigiana.

    Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.
    Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i«ribelli», quali i «regolari»?
    È una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. 

    Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati.
    Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un «distinguo»che vi riallacci alla parola di San Pietro: «Si deve obbedire agli uomini o a Dio?». E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro.

domenica 23 aprile 2023

MARCO GIRARDO, NUOVO DIRETTORE DI AVVENIRE!!!

 

Un'ultima ora, già peraltro annunciata.

Marco Tarquinio, grande giornalista, finora responsabile del quotidiano di ispirazione cattolica Avvenire, lascia la direzione. Ha tenuto il timone con sicurezza nei delicati frangenti della pandemia e della guerra in Ucraina, ha sostenuto con coraggio la linea di straordinaria apertura di papa Francesco, è sempre stato in prima linea, dalla parte dei migranti, dei più deboli, degli emarginati. Insomma è stato un grande direttore, obbediente soprattutto alla propria coscienza, per nulla intimidito dalle pressioni politiche e culturali di questo difficile periodo.

Dispiace molto che non abbia più questo importante incarico, dal momento che Avvenire, sotto la sua direzione, è diventato un punto di riferimento importante nel panorama giornalistico nazionale e internazionale. Il quotidiano, da sempre molto attento alle vicende del mondo intero, con Tarquinio è diventato anche uno strumento indispensabile per comprendere le dinamiche della politica e dell'economia italiane.

Certo, il dispiacere è alleviato dalla rivelazione del nome di chi lo sostituirà, il "nostro" Marco Girardo, giornalista, scrittore, filosofo, economista originario di Ronchi dei Legionari, da tanti anni in forza dell'ottimo quotidiano. E' stato un caro collaboratore prezioso ai tempi della mia direzione di Voce Isontina e di Radio Voce/Glas, si è saputo da subito far riconoscere per la competenza, l'acume intellettuale, ma anche per la straordinaria simpatia e capacità di relazioni. Sarà uno straordinario direttore di Avvenire, degno erede dei suoi immediati e antichi successori, renderà il giornale ancora più in linea con quel grande cambiamento della chiesa e della società che il vescovo di Roma sta con forza sollecitando dall'inizio del suo Pontificato. Anche per tutti noi è una grande opportunità, chi meglio di lui potrebbe "leggere" a livello nazionale le prospettive aperte dall'avvicinamento e dalla celebrazione di Nova Gorica con Gorizia capitale europea della Cultura 2025? 

A lui, con amicizia e con grande stima, il più sentito augurio di buon lavoro, di saper dare sempre voce ai tanti, troppi che non hanno voce!

Armi sì o armi no, una scelta drammatica e non scontata

 

Lunedì 24, alle ore 18.30 nella sala convegni retrostante la chiesa di Sant'Ignazio a Gorizia, Giorgio Beretta presenterà il suo libro dedicato al "paese delle armi".

E' interessante sapere che l'etimologia del sostantivo "arma" è alquanto incerta. La maggior parte degli studiosi la collega a "ramo" o al tedesco "arm" che significa "braccio". In un senso piuttosto deprimente, l'arma sarebbe intesa come un prolungamento del braccio, come a dire che quasi naturalmente lo strumento che semina morte - sia esso una clava, un coltello, una mazza, una pistola, un cannone o una bomba atomica - altro non è che un inevitabile prolungamento della normale attività umana. Altri propongono come base il latino "ars", ovvero l'azione dell'artigiano, il "mestiere delle armi", come dal titolo di un bel film di Ermanno Olmi.

Comunque sia, già l'etimologia collega strettamente l'esistenza delle armi a un'attività essenzialmente umana. Gli altri animali non costruiscono armi, per attaccare o per difendersi usano solo il loro corpo. L'uomo è l'unico essere che fabbrica strumenti in grado di potenziare al massimo grado possibile la forza offensiva del proprio braccio. Per questo, l'unico nemico che può batterlo è soltanto un altro uomo che ha costruito un'arma più efficace e distruttiva. Per questo, la logica della savana e la legge della giungla hanno le stesse regole dal Pleistocene a oggi, mentre la lotta dell'uomo contro gli altri esseri viventi e contro i propri simili ha attraversato una serie di impressionanti trasformazioni, conseguenza ma anche causa dell'evoluzione tecnologica. Così si è arrivati, passo dopo passo, dalla fionda alla fissione nucleare, fino alla soglia della possibile distruzione di ogni forma di vita sulla terra.

La logica dell'arma, qualunque essa sia, è quella di ferire e uccidere, si tratti di garantirsi il cibo con la caccia (da "captare", sforzarsi di prendere) o di mantenere il proprio spazio vitale, offendendo per allargarlo o difendendosi da altri uomini, per evitare di perderlo. E' un po' singolare, in rapporto agli animali, come l'intensità della pena per la sofferenza di chi viene colpito sia essenzialmente legata a una dimensione essenzialmente culturale, intrinsecamente rapportata allo spazio e al tempo. Si è per esempio assistito, in questi giorni, all'interminabile dibattito sulla sorte che attende l'orsa jj4, mentre solo pochi esseri umani, per lo più vegetariani e vegani provano qualunque sentimento di compassione nei confronti di miliardi di mucche, maiali o polli sacrificati ogni giorno sull'altare della naturale necessità di mangiare. Quasi nessuno si preoccupa per la tristissima sorte dei pesci, tirati fuori dall'acqua e morti soffocati, quando non sbattuti sulla pietra da incolpevoli pescatori oppure trascinati in enormi reti prima di essere distribuiti ancora agonizzanti sui banchi delle pescherie. Una violenza contro un cane in Europa sarebbe considerata alla stregua di un assassinio, mentre in altre parti del mondo si mangiano tranquillamente le carni dei cani e dei gatti, i dolci (o dolciastri, in questo caso) amici dell'uomo.

Ben più drammatica è la questione quando viene applicata al genere umano, dove non esiste alcuna delle possibili e sanamente discutibili "giustificazioni" della caccia agli altri animali o della pesca. Perché un uomo dovrebbe uccidere un altro uomo? Perché dovrebbe sentire usurpato un suo diritto, quando la Terra dovrebbe essere considerata la casa di tutti e l'unica "ars", nelle relazioni tra "fratelli" dovrebbe essere quella della "politica", ovvero della gestione democratica della convivenza? C'è un unico orribile motivo che spiega la guerra e la violenza dell'uomo contro l'altro uomo, è il razzismo, ovvero la considerazione che esistano delle "razze" o delle "etnie" che in qualche modo diversifichino qualitativamente gli uni dagli altri. In questo contesto l'arma è uno strumento micidiale per uccidere chi viene ritenuto inferiore, indegno, privo del diritto alla vita. Le guerre iniziano quando finisce il dialogo, sono in questo senso disumane, perché non corrispondono alla caratteristica fondamentale dell'essere umano, cioè la razionalità, la parola, la possibilità del dialogo, questa sì la vera arma (ars, arte) che caratterizza chi è in grado di "ragionare". La ragione utilizzata per potenziare la forza del braccio porta alla catastrofe. Per questo l'unica logica che oggi potrebbe consentire una generale inversione di rotta è il disarmo totale, la rinuncia alla logica delle armi in nome di quella della ragione.

Tra le tante questioni irrisolte è indispensabile soffermarsi su una. Cosa fare quando il prepotente costringe all'obbedienza e al silenzio il debole? Come impedire il genocidio perpetuato da chi ha dalla sua parte la forza delle armi? E' sufficiente la logica della nonviolenza, nel momento in cui lo strapotere economico e militare vuole soffocare ogni forma di libertà? Si possono accettare dittatori che massacrano i propri oppositori o interi popoli ritenuti "inferiori"? Che fare per fermarli, per bloccare la mentalità fascista che divide gli uni dagli altri, che ritiene che la propria sopravvivenza sia da garantire a tutti i costi, anche soffocando il diritto dell'altro? 

Sono domande drammatiche, alle quali si sono date diverse risposte. Gandhi ha sostenuto la necessità della nonviolenza radicale anche dopo la Shoah e Hiroshima, ma la sua posizione è sembrata a molti teoricamente condivisibile, ma praticamente debole, dopo la seconda guerra mondiale. Dietrich Bonhoeffer è stato ucciso a Buchenwald, per aver partecipato indirettamente all'attentato a Hitler, pur essendo stato uno dei grandi profeti della nonviolenza nel corso del XX secolo. I partigiani hanno messo a repentaglio la propria vita e hanno utilizzato le armi non per difendere i propri interessi di parte, ma per consentire a popoli e nazioni europee di ritrovare la libertà e la giustizia, sbarazzandosi del nazismo e del fascismo. Quello delle armi è dunque un tema molto complesso e forse non può essere delineato in modo radicale, decidendo per un "sì" o per un "no". E' necessario distinguere le diverse situazioni e possedere dei criteri di giudizio che possano consentire, nei diversi contesti, delle scelte drammatiche. 

Certo, le armi esistono per offendere e per uccidere. A volte vengono usate per distruggere e massacrare, altre volte sono considerate una triste necessità, finalizzata a disinnescare l'assoluta violenza derivata da ideologie disumane e da dittatori sanguinari. Dove sta il confine tra la ragione e il torto, come distinguere gli oppressori dagli oppressi, in particolare quando non è chiara la successione di azioni e reazioni che determinano un conflitto? Sono domande importanti e delicate, alle quali rispondere volta per volta, situazione per situazione. 

In questo senso la memoria del 25 aprile è una vera scuola di vita, una data che ricorda un evento in questo caso inequivocabile, una situazione di piena chiarezza in relazione al torto - fascisti e nazisti - e alla ragione - coloro che li hanno combattuti. La parificazione delle sofferenze non è una vera pacificazione, la devozione per ogni vita umana non può in alcun modo dimenticare la fondamentale distinzione tra vittime e carnefici, il rispetto delle memorie non ha nulla a che fare con la riconciliazione, da una parte c'è chi ha promulgato le leggi razziali, ha scatenato la seconda guerra mondiale e lo sterminio generalizzato, dall'altra chi ha tentato di fermare la barbarie. Il fascismo e il nazismo sono stati i carnefici, i loro oppositori sono stati dalla parte delle vittime ed è grazie alla Resistenza che le ideologie perverse sono state sconfitte e che è iniziata una nuova stagione di libertà e di giustizia. Hanno fatto bene a usare le armi, a trasgredire il comandamento di "non uccidere"? E' necessario dirlo, evidentemente sì, nella misura in cui non hanno garantito gli interessi di qualcuno, ma hanno voluto costruire un mondo nuovo per tutti, affrancato dall'egoismo, dal razzismo, dall'avidità, dalla totale disumanità. Per questo è giusto celebrare e valorizzare il 25 aprile, data simbolica e reale nella quale non si ricorda soltanto la fine della guerra, ma la sconfitta definitiva del fascismo e dei suoi orrori, per opera di coloro che hanno combattuto per ottenerla. Per dirla con don Milani e i suoi studenti nella Lettera a una professoressa, è stata "l'unica guerra giusta del XX secolo".

giovedì 20 aprile 2023

Nella dialettica degli opposti, solo l'amore è rivoluzionario

 

E' l'eterna lotta tra la luce e le tenebre, tra il gallo che canta l'inizio del nuovo giorno e l'animale del "tartaros" che predilige le tenebre. E' il continuo permanere della dialettica fra gli opposti, la colonna con il premio sembra quasi l'asta di una bilancia. A volte pende da una parte, a volte dall'altra, nell'eterno incontro/scontro che contrapponendo la dualità rende possibile il miracolo dell'unità.

Come conoscere la luce, se non ci fosse il buio? Come essere consapevoli del bene, se non sperimentassimo il male? Come potrebbe esistere il mondo, se ci fosse soltanto il giorno e non la notte?

E' la battaglia senza pause tra Michele, l'arcangelo guerriero e il drago, come pure quella del mitico san Giorgio o della mite Margherita. La drammatica complementarietà si trova nelle descrizioni di Ermes Mercurio, il messaggero (in greco angelo) degli dei, raffigurato spesso insieme al gallo, alla tartaruga, all'ariete (udite udite, studiosi dei mosaici aquileiesi!). Ma è un'inquieta caratteristica anche della gnosi dei primi secoli, aspramente combattuta dalla sedicente ortodossia, ma fondamentalmente alternativa ermeneutica del Gesù cosmico e del Cristo pantocratore (ancora Ermes...). Come in ogni guerra che si rispetti, spesso - non sempre - le sconfitte anticipano le vittorie e così l'annichilimento dei movimenti gnostici trova una sua inattesa rivalsa nelle concezione post e ultramoderna della società. E forse, per dirla tutta, chi ha deciso cosa sì e cosa no (intendo, inserire nel sacro canone dei libri riconosciuti ispirati dal divino spirito), ha cercato di silenziare dei testi nei quali appare in tutto il suo splendore il genio femminile di Maria Maddalena e gli apostoli - proprio tutti, a partire da Pietro - restano umiliati nella loro (e nostra) imbarazzante incapacità di comprendere.

Insomma, se Michele la spuntasse definitivamente, sarebbe finita la storia, che è costruita dal continuo intersecarsi delle diversità, proprio come l'universo non esisterebbe se cessasse all'improvviso la forza di gravità. Nell'iconografia in realtà il drago è schiacciato ma non mai ucciso e si suppone che fuori dal nostro sguardo la situazione potrebbe essere rappresentata altrettanto concretamente con le posizioni opposte. In fondo, gli iconografi sembrano offrire qualche chance all'apparente sconfitto, presentato di solito con un volto simpatico che induce maggiormente alla tenerezza che all'orrore. Anche la diade morte/vita rientra dentro questa riflessione, rimanendo all'Aquileia Mater, Giona inghiottito dal pesce e Giona rigettato dal pesce. Quello sotto il pergolato di zucche richiama invece un'altra storia, quella "al di là" del tempo e dello spazio, fuori dalla portata dei nostri miseri ragionamenti.

Allora, si può scegliere il bene invece del male, la luce invece delle tenebre, la vita invece della morte? Un certo limite di libertà anche c'è, sia pur minimo all'interno di uno svolgersi della dinamica creazione/redenzione che sfugge pressoché sempre alle potenzialità di conoscenza dell'umana ragione. In realtà, ognuno agisce per il bene, la luce e la vita, ma oltre le sue intenzioni la storia universale procede indipendentemente dalle scelte individuali, anzi, anch'esse spesso si rivelano decisive in modo opposto alle intenzioni con le quali sono state poste.

E allora? Allora si viva intensamente ogni istante, perché alla nostra coscienza non è dato altro momento nel quale determinare la qualità del nostro essere che non sia proprio ed esattamente "questo" istante, quello in cui sto scrivendo, quello in cui forse qualcuno sta leggendo. E' la maestà dell'istante che qualifica l'intera esistenza, frammento infinitesimale della storia di questo Cosmo che fors eruota insieme ad altri innumerevoli cosmi intorno a un inconoscibile centro di gravità permanente.

In questo istante si determina la qualità della vita. Forse, moralmente, il piccolo e immenso obiettivo, il fragile ma straordinario scopo di questa sequela - ahimè finitissima - di istanti è quello di accogliere e comunicare l'Amore. L'Amore travalica la dualità e riempie lo spezio della luce e delle tenebre, del bene e anche del male, perfino della morte e della vita. L'Amore permea di sé tutte le cose, ne è il fondamento creativo e ne consente la permanenza permanente, sia pur cangiante, nel tempo. Solo l'Amore è rivoluzionario, perché supera la dialettica degli opposti e li riunifica senza separarli, un po' come diceva del Cristo cosmico (straordinariamente somigliante a quello - condannato! - della gnosi combattuto da Ireneo di Lione), il Concilio di Nicea, un'ipostasi due fysis, oggi si dice, una persona due nature, quella trascendente e quella immanente. 

Beretta contro Beretta

 

Sparatoria in una scuola, venti morti. Pazzo apre il fuoco per strada, dieci morti. Imbraccia il fucile e spara dalla finestra, tre feriti...

Sembra di sentire un'ordinaria, ormai quasi settimanale notizia dagli USA. Invece...

Invece potrebbe essere un'ordinaria, quasi quotidiana storia italiana, se si pensa quante armi sono a disposizione dei cittadini. Due milioni di cittadini con il porto d'armi, più facilmente ottenibile di una patente di guida. E quante pistole e fucili sono negli arsenali chiusi in tante case? Nessuno lo sa, perché nessuno si è mai premurato di censirli.

Insomma, una situazione letteralmente "esplosiva".

Ne volete sapere di più e meglio?

Quando si sente il cognome "Beretta", viene subito in mente un tipo di pistola. Eppure c'è Beretta e Beretta e quello cui si fa riferimento qui è un sostenitore accanito della necessità di eliminare non solo le "beretta", ma tutte le armi a disposizione dei cittadini.

Venite allora all'incontro che si terrà nella sala grande della canonica di Sant'Ignazio a Gorizia (retro della chiesa barocca), lunedì 24 aprile, alle ore 20.30. Ne parlerà con abbondanza di particolari il massimo esperto in Italia, appunto Giorgio Beretta, autore dell'inquietante e super documentato libro "Il paese delle armi".

Da non perdere. Forse la questione non si risolverà in tempi brevi, forse le armi - a che altro servono le armi se non a seminare morte? - continueranno a essere tranquillamente vendute e utilizzate. Ma almeno, vivaddio, possiamo sapere a cosa rischiamo di andare incontro.

Sulle tracce di un confine che non c'è più, sabato 22 alle 10.

 

E' un interessante appuntamento quello di sabato 22 aprile, dalle ore 10 in poi, con incontro a Miren (Merna), subito dopo l'antico confine, presso il cimitero.

Nell'ambito della tradizionale "uscita mattutina" della rassegna libraria Il libro delle 18.03, è infatti prevista un'uscita per conoscere alcuni luoghi che hanno caratterizzato l'ormai antico periodo della netta divisione fra Italia e Slovenia.

In particolare, grazie alla competente guida di Rok Bavčar e del Goriški Muzej di Nova Gorica, si potrà conoscere la tormentata vicenda del cimitero, tagliato in due dal confine, attraversato da un invalicabile filo spinato. Oggi è un monumento all'insensatezza delle frontiere e dei confini che separano le persone che coesistono nella stessa zona.

Si andrà poi alla torretta di avvistamento, che alcuni definiscono il più piccolo museo d'Europa. E' un luogo che testimonia la sofferenza di chi avrebbe voluto passare da una parte all'altra del confine (non sempre nella stessa direzione) e che ha sempre trovato la strada sbarrata dalla minaccia di un fucile o di una sparatoria. All'interno della torre, molte immagini ricordano le vicende di quel difficile periodo.

Se ci sarà il tempo, si potrà salire al suggestivo colle di Mirenski grad dove, sulle rovine di un antico castello, sono state edificate e riedificate dopo le distruzioni belliche la chiesa e la casa per esercizi spirituali, con la caratteristica "scala santa" e i forti affreschi di Tone Kralj. 

Tatjana Rojc racconta Boris Pahor

 

Nel Palatenda presso la biblioteca di Ronchi dei Legionari, nell'ambito della bella rassegna libraria Librinfesta, venerdì 21 aprile alle 20.30, si terrà la presentazione del libro "Così ho vissuto", biografia/autobiografia del grande scrittore Boris Pahor, curata da Tatjana Rojc.

E' molto bello il sottotitolo, "biografia di un secolo", perché in effetti negli oltre cento anni di vita, l'importante intellettuale sloveno ha attraversato i momenti più drammatici della storia contemporanea. Non solo li ha vissuti, ma li ha anche ripensati, approfonditi, raccontati in un modo veramente coinvolgente e affascinante.

Tatjana Rojc, oggi conosciuta come impegnata senatrice, in prima fila nel segnalare la necessità che siano rispettati i diritti delle minoranze e in genere di tutti coloro che rientrano nella categoria delle persone più deboli e marginalizzate, è stata per lunghi anni una delle principali collaboratrici di Boris Pahor. E' quindi la persona senz'altro più competente in materia per poter rendere viva la memoria dello scrittore, parlando non soltanto della sua ampia e molto nota produzione letteraria, ma anche della sua vita, del carattere, delle scelte, delle piccole e grandi intuizioni che rendono significativa l'esistenza di ogni uomo.

In sintesi, un'occasione straordinaria, assolutamente da non perdere.

domenica 16 aprile 2023

Una "via dolorosa" lungo le strade di Gorizia

 

E' stata molto interessante la mattinata di sabato 16 aprile, grazie alla proposta dell'ANPI di Gorizia incentrata sulla visita ad alcuni luoghi importanti della città. 

Si è iniziato presso la sinagoga, dove Luciano Patat ha tracciato una breve sintesi della storia dell'ebraismo goriziano, soffermandosi in particolare sulla tragedia della deportazione degli appartenenti alla comunità di Gorizia, sterminata di fatto dalle deportazioni nei campi di sterminio nazisti.

Nella zona di via San Giovanni, dove tuttora è visibile il balcone in ferro battuto con al centro il monogramma dell'associazione sportiva Južni Sokol, sono state ricordate le forme di opposizione alla repressione fascista degli sloveni della Primorska, rilevando i luoghi degli incontri clandestini che hanno portato alla costituzione del gruppo TIGR. Di esso ha parlato Gorazd Humar, presidente attuale del sodalizio che tiene viva la memoria della lotta del popolo sloveno per la salvaguardia della propria lingua e cultura. 

La sosta successiva è stata davanti al Seminario teologico centrale di Gorizia, dove è stato ricordato il ruolo multiforme della Chiesa cattolica nel periodo del fascismo e durante la seconda guerra mondiale. Si è sottolineato il ruolo degli arcivescovi Sedej e Margotti, in mezzo a loro il (funesto) periodo, dal 1931 al 1934, dell'amministrazione apostolica di Sirotti. Si sono notate le differenze d'approccio del clero e del laicato sloveni, friulani e italiani, nella prospettiva di una nuova fase di collaborazione e pacificazione realizzata - almeno in parte - soltanto negli anni '60 del XX secolo.

La visita esterna del palazzo del Trgovski dom, edificato nel 1903 dall'architetto Max Fabiani, ha consentito di fare il punto sulle attività commerciali e culturali della comunità slovena goriziana all'inizio del XX secolo. Si è poi ricordata la continua pressione da parte dei fascisti che ha portato, nel 1926, all'assalto e alla devastazione dell'ambiente e alla sua successiva trasformazione in Casa del fascio, così denominata fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando, per un paio d'anni, fino al 1947, è stata Casa del popolo. Divenuta sede di uffici statali, solo nell'ultimo periodo è ritornata alla Comunità slovena, che ne ha realizzato per il momento la bella biblioteca Fejgel e un vivace centro culturale.

Il gruppo si è spostato poi in Largo Culiat, dove Anna Di Gianantonio ha descritto gli avvenimenti accaduti negli edifici circostanti. C'è la bella, ma in progressivo degrado, villa Louise, meglio conosciuta come Villa Elda, in memoria della sorella di Carlo Michelstaedter, moglie del medico Silvio Morpurgo, costretto dalle leggi razziali a chiudere il proprio studio medico. C'è l'attuale scuola Locchi, un tempo caserma dove venivano portati gli arrestati che, dopo tremende torture, venivano instradati verso i campi di concentramento e stermino nazisti. La stessa sorte era riservata a coloro che venivano presi e portati in una casa dell'attuale via Crispi e soprattutto in Via Roma, torturati e umiliati prima della deportazione o dell'eliminazione fisica.

Insomma, si è trattato di un viaggio nel cuore della città, con alcune suggestioni nuove e inedite, sempre con nella mente e nel cuore l'orrore per il totale disprezzo della vita e della dignità di ogni persona.

giovedì 13 aprile 2023

Da Tito Macro a Castano, i racconti di Luca Ponti tra gli scavi dell'antica Aquileia

 

Il libro di Luca Ponti è sorprendente. E' difficile definire il genere letterario e in un certo senso anche il contenuto. Un personaggio principale attraversa le varie situazioni della vita e ciascuna di esse lo interroga profondamente. Il protagonista è interpellato e nello stesso interpella il lettore, avvolgendolo in una spirale di domande e risposte nelle quali sembra difficile trovare il bandolo della matassa. Sì, sembra, perché al fondo emerge una verità, scomoda e dolorosa quanto si voglia, ma pur sempre una radicata verità. Siamo esseri viventi che affrontano l'universo sulla fragile zattera della consapevolezza. In questo viaggio siamo soli e cerchiamo spasmodicamente lo sguardo dell'altro, ma tropo spesso non ci accorgiamo che l'apparente impossibilità di comunicare dipende proprio dal fatto che ciascuno tende a rimanere rinchiuso dentro il proprio piccolo pianeta personale.

Ciò che rende questa ricerca nella coscienza umana così affascinante è la conoscenza dell'animo umano che solo un avvocato ha il privilegio di possedere. Il prete normalmente incontra i suoi simili nei momenti più delicati della vita e straordinariamente può incontrare l'eterna lotta fra il bene e il male, ma il suo ruolo a volte lo rende "clero", cioè "separato" dalle normali vicende di ogni giorno. L'avvocato invece è come un confessore laico, che indaga gli occhi e il cuore dei clienti, cercando in essi la luce di una difficile, delicata e spesso introvabile verità. Non è staccato, ma coinvolto nelle esperienze di chi deve difendere, con un empatia che non nega il distacco e con una riflessione interiore che lo può rendere più saggio e più attento.

Del libro e dell'autore se ne parlerà venerdì 14 aprile, in una cornice a dir poco originale, la Casa di Tito Macro ad Aquileia, che verrà brevemente illustrata dal direttore di Fondazione Aquileia Cristiano Tiussi. Le temperature non proprio primaverili costringeranno poi gli intervenuti a spostarsi nella vicinissima Sala Romana, dove sarà intessuto un intenso dialogo con Luca Ponti, intorno al suo "Qui pro qui" anzitutto, ma anche al messaggio umano, oserei definire fraterno, che ha voluto con questo suo testo inviare. Le vicende delle antichità, la storia di Tito Macro proprietario della casa dei mercanti recentemente aperta al pubblico, si intrecceranno con quelle di Castano, il nome del protagonista, persona profondamente immersa nel tempo attuale. Uomini vissuti a duemila anni di distanza, ma pur sempre uomini, con le stesse domande, con la stessa angosciante ricerca della verità, con lo stesso desiderio - a volte frustrato - di comunicare, con l'ansia di incontrare, sui selciati e sulle strade della vita, un coraggioso sguardo d'Amore.

martedì 11 aprile 2023

Passi controvento, la mattina del 16 aprile

 

Davvero interessante è la seconda passeggiata lungo le vie di Gorizia, alla ricerca dei luoghi dell'antifascismo.

Sarà una passeggiata per chi parteciperà, avvincente e piacevole, ma tutt'altro che passeggiata possono essere definite le storie che si ascolteranno e che aiuteranno a riflettere.

Si partirà dalla Sinagoga e dal ricordo degli ebrei deportati nei campi di sterminio e quasi tutti mai più ritornati. In Via Malta e Via San Giovanni saranno rievocati episodi legati alla nascita del TIGR e alla fondazione dell'associazione Sokol, nonché le vicende accadute negli spazi della locanda d'angolo e nella contigua via Carducci. 

Si rievocherà la storia della presenza culturale ed economica slovena nei primi trent'anni del XX secolo, approfondendo la nascita, la crescita e la perdita del Trgovski dom in pieno ventennio. 

Si toccheranno inoltre luoghi dove sono state praticate la detenzione e la tortura, durante il regime e durante la seconda guerra mondiale, in Largo Culiat, Via Roma e Via Crispi. Sono storie che hanno rischiato di perdersi nei vuoti della memoria e che gli studi recenti, come pure iniziative come quella della prossima domenica, vogliono rinverdire e riportare alla giusta attenzione dei cittadini.

Gli accompagnatori sono stati scelti per la loro competenza e le loro conoscenze, in particolare Anna Di Gianantonio, presidente ANPI di Gorizia, Luciano Patat, storico, uomo di grande cultura ed ex sindaco di Cormons e Gorazd Humar, esperto polivalente e presidente attuale del TIGR (Trst Istra Gorica Rjeka). Da non perdere!

lunedì 10 aprile 2023

Pasquetta in Gorenjska

La Gorenjska è una regione della Slovenia molto interessante. Circondata dalle alte montagne, sopra le quali si impone la cuspide terminale del Triglav, rivela paesaggi sorprendenti, villaggi carichi di storia e di cultura, eventi legati alle tragedie del nazismo e della seconda guerra mondiale.

Una parte di essa è diventata meta del turismo internazionale, in particolare quella intorno ai laghi di Bled e di Bohjnj, un'altra è un paradiso di alpinisti che si cimentano intorno alle più alte cime delle Alpi Giulie e della Caravanche. 

E' tuttavia interessante affrontare la zona in piccole dosi, scoprendo ogni volta qualcosa di nuovo, lontano dai riflettori dell'escursionismo di massa. Per esempio...

Per esempio si potrebbe cominciare da Begunje, piccolo paese collocato allo sbocco di una valle dal dolce nome, Draga/Cara. E' molto conosciuto perché sede della fabbrica della Elan, i cui sci furono protagonisti di straordinarie imprese sportive e che ora produce anche piccole barche. C'è una gostilna gestita da un secolo dalla famiglia Avsenik, che ha unito la tipica ospitalità del territorio a uno straordinario talento musicale. Le ballate popolari di Begunje sono apprezzate oggi in tutta Europa e i musicisti attualmente attivi fanno parte della terza generazione. C'è perfino un piccolo museo, finalizzato a ricordare le "imprese" del gruppo.

Un altro museo, di tutt'altro contenuto, costituisce una parte di un antico grande edificio per lo più occupato da un tuttora funzionante ospedale psichiatrico. Nel corso della seconda guerra mondiale, era la sede di un campo di internamento nazista che ha "ospitato" oltre diecimila prigionieri politici sloveni provenienti per lo più dai paesi circostanti, oltre mille dei quali fucilati e sepolti nei due cimiteri che ricordano questi efferati eccidi. Si dice che i detenuti fossero stati rinchiusi anche nel vicino e suggestivo castello, costruito intorno al XII secolo, ma in rovina da diversi secoli e ora adeguatamente sistemato per rapide e panoramiche visite turistiche.

Una manciata di chilometri e si attraversano numerosi piccoli villaggi, noti per essere la patria natia di alcuni fra i più importanti letterati e personaggi della cultura sloveni. A Brežnica incontriamo la memoria di Anton Janša, direttore della prima scuola di apicultura della corte viennese, fondata nel 1770 da Maria Teresa. A Žirovnica è nato Matja Čop, l'amico di Prešeren. Nel paese accanto, Rodine, troviamo il parroco poeta Janez Jalen e, sempre nelle vicinanze, a Doslovče è nato il prete scrittore Franz Saleški Finžgar.

La casa natale più visitata, sede di un ben tenuto museo che ricorda i primi anni dell'autore del "Battesimo alle sorgenti della Sava", è naturalmente quella di Vrba, dove nell'anno 1800 ha iniziato il suo cammino terreno il grande France Prešeren. La bella parrocchiale, più volte ricordata con nostalgia dall'inquieto avvocato e poeta, è dedicata a San Marco ed è decorata nel presbiterio e nella parete esterna dagli affreschi dell'inizio del '500 del famoso artista Jernej di Loka. Il busto del poeta lo riprende mentre guarda verso l'orizzonte, dove svetta sullo sfondo il massiccio del Triglav. 

E' difficile lasciare Vrba senza desiderare di raggiungere, con un ulteriore breve spostamento, Kranj, la capitale storica della regione, dove Prešeren è morto ed è sepolto. Al centro della cittadina il grande monumento che lo riprende nella sua più profonda tensione interiore. La sua tomba si trova in quello che un tempo era il cimitero cittadino e ora è un monumento nazionale, dove sono presenti le spoglie mortali del poeta e di pochi altri noti personaggi e dove si trova il primo monumento in Europa alla resistenza antifascista, dedicato a un caduto di Pola e ai quattro "eroi di Basovizza". Del giardino, denominato "Boschetto di Prešeren", se ne parlerà più a lungo in un prossimo post.

Un ultimo sguardo può essere dedicato alla natura, nei pressi di Lesce si incontrano due fiumi, la Sava Bohinjka e la Sava Dolinka le quali insieme danno origine alla Sava, il lungo affluente che incontra il danubio a Belgrado e che incrocia per lunghi tratti la storia della Slovenia e della Croazia. La confluenza è particolarmente suggestiva, i due corsi d'acqua si intersecano, più piccolo e vivace quello che viene dal nord, più lento e maestoso quello che proviene da Bohjnj, dando un'impressione di pace e di bellezza.

domenica 9 aprile 2023

Velika noč na Sveti Marjeti. Una pasqua col drago, a Santa Margherita, sopra Ljubljana

 

A una manciata di chilometri da Ljubljana inizia un bosco che susciterebbe l'invidia di Cosimo, il barone rampante reso famoso dalla fantasia di Italo Calvino. Infatti, escludendo il superamento delle autostrade, moderne ferite inferte dai processi del cosiddetto sviluppo globale, si potrebbe andare, saltando di ramo in ramo, oltre i Balcani, fino al Monte Olimpo in Grecia.

Senza pensare di raggiungere mete così lontane, ci si può limitare a percorrere qualcuno degli innumerevoli sentieri e raggiungere qualche vette di quelle che un po' pomposamente vengono chiamate le "Dolomiti slovene", In realtà, non hanno nulla a che vedere con le rocce dei "Monti pallidi", ma consentono simpatiche passeggiate, dove è sempre possibile scoprire cose nuove e interessanti.

Per esempio, salendo da Žlebe verso il Jeterbenk e il paese di Katarina, si incontra un piccolo santuario dedicato a Marjeta. All'esterno c'è una sua statua in pietra, ai suoi piedi un piccolo drago, dalla faccia simpatica e tutt'altro che spaventoso. 

C'è una leggenda locale che parla di un terribile drago che terrorizzava la gente del luogo, costringendola a donargli vitelli per cibo e tanto vino da bere. Abitava in una stretta valle, un vero e proprio abisso e da lì manifestava i suoi venefici desideri. Fu ucciso dalla furbizia dei paesani che lo ingannarono presentandogli un vitello morto, riempito di calce viva. Non vedendoci per la fame, il mostro se lo inghiottì tutto in una volta e ci si può immaginare quale fu la sua fine. O che volle tirarsi addosso la montagna o che vollero coprirlo con tante pietre, fatto sta che l'abisso fu riempito, al suo posto fu edificata la piccola chiesa e con la calce fu edificato il pittoresco campanile.

Ecco spiegato il drago tenuto a guinzaglio da Marjeta. In realtà, potrebbe valere anche il contrario, cioè potrebbe essere proprio il culto della santa a ispirare la leggenda popolare. Si tratta di un personaggio molto venerato in mezza Europa, tra l'altro insieme a Caterina d'Alessandria che ha dato il nome alla chiesa e al paese sovrastante. Marjeta altri non è che Margherita di Antiochia, martire durante la persecuzione di Diocleziano all'inizio del IV secolo. La tradizione  racconta di una visita del diavolo, sotto forma di drago, nella prigione in cui era rinchiusa. Inghiottita dalla tremenda fiera, la santa riesce a fuggire tagliandogli la pancia con il crocifisso, ennesima versione dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, tra la vita e la morte.

In ogni caso, presso la chiesa di Santa Marjeta si tengono interessanti performance artistiche e teatrali durante l'estate. Oltre a tutto ciò, il panorama sulla regione centrale della Slovenia è incantevole e, se si hanno tempo e gambe, una salita sulle alture vicine permette uno sguardo dall'alto, inusitato e inaspettato sulla bella candida Ljubljana. 

sabato 8 aprile 2023

Dalla parte dell'Agnello. Vesele velikonočne praznike, Buine Pasche a duc.

Aquileia, plutei della cappella San Pietro (VIII sec.?)
Tra tutti i numerosi elementi del primo patto, il cristianesimo delle origini ne onora particolarmente uno, quello dell'agnello. Già l'evangelista Giovanni, raccontando uno dei primi incontri con Gesù di coloro che poi diventeranno suoi apostoli, racconta come Giovanni Battista l'abbia loro presentato come "l'agnello di Dio".

Quella dell'agnello è una simbologia molto efficace e nello stesso tempo drammatica. Chi non si commuove davanti alla tenerezza di un agnellino (salvo poi mangiarselo senza troppi problemi quando lo si trova nel piatto, fatto a pezzi e arrostito)? Forse questa ambivalenza - commuove, ma la carne è molto apprezzata - è all'origine del segno. C'è un agnello che porta su di sé i peccati del mondo, piace, è accarezzato da grandi e piccini, ma il suo destino è di essere scannato senza pietà e il fumo dell'olocausto, giungendo fino a Dio, placa la ben poco misericordiosa sete di vendetta per le ripetute disobbedienze dei membri del suo popolo.

Forse non è proprio così o forse qualcuno ha capito male, trasferendo sul piano del realismo ciò che avrebbe dovuto rimanere soltanto nell'ambito della metafora.

Fatto sta che Gesù viene presentato come l'"agnus dei", ovvero come colui che toglie i peccati del mondo, donando la sua vita per ogni essere umano. Con ciò - lo dice un testo un po' complesso ma importante come la Lettera agli Ebrei - abolisce per sempre la vittima, il sacrificio e il sacerdote che lo compie. L'agnello, dolce e indifeso, attraversa il triste destino di ogni suo simile, assassinato su una croce dai soliti Poteri, quello religioso (Caifa), quello politico (Pilato) e quello militare. Ma oltrepassando la morte attraverso l'Amore, offre un senso nuovo anche al rito. Agnus lupum vincit. Finisce il sacrificio, inizia il convivio, "questo è il mio corpo che è per voi...", "questo è il mio sangue, versato per voi...", cioè perché voi (ovvero tutti noi) ne possiate mangiare e bere, celebrando eternamente la sua presenza.  Dove due o tre sono riuniti nel suo nome, l'Amore è in mezzo a loro.

Per questo, ciò che appare rientra nella normalità. L'agnello è massacrato e non ha scampo, gli agnelli indifesi sono distrutti dai mitra e dalle bombe in ogni guerra, annegati nelle acque del Mediterraneo o nei fiumi dei Balcani, soffocati dalle persecuzioni attuate dai dittatori di ogni tempo, costretti a morire di fame tra dolori lancinanti. Il lupo ha sempre la meglio sull'agnello, sta nella natura delle cose.

L'essenza della Pasqua cristiana è il sovvertimento dei valori e per una volta è l'agnello a prevalere, non uccidendo il lupo, ma sconvolgendo i suoi piani con un tenero sguardo d'amore. Muore ugualmente? Sì. Ma colpito senza colpire, getta nel terreno della Vita un seme di immortalità. Come disse il grande Publio Virgilio Marone, omnia vincit Amor e come ribadì lo stesso Giovanni (o chi per lui) nella sua prima lettera, Θεος αγαπη εστι, Il Divino coincide con l'Amore.

Dunque? Dunque, invece di compiere una strage di innocenti animaletti appena nati, per compiacere la forma di una radicata tradizione, è bene provare a diventare "agnelli" come Gesù, pronti a dare la vita piuttosto che toglierla, a perdonare invece di vendicarsi, ad amare incondizionatamente invece di odiare. Si continuerà così quella semina dell'amore nonviolento dalla quale forse un giorni nasceranno i fiori e i frutti di un mondo universalmente pacificato, nella giustizia e nella verità.

Buona pasqua, vesele velikonočne praznike. 
 

martedì 4 aprile 2023

Come alle Fosse Ardeatine. La tremenda rappresaglia del 3 aprile 1944 a Opicina.

 

Lo sapevo, ma non nei particolari. Oggi mi sembra assurdo, ma fino a un mese fa questa storia la conoscevo soltanto a grandi linee.

Sì, avevo sentito parlare del criminale secondo processo di Trieste e della fucilazione di Pinko Tomažič e di quattro suoi compagni presso il poligono di tiro di Opicina. Non conoscevo del tutto la storia delle altre persone assassinate nello stesso luogo dai nazisti, 6 alla fine del 1944 e 14 il 28 aprile 1945, mentre a Milano si festeggiava già la Liberazione, Mussolini veniva ucciso e Hitler era in procinto di suicidarsi.

Conoscevo troppo poco, data la sua importanza e imponenza, la terribile vicenda del 3 aprile 2023, che ho avuto il triste onore di studiare e poi commemorare, insieme all'amico scrittore Miran Košuta, la scorsa domenica.

Che cosa è accaduto? Il 2 aprile 1944 si proiettava un film nel centro del paese, la proiezione del pomeriggio era dedicata ai ragazzi, quella della sera ai militari tedeschi di stanza a Opicina. Lo sapevano due partigiani azeri, reclutati a forza dalla Wermacht, poi fuggiti e accolti nelle file dell'esercito di Liberazione jugoslavo. Il loro attentato provocò la morte di 7 soldati tedeschi e creò un clima di terrore tra le file dell'esercito di occupazione. 

Le autorità triestine non lasciarono trascorrere che poche ore, prima di procedere alla rappresaglia. Prelevate dalle carceri del Coroneo e caricate sui camion militari, 72 persone, la maggior parte giovani - per lo più antifascisti croati, sloveni e italiani incarcerati per le loro idee e ovviamente del tutto estranei all'attentato - vennero condotte al poligono di tiro. Un gruppetto di cinque alla volta, furono spinti attraverso una porta in un cortile e fucilati senza pietà. Uno di loro restò vivo, sepolto sotto i cadaveri dei compagni. Il soldato che seminò le pallottole del cosiddetto colpo di grazia, lo "saltò" perché lo vide del tutto insanguinato e lui miracolosamente si salvò, soltanto ferito a una gamba. Riuscì a cavarsela rocambolescamente fuggendo con il favore dell'oscurità. Partecipò per molti anni alla cerimonia commemorativa.

71 morti, più di dieci innocenti per ogni milite tedesco ucciso, un'assurda rappresaglia. Sembra che l'intenzione fosse quella di trascinare al patibolo molte più persone, rastrellate dalle case e poi di punire il paese con un incendio globale. L'intervento del parroco presso le autorità pare abbia stornato questo ulteriore crimine di guerra.

In questi giorni di polemiche per le recenti ignoranti esternazioni della presidente del consiglio e del presidente del senato, i fatti di Opicina chiariscono che queste inutili criminose stragi non furono perpetuate per motivi etnici, sotto i colpi dei fucili al poligono caddero sloveni, croati e italiani. A provocare questi episodi inqualificabili e disumani, fu l'odio contro chi lottava per i diritti dei popoli e delle nazioni, contro chi non si adeguava alla logica del razzismo e della violenza sistematica. Furono espressioni feroci della logica della violenza dei fascisti e dei nazisti, di coloro cioè che hanno scatenato la seconda guerra mondiale e hanno perseguitato in ogni modo possibile chiunque abbia osato opporsi ai loro misfatti. 

Un sobrio monumento ricorda questi 71 caduti, una semplice targa i cinque compagni condannati nel secondo processo di Trieste. Non c'è alcuna insegna che ricordi gli altri morti del poligono, da decine di anni si chiede di istituire un "parco della pace" che unisca i luoghi della memoria del territorio intorno a Opicina. Per il momento, tutte le richieste sono cadute nel vuoto e così, delle "Fosse Ardeatine" di Trieste, ben poche persone sanno qualcosa. Non ci sono autorità presenti, non c'è il sindaco di Trieste né il prefetto, una sola fascia tricolore rivela la presenza di un assessore del vicino comune di Sgonico. Addirittura la zona è tuttora poligono di tiro funzionante e a chi non fa parte dell'associazione dei tiratori, viene precluso il parcheggio, nonostante l'afflusso previsto in occasione della manifestazione celebrativa.

In attesa che qualcuno provveda a riabilitare una giusta e doverosa memoria... 

Onore ai caduti, slava padlim!

Incroci pericolosi. E se si imponesse lo stop alle auto?

 

Aquileia, pista ciclabile Alpe Adria. 

Si suppone che le strisce ciclabili garantiscano la precedenza al ciclista, per analogia con le strisce pedonali che salvaguardano il diritto di attraversare la strada al pedone.

Certo, in questo caso la segnaletica verticale è chiara, c'è uno stop e il segnale di fine ciclabile, la precedenza "dovrebbe essere" dell'automobilista. Ma, se è così, perché lasciare ben tracciate le strisce ciclabili?

La domanda, rivolta agli esperti in materia, ma anche agli amministratori giustamente preoccupati, sembra di lana caprina (chissà poi perché si dice così, quando la lana caprina è pregiata e tutt'altro che inutile?), ma se ci si trova a passare o sulla direttrice Villa Vicentina Aquileia o (ancora di più) su quella San Lorenzo di Fiumicello Aquileia, incrociando la frequentatissima Alpe Adria, non c'è giorno in cui non si assista a un balletto. L'auto si ferma vedendo arrivare il ciclista, quella dietro frena di colpo mandando colpi al predecessore, il ciclista si guarda smarrito di qua e di là senza capire cosa sia meglio fare, l'automobilista lo invita - pensando di essere gentile - a passare per primo, mentre sulla corsia opposta giunge sfrecciando un'altra auto.

Insomma, nella speranza che nel frattempo che gli angeli veglino dall'alto campanile medievale e non succeda niente di grave, non sarebbe prudente risolvere la questione, per esempio con un semaforo a chiamata come in altri passaggi delicati della FVG1, oppure prevedendo lo stop per le auto, che sarebbe molto più logico e meno pericoloso, oppure (peggiore soluzione) cancellando i quadrati bianchi delle strisce ciclabili evitando così qualsiasi ulteriore equivoco?

domenica 2 aprile 2023

A te, caro, piccolo fiume...

 

E' un fiume sfortunato.

Controllato fin dalla sorgente, frenato da una diga sotto il colle, incanalato tra argini nella pianura paludosa per impedirgli di disturbare la costruzione della nuova città, collettore di scarichi industriali e agricoli d'ogni sorta, sepolto - si dice tombato - sotto chilometri di piazze e strade cittadine, risorto tra le piante superstiti di interminabili lavori nella piccola valle da lui stesso scavata, di nuovo irreggimentato tra squallidi argini di cemento prima della quasi invisibile foce, nel fiume maggiore. 

E' un fiume sfortunato, breve ma molto tormentato.

Eppure anche lui, scorrendo verso il tramonto, riesce a portare un proprio contributo alla grande Bellezza, consente alle anatre selvatiche di riposarsi nelle loro migrazioni e suscita un sospiro di romantica emozione.

Grazie caro ruscello, hvala dragi potok!