lunedì 31 gennaio 2022

Pensieri ad Alta Velocità

Ci fu un tempo nel quale il treno, oltre a essere strumento prezioso per gli spostamenti, almeno fra le città collegate, era un luogo di comunicazione e socialità.

Nei viaggi più lunghi gli scompartimenti diventavano spazi di narrazione, a volte addirittura specie di confessionali nei quali ci si raccontava ciò che non si sarebbe osato dire neppure al più fedele amico. Sì, perché le relazioni che nascevano erano rapide, l'"altro" seduto davanti a te era un'ombra leggera che di lì  a poco si sarebbe dissolta, inghiottita dalla giungla della Metropoli o dall'oscurità di misteriosi villaggi distesi placidamente nella pianura o sulle asperità alpine o appenniniche. Ci si poteva quindi aprire, senza tema di riconoscimento o delazione, donando e accogliendo intuizioni, paure, piccole gioie quotidiane, preoccupazioni per il presente e per il futuro.

Certo, si poteva benissimo decidere di farsi i fatti propri, ostentando lenzuolate di giornali nazionali o improbabili titoli di libri filosofici per dichiarare senza parole la propria indisponibilità al dialogo. E c'era anche chi preferiva il silenzio, chiudendo gli occhi lasciandosi cullare dal tran tran del viaggio, enfatizzato dai finestrini aperti ad accogliere l'aria calda dell'estate o raccogliendosi nei propri giacconi per difendersi dagli spifferi delle vecchie carrozze invernali.

Era bene prestare un po' di attenzione a ciò che accadeva fuori, ai campi che correvano indietro veloci quanto il treno, ai campanili dei paesi subito riconosciuti con una stretta al cuore dall'emigrante nel suo rientro verso casa ma sconosciuti ai più, intenti a osservare curiosi. Non c'erano altoparlanti, non c'era una voce metallica ad annunciare dove si stesse per arrivare. Solo nelle stazioni una voce salutava i nuovi arrivati che con occhio esperto scrutavano nella notte i cartelli fiocamente illuminati che consentivano di presentire la vicinanza di città d'arte e paesi ignoti, in attesa di raggiungere la propria meta.

Non è più così. L'homo cellularensis viaggia sempre con il telefono in mano, chiuso dentro la propria sfera, del tutto incurante di ciò che accade intorno a lui, anzi leggermente infastidito perché ancora qualcuno, soprattutto in lingue finora poco sentite, osa parlare o addirittura farsi una sonora risata. Gli altoparlanti violano incessantemente il silenzio e impediscono la concentrazione. Magari fosse solo per avvisare che "fra pochi minuti arriveremo nella stazione xxy"! Ininterrottamente, ci si sente salutare, si ricevono le indicazioni su come raggiungere la carrozza del caffé, ogn tanto sfugge al controllo qualche inopportuna pubblicità, si preannuncia l'arrivo del controllore, il tutto naturalmente in italiano e inglese, con un volume talmente alto da impedire di aprire bocca anche ai pochi sopravvissuti al trionfo della comunicazione telefonica. Non parliamo poi del periodo post-covid, con tutte le prescrizioni e i dpcm contiani e draghiani, sintetizzati in una specie di vocabolario giuridico, dalla a alla zeta, sparati dalla solita voce senza un attimo di respiro.

Addio bei dialoghi sui treni del secondo millennio, addio al silenzio e al sonno del giusto. E' la civiltà del rumore, della parola traboccata dal suo alveo naturale, alluvione di concetti che invece di fecondare la ragione, deprimono e incrementano una venefica e triste malinconia. Le "frecce" vogliono ammazzare il tempo riducendo lo spazio, ottengono il risultato di rendere insignificanti questo e quello, facendo il gioco di un Potere che nega la distinzione tra spazi e tempi laicamente sacri e religiosamente profani, un altro passo verso l'omologazione, la notte in cui tutte le vacche sono nere. Non occorre più esercitare la nobile arte del pensiero e della creatività.

sabato 29 gennaio 2022

Mattarella bis! Mah...

 Auguri a Sergio Mattarella, vecchio e nuovo Presidente della Repubblica.

Tutti gli altri sono perdenti, dal momento che l'unica soluzione che hanno individuato è stata quella di rinviare di un anno le decisioni, sperando in questo modo di garantire lo status quo. Mille delegati, rappresentanti del popolo, non sono riusciti a trovare un accordo su un nome condiviso e hanno ripiegato su una fragile sicurezza, costringendo lo stesso Capo dello Stato a rimangiarsi le sue stesse parole. Aveva più volte espresso la propria contrarietà a un bis, soprattutto sostenendo che una tale scelta avrebbe portato l'eccezione a diventare regola. La sua accettazione oggi può denotare forse senso di responsabilità (ma di fronte a chi?) o anche castagne tolte dal fuoco della politica italica, ma appare anche come un segnale personale di debolezza o di sfiducia che non può che essere preoccupante.

La grande maggioranza del Parlamento è unanime nell'osannare questa (non) soluzione, così come lo è nell'incensare il forte, fin troppo forte capo del governo targato bilderberg. L'impressione è che nessuno voglia andare a casa un anno prima, stante la difficoltà di una rielezione nel prossimo Parlamento "ridotto" e gli ancora astronomici, scandalosi stipendi mensili. Un'altra impressione è quella di un'abissale distanza tra la vita ordinaria della gente, ai limiti del soffocamento tra regole anticovid, chiusure di locali, crisi economica e un Palazzo incapace di decidere una linea alternativa all'asse dominante, totalmente diverso da quello indicato dagli elettori nelle votazioni del 2017.

A questo punto, con un simile Parlamento, prima ci saranno le elezioni, meglio sarà. Anche perché, se è vero che Mattarella potrà offrire ancora qualche saggio della sua prudente competenza presidenziale, l'entusiasmo dei Di Maio e dei Salvini dovrà essere in qualche modo ripagato, altrimenti non si spiegherebbe. Come si suol dire in questi casi, speriamo bene e incrociamo le dita.

venerdì 28 gennaio 2022

Un pensiero a Mostar, 28 anni dopo...

Ecco ora un comunicato stampa importante, di Assostampa e Ordine regionale dei giornalisti:


Gli amici e colleghi di Assostampa Fvg e Ordine regionale dei giornalisti, a ventotto anni dalla tragedia di Mostar, ricordano con immutato affetto e commozione Marco, Saša e Dario, caduti in nome di un impegno professionale e civile. E sono sempre vicini ai parenti dei colleghi e alla Fondazione, che ha saputo trasformare un terribile lutto in una nobile e mirabile realtà di solidarietà e speranza.

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A 28 anni dalla morte a Mostar di Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario DAngelo, la Fondazione a loro intitolata, rinsalda il proprio impegno nella difesa e cura dei bambini, delle persone più deboli e a rischio dellemarginazione sociale. Sono passati 28 anni, che sono volati. In realtà si tratta di un tempo enorme, una generazione - osserva la presidente della Fondazione, Daniela Schifani Corfini Luchetta -. Mai più avremmo potuto immaginare che 28 anni dopo, in memoria di Marco, Alessandro e Dario, più di 800 bambini sarebbero stati aiutati, recuperando una vita. Questo è la cosa straordinaria che rimane, accanto a un ricordo ovviamente triste.

Dopo la pausa forzata che c’è stata con il Covid, le attività sono riprese a pieno ritmo, con larrivo di bambini che hanno dovuto aspettare che passasse la fase acuta dellemergenza. Ma oggi la Fondazione si trova in prima linea anche nel dramma dellAfghanistan, tornato nuovamente sotto il tallone dei talebani. Sta infatti evolvendo in un progetto lattività di accoglienza di famiglie afghane fuggite dal Paese martoriato. Da ottobre scorso, la Fondazione Luchetta infatti ha accolto nelle proprie case già due nuclei, e altre 2-3 famiglie presto dovrebbero arrivare.

Una tragedia, quella della popolazione afgana, aggiunge la presidente, che viene trascurata oggi come lo era la tragedia della Bosnia negli anni '90. "Quello che bisogna evidenziare purtroppo è l'atteggiamento dell'Unione europea verso i migranti. Stiamo assistendo a continue violazioni dei diritti umani e lUe ha deluso tutte le aspettative. La politica mira a parcheggiare le persone, senza farsene carico. Per questo ci manca già David Sassoli che più volte si era esposto per far sì che l'Europa si responsabilizzasse.

Si tende a fare della "memoria" un esercizio retorico, continua la presidente: Queste sono giornate particolarmente dolorose, attraversate da lutti inaccettabili. Ha senso celebrare se il ricordo diventa un monito per il presente. A questo proposito mi ha fatto particolarmente piacere ricevere il 25 gennaio un riconoscimento da Articolo 21, perché le parole che ho ascoltato valorizzavano il ricordo dei nostri cari in quest'ottica: la Fondazione è stata un modo per ribellarsi alla violenza e alla tragedia. Da un evento terribile è nato, nel loro ricordo, qualcosa di bellissimo, conclude Daniela Luchetta.

Il parroco don Camillo e il sindaco Peppone

Municipio di Aiello, durante la settimana della Croce Rossa
Il pensiero di oggi è dedicato all'esperienza politica e amministrativa, nel Comune di Aiello del Friuli, fra il 2016 e il 2021. L'articolo è stato scritto nel mese di novembre 2021 per Ad Agellum, un interessante periodico di argomento storico e culturale, curato dalla Commissione Comunale di Storia. L'attuale sindaco, "per evitare confusioni tra dinamiche personali e istituzionali", ha ritenuto giusto vietarne la pubblicazione. Dal momento che l'argomento può essere interessante al di là delle vicende individuali, lo propongo ai lettori del blog, come semplice occasione di riflessione e di confronto.


Ho trascorso cinque anni ad Aiello come Parroco, altri cinque ad Aiello e Joannis come Sindaco, dieci anni nella Bassa Friulana. E’ stata un’esperienza sicuramente originale, forse addirittura unica. Conoscere lo stesso territorio rivestendo due ruoli così diversi è stato per me un dono straordinario della Vita, ma anche per il Comune un fatto che comunque resterà negli annali della sua storia.

Da giovane guida spirituale, avevo potuto riconoscere la grande potenzialità umana e culturale di una realtà ecclesiale ben radicata nel tessuto friulano senza per questo essere avulsa dalle problematiche del mondo. Avevo cercato di comunicare l’indispensabile impegno nella storia, come criterio di valutazione anche dell’intensità della spiritualità personale, sottolineando come i valori evangelici debbano essere l’unico faro che illumina la vita del cristiano. E avevo immaginato una parrocchia aperta, in grado di mettere a disposizione dell’intera realtà civile le sue risorse materiali e culturali. Molte persone avevano seguito con entusiasmo tali inviti, in una ricca stagione di incontri e di creativa amicizia.

Da Sindaco, oltre venti anni dopo, ho trovato i paesi profondamente mutati, molte persone sono venute ad abitare da fuori, il tessuto sociale si è abbastanza disgregato ed è risultato certamente più difficile lavorare insieme per la costruzione della comunità. Ho cercato di indicare quella della Cultura (con la C maiuscola) come la strada per trovare l’unione nella diversità, come il fondamento sul quale improntare ogni azione politica, dall’urbanistica ai piani del traffico, dalla valorizzazione della scuola alla tutela dell’ambiente. Ciò si è cercato di portare avanti attraverso tante belle iniziative condivise con le Commissioni di Storia e per la Biblioteca (grazie a entrambe!), nonché con il circolo Culturale Navarca e tante altre attive associazioni di Aiello e Joannis. Soprattutto si è cercato di comunicare la necessità di prendere coscienza dei grandi cambiamenti in atto nella società, portatori di buone e interessanti novità, ma anche di disagio e solitudine, in particolare alle persone più fragili e più esposte alla complessa transizione dal tempo della Tradizione a quello della Post-modernità. In questo contesto si inserisce anche la valorizzazione del turismo lento, il Cammino Celeste e la rete di ciclabili della Bassa Friulana, come elementi che favoriscano la salute delle persone, ma anche come ottime occasioni per un rilancio imprenditoriale “verde”.

Per questo l’attenzione maggiore è stata rivolta soprattutto alla Cultura dell’Accoglienza e al Welfare di Comunità. Il centro diurno del Novacco, Casa Teresa, le due Case di Riposo, Il Servizio di Accoglienza e Integrazione per i richiedenti asilo, grazie all’ottima collaborazione con altri enti pubblici e del privato sociale, sono diventati un vero punto di riferimento, un modello di convivenza da proporre come esempio a tutte le cittadine e a tutti i cittadini. Il Welfare di Paese, di ispirazione basagliana, si fonda sulla consapevolezza che in una realtà sociale non esistono distinzioni tra assistenti e assistiti, perché ciascuno è nello stesso tempo soggetto e oggetto di cura, con le proprie potenzialità e capacità partecipa pienamente e da protagonista alla realizzazione della Comunità.

In altre parole, da Sindaco, mi sono proposto di sperimentare una vera e propria laica spiritualità della politica, intendendo con ciò non qualcosa di confessionale, ma di profondamente e radicalmente umano e proprio per questo essenzialmente sociale. Ci sarebbe stato bisogno di un altro po’ di tempo per riuscire a rendere più chiaro, comprensibile e attuabile questo progetto, aperto a una dimensione regionale e internazionale, con i rapporti da riprendere con la carinziana Metnitz e con l’inserimento nel percorso verso Nova Gorica con Gorizia capitale europea della Cultura 2025. Non è stato possibile, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, ma sono sicuro che i semi di bene seminati in questi anni, prima come parroco e poi come sindaco, germoglieranno e saranno valorizzati anche dal mio predecessore e successore, al quale auguro sinceramente un ottimo lavoro, al servizio della splendida realtà di Aiello e di Joannis.

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno collaborato con passione alla realizzazione di questi progetti, accogliendo con pazienza anche gli inevitabili limiti caratteriali e incertezze progettuali che accompagnano l’esperienza di ogni uomo.

Andrea Bellavite, mail: ndrbll@gmail.com

giovedì 27 gennaio 2022

27 gennaio 1945 - 27 gennaio 2022


Non è stato un evento legato alla natura, neppure la conseguenza di una follia incontrollabile. E' stato il veleno micidiale di un'ideologia perversa condivisa da decine di milioni di esseri umani pensanti. E' stato il frutto devastante di una serie di scelte quotidiane, più o meno consapevoli, delle quali è stato responsabile chiunque le abbia compiute, permettendo al nazismo e al fascismo di trascinare l'umanità fino agli abissi del Male assoluto. Occorre sentirsi parte di ciò che si ricorda, conoscere le radici storiche e pseudofilosofiche del razzismo, per rendersi conto di come ogni semplice o complessa presa di posizione possa determinare conseguenze irreparabili. Solo così il "mai più!" può sostenere un reale cambiamento del Mondo e non rischia di essere ridotto all'esercizio di un fin troppo unanime esercizio di vuota retorica. 

martedì 25 gennaio 2022

Un intenso giorno di gennaio

 Molti sono i temi che caratterizzano questa giornata.

Il più importante riguarda i sei anni dal rapimento di Giulio Regeni. A Fiumicello l'evento viene ricordato con un importante meeting, nel corso del quale personaggi noti e meno noti del mondo giornalistico, culturale e sociale porteranno la loro testimonianza e la loro attiva adesione alla lotta per la verità e la giustizia. La famiglia Regeni, insieme all'avvocato Alessandra Ballerini, ha coinvolto ormai milioni di persone in Italia e in Europa, denunciando incessantemente i terribili soprusi che si compiono in Egitto (e non solo!) e invocando che sia fatta piena luce sui fatti di fine gennaio 2016. Hanno insegnato che non ci si deve stancare o demoralizzare mai, quando si è schierati nella lotta appunto, per la verità e per la giustizia.

A proposito, si torna a parlare di venti di guerra, anche se la preoccupazione per la grave crisi tra Russia e Ucraina sembra - almeno in Italia - soffocata da quella per la diffusione del coronavirus e naturalmente dalla curiosità riguardo al prossimo Presidente della Repubblica. In realtà la situazione è particolarmente difficile, sospesa tra rivendicazioni territoriali russe, possibilità di accoglienza dell'Ucraina nella NATO, tutela dei diritti delle persone, spaccatura dei Paesi dell'Unione europea e posizione quanto meno confusa del presidente USA Biden. E' auspicabile che il tutto non degeneri, ma occorre particolare delicatezza e attenzione. A volte una guerra scoppia a causa di qualche piccolo errore dell'uno, dell'altro o di entrambi i contendenti. Nel mondo globalizzato, il rischio è quello di un effetto domino che potrebbe trasformare un fragile accordo diplomatico in scintilla dagli effetti imprevedibili e devastanti. Molto interessante e istruttivo, riguardo questo argomento, è il film Monaco. Sull'orlo di una guerra, del regista tedesco Christian Schwochow (2021), sulla preparazione, svolgimento e conseguenze del Patto di Monaco. sia pur in una situazione totalmente diversa, a livello di metodo si possono individuare inquietanti similitudini.

Infine si sta arrivando al momento decisivo per ciò che concerne l'elezione del Presidente. Dando per scontato la necessità di oltrepassare i primi tre scrutini che richiedono i due terzi dei votanti, le singole operazioni di voto per il momento non interessano molto. E' più importante osservare l'altalena dei nomi che vengono posti uno dopo l'altro sul tavolo della trattativa. Draghi, entrato in conclave papa, sembra ormai certo che ne uscirà cardinale, essendo troppo difficile il nodo della sostituzione del Presidente del Consiglio, senza sciogliere il quale si andrebbe direttamente alla tanto temuta (da deputati e senatori) fine anticipata di un anno della Legislatura. Se non il "Migliore" - tanto amato dal neoliberismo europeo e mondiale targato Goldman Sachs - chi potrebbe salire al Quirinale? Molto difficile prevederlo, anche perché la scelta è demandato esclusivamente ai Mille grandi elettori, non sempre inclini ad ascoltare i numerosi suggerimenti provenienti dalla base, che tendenzialmente vorrebbe finalmente come Presidente una donna, possibilmente non troppo avanti con l'età, impegnata nella società civile, con una buona conoscenza del funzionamento delle istituzioni e delle dinamiche della democrazia rappresentativa. Non dovrebbe essere così difficile trovare una persona così!

Si conclude infine oggi, data in cui il calendario cattolico ricorda la Conversione di san Paolo, la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. La situazione della cristianità e quella più in generale del mondo sono talmente complesse da porre in secondo piano quello che fino a qualche anno fa era ritenuto una delle maggiori urgenze, ovvero il dialogo ecumenico tra le diverse forme del cristianesimo storico. Sono solo piccole ma rumorose frange tradizionaliste a rimanere ancorate all'antico detto "extra ecclesiam nulla salus", intendendo con "chiesa" soltanto quella cattolica. Chi, se non qualche ben preparato studioso di storia oppure qualche fanatico fedele "filomedioevale" si interessa alle sottigliezze teologiche che differenziano il cattolicesimo dall'ortodossia e dal protestantesimo? Si è ben più preoccupati dalle minacce globali, da quelle legate al riscaldamento globale alle guerre già in corso, dalla fragilità di fronte alle esplosioni di potenza della Natura alla debolezza risocperta nell'epoca del virus pandemico. In questa situazione, un vento di crisi infuria sulla Chiesa di Roma, indipendentemente dagli entusiasmi, ma anche dalle delusioni suscitate da papa Bergoglio. Viene tirato in ballo perfino il cosiddetto "papa emerito". Dibattendo sul sesso degli angeli e su questioni di lana caprina, alcuni ritengono che non si sia realmente dimesso e che quindi il suo "successore" sarebbe un antipapa usurpatore del trono di Pietro. Più drammaticamente, il mite Ratzinger, nonostante la debolezza e la malattia, viene esplicitamente accusato di aver coperto situazioni di pedofilia e incappa - lui o chi per lui - in un clamoroso errore, costretto a smentire sé stesso. La questione degli abusi realizzati e sottaciuti, è ormai arrivata ai piani alti del Vaticano, mescolandosi a quella degli scandali finanziari e dei (molti) gialli irrisolti, primo fra tutti quello di Emanuela Orlandi. Insomma, c'è da aspettarsi di tutto! 

domenica 23 gennaio 2022

Proposte per la Presidenza della Repubblica

Si parla tanto e giustamente dell'opportunità che una donna sia eletta Presidente della Repubblica. perché non aggiungere qualche altra specifica prerogativa, per esempio l'appartenenza a una delle minoranze (numeriche) linguistiche e culturali?

Ai 2,5 lettori di questo blog ribadisco la proposta del "primo" candidato, don Luigi Ciotti, per i motivi già espressi in precedenza, la competenza, l'impegno e la lealtà nei confronti delle istituzioni. Ma se proprio non fosse possibile eleggere il fondatore di Libera, suggerirei ai Mille elettori di pensare a una donna, esponente appunto di quegli importanti mondi che rendono così affascinante e attraente l'Italia, rendendola proprio unita nella valorizzazione delle sue diversità.

Se poi ci si riferisse al Nord Est, le persone non mancano, tanto meno nell'area del vecchio confine con la Slovenia, per esempio la senatrice Tatiana Rojc. Sarebbe un segnale straordinario anche a livello internazionale, un passo in avanti verso un futuro nel quale l'Europa o sarà un insieme di culture differenti in grado di stimarsi e arricchirsi reciprocamente oppure proprio non sarà. Senza più maggioranze o minoranze, ma soltanto persone e nazionalità in costanti reciproci scambi e costruttive collaborazioni.

Contributi regionali alla Cultura, tra opportunità e dubbi di metodo

I bandi regionali per la promozione della Cultura, come del resto tutte le forme di contributi pubblici ad attività associative di vario genere, sono una delizia e una croce.

Da una parte infatti rendono possibile ciò che altrimenti non lo sarebbe, la realizzazione di tanti bei progetti che portano un valore aggiunto alla qualità della vita di un territorio. Dall'altra spesso si riducono a una pioggia di denaro che irrora campi non sempre ben coltivati oppure, a volte, in possesso di amici ed amici degli amici.   

Così è anche per il bando, o meglio per i bandi Cultura 2022 della Regione Friuli-Venezia Giulia. Centinaia di realtà - enti pubblici e privati, associazioni di varia tipologia, ecc. - si gettano a capofitto nell'imbrogliata matassa burocratica per grattare i fondi del barile e recuperare i fondi per realizzare questo o o quel sogno nel cassetto. Quest'anno si aggiunge il plusvalore del riferimento alla preparazione dell'evento Nova Gorica e Gorizia Capitale europea della Cultura 2025. E così, decine di richiedenti - con esplicita soddisfazione dei referenti culturali del Comune di Gorizia - alcuni dei quali molto lontani dal territorio, vanno a caccia di partenariati "forti", da una parte e dall'altra del vecchio confine e propongono percorsi innovativi costruiti e sperimentati nella bellezza di un paio di settimane.

Naturalmente non tutti sono così, ci sono realtà ben strutturate e gruppi associativi che da decenni portano avanti proposte artistiche e culturali di altissimo livello, procedendo da contatti già esistenti tra le due città e non inventando il tutto all'ultimo momento. La mancata valorizzazione dell'"esperienza" e della "direzione artistica" dei richiedenti - novità di quest'anno! - penalizzerà proprio queste esperienze a favore di altre, appena imbastite sostanzialmente con lo scopo primario di ottenere il contributo.

E' proprio questo termine, "primario", a fondare la perplessità. Fatta salva la straordinaria proposta culturale di prestigiose case della cultura che costruiscono quotidianamente rapporti di amicizia e collaborazione fra le diverse componenti della zona, in molti casi sembra che ci si affidi al "progetto" per costruire relazioni, quando invece solo le relazioni già esistenti potrebbero giustificare l'esistenza stessa del progetto.

L'urgenza del momento, procedendo verso il 2025, è quella di costruire importanti rapporti di base tra le persone, valorizzando maggiormente, come dei perni fondamentali, le istituzioni che da più anni e con maggiore efficacia perseguono con passione e non senza difficoltà questi obiettivi. Da una parte infatti occorre che il percorso verso la capitale europea veda impegnati - a costo zero! - tutte le cittadine e tutti i cittadini nel moltiplicare la loro presenza, i loro affetti, i loro momenti di quotidianità, rendendo assolutamente "normale" vivere le/la città realmente senza confini. Dall'altra, piuttosto che far piovere a cascata contributi su miriadi di piccoli richiedenti, sarebbe meglio canalizzare i fondi su quelle poche ma molto competenti realtà che da ormai tanto tempo hanno tessuto e continuano a tessere la tela della cultura inter-nazionale.

In conclusione, non sono i progetti a fondare relazioni al momento inesistenti, ma sono le relazioni già in atto a esprimersi attraverso progetti condivisi, pazientemente costruiti e realizzati insieme, giorno dopo giorno. Naturalmente questo è solo uno spunto offerto alla riflessione, non certo un dogma indiscutibile e insindacabile. 

sabato 22 gennaio 2022

Tra ulivi e vigneti, in bicicletta sulle colline goriziane

Il punto di partenza di ogni escursione in bicicletta dovrebbe essere le stazioni, favorendo così la naturale indole ecologica dei ciclisti che potrebbero giungere lasciando a casa la loro autovettura. A Gorica (Gorizia e Nova Gorica) ne esistono addirittura due, quella Centrale che pochi sanno che si chiama così proprio perché complementare all'altra e quella della ferrovia Transalpina, nella famosa trg Evrope, così nominata in onore dell'indimenticabile notte tra il 30 aprile e il Primo Maggio 2004, data dell'ingresso della Slovenia nell'Unione europea. Già solo da queste poche parole si comprende l'importanza della pista ciclabile internazionale che dovrebbe collegare le due stazioni, un vero e proprio asse centrale in grado tra l'altro di far conoscere la bellezza della "vecchia" città.

Una breve ma assai remunerativa gita prevede di partire dallo storico edificio che domina trg Evrope, inaugurato nel 1906 alla presenza dell'erede al trono Ferdinando d'Asburgo. Prima di salire in sella è d'obbligo uno sguardo all'interno, un salto indietro nel tempo aiutato dall'ottima mostra allestita in un corridoio che illustra il "prodigio tecnologico" della linea ferroviaria che univa Trieste e Vienna, oltrepassando difficoltà e dislivelli a quei tempi ritenuti quasi insuperabili.

Si sale ripidamente al colle di Kostanjevica (la Castagnavizza). Ci attende la storia del santuario, con la bella chiesa con gli stucchi originari del coro e soprattutto le tombe di Carlo X e degli ultimi membri della corte reale di Francia. Non c'è molto tempo da dedicare alla storia, molte pedalate ancora attendono. Si prosegue dietro al santuario, sulla cresta del colle da dove è possibile ammirare una delle ville dallo stile orientaleggiante dell'architetto Laščak. Dopo circa un chilometro su ripidi saliscendi si arriva alla strada principale, con una discesa da affrontare con prudenza, in quanto l'arteria di collegamento tra Nova Gorica e la zona di Rožna Dolina è abbastanza trafficata. Si tratta di un paio di chilometri di discesa, fino al grande incrocio presso il confine della Casa Rossa.

Si gira a sinistra e dopo il distributore di benzina si ritrova la calma, gettando uno sguardo e se possibile dedicando una breve visita al suggestivo cimitero ebraico nel quale si entra passando sotto un poco romantico cavalcavia stradale. Si procede e, dopo aver traversato la statale verso Lubiana, si trova subito a destra una stretta strada asfaltata che in meno di mille metri conduce dai colori mesti della zona industriale a un sorprendente polmone verde, una lunga collina distesa coperta di boschi profumati e punteggiata di case che fanno capolino tra la vegetazione. La strada sale progressivamente e dagli squarci nel bosco si intravvedono le ultime propaggini delle città. La collina si chiama Stara Gora (Monte Vecchio) , nel punto culminante, che coincide con l'omonimo piccolo paese, supera i 200 metri d'altezza. Oltre il villaggio un po' si sale e un po' si scende, tenendo sempre la linea di cresta. Il bosco lascia spazio alle coltivazioni, vigneti abbarbicati sulle balze e poetici uliveti ben tenuti dagli agricoltori locali.

Quando la strada comincia a scendere ripidamente si vede l'ampia valle del Lijak, breve corso d'acqua che ha la sorgente ai pedi del Monte San Daniele e la foce nel Vipacco (Vipava), nella zona di Bilje. Al termine della discesa, dopo aver valicato il ponte sul fiume, si prende decisamente la direzione dell'abitato di Vogrsko, la cui pittoresca chiesa parrocchiale invita dall'alto a salire. Il primo tratto è davvero impegnativo, poi si ha la stessa sensazione provata sul colle precedente, proseguendo con diverse salite e discese in uno splendido, dolce paesaggio. Lontano, verso l'Italia, si vedono le inconfondibili sagome dei quattro "monti goriziani", il Sabotino, Sveta Gora (Monte Santo), Škabrjel (San Gabriele) e Štanjel (San Daniele). Ci sono molte case e fattorie, si incontrano sorrisi laboriosi e necessarie informazioni per capire quale strada intraprendere. E poi si scende, velocemente, verso l'abitato di Šempas, ormai già ai piedi dell'affascinante e un po' misterioso lunghissimo crestone del Čaven che sovrasta buona parte della valle del Vipacco.

Un'ottima strada secondaria consente di evitare il traffico della principale direttrice Nova Gorica - Ljubljana. Si procede sempre abbastanza in alto, con salite e discese non particolarmente impegnative, tra ameni villaggi, antichi caseggiati e castelli, naturalmente ininterrotte coltivazioni di vite e di ulivo. Dopo Ozevljan i più coraggiosi possono salire fino all'abitato di Šmihel (San Michele) e ammirare la splendida chiesetta antica, insieme al panorama mozzafiato sulla valle sottostante. Oppure si può continuare verso la morena, residuo dell'ultima glaciazione che nasconde le prime costruzioni della città. Si può deviare per andare a vedere le sorgente del Lijak, oppure procedere attraverso Loke e passare sotto il maestoso castello di Kromberk. Chi ha ancora fiato e gambe, può affrontare la ripida ma breve salita e visitare l'edificio che ospita mostre temporanee e permanenti allestite dal Goriški muzej. Altrimenti si può procedere, dimenticando i paesaggi naturali che hanno accompagnato tutto il percorso e ritornando nel pieno del clima cittadino. Nova Gorica, come dice il nome, è una città nuova ma sorprendentemente interessante. A chi non la conosce, ma anche a chi crede di conoscerla, si consiglia la prenotazione di un accompagnatore per scoprire l'intrinseca bellezza di una zona che consente di ammirare i successivi stili architettonici ce hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento europeo, il fascino di un incrocio avvincente tra tradizione e post-modernità, l'ammirato stupore di un'integrazione tra diversità linguistiche e culturali realizzata senza sostanziali difficoltà e tuttora facilmente percepibile a uno sguardo attento.

E' tempo di arrivare alla Transalpina, di brindare all'impresa e di riprendere il treno o la via di casa. Visitando i diversi luoghi e prevedendo una necessaria sosta in una delle "gostilne" del percorso, la giornata se ne va, portando con sé una trentina di chilometri, quasi tutti in una natura incontaminata, oltre a circa 700 metri complessivi di dislivello. Provare per credere!

venerdì 21 gennaio 2022

Il celibato infelice. Pensieri e proposte...

Lo scandalo della pedofilia continua a mettere in croce la Chiesa cattolica, giungendo perfino a coinvolgere il vecchio ex papa Ratzinger. Da una ventina d'anni, da una parte o dall'altra del Pianeta, viene alla luce uno scandalo, come un'eruzione vulcanica che coinvolge preti, vescovi e cardinali, sia perché direttamente colpevoli che in quanto copritori, con il loro silenzio, delle malefatte dei propri sacerdoti.

Quello che impressiona non è soltanto il numero esorbitante di casi finora relegati nell'oscurità, ma il sistema di protezioni e omertà che ha consentito alla piaga criminosa di proliferare e diffondersi ovunque come un virus pernicioso e odioso. E' vero che ormai la questione è sotto gli occhi di tutti e anche le guide delle comunità cattoliche sono corse ai ripari. E' anche vero che c'è stato bisogno delle denunce delle vittime e delle azioni penali dei tribunali civili per far scattare, con molto ritardo, la triste e quasi quotidiana sequela di ammissioni di colpevolezza, quando proprio non se ne può fare a meno.

La spiegazione più semplice è scaricare l'intera responsabilità sui criminali, presentandoli come mele marce, come squallidi approfittatori della propria autorità morale per devastare la psiche e il fisico dei più piccoli e dei più deboli. In effetti nei soggetti condannati è evidente una fragilità psichica e una fondamentale incapacità congenita di relazioni. L'aspetto patologico non giustifica in alcun modo gli atti di pedofilia, ma chiama inevitabilmente in causa anche l'istituzione cattolica, i cui "capi" non se la possono cavare soltanto prendendo le distanze da coloro che sono stati accusati nell'ambito della giustizia ordinaria.

Da questo punto di vista, tanti sono i punti deboli della Chiesa Cattolica in quanto tale. Il primo e più immediato è legato alla questione del celibato imposto a coloro che desiderano diventare sacerdoti. La condizione di vita di un celibe, privato non solo della possibilità di sposarsi, ma anche di una vita affettiva completa, non per scelta o necessità ma per obbligo, è di per sé stessa contro natura. Tale situazione, esclusi i rari casi di piena consapevole convinta e motivata decisione, crea nella maggior parte degli altri la necessità di compensazioni spesso poco rispettose della dignità propria o dei soggetti maggiorenni liberamente coinvolti. In caso di particolare immaturità, l'orribile pianta della violenza sui bambini, fondata sul principio di sacralità della figura del religioso e corredata dall'ingiunzione del silenzio, trova spesso terreno fecondo in un celibato coatto e mal sopportato. Quando la Chiesa Cattolica affronterà in termini risolutivi e normativi questo ormai vetusto, grave problema?

In secondo luogo, il numero delle cosiddette "mele marce" è talmente elevato da mettere in discussione la professionalità e competenza degli agricoltori. Come è possibile che dai Seminari, dopo gli anni del Concilio per un breve periodo soggetti a interessanti sperimentazioni al momento interrotte, escano tanti giovani killer delle anime, presuntuosi, arroganti, senza scrupoli, quando non appunto criminali? Quanto si affrontano i temi più sensibili e delicati, anche riguardo alla stessa esperienza personale dei candidati al sacerdozio? Quanto spazio viene dato alla maturazione psicologica, alla comprensione delle vere motivazioni delle scelte, al di là dei pur indispensabili studi teologici e dei rari colloqui con gli operatori sanitari? Non è che forse venga dato un po' tutto per scontato, data la grande crisi di vocazioni che costringe le chiese particolari nazionali a continui cambiamenti e adeguamenti pastorali? In termini più drastici, è ancora necessario il "Seminario" - almeno così come ancora è - per la formazione del clero?

C'è infine da affrontare una tematica prettamente teologica, ovvero la necessità urgente di rimettere mano alla concezione del ministero di guida nelle comunità cattoliche che deve tornare a essere funzionale e non sacrale. E' fin troppo semplice leggere nel Nuovo Testamento e negli scritti dei Padri dei primi secoli come "in principio" non esistesse alcuna forma di gerarchia "sacra" all'interno dei gruppi cristiani. Il diacono è, come dice la parola derivata dal greco, il "servitore", il presbitero l'"anziano" preposto alla guida di una comunità e il "vescovo" il sorvegliante che coordina un'intera zona suddivisa in diversi settori. Solo dopo la svolta costantiniana a ancor di più teodosiana del IV secolo, il presbitero diventa "sacerdote" (cioè colui che dà il sacro, in una mediazione che il Vangelo di Gesù aveva abolito), il vescovo "pontefice" (colui che crea i ponti fra il divino e l'umano) e il vescovo di Roma, detto anche Papa, addirittura "Sua Santità". Fino al IV secolo la guida è legata alla specifica "funzione", poi diventa prerogativa "sacra", sulla base del sacramento dell'Ordine che distingue il sacerdote dal battezzato non solo sulla base del compito da svolgere, ma anche della sua "essenza". Cosa significhi questa acquisita differenza ontologica di "essenza", ribadita purtroppo perfino nel Vaticano II, non lo si capisce bene. 

Certo, portare sul piano dell'identità personale una simile distinzione, conferisce al cosiddetto "consacrato" un'autorevolezza immane, fondata sull'identificazione con l'Assoluto. E da tale innalzamento fino al cielo di una creatura debole incapace perfino di calpestare la terra, non può derivare nulla di buono. Se invece non fosse altro che un coordinatore della vita comunitaria, non ci sarebbe un affiliato a una casta divina da difendere, ma solo un essere umano che sbaglia, da assicurare alla giustizia, costringendolo a scontare la giusta pena per le colpe di cui è responsabile, aiutandolo piuttosto in un percorso di maturazione affettiva, personale e anche spirituale.

giovedì 20 gennaio 2022

Un pensierino estemporaneo sulla Verità

Che cosa è la Verità?

Rimanendo a una superficiale analisi etimologica, per i greci l'αληθεια è "ciò che esce dal nascondimento" oppure, secondo alcuni "ciò che non scorre", rimanendo visibile nel fiume del tempo. Per i latini la "Veritas" presuppone la fedeltà all'oggetto, a ciò che si vede e di conseguenza all'autorevolezza di chi lo testimonia. Alcuni studiosi riportano l'etimo al sanscrito "vrtta" che potrebbe significare "fatto", oppure .- tesi suggestiva! - alla radice dello zendo "var", che vuol dire "credere". Tale traduzione conduce direttamente verso le lingue slave, dove "vera" significa "fede", ma anche - in particolare nella lingua russa - si usano due termini, "pravda", che significa "ciò che è giusto" e "istina", "ciò che si vede". La dimensione fattuale è presente anche nello sloveno, nel termine "resnica".

Si va dunque dalla rivelazione di ciò che è oscuro, atto che presuppone un percorso di progressiva conoscenza (vero è ciò che riesco a conoscere) all'accettazione del fatto così come esso si manifesta (vero è ciò che è), fino a ciò che suscita fiducia sulle base dell'autorevolezza del comunicatore (vero è ciò che è garantito dall'autorità che lo propone). Se fino all'epoca moderna ha prevalso una visione "oggettivista" del "fatto così come è", le rivoluzioni teologica luterana e filosofica cartesiana hanno spostato l'asse della conoscenza, portandola sul fragile terreno del soggettivismo. Non c'è limite all'approfondimento, la ragione è una finestra aperta sull'infinito, il "fatto" non ha più valore in sé stesso ma in base alla sua interpretazione, l'autorità del soggetto è potenzialmente illimitata, non è vero ciò che "si fa vedere", bensì "ciò che ciascuno vede".

Se apparentemente questa concezione della verità sembra liberare il soggetto dalle imposizioni dell'oggetto e dell'autorità che si propone come suo interprete (Chiesa, Impero, Regno...), in realtà pone nelle mani di ciascuno un potere illimitato che contrasta inevitabilmente con quello dell'altro. La paradossale "assolutizzazione del soggetto" potrebbe scatenare una terribile lotta basata sulla legge del più forte, sostituendo alla violenza degli assolutismi culminata nelle guerre di religione quella del dittatore assetato di sangue e di potere che abbia i mezzi per "convincere" le masse della sua privata presunta "giustizia". Sono lampanti gli esempi del nazismo e del fascismo, ideologie incentrate sulla follia del soggetto e portatrici di venefici semi di imparagonabili atrocità.

Il sistema sociale che può contrastare sia l'assolutismo oggettivo medievale che l'assolutismo soggettivo moderno è la democrazia, ovvero la regolamentazione della relazione tra i diversi soggetti sulla base di principi condivisi e di leggi conseguenti. Il criterio che può consentire di trovare un accordo tra visioni etiche legate a religioni "quasi ideologiche" o ideologie "quasi religiose" e principio di libertà ab-soluta (sciolta cioè da qualsiasi punto di riferimento eteronomo) è il dialogo fra le diversità, finalizzato alla momentanea stabilizzazione di un punto sufficientemente condiviso sul quale edificare la (si auspica!) pacifica convivenza.

La scelta, tradotto nei sistemi parlamentari nell'elaborazione e pubblicazione della Legge, è basata su un criterio molto fragile, anche se difficilmente sostituibile da qualcosa di più adeguato. Ci si riferisce cioè, semplicemente al "numero", alla creazione e alternanza di maggioranze e minoranze, alla più o meno accentuata necessità di trovare in ogni caso accordi significativi fra le parti per rappresentare la massima con-cordia possibile fra le diverse posizioni presenti nei gruppi di opinione che comprendono cittadine e cittadini che in essi riconoscono, almeno in parte, la corrispondenza con la propria personale visione (sempre momentanea) del mondo. Anche in questo caso, è facile prendere atto della gigantesca opportunità, vera sfida per la pace planetaria e per il bene dell'umanità del Terzo Millennio, legata al possibile buon funzionamento, a tutti i livelli, di questa forma di convivenza civile e sociale, in grado di superare l'autoritarismo dell'oggetto e del soggetto, nonché di liberare ogni essere umano dagli egoismi e dagli egocentrismi - individuali o collettivi - che hanno insanguinato e impoverito buona parte del Mondo, ma è altrettanto facile prevedere che la ricerca di quel consenso numerico che solo consente di governare, possa sfociare in una duplice palude. Da una parte infatti lo straordinario sviluppo dei sistemi di comunicazione di massa può portare all'assoluta dittatura di chi li possiede, facendo della propaganda unilaterale l'unica modalità di formazione di uditori totalmente passivi e ritornando così, magari "democraticamente" agli oscuri anni della prima metà del Novecento. Dall'altra il livello di conflitto tra le differenti potenti agenzie di comunicazione potrebbe portare a una tale invasione di messaggi contradditori, da rendere gli ascoltatori solo apparentemente attivi e liberi di scegliere, in realtà del tutto confusi e impotenti, vagamente consapevoli di essere solo dei "numeri", delle "statistiche" facenti parte di un organismo incontrollabile e inverificabile. Dove appunto diventa impossibile capire che cosa sia la "Verità" e di conseguenza essere effettivamente e realmente nella "Libertà". 

mercoledì 19 gennaio 2022

Per una lista con lo stesso simbolo, a Nova Gorica come a Gorizia

Tra i tanti possibili, quali temi sembrano più urgenti per ciò che concerne il dibattito nelle prossime elezioni amministrative?

E' difficile scegliere, ma ci si può provare, raggruppandoli sotto tre capitoli: Lavoro, Ambiente, Welfare.

Già, e la Cultura? E la Capitale europea EPK 2025? Non è uno fra i tanti temi, ma il quadro d'insieme nel quale si collocano tutti gli altri. C'è già un tavolo di lavoro tecnico costituito dal GECT/EZTS e presto sarà operativo quello specificamente dedicato all'evento del 2025. Al di là delle dichiarazioni d'intenti e della buona volontà dei singoli, manca invece una prospettiva politica comune, una "visione del mondo e della società" che riempia di significato il percorso e la celebrazione europea. Per questo sarebbe più che mai importante che sia presentata almeno una lista con lo stesso simbolo, a Nova Gorica e Gorizia, tenendo conto sia dell'urgenza del momento che della concomitanza delle elezioni comunali, ripetuta una volta ogni venti anni. EPK2025 non consiste soltanto in una serie di iniziative, ma soprattutto in una nuova concezione di un territorio che gli abitanti dovrebbero percepire  "unito nella diversità", nella buona e nella cattiva sorte. Naturalmente ciò porta in primo piano il tema della scuola e dei giovani, in particolare per ciò che concerne l'apprendimento delle lingue, diventando ovvio ciò che ancora non sembra essere, ovvero che tutti dovrebbero come minimo capire la lingua dell'altro pur parlando la propria. E porta in primo piano anche il tema delle comunicazioni sociali, rendendo indispensabile l'incontro frequente e costruttivo tra gli operatori, realizzando almeno un giornale o settimanale bilingue che "racconti" la quotidianità delle due parti dell'unica realtà. Parafrasando l'idea di un amico, si può dire che l'obiettivo del 2025 (come pure del 2026, 2100, 2500, ecc.) sia quello di rendere possibile e gioiosa la vita delle Bambine e dei Bambini del Futuro!

Per quanto riguarda il Lavoro, è ovviamente urgente creare le condizioni politiche per rendere attrattivo il territorio. Già alcuni l'hanno fatto, ma si dovrebbe continuare sulla strada di una specifica configurazione, passando dalla vetusta concezione assistenzialistica e autarchica della "zona franca" a quella innovativa di "punto franco internazionale" che consenta di creare occupazione "sfruttando" la situazione geopolitica e storica che ha caratterizzato - nel bene e nel male - l'una e l'altra parte del vecchio confine. Da questo punto di vista, l'estremo interesse storico legato al Novecento ma anche alle civiltà che si sono succedute a partire dalla preistoria, la bellezza della Natura e l'offerta enogastronomica, la potenzialità di invenzione di "cammini" e percorsi ciclabili di alta qualità, potrebbero essere occasioni straordinarie per un'offerta turistica ecologica, innovativa e capace di sicuri sviluppi anche dal punto di vista imprenditoriale. In ogni caso, senza lavoro non ci può essere un futuro che impedisca la "fuga" dei giovani e fermi l'evidente progressivo tracollo demografico.

Per ciò che concerne l'Ambiente, da una parte c'è bisogno di un'azione congiunta per salvaguardare l'esistente, dall'altra occorre un soprassalto di creatività per inventare nuove forme di tutela ma anche di valorizzazione. Da una parte ci sono macroproblemi legati all'inquinamento dell'aria provocato dal co-inceneritore di Anhovo, al progetto di sfoltimento degli alberi della foresta di Tarnova, all'inquinamento delle acque dell'Isonzo e del Corno, ai capannoni industriali e artigianali dismessi e trasformati in discariche a cielo aperto, alla necessaria variante generale dei piani regolatori delle/a città, ai piani del traffico che ne penalizzano la vivibilità, con grave impatto sulla qualità della vita. D'altra parte ci sono i bellissimi progetti da portare a termine, non con le parole a con i fatti, riguardanti il completamento delle piste ciclabili sull'asse nord/sud (Isonzo/Soča dalla sorgente alla foce, con necessario attraversamento sicuro delle città capoluogo) ed est ovest (Vipacco/Vipava - Collio - Pedemontana). sarebbe opportuno realizzare anche una breve "Alta via dei monti goriziani", un anello per escursionisti con partenza e arrivo nel piazza della Transalpina/Trg Evrope (raggiungibile ovviamente anche in treno).

Il welfare del territorio Goriziano non può che procedere dalla visione profetica di Franco Basaglia. Tutti i cittadini sono nello stesso tempo soggetti e oggetti di cura, visto da vicino nessuno è normale, occorre credere nell'utopia della realtà. Non è un caso che proprio l'ambito della salute mentale è stato uno dei primi affrontati dal GECT/EZTS, con forti investimenti per sostenere le crescenti relazioni tra realtà sanitarie da una parte e dall'altra del confine. C'è da affrontare il tema della mancanza dei medici di medicina generale che, sia in Italia che in Slovenia, rischia di privare migliaia di persone del diritto al primo livello di assistenza sanitaria, con prevedibile conseguente sovraffollamento dei Pronto Soccorso e degli Ospedali già sofferenti per la carenza di organici. Occorre dedicare speciale attenzione ai senza tetto e ai più poveri, tenendo conto del probabile aumento delle nuove povertà post-pandemiche, incrementando azioni già avviate e inventandone di nuove, in un sinergia sempre più stretta tra Servizi Sociali e realtà del cosiddetto Terzo settore, di Gorizia e Nova Gorica. Naturalmente è da affrontare insieme la questione della prima accoglienza dei profughi e dei richiedenti asilo provenienti dalla rotta balcanica, immaginando di realizzare un centro unico, con strutture prossime al confine, sul modello dello SPRAR/SAI. Sulla capacità di creare città accoglienti e capaci di integrazione reciproca con i nuovi arrivati, si verificherà una parte importante della "riuscita" della Capitale europea della Cultura. 

 

martedì 18 gennaio 2022

Le splendide sorprese di Gradno

Qualcuno vuole vedere alcune opere di Lojze Spacal e Zoran Mušič, riunite all'interno di una stessa chiesa?

Se la risposta è affermativa, occorre spostarsi - in bicicletta o in auto - da Gorizia o Nova Gorica verso il Collio sloveno (Brda), godendosi il panorama mentre si attraversano di seguito Kojsko, Gonjače, Vrhovlje e si scende verso il dolce villaggio di Visnjevik. 

Da lì si dipana una stretta strada che, curva dopo curva, consente di raggiungere l'abitato di Gradno, un vecchio castello con una bella chiesa dedicata a San Giorgio. Non può mancare uno sguardo al panorama che ricorda la dolcezza delle colline toscane, senza trascurare la gigantesca vecchia "lipa" (tiglio), con la sua corteccia che racconta storie di secoli passati.

Una gentile custode consente di entrare e... si rimane a bocca aperta. nel presbiterio gli affreschi di Spacal raccontano le storie dei santi, offrendo una singolare e avvincente interpretazione del martirio di san Paolo e san Pietro a Roma, collocato in un contesto che permette di riconoscere le chiesette votive sparse sul Collio. La chiave di volta è riempita dal classico San Giorgio, alle prese con un drago che sembra più stupito che crudele.

Sulle pareti sono appesi i quattordici quadri della Via Crucis. Si capisce subito che si tratta di opere d'arte, comunicano straordinarie emozioni e raccontano un animo sensibile al mistero della sofferenza divina  umana. La firma è del grande pittore Zoran Mušič, in un tappa del percorso artistico poco nota, ma già in grado di suscitare quelle straordinarie impressioni che hanno consentito all'artista di essere considerato uno tra i maggiori pittori europei del Novecento. I temi sono noti, non resta che soffermarsi su ogni immagine, lasciandosi rapire dal racconto biblico, raccontato dagli occhi vivaci e dal movimento incessante dei suoi protagonisti.

Una visita sorprendente, nel cuore della Brda, davvero da non perdere!

lunedì 17 gennaio 2022

Quando le normative diventano inquietanti...

Un gruppo di cittadini italiani - certamente minoritario, anche se la lotteria dei numeri e delle percentuali rende difficile farsi un'idea precisa - decide di non ricevere il vaccino, ritenendo che tale scelta sia garantita dal dettato della Costituzione. Dalla loro parte hanno - anche in questo caso in numero minoritario, ma non insignificante - alcuni scienziati, personale medico e infermieristico, giuristi, filosofi, oltre a comunicatori più o meno originali. Sono oggettivamente marginalizzati, i vari decreti governativi li hanno estromessi dalla maggior parte dei luoghi di lavoro, coloro fra essi che hanno più di 50 anni, a partire dal 15 febbraio, se non interverranno altri fattori, dovranno di fatto restare chiusi in casa per evitare verbali e multe. Anzi, si dice che neppure in casa potrebbero stare tranquilli, perché una discutibile collaborazione tra Agenzia delle Entrate e Aziende Sanitarie potrebbe perfino "stanarli" nella propria abitazione.
Dall'altra parte la maggioranza degli italiani - compreso il sottoscritto - ha deciso di ricevere la prima e la seconda dose, ora la terza, il famoso richiamo detto all'inglese "booster". Lo hanno fatto ritenendo di tutelare meglio in questo modo la propria e l'altrui salute, senza per questo rinunciare all'umano esercizio del dubbio, ma ritenendo la propria scelta maggiormente rispettosa del bene comune. Era stato detto che il vaccino sarebbe stato efficace con percentuali vicine al 100%, che una dose sarebbe stata sufficiente ma due avrebbero garantito l'immunità a vita. Di fronte all'evidente generalizzato contagio nonostante il vaccino - anche dopo la terza somministrazione - si è detto che comunque il virus risulta depotenziato. Pro vax e no vax producono decine di statistiche e testimonianze più o meno credibili, , ciascuna a favore della propria posizione, rendendo pressoché impossibile capire cosa stia realmente accadendo.
Nel frattempo un autentico diluvio di trasmissioni televisive, salotti di giornaliste e giornalisti, articoli sui giornali producono una vera e propria criminalizzazione non solo di chi non si fa vaccinare ma anche di chi osa esprimere qualche minimo dubbio. Emergono notizie di sentenze che di fatto contraddicono i protocolli di cura dei primi giorni della pandemia, quelli con impressionanti stragi e numero di morti esorbitante. Chi si permette di osservare che qualcosa non va e che forse bisognerebbe almeno ascoltare alcune più "fondate" obiezioni, viene tacciato di "rincoglionimento" o di "perdita di senno", soprattutto se si tratta di personaggi finora osannati e universalmente stimati. In alcune trasmissioni, chi pone problemi non viene più invitato a parlare e sempre più viene dato spazio a un'unica, indiscutibile Verità.
C'è da dire che spesso i cosiddetti "no-vax" ci mettono del loro e l'esasperazione di alcuni di loro non giustifica atteggiamenti come minimo discutibili, paragoni insostenibili e soprattutto inaccettabili azioni violente e sistematiche contestazioni di operatori sanitari, politici, operatori della comunicazione e perfino degli stessi cittadini vaccinati. Tali posizioni e soprattutto tali gesti sono del tutto controproducenti e contribuiscono a creare un'opinione pubblica sempre più diffidente e sempre meno disposta a sopportarli.
In ogni caso, quello che sta accadendo è preoccupante. Oggi, leggi e decreti succedono gli uni agli altri per costringere i renitenti ad allinearsi e a obbedire, spiegando tali imposizioni con la salvaguardia della salute di ciascuno. Sarà forse così, ma domani questi stessi metodi potrebbero colpire indiscriminatamente altri gruppi di oppositori alla volontà di chi comanda, sempre naturalmente in nome della sicurezza e della tutela degli interessi pubblici.
Ribadita la "bontà" della decisione di farsi vaccinare, come impedirsi un po' di sana inquietudine?

domenica 16 gennaio 2022

No, Berlusconi proprio no!!!

Sinceramente, non ho scritto nulla prima su questo argomento perché ritenevo una specie di infelice battuta di spirito la proposta dell'uomo di Arcore come Presidente della Repubblica.

Tuttora non vedo altre motivazioni nella proposta dei più importanti esponenti della destra italiana, se non quella, irresponsabile sempre, tanto più in un contesto come quello attuale, di creare scompiglio nell'arco costituzionale "per vedere l'effetto che fa". 

Tuttavia l'attivismo di Sgarbi e soprattutto le indecenti mosse dell'"ex-cavaliere", ancora in grado (e non è l'unico, purtroppo!) di comprarsi senza troppi scrupoli i voti di alcuni grandi elettori, sembrano rendere possibile ciò che fino a poco fa sarebbe sembrato incredibile.

No, non occorre una preparazione politica o l'adesione a uno schieramento piuttosto che a un altro. Silvio Berlusconi non può essere il Presidente della Repubblica, garante delle istituzioni democratiche e figura rappresentativa dell'intero popolo italiano. Egli stesso, se avesse davvero un minimo di buon senso, dovrebbe dire "grazie e a tutti, ma a 85 anni preferisco dedicarmi ad altri piaceri della vita", dopo aver scontato condanne disonorevoli e ammesso con il suo sorriso canzonatorio una concezione etica almeno incompatibile con il ruolo di un Capo dello Stato.

Ma è possibile che tra 60 milioni di italiani non sia stato espresso un solo nome convincente e che lo "scontro" sembra ridursi alla scelta fra il satrapo Berlusconi e il quasi dittatore Draghi? E' vero che di solito "chi entra papa esce cardinale" e che quindi - almeno è da augurarselo! - i giochi si faranno dopo i primi tre scrutini. Ma già solo aver portato nell'agone mediatico questo "duello" offre un quadro desolante della politica nazionale!

Suvvia, un soprassalto di dignità! Si voti don Luigi Ciotti o anche qualcun altra/o intelligente e competente, tra i milioni di cittadine e cittadini che ogni giorno rendono onore all'Italia con il loro onesto lavoro e con la loro leale dignità e pazienza!

Cristiana Morsolin, candidata sindaca a Monfalcone!

Il centro sinistra e la sinistra di Monfalcone hanno deciso, tramite Primarie la candidata alle prossime elezioni amministrative di primavera. Il numero dei votanti è stato oggettivamente molto basso, poco più di 600, un segnale preoccupante del quale si dovrà tenere molto conto nell'ormai non lungo percorso che condurrà alla campagna elettorale e al voto.
E' stata scelta Cristiana Morsolin, con la sua lunga esperienza in ambito comunale, compresa un generalmente apprezzato assessorato al welfare ai tempi della sindaca Altran.
Le valutazioni politiche di questo a dir poco sorprendente risultato sono molte, come pure gli auspici per il prossimo futuro, per una campagna elettorale che si presenta senz'altro molto complessa e difficile, stante il protagonismo dell'attuale prima cittadina, Anna Maria Cisint, punto di riferimento ormai importante per l'intera compagine della destra - in particolare della Lega - del Friuli-Venezia Giulia.
Il voto ha senz'altro premiato una persona molto conosciuta nella città dei cantieri, sempre dalla parte delle persone più deboli, per cinque anni intelligente e creativa esponente di giunta, poi presenza costante e costruttivamente critica negli ultimi anni trascorsi sui banchi consigliari della minoranza. 
Espressione di una Sinistra senza mezzi termini - fortemente sociale, radicalmente antifascista e convintamente ambientalista - Cristiana ha saputo far convergere su di sé le attese di molti elettori non necessariamente vicini alle sue posizioni, anche attraverso l'accettazione del passaggio delle primarie, in vista della costruzione di una coalizione forte e compatta, in grado di raggiungere l'obiettivo più importante, quella della primavera 2022.
Il Partito Democratico esce con un forte richiamo al rinnovamento, dal momento che pur avendo "schierato" un ottimo candidato, si è ritrovato al secondo posto. Lo stesso si può dire per il candidato espresso da Articolo 1, altrettanto valido, ma non in grado di attrarre il consenso di chi ha visto nell'esperienza della Morsolin una maggiore garanzia di successo.
Si auspica ora - ma conoscendo gli attori, andrà senz'altro così - una forte coesione intorno alla candidata sindaca. Giustamente ciascuno avrà da offrire il proprio contributo di idee ed energie da investire nel progetto. Ma tutti - iniziando dal Pd, da Articolo 1e dai gruppi civici - dovranno riconoscere il riferimento e il coordinamento di Cristiana Morsolin, perché solo un percorso di unità, concretezza, entusiasmo e intelligenza creativa potrà permettere di affrontare la difficile ma avvincente sfida.
Il messaggio arriva anche a Gorizia, dove sembra crescere la convinzione che solo una macedonia di posizioni molto distanti fra loro potrebbe sconfiggere la corazzata Ziberna. Le primarie di Monfalcone, sia pur nell'esiguità dei numeri, indicano invece che forse la parte più consapevole dell'elettorato non teme affatto posizioni esplicitamente di parte, affidando magari a esse il compito di guidare e coordinare coalizioni in ogni caso molto connotate e senza equivoci, come quelle rappresentate dagli altri due candidati. 
Congratulazioni a Morsolin, grazie a Cattarini e Strukelj per la competenza e l'impegno democratico dimostrati in questa occasione. E soprattutto, a questo punto, auguri a Monfalcone. Se quello che sembrava impossibile si è realizzato alle primarie d'inverno, perché non dovrebbe accadere lo stesso nella prossima primavera?

giovedì 13 gennaio 2022

Don Luigi Ciotti, Presidente della Repubblica! Perché no?

Propongo don Luigi Ciotti come prossimo Presidente della Repubblica.

E' un uomo che porta con sé un'esperienza straordinaria di umanità e di accoglienza, ma anche una profonda conoscenza delle istituzioni democratiche e repubblicane.

Sempre dalla parte dei più deboli, ha saputo dimostrare uno straordinario senso dello Stato, lottando con tutte le sue forza contro ogni forma eversiva, soprattutto contro le mafie che avvelenano i pozzi della legalità e della socialità.

Ha una visione molto alta della Politica, non soltanto come espressione di un'etica della persona radicata nelle più moderne tracce del pensiero contemporaneo, ma anche come concreta azione per "uscire insieme dai problemi". Ha una capacità di relazione straordinaria, dimostrata anche attraverso la fondazione di Libera, senza forse la più importante "associazione di associazioni" italiana schierata contro ogni forma di ingiustizia e ingerenza nella vita democratica.

E' un prete, ma con una visione profondamente evangelica e perciò laica della vita, aperto per natura e per scelta al dialogo con ogni espressione culturale e religiosa che caratterizza la società italiana ed europea attuale, ben consapevole della distanza tra le responsabilità nella Chiesa e nello Stato. Molto conosciuto e apprezzato, ma anche fortemente osteggiato al punto da essere costretto a vivere sotto scorta per le minacce ricevute, potrebbe essere la figura ideale per ridare fiducia ed entusiasmo al popolo italiano, ancora non del tutto uscito dalle tragedie della pandemia globale.

Con un cuore potenzialmente aperto al mondo, è in contatto con molte persone e realtà che combattono la sua stessa nonviolenta battaglia, in ogni parte del Pianeta. Nello stesso tempo il suo continuo viaggiare nel cuore degli enti locali e delle istituzioni del Paese, gli ha potuto offrire un'immagine precisa delle problematiche che l'Italia deve affrontare. Potrebbe quindi portare un'ulteriore ventata di europeismo e di mondialità a una Politica sempre meno attenta alle dinamiche generali e sempre più ripiegata dentro i piccoli e spesso squallidi interessi di parte.

Si sono sentiti "sparare" tanti nomi in questo periodo di avvicinamento alle ormai imminenti elezioni a Camere riunite del Parlamento. Bisogna proprio scegliere un appartenente al sistema partitico o si può lanciare l'idea che, in un momento come questo, potrebbe essere veramente un grande passo in avanti avere un Presidente della Repubblica autenticamente Politico (con la P maiuscola), profondamente Umano e intensamente impegnato contro ogni forma di sopruso e iniquità?

Per questo e per molti altri motivi, propongo ai Deputati, ai Senatori e agli altri elettori di eleggere don Ciotti Presidente della Repubblica.

Parlare di Dio?

Tramonto evanescente, da Kostanjevica verso Gorizia
Si può parlare di Dio? No.

No, almeno nel senso ordinario che si dà a questo nome che tra l'altro secondo la Bibbia non dovrebbe neppure essere pronunciato.

No, perché se è l'"ab-solutus", cioè lo sciolto da qualsiasi legame, o meglio "totalmente Altro", come ha iniziato a chiamarlo il grande teologo Karl Barth, non può essere in alcun modo rinchiuso nelle categorie del Relativo, ovvero di ciò che per definizione è "legato".

Si potrebbe obiettare con il tradizionale richiamo alle "vie" tomiste, al principio di causalità, al supremo motore immobile e così via. Ci si potrebbe chiedere come cavarsela eliminando il principio di "Creazione", sostenendo la congrua razionalità della sua dimostrazione, procedendo dall'evidenza del primato dell'oggetto creato sul soggetto che lo pensa. Ma tutte queste riflessioni, dominanti fino all'epoca moderna, almeno per ciò che concerne l'Europa e più in generale quello che viene definito "occidente", sono state spazzate via dalla modernità, sradicate da tre semplicissime, celebri e nello stesso tempo rivoluzionarie paroline: Cogito ergo sum. 

In altre parole, si tratta della consapevolezza di ciò che mirabilmente propone il mito biblico dell'albero della conoscenza del bene e del male. La potenzialità illimitata - perché di questo si tratta - dell'umana conoscenza ne espande ininterrottamente i confini e il "concetto" di Dio viene irrimediabilmente sospinto sempre più in là, fino a raggiungere la completa in-significanza in un orizzonte dominato dalla ragione.

In altre parole, se c'è una compagnia divina agli esseri viventi abbarbicati come naufraghi a una zattera sferica che rotola incessantemente nelle profondità di una delle miriadi di miliardi di galassie, questa compagnia non può che essere trascendente lo spazio e il tempo. Si colloca cioè in un'altra dimensione, irraggiungibile dalla ragione perché al di fuori delle sue categorie fondamentali. Non entra nelle vicende quotidiane, non orienta al bene o al male, è sempre al di là di ogni comprensione o tanto più definizione. Chi ne afferma l'esistenza lo può fare solo in una dimensione diversa da quella razionale, l'unica forma possibile è data dalla fede, questo atteggiamento interiore, emozione profonda e inspiegabile che permette di attingere misticamente a fonti segrete, la cui realtà è affermata in un orizzonte esclusivamente soggettivo. Si tratta eventualmente di vivere la fede "etsi deus non daretur", come dicevano gli antichi ripresi da Dietrich Bonhoeffer, anche di liberare il Dio "tappabuchi" dalla prigione e dalle clamorose aporie della razionalizzazione.

Solo in questo contesto si può salvare l'essenza del divino, evitando di portarla davanti al tribunale della storia a rendere conto soprattutto del grande mistero della sofferenza umana, in generale, ma soprattutto di quella dell'innocente. Di questa essenza non si può parlare, non può essere "de-finita", confinata o limitata. Ogni teologia che non tenga conto della svolta del Cogito cartesiano è destinata a essere un mero, sia pur gigantesco gioco dialettico fondato su presupposti esposti alla fragilità del sempre mutevole linguaggio umano.

Si può parlare di Dio dopo Auschwitz? No, non se ne può parlare, ma il fatto che se ne debba tacere di per sé discuterne l'esistenza, al contrario significa riconoscerne l'ab-soluta e in-condizionata libertà da qualsiasi penosa costrizione.

martedì 11 gennaio 2022

Pensierino della sera...

Perché la realtà virtuale ha invaso quasi completamente la nostra vita?

Basta guardarsi intorno. In qualsiasi vagone di treno praticamente tutti i passeggeri sono intenti a osservare il loro telefonino o il computer. Molti guardano film, altri consultano le mail, Qualcuno chatta con compagni di vita, amici e colleghi di lavoro. Anche per strada la situazione non cambia e spesso occorre scansarsi per non finire, camminando, contro un palo o essere investiti da un altro passante costretto dall'"urgenza" a consultare il cellulare.

Si moltiplicano i social e se ne inventano di sempre più sofisticati, in apparenza per consentire a ciascuno di farsi i fatti degli altri, erogando consigli da una parte all'altra del globo, più spesso criticando o valutando il "valore" dell'account con il numero delle faccine allegre o tristi.

In questo vero e proprio paesotto planetario, proiettato in dimensioni che avrebbero fatto impallidire l'allora fantascientifico "villaggio globale" di McLuhan, tutti sanno tutto e nessuno sa nulla, come dimostrato ampiamente dall'infodemia globale. Fiumi di parole  e immagini, esperti politici scienziati a dire tutto e il contrario di tutto, creando i partiti del Sì e del No, l'un contro l'altro quanto mai armati. 

Si moltiplicano anche le piattaforme per vedere i film o le serie televisive che vengono ingurgitate occupando tutti gli spazi reconditi del tempo cosiddetto libero, in attesa delle notti riempite dai cinguettii degli utenti insonni di Twitter o degli infiniti "amici" di Facebook.

Eppure, in questo uscire ed entrare costantemente nella "vita degli altri", ognuno è sempre più solo. Mentre tutto cospira a cancellare ogni istante di silenzio e di libero pensiero dentro il tarkovskijano tritacarne di Stalker che soffoca la nobile arte di stare con sé stessi, il livello del rumore si innalza. Con esso cresce l'insoddisfazione, l'impotenza, il mormorio sistematico, soprattutto un'ottusa indifferenza, nella quale la pornografia sostituisce la passione, la sorda protesta irrazionale trasforma il desiderio di partecipazione, la comodità divanesca paralizza qualsiasi movimento esistenziale, la preghiera al dio denaro determina ogni scelta quotidiana, sotto i riflettori invadenti degli angeli della Pubblicità.

Perché tutto questo? Perché Orwell ha mancato di soli vent'anni la sua drammatica profezia sul futuro dominato dal Grande Fratello? Ma non era già prima così, salvo forse un'improvvisa e imprevista accelerazione delle possibilità di "evadere", un tempo riservate solo a chi aveva la pazienza - o forse anche solo la possibilità - di prendere in mano un libro, rifugiandosi nella scrittura e nella lettura?

Sì, entro certi limiti è naturale questo desiderio inconscio di immedesimarsi in una storia diversa da quella nostra, di identificarsi con un'alterità, sia essa la figura di un mito, di un santo, di un ideale o anche semplicemente dell'eroina o dell'eroe di un romanzo. E' come una recondita volontà di cercare un'origine diversa da quella che definiamo "reale", una dimensione totalmente altra che, come un  pellegrinaggio spirituale, dovrebbe provocare un estraneamento transitorio, momentaneo, in attesa di tornare nello "squallido quotidiano" portando in esso la potenza delle nuove scoperte. 

Ma se l'eccezione diventa una regola, occorre cambiare l'ipotesi. Se l'Uomo corre il rischio di morire per mettersi in cammino verso una meta dalla quale spera di ritornare fortificato o accetta faticosi percorsi di iniziazione per dare un senso alla sua vita, tutto cambia quando si capovolgono le prospettive e l'avventura di un momento diventa la permanenza di un'inquietudine, irrisolta e a lungo andare irrisolvibile. Essa depotenzia la carica rivoluzionaria, impedisce la realizzazione di sé, mortifica la volontà di costruire un mondo migliore e quindi, a lungo andare, crea un immenso popolo di sudditi di un Potere senza volto e senza nome.

Senza disdegnare le conquiste della tecnica e dell'informatica, riappropriamoci della bellezza del dire consapevolmente "io", "tu", "noi", "voi" e anche, come suggerisce mirabilmente la lingua slovena, "midva" "vidva", "noi due".

domenica 9 gennaio 2022

Dražgoše, 9.1.1942-9.1.2022, in memoria

Il 9 gennaio 1942 è iniziata la battaglia di Dražgoše, il primo grande scontro armato in Slovenia tra partigiani e nazisti.

Tre giorni di tremende battaglie hanno posto fine a una vero e proprio piccolo, breve esperimento di libertà, difeso con il sangue e concluso con una delle troppe efferati stragi dell'esercito tedesco.

I numeri sono terribili. Nel suggestivo, piccolo borgo montano, diviso in tre nuclei ai limiti dei grandi boschi che coprono la Jelovica (nella Gorenjska, una ventina di chilometri da Škofija Loka), lo scontro a fuoco è durato tre giorni. Le forze in gioco erano impari, i tedeschi, molto ben armati erano in numero 14 volte superiore ai partigiani, all'inizio della loro avventura, ancora privi dei mezzi e delle risorse che li avrebbero sostenuti negli anni successivi. I morti sono stati 27 nelle file tedesche, 9 tra i partigiani. Sembra che prima di ritirarsi per non soccombere e continuare a combattere altrove, i partigiani abbiano convinto gli abitanti del luogo - per lo più anziani, donne e bambini - a denunciare la loro presenza, per evitare rappresaglie.

Purtroppo tale gesto di lealtà è stato soffocato dall'invasore e il desiderio di evitare sofferenze al popolo è stato reso vano. I nazisti hanno preso in ostaggio praticamente tutti e in più riprese hanno fucilato 41 persone, tra le quali anche un bambino di 3 anni e due ragazzini di dodici e tredici anni. Poi hanno bruciato il paese e, per dimostrare la loro superiorità e volontà di conquista, sono ritornati un mese dopo radendo al suolo ciò che era rimasto, compreso la chiesa parrocchiale dedicata a Santa Lucia, deportando nei campi di concentramento i sopravvissuti e chiudendo ogni accesso alla zona.

E' una delle tante storie di immenso dolore e di follia, ma anche di eroismo e di speranza, che hanno caratterizzato la seconda guerra mondiale. In questo caso assume una particolare rilevanza perché nel forse quasi ingenuo ottimismo dei combattenti di Dražgoše si possono intravvedere i primi segni di quella convinzione profonda e organizzazione sorprendente che avrebbero reso vittorioso negli anni successivi l'esercito di Liberazione Jugoslavo. 

In ogni caso, per il popolo sloveno, il ricordo solenne di quanto accaduto 80 anni fa è un momento di memoria collettiva e di orgoglio nazionale. Alla presenza del Presidente della Repubblica Pahor e di un migliaio di perone ordinatamente disposte sui prati innevati, nel rigoroso rispetto dei distanziamenti e delle norma anti covid, è stato reso oggi l'annuale onore ai caduti. Molte corone sono state deposte nel grande monumento-cimitero che sovrasta la valle. L'ex presidente Kučan ha rilevato come le tragedie del passato debbano portare alla cancellazione di qualsiasi segno di fascismo o neonazismo, ma anche come sia necessario evitare ogni pernicioso revisionismo storico e guardare con forte consapevolezza alle tante sfide del presente, compreso quelle della pandemia globale e delle migrazioni attuali.

Sarà stato anche per il contrasto tra il candore della brina sui rami dei boschi sui versanti nord e il verde scuro degli abeti e dei pini radicati in quelli meridionali. Sarà per l'armoniosa bellezza delle valli slovene attraversate dalla Sora e dai suoi affluenti. Sarà per il silenzio dei paesi dl fondovalle, con il fumo bianco dai camini e il sottofondo delle campane che suonano il mezzogiorno. Sarà per tutto questo, ma il contrasto con la barbarie nazista e la follia della guerra è stato particolarmente forte ed evidente, nel ricordo di chi quassù ha perso la vita, vittima di un'ingiusta oppressione, dell'assurda violenza e criminale crudeltà nazi-fascista.

sabato 8 gennaio 2022

Nonturismo e Cultura dell'Accoglienza. La visita di un gruppo di Como in FVG (2)


Il gruppo di Como a Sveta Gora
Il nonturismo è un'esperienza di viaggio che ha come obiettivo l'incontro con la realtà concreta delle persone e delle comunità di un territorio. Ciò non significa disdegnare il contesto storico e paesaggistico, anzi, esso risulta in parte indispensabile per approfondire le vicende umane attuali.

Lo strumento principale del nonturismo è il linguaggio, sia la parola ascoltata e proclamata, sia quello non verbale della relazione amicale e nonviolenta.

Quello compiuto in Friuli Venezia Giulia dal bel gruppo di 19 comaschi è stato proprio un esempio di nonturismo, ciascuno ha raccontato il proprio modo di concepire la vita e ha accolto con il cuore aperto il racconto degli altri. Perché non immaginare l'offerta anche di un nonturismo di qualità, in vista dell'appuntamento di Nova Gorica e Gorizia nel 2025?

Nel post precedente erano rimasti a Sveta Gora (Monte Santo), in un'accogliente "gostilna", avvolta in una nebbia carica di umidità, nel corso di una tipica cena "alla slovena", dove ognuno ha narrato le emozioni della giornata. Un breve incontro con il giovane rettore del santuario, pater Bogdan Knavs, ha permesso di conoscere una delle figure più innovative e interessanti del mondo cattolico sloveno. Il dinamico frate francescano è diventato un vero punto di riferimento per i movimenti che ricordano l'eroismo di chi ha versato il proprio sangue per la liberazione dal nazifascismo, ma anche si assumono la responsabilità di costruire oggi un mondo più equo e solidale.

Dopo l'intensa prima giornata prevalentemente goriziana, la seconda è stata dedicata a Trieste. Andando verso Staranzano, si passa davanti ai sempre impressionanti cimiteri di guerra di Redipuglia e contemplando la tomba di un'intera generazione di ragazzi di varie nazionalità, non si può che pensare alle parole quasi urlate da papa Francesco proprio in questi luoghi, "la guerra è una follia".

A Staranzano c'è la bottega del mondo gestita dalla bella associazione Benkadi, collegata alla Tenda della Pace, iniziativa nonviolenta di fraterna accoglienza che ha promosso negli ultimi anni tanti partecipati eventi, a difesa dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più penalizzate dai processi disumanizzanti della società del Capitale.

Il passaggio attraverso Monfalcone è accompagnato dalla riflessione sulla tragedia dell'amianto nella città di quei "cantieri" che hanno portato alla gente il pane, ma anche la malattia mortale. Ancora una volta c'è da riflettere sulla necessità di coniugare la crescita economica con quella sociale, ponendo sempre al centro la persona e il contesto naturale in cui vive. Monfalcone è, a livello intaliano, una delle città con la più alta percentuale di stranieri residenti. Un'altra occasione per ripensare l'urgenza di politiche di autentica reciproca integrazione, nel rispetto profondo delle diversità linguistiche, religiose e culturali.

Il primo meeting triestino è con l'associazione Linea d'Ombra, avviata intorno a Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi i quali, hanno compiuto frequenti visite nel nord della Bosnia, rendendosi conto della drammatica situazione dei profughi costretti a vivere in condizioni molto difficili, con la sola prospettiva di rischiare la vita per valicare quelli che ritengono essere i confini della speranza. Contemporaneamente hanno allestito un  vero e proprio ricovero per chi riesce in qualche modo ad arrivare in Italia, curando le piaghe dei feriti nel corso dell'Odissea e cercando di operare affinché siano garantiti i loro diritti.

Presso il Consorzio Italiano di Solidarietà c'è Gianfranco Schiavone. Con lui il dialogo procede nel racconto dell'ideazione e della fondazione del sistema SPRAR (ora SAI). E' una modalità di prima accoglienza che ha un importante valore di cittadinanza, sostenendo l'ingresso dei nuovi arrivati nei processi lavorativi e abitativi. Da non sottovalutare è la modalità, che affida all'ente locale, il Comune e quindi la comunità sociale, il compito di coordinare in toto il percorso di integrazione.

E' tempo di salire a Opicina, per incontrare don Mario Vatta e la comunità di San Martino al Campo. E' una delle tante prove che dimostrano come l'"accoglienza" non è un'idea suscitata dalle migrazioni attuali, ma fa parte dell'essenza stessa di concepisce l'esistenza come universale fraternità. L'esperienza di don Mario è in questo contesto emblematica, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita adulta, con passione, simpatia e serenità, a farsi prossimo di ogni essere umano, soprattutto di coloro che per un motivo o per l'altro, vivono il mistero del dolore e della marginalizzazione.

Mentre l'autentico tour de force si è concluso, necessariamente per questa volta senza molte concessioni all'Arte e alla Natura ma con tanti ricordi e impegni per il futuro, l'auspicio è quello di un prossimo giro nonturistico, questa volta nella zona di Como, per incontrare "ciò che sta dentro e dietro" alla gioiosa serietà dei volti che hanno illuminato questi giorni.