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mercoledì 11 giugno 2025

Monfalcone e la nuova crociata

 

Bei tempi quelli nei quali i simboli della fede erano talmente complessi da richiedere anni di iniziazione per essere compresi e accolti! Bei tempi perché il cristianesimo si inseriva con discrezione nella vita di una società pluriculturale e plurireligiosa, custodendo con un alone di silenzio e segreto le proprie caratteristiche e i propri fondamenti. In questo modo chi aderiva, dopo aver percorso tre o quattro anni di formazione e aver ricevuto insieme i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucarestia, conosceva molto bene i dogmi e le regole del vivere cristiano.

Poi è arrivato il cristianesimo imperiale, che ha soppiantato gli universi religiosi preesistenti, distruggendo i mitrei e i luoghi di culto, edificando al loro posto le grandi basiliche. La croce, mai rappresentata almeno fino al V secolo, è diventata paradossalmente un segno identitario, da imporre ai sudditi dell'Impero, con le buone maniere o più spesso con le cattive.

Quello che sta accadendo a Monfalcone ricorda le controversie medievali, con una personalità politica che veste i panni di San Bernardo da Chiaravalle e lancia la crociata contro gli infedeli che - secondo lei - vorrebbero infangare la "religione di Cristo". Addirittura arriva a vantarsi di aver scritto a papa Leone XIV, forse pensando al primo Leone che secondo la tradizione avrebbe fermato Attila sul Mincio, presso un paese che ancora oggi, in suo onore, porta il nome di Salionze.  

In una città che potrebbe proporsi a livello nazionale come grande esempio di convivenza e dialogo tra culture, forme religiose e visioni della vita differenti, si è invece creato il muro contro muro. E la responsabilità primaria è di una politica amministrativa che strumentalizza i reali problemi che le persone affrontano ogni giorno, per un mero tornaconto elettorale. Non si è riusciti ad affrontare serenamente la questione delle donne che entrano nel mare vestite, si è di fatto utilizzato un cavillo del piano regolatore per impedire a dei credenti di pregare. Invece di sostenere le cittadine e i cittadini musulmani, si è cercato di ostacolarli in tutti i modi. Invece di creare luoghi di dibattito e confronto nei quali cercare soluzioni condivise, si è preferito calcare l'effimera ribalta nazionale, facendo di ogni erba un fascio e mettendo in discussione la stessa esistenza di una religione che coinvolge più di due miliardi di pacifici fedeli nel mondo.

L'ultimo atto di questa storia è quello che avrebbe convinto la suddetta a scrivere un messaggio accorato al Pontefice, un po' come Caterina da Siena che si rivolgeva al "dolce Cristo in terra" per invitarlo a lasciare gli eretici avignonesi per tornare a Roma.

I parroci di Monfalcone - totale e piena solidarietà! - hanno sopperito alle clamorose mancanze delle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi anni e hanno messo a disposizione l'oratorio San Michele prima e ora alcuni locali adiacenti la chiesa della Marcelliana. Si è trattato di un gesto di ordinaria ospitalità, tali sale sono normalmente utilizzate da società sportive, gruppi culturali, compleanni o riunioni di condominio. Chi le usa, come è giusto, paga anche un affitto e le adatta alle proprie necessità. Cosa ci può essere di strano se in una riunione di preghiera, i musulmani coprono delle immagini che richiamano la professione di una fede diversa dalla loro? Cosa c'è di offensivo? Forse che le opere momentaneamente occultate sono state danneggiate o vilipese? 

Proprio no e per questo il presunto scandalo non è altro che l'ennesimo tentativo di squalificare una grande religione di pace che la stragrande maggioranza dei cristiani non conosce minimamente. Ma è anche la dimostrazione della completa ignoranza degli stessi fondamenti della fede cristiana, incentrati sull'amore nei confronti del prossimo, sulla nonviolenza attiva e sull'accoglienza fraterna. Come pure è la mancanza di rispetto nei confronti del grande valore che è la laicità dello Stato democratico: date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio. 

martedì 10 giugno 2025

I referendum e una sinistra da rifondare

Ho votato i cinque referendum. Mi dispiace che non si sia raggiunto il quorum e che quindi non sia stato possibile ottenere il risultato atteso.

Si capisce l'esultanza della destra, molto meno quella della cosiddetta sinistra. Come si fa solo a pensare che il raggiungimento di 14 milioni di votanti sia un successo?

In realtà è stato un vero disastro che dovrebbe suscitare molti ripensamenti, invece che arrampicamenti sugli specchi. Il 70% degli italiani non ha votato, il che significa che la destra ha approfittato della ghiotta occasione di attribuirsi una facile e prevedibile vittoria.  E' stato inoltre un contributo alla sempre più evidente disaffezione a qualsiasi forma di votazione, tanto più a quella referendaria che - prevedendo l'obbligo del raggiungimento del quorum - rende di fatto un'opzione legittima e strategica quella dell'astensione (peraltro sollecitata in passato da tutti coloro che non condividevano l'uno o l'altro quesito, destra, sinistra, gruppi sociali e culturali, conferenza episcopale, ecc.).

Anche le percentuali dei sì e dei no sono da brividi e reclamano un'immediata approfondita riflessione politica. I quattro quesiti sul lavoro, come previsto, hanno ottenuto quasi il 90% dei consensi, dimostrando effettivamente che la questione suscita molto interesse, molto probabilmente anche in chi non ha ritenuto di votare, supponendo che in realtà un'eventuale vittoria dei sì non avrebbe modificato granché, stante l'attuale dettato legislativo.

Invece il quesito sulla cittadinanza ha avuto un esito veramente molto preoccupante, al punto da far ringraziare la sorte che ha consentito ai referendum di non raggiungere il quorum. Immaginando che buona parte della destra abbia disertatole le urne, ci si può chiedere che destino avrebbe avuto il quesito sulla riduzione dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza da dieci a cinque anni? Questo forse è il dato più inquietante di tutti. A fronte di un quasi plebiscito da parte dei pochi votanti, il 65% di sì nel referendum numero cinque dimostra che la maggioranza degli italiani è di fatto contraria a qualsiasi facilitazione dell'accesso alla cittadinanza da parte dei migranti. 

E questo è un dato su cui riflettere e su cui non impostare più solo campagne "contro" la destra o per destabilizzare un governo che, al di là delle ordinarie schermaglie, sembra ancora ben saldo. Occorre che ci siano proposte di ampio respiro, veramente e profondamente radicate nella tradizione della sinistra sociale, riguardanti le politiche del lavoro, dell'ambiente, dell'accoglienza, della casa. Siano proposte non calate dall'alto, avulse dai reali problemi che portano le persone a votare a destra o a non votare. Siano il rilancio di una visione complessiva del vivere sociale, in una prospettiva realmente anticapitalista, pacifista e internazionalista.

sabato 1 febbraio 2025

Serbia incandescente, la riscossa dei giovani

Un fiore per le vittime di Novi Sad
Il primo giorno di novembre dello scorso anno, era crollata la tettoia esterna della da poco rinnovata stazione ferroviaria di Novi Sad. L'evento, che aveva provocato la morte di 15 persone, tra le quali un bambino di pochi mesi, ha suscitato un'impressionante ininterrotta ondata di proteste in tutta la Serbia.
I protagonisti assoluti di queste manifestazioni sono i giovani. Migliaia di giovani ,sono scesi in piazza per contestare la vera causa della tragedia, cioè la corruzione e il disinteresse dei governanti nei confronti della cosa pubblica. All'inizio sono stati ridicolizzati dalla stampa, quasi tutta filogovernativa, poi la loro testimonianza diretta ha allargato le file. Se in principio ci sono stati gli universitari, poi si sono aggregati i ragazzi delle scuole superiori, i loro genitori, gli insegnanti, gli operai ma anche i contadini e gli uomini di cultura, per arrivare fino agli sportivi  e ai personaggi più conosciuti anche all'estero, come il tennista Novak Djokovic.
A tre mesi dagli avvenimenti, decine di migliaia di persone si sono date appuntamento tra oggi e domani nel luogo del disastro. In testa sono sempre loro, i giovani studenti, gli enormi cortei gridano preoccupazione e delusione, vogliono una politica migliore. La pressione ha già portato alle dimissioni del premier Vučevič e di due ministri. Per il momento resiste il presidente Vučič che accusa non meglio precisati poteri esteri di fomentare i disordini.
Dall'esterno, gli osservatori, notando l'assenza di soggetti ispiratori partitici o ideologici, parlano invece con ammirazione di "olocrazia", sistema di organizzazione autogestita e coordinata tra vari gruppi che si prefiggono i medesimi obiettivi. Sia come sia, la rivendicazione di trasparenza, la richiesta di verità e giustizia come pure la lotta alla corruzione hanno creato una marea immensa che sta contagiando l'intera società civile e che sembra cominciare ad attecchire anche fuori del confini della Serbia.
In tutto ciò c'entra anche l'Italia, o meglio il Friuli Venezia Giulia e più specificamente il porto di Trieste. Sono sempre più numerosi i ricchi serbi che acquistano case lussuose a Trieste e sono documentati forti interessi sul Porto Vecchio. Lo stesso ministro dell'edilizia Goran Vesic, dimessosi dopo il crollo della stazione di Novi Sad ha acquistato casa (3 milioni e mezzo di euro!) ed è venuto ad abitare a Trieste.
Le informazioni contenute in questo post provengono dalla lettura del quotidiano sloveno Delo. In Slovenia si parla moltissimo di ciò che sta accadendo in Serbia, così come negli altri Paesi limitrofi. In Italia c'è stato finora uno strano silenzio e i fatti sono stati per lo più coperti da una specie di censura. 
Chi ha paura dei giovani studenti?

domenica 19 gennaio 2025

Nessuno tocchi Aquileia!

Il Sole dietro al campanile (foto N.Akkad)
La luce attraversa la cella campanaria, è uno scorcio bellissimo che, per associazione di idee, porta il pensiero all'argomento del giorno della bellissima storica città della Bassa Friulana. Nessuno tocchi Aquileia!

Il solo nome di Aquileia suscita brividi di stupore. Le zone archeologiche consentono di salire sulla macchina del tempo, camminare su strade saltellando sulle pietre antiche, visitare case che hanno percorso secoli di storia, commuoversi davanti ai monumenti che ricordano le vicende personali degli aquileiesi di duemila anni fa: altri contesti, ma la stessa gioia per i brevi momenti luminosi, la stessa tristezza di fronte al mistero della fine. I due musei sono gioielli impareggiabili, quello archeologico con i depositi da poco messi a disposizione del pubblico e quello paleocristiano, con la testimonianza di tre basiliche con splendidi mosaici, la lunga storia del monastero delle benedettine e le lapidi più coinvolgenti dell'intero Nord Italia.

E poi, naturalmente, c'è la basilica, elemento indimenticabile del paesaggio. C'è il campanile, che si cerca e si incontra già a un primo sguardo, da lontano, visibile nelle giornate limpide perfino dalle alte Alpi Giulie. E c'è la basilica patriarcale che nella sua caratteristica forma romanica e gotica, nasconde i tesori dell'inizio del IV secolo, certamente il più completo racconto esistente al mondo della teologia di una comunità cristiana particolare che vive nella libertà di ricerca precedente la convocazione del Concilio di Nicea (325), il primo della storia della Chiesa.

Già si sa, tutto questo, anche se si scopre sempre qualcosa di nuovo, soprattutto nei volti dei visitatori. L'altro giorno, per esempio, si era insieme, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, preti, rabbini, imam. E per tutti la Basilica si è offerta come casa, per incontrarsi, per amarsi, per costruire insieme la pace nella giustizia. Che meraviglia tutto ciò!

Eppure, sembra che qualcuno non lo capisca e c'è chi propone la realizzazione di un vero e proprio parco fotovoltaico, che andrebbe a inferire sulle campagne che custodiscono gelosamente altri e nuov9 segreti, ma sarebbe realizzato a ridosso di quella che è stata già delimitata come area archeologica. Un'area da rispettare, come richiede il prestigioso riconoscimento di sito UNESCO, ottenuto già 26 anni fa. Tutti sembrano decisamente contrari: il Comune di Aquileia, la Soprintendenza, la Fondazione Aquileia, ovviamente la cittadinanza tutta. Nessuno nega l'importanza delle energie rinnovabili, ma ciascuno chiede un ovvio rispetto per una realtà così importante, della quale tutti si devono sentire comproprietari e corresponsabili, in quanto patrimonio dell'umanità.

Dunque, a chi giova? A chi giova uno sfregio inaccettabile, anche per la democrazia, nel caso non si tenesse in alcun conto le motivate ragioni di una sacrosanta protesta. Chi può, soprattutto chi deve, interrompa immediatamente l'iter autorizzatorio e pensi subito ad altre, innumerevoli, alternative.

martedì 3 settembre 2024

Elezioni in Germania, una sveglia per la sinistra?

 

Le elezioni in Turingia e Sassonia hanno avuto un risultato sorprendente, con il trionfo dell'ultradestra, temperato nel secondo caso dalla tenuta dei cristiani democratici, in pratica di quello che in Italia si definirebbe centro destra.

Sorprendente? Forse no, piuttosto è una sveglia che suona per un centro sinistra e una sinistra dormienti, cullati dal sogno alimentato da qualche discreto dato ottenuto a livello di elezioni europee o nazionali.

Il risveglio è necessario, prima che le prossime occasioni li sprofondino ancor più nel sonno, dando per scontate, per esempio, le probabili vittorie della "grande coalizione" in una Liguria nella quale il centro destra si è autoaffondato, come pure quella di Kamala Harris contro un Trump che per il momento appare "suonato" dall'"arrocco" dei democratici USA.

Il risveglio non deve riguardare i "numeri" delle votazioni, ma ciò che sta dietro a esse. A destra si è sfondata la diga del "politicamente corretto", sono stati sdoganati concetti che si ritenevano confinati nelle soffitte della storia. Vengono riabilitati il nazismo in Germania e il fascismo in Italia, non tanto - o non soltanto - in quanto strutture di potere, ma come sistema di disvalori diffuso in ogni settore della popolazione: razzismo, violenza, discriminazione, nazionalismo, patriottismo guerrafondaio, ecc.

Come arginare questa pericolosa ondata? Forse è tempo che anche la sinistra abbatta la diga del politicamente corretto e che riproponga con convinzione valori che fanno parte del suo patrimonio storico e che sono stati dimenticati dalla necessità di stringere accordi con forze troppo diverse, con la conseguente perdita di una parte cospicua di un elettorato che non si ritrova nelle giravolte del PD su guerra e migrazioni, nelle incertezze della Schlein o nelle divisioni sistematiche che indeboliscono i partiti "a sinistra del pd".

E quali sono i valori da approfondire a sinistra? Un convinto internazionalismo contro il sovranismo e il nazionalismo, la giustizia sociale contro gli immensi privilegi che dividono il mondo tra pochissimi ricchi e una moltitudine di poveri, una concezione del lavoro che tuteli la classe lavoratrice contro i risorgenti soprusi dei padroni, virtuali o in carne e ossa che siano, la visione di una fraternità e sororità universali contro il razzismo, la libera circolazione delle persone e la rimozione delle barriere tra gli esseri umani, il pacifismo e la nonviolenza non fini a sé stessi ma all'affermazione di un sistema globale equo, giusto e solidale, la tensione verso il disarmo generale e globale, la cancellazione degli interessi dei fabbricanti, commercianti e acquirenti di armi sempre più distruttive e devastanti.

Utopia? Forse, ma come direbbe Basaglia utopia della realtà. O come direbbe Balducci, cammino verso la possibilità di un futuro: "nel terzo millennio, l'homo o sarà planetarius o non sarà".

lunedì 5 agosto 2024

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro (KR)

Cutro. Nella memoria collettiva questo nome evoca una tragedia, quella di un nave carica di oltre 200 persone. proveniente dalla Turchia e schiantatasi su un banco di sabbia, a 50 metri dalla riva. Cutro è in realtà il paese capoluogo di comune, che si trova qualche chilometro all'interno della Calabria jonica. La zona sul mare si chiama Steccato di Cutro. Non è semplice arrivare al punto del disastro. Dopo varie strade con asfalto precario, occorre imboccare un viottolo polveroso che conduce fino a una spiaggia. Il panorama è meraviglioso, la sabbia candida fa pensare ai Caraibi e la solitudine quasi assoluta contrasta con i racconti delle ordinarie ferie di piena estate. Tanta bellezza non impedisce di cercare qualcosa, almeno un segno, di ciò che è accaduto... Ed ecco, quasi mimetizzato tra le dune, un mazzetto di fiori ormai secchi. Sembra quasi il gesto delicato di un bambino, un'alternativa colma di umanità al classico castello di sabbia. Ci si domanda come sia stato possibile, il 26 febbraio  2023, che circa cento persone - soprattutto donne e bambini - abbiano perso la vita qua, lo ripeto di nuovo, a 50 metri da una riva agognata per giorni e giorni di precaria navigazione a mare aperto. Si vedono ovunque barche e barchette, lontane e vicine e la distesa delle acque è costantemente monitorata. E' possibile immaginare che non ci si fosse accorti di un barcone in difficoltà con duecento persone a bordo? E' possibile supporre che una simile primitiva imbarcazione non chiedesse già di per sé stessa soccorso, senza avere neppure i mezzi tecnologici per domandarlo ufficialmente? Quanti morti si sarebbero potuti evitare, con un intervento tempestivo e competente? Quanti si sarebbero potuti salvare, oltre agli ottanta che sono riusciti a vincere il mare a forza 8 e le alte onde, anche grazie all'incredibile opera di soccorso messa in atto dagli abitanti del paese?

Il monumento cercato in effetti si trova al centro della frazione, dove c'è un grande parcheggio che prelude alle spiagge ufficiali, quelle organizzate (poche) e quelle libere multicolori ancora facilmente reperibili in questo piccolo angolo d'Italia per ora dimenticato dal gran turismo. Proposto dal Consiglio Comunale, invita giustamente a una riflessione e a un pensiero per le troppe vittime di questa strage e fa un cenno alla necessità di fermare i trafficanti di persone che percorrono le rotte del Mediterraneo. Dimentica gravemente un aspetto, ovvero il risvolto politico. I fatti di Cutro non sono soltanto uno dei tanti episodi di naufragio di poveri che cercano una nuova vita nell'Occidente opulento, sono una grave denuncia sull'inadempienza di una "politica" che dovrebbe risolvere i problemi delle persone e non aggravarli. Un signore del posto sta sistemando la piazzetta con al centro la pietra e la lunga iscrizione. Lo chiamiamo Giuseppe, per non identificarlo. Racconta ancora con le lacrime di quei giorni, dei morti strappati alla sabbia, trascinati per i piedi sulla riva, dei cadaveri da lui stesso recuperati qualche giorno dopo sulle dune vicine, dell'uomo con la jeep che voleva salvare almeno un bambino e che dall'acqua riusciva a tirare fuori soltanto altri morti, delle pietose cerimonie funebri nel cimitero di Cutro e in quelli vicini. "Ma si potevano salvare?" "Certamente sì, forse non tutti, alcuni sono rimasti schiacciati nello schianto dell'onda sul banco di sabbia. Ma se si fosse arrivati prima ad attendere i profughi - anche per terra, visto che il mare era molto agitato, ma che la barca era a pochi passi dalla riva - forse tanti sarebbero ancora vivi. Noi del paese abbiamo fatto tutto il possibile, ma rimane in noi un senso profondo di smarrimento, come di colpa, per non avere fatto di più." E in chi avrebbe dovuto intervenire con i mezzi di soccorso e non lo ha fatto, c'è ancora il medesimo rammarico? Qualcuno sarà ritenuto responsabile dell'omissione di soccorso di centinaia di esseri umani?

I fatti di Cutro, in un Paese normale, avrebbero dovuto suscitare una grande indignazione e, con essa, un sussulto di umanità da tradurre in leggi umane finalizzate all'accoglienza e non al respingimento. Invece è accaduto il contrario. Le responsabilità sono state addebitate ai cosiddetti "trafficanti" - anch'essi peraltro povera gente sfruttata da potentati ben più forti e inarrivabili di quanto non si possa immaginare - e le normative sono state incentrate sul controllo delle partenze attraverso accordi con Paesi tutt'altro che democratici, sull'inasprimento delle pene detentive e perfino sulla penalizzazione delle ong schierate nel Mediterraneo a difesa della vita di migliaia di naufraghi.

Il contrasto tra la bellezza dei paesaggi e la tragicità dei fatti toglie quasi il respiro. In questa sospensione del tempo restano un mesto sorriso di fronte a un mazzo di fiori piantato nella sabbia ardente d'agosto, un respiro di speranza di fronte alla naturale umanità degli abitanti di un villaggio abituato a scrutare il cielo e il mare, un soprassalto di indignazione di fronte a un monumento alla disumanità di leggi chi dovrebbero promuovere la Vita invece di mortificarla.

martedì 4 giugno 2024

Verso le elezioni europee: per la pace sulla Terra, per la dignità di ogni essere vivente

 

L'ideale è che ci siano soltanto gli Stati Uniti del Mondo, confederazione di tutte le realtà esistenti sul Pianeta. E' un'utopia, un'invenzione umana, così come invenzioni umane sono tutti i concetti che, razionalizzati, hanno determinato le forme dell'umana convivenza: la patria, la nazione, la famiglia, lo stato... in fondo altro non sono che frutti dell'immaginazione. Per difendere tali bandiere, esistenti soltanto in quanto generate dall'uomo, quanti milioni di morti, quante inutili stragi, quante persecuzioni...

Mentre si vorrebbero gli Stati Uniti del Mondo, l'Unione europea va al voto. Si noti, l'Unione europea, non l'Europa, perché sono molti gli stati dell'Europa che non appartengono all'Unione europea. Che cosa votare? Non è così facile rispondere a questa domanda, anche perché, soprattutto in Italia, si è parlato molto di più di problematiche locali che della visione che si vorrebbe avere dell'Europa.

Eppure le elezioni dell'8 e 9 giugno sono molto importanti, perché orienteranno il Parlamento e la Commissione continentali verso decisioni importanti per il futuro. Per esempio, si andrà verso la Terza Guerra Mondiale o l'Unione europea sarà proiettata verso la costruzione del sistema planetario delle Nazioni unite? Si vorrà fare dell'Unione una Rocca inespugnabile chiusa alla correlazione con popoli e culture o si considereranno le migrazioni dei popoli come la chance per potersi trasformare, fondandosi sull'umanità condivisa e non esclusivamente sugli interessi economici? Sarà un faro nella costruzione di politiche sostenibile e rispettose dell'ambiente? Si preoccuperà del futuro dei giovani, affrontando con competenza e creatività il rapporto fra crescita industriale e salvaguardia dei viventi? Avrà una struttura autenticamente democratica, in grado di favorire il dialogo e il confronto fra le diverse posizioni, rifuggendo e contrastando ogni nostalgia nazista e fascista? Contribuirà a creare tavoli di dialogo diplomatico per i popoli in conflitto? Oppure considererà prioritaria la soluzione apparentemente più facile, ma dalle conseguenze disastrose, dell'affidamento alle armi e agli strumenti di distruzione e di morte? 

Si è a un crocevia importante nella storia del Mondo. Cinque anni fa ero candidato alle elezioni europee, con il piccolo partito allora chiamato semplicemente "Sinistra". Avevamo prodotto approfonditi documenti su tutte le grandi questioni di allora, non troppo dissimili rispetto a quelle odierne. Abbiamo portato ovunque un'idea di un'Europa fondata sul lavoro, aperta alla libera circolazione delle persone, promotrice di giustizia e pace, ecologica, rispettosa dei diritti individuali e collettivi. Non abbiamo avuto molti mezzi per farci conoscere e i risultati non furono numericamente entusiasmanti. Occorre creare un maggiore consenso, ricostruire il volto di un impegno deciso, urgente e finalizzato alla salvezza stessa di una terra in crisi.

Per chi votare allora? Evitando le tentazioni del "voto utile", la strada da percorrere è quella di dare un segnale. In particolare il mondo del pacifismo deve mostrarsi forte e compatto, anche attraverso l'eventuale voto di testimonianza. Tre partiti in Italia hanno espresso esplicitamente la loro contrarietà all'invio delle armi in Ucraina, posizione simbolica importante nella quale si riconoscono tutti gli assertori della nonviolenza attiva come metodo di risoluzione delle controversie. Da ricordare, davanti alle urne, nella speranza che qualche convinto rappresentante riesca a raggiungere la sponda del Parlamento europeo...

giovedì 2 maggio 2024

Largo ai giovani...

 

Tanti giovani. Le manifestazioni del Primo maggio hanno visto la partecipazione di tanti giovani. In tutto il mondo le nuove generazioni si mobilitano. Ci sono, con non troppo entusiasmo, nelle celebrazioni annuali organizzate dai vari establishment. Ma sono presenti ed efficaci soprattutto in quelle "fuori programma", promosse da loro ma aperte a tutti, dai capelli biondi o neri a quelli grigi e bianchi.

Sono studenti degli ultimi anni di quelle che un tempo si chiamavano scuole superiori, universitari, ragazzi che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro. 

Cantano, gridano slogan, camminano portando con sé la voglia di vivere. Chiedono un mondo migliore, il rispetto per la Natura, la normalità dell'incontro tra persone che provengono da ogni parte di un mondo senza confini, la tutela dei diritti di ogni persona, il lavoro sicuro per tutti, il giusto salario, la fine di ogni guerra.

Desiderano un futuro, quello che sentono minacciato dalle dinamiche di una politica asservita ai poteri forti dell'economia e della finanza. Non accettano i compromessi delle cosiddette destre e sinistre, chiedono di poter vivere ed essere protagonisti nel cambiamento del Mondo. Identificano il grande nemico nell'attuale fase del capitalismo mondiale, nell'imperialismo del denaro e degli interessi che avviliscono la dignità dell'uomo e guidano il Pianeta in un mare di ingiustizia e di sopraffazione.

La loro aspirazione alla libertà, la lotta contro ogni violenza, il chiamare per nome i genocidi e le prese di posizione senza infingimenti provocano. E il Potere reagisce con i suoi soliti sistemi, già visti e riconosciuti a Genova nel 2001: l'infiltrazione di provocatori nelle manifestazioni pacifiche in modo da disinnescarne la carica autenticamente rivoluzionaria, i manganelli usati senza limiti (anche in Italia), le intimidazioni di ogni genere e, in alcune parti del mondo solo per portare qualche esempio, la diretta eliminazione delle manifestanti (Iran), la sparizione dei ricercatori della verità (l'Egitto del caso - non certo unico! - di Giulio Regeni), la carcerazione preventiva illimitata (Ilaria Salis in Ungheria e migliaia di altri ovunque). 

L'esuberanza di chi grida per farsi sentire in un mondo adulto che si dimostra sordo può dare fastidio. Il disagio è accresciuto dal fatto che negli ultimi decenni, soprattutto dopo il soffocamento del "nuovo mondo possibile" all'inizio degli anni 2000, non si erano più visti cortei di questo genere. Il paragone più calzante potrebbe essere quello del mitico '68. La novità di quella primavera è stata sostituita dall'afosa estate del tempo in cui quei ragazzi sono diventati vecchi e hanno spesso dimenticato, perfino rigettato quegli orizzonti di ingenua speranza.

Ora i giovani si fanno di nuovo sentire. Non è che si debba per forza dare loro ragione su tutto. Quello che è veramente indispensabile è ascoltarli e, per quanto possibile, stare accanto a loro. Non si tratta di "guidarli", ma di essere vicini, di sostenerli con convinzione nella forza del loro desiderio. E' la loro ora, facciamoci saggiamente un po' da parte e lasciamo che siano essi i protagonisti del loro e del nostro destino.

sabato 30 marzo 2024

Ogni catena è una violazione dei diritti dell'uomo

Le immagini di Ilaria Salis incatenata alle mani e ai piedi, tenuta con un guinzaglio di ferro da una guardia, sono di una violenza inaudita. Lo stesso è da dire per centinaia di migliaia di esseri umani che subiscono lo stesso trattamento in diverse parti del mondo.

No, non può esserci alcuna giustificazione davanti a una palese violazione dei diritti della persona. Cosa è stato fatto per evitare questo scandalo? Cosa ha fatto il governo Meloni per evitare che di nuovo la Salis apparisse in queste umilianti condizioni? Non si dica che una pressione di un governo "amico" - Meloni su Orban - non avrebbe potuto produrre alcun cambiamento! E se questo, come è stato a volte ribadito, è il modo di fare con tutti i detenuti in Ungheria, cosa si aspetta a espellere l'Ungheria dall'Unione europea per manifesta violazione dei principi fondamentali del diritto?

Lo stesso vale per tutti, anche per Chico Forti. Già Di Maio aveva annunciato la prossima estradizione e poi non se ne fece nulla. Meloni un mese fa ha annunciato di aver ottenuto il risultato, ma il tempo passa e si comincia a pensare che non è solo la burocrazia il motivo del prolungamento dei tempi.

A molti prudono le mani, i leoni inveterati da tastiera scrivono commenti da brivido sulla "giustezza" dei modi attuati nei tribunali ungheresi. Il consenso crescente alla violenza è un ulteriore motivo di preoccupazione, in un contesto di progressivo avvicinamento a una catastrofe che deve essere in qualsiasi modo evitata, attraverso l'impegno efficace di tutte e tutti gli abitanti del mondo.

Quindi, non occorre essere schierati a destra o a sinistra per gridare contro qualsiasi sistema di potere che usi le catene come deterrente nei confronti di presunti crimini di chicchessia o anche che non faccia nulla per evitarlo, facendo finta di non vedere che cosa accade. Come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia quando hanno paura.

mercoledì 3 gennaio 2024

Deputati pistoleri e sottosegretari poco trasparenti

Il pistolero di Capodanno sarà giudicato dalla magistratura e probabilmente pagherà come minimo con l'espulsione da Fratelli d'Italia la sua incredibile leggerezza (per usare un eufemismo). Ridurre la questione a un incidente creato da un incontrollabile incosciente è la linea che il partito sembra voler portare avanti. "non è una questione politica".

A parte che non esistono eventi che non lo siano, in questo caso il problema è intensamente Politico. In primo luogo la pistola che ha sparato appartiene a un deputato, cioè a un rappresentante del popolo e in questa come in altre situazioni, il privato non può che essere politico. In secondo luogo gli eventi si sono svolti nel corso di una festa organizzata di fatto da un membro del governo. L'interessato dice di non essere stato presente, perché impegnato a portare le sporte di cibo avanzato nel baule della sua macchina (se non ci fosse da indignarsi, ci sarebbe da ridere!). Tuttavia è in un contesto da lui creato che si è presentato il compagno (si fa per dire) di partito, portando nel taschino una minipistola che avrebbe mostrato ai presenti, si suppone per vantarsi dell'oggetto di sua proprietà. Inoltre un esponente del Governo con tanto di scorta non dovrebbe forse consentire di fare immediata chiarezza su un episodio accaduto quasi sotto i suoi occhi? Difficile che la mancanza incredibile di trasparenza possa non essere interpretata come goffo tentativo di coprire l'amico...

E questo è il punto politico più importante. Giorgio Beretta, importante esponente del pacifismo italiano, ha scritto molto sulla compravendita di armi in Italia e soprattutto sulla facilità con la quale si può ottenere un semplice porto d'armi. In questo modo ci sono milioni di italiani che possiedono una o più spesso molte armi, dei veri e propri arsenali familiari. C'è chi va a caccia e chi ritiene che gli sia necessaria una maggior sicurezza, ma le motivazioni che garantiscono il raggiungimento dell'ambito permesso sono, nella maggior parte dei casi, per lo meno discutibili.

Ordunque. Se un personaggio pubblico che ha un consenso popolare e riveste cariche rappresentative assai importanti, si può permettere di andare in giro, a una festa di Capodanno, portando in tasca uno strumento in grado di seminare potenzialmente morte- per sbaglio o per volontà - come non temere che tra i milioni di altri titolari di porto d'armi ci siano altri pericolosi pistoleri? Come non cogliere l'occasione per rivedere i criteri di richiesta e di assegnazione del porto d'armi? Come non ridurre al massimo possibile la cerchia di coloro che abbiano il diritto di possedere e usare le armi? E questo, nel momento in cui addirittura si pensa di anticipare a 16 anni il limite minimo, è un problema politico, assolutamente politico.

Per quanto riguarda gli allegri protagonisti del ferimento di Capodanno, c'è da augurarsi che: 1. il ferito non venga intimidito e sporga denuncia nei confronti del feritore. 2. il sottosegretario abbia un soprassalto di dignità e offra al Capo del Governo le sue immediate dimissioni, solo per essere stato in qualche modo coinvolto nella vicenda, almeno per aver creato l'occasione. 3. il deputato venga privato non solo del porto d'armi, ma anche processato per il suo comportamento. Anche lui dovrebbe immediatamente dimettersi da deputato, data l'evidente contraddizione tra il ruolo pubblico e quello privato. 4. La Presidente del Consiglio dovrebbe riconoscere pubblicamente gli errori di "arruolamento" dei suoi collaboratori, sostituendoli immediatamente, se vuole continuare a dare un'impressione di fiducia, di credibilità e di coerenza agli italiani che l'hanno votata e che credono nella sua politica.

Sarà così? Mah...

domenica 17 settembre 2023

Non nominare il nome di Dio

 

Non nominare il nome di Dio! "Invano", ci insegnavano da piccoli, quando si andava al catechismo per preparare la prima confessione. Quell'"invano" riusciva a trasformare la potenza di un principio straordinariamente importante nell'ottusità di un invito pseudomorale a evitare il turpiloquio.

In realtà il "comandamento", o meglio la "parola" incisa secondo la tradizione ebraica nelle tavole di pietra consegnate sul monte Sinai a Mosè, vuole ricordare all'uomo che Dio è il "totalmente altro" (come proposto soprattutto dalla teologia protestante)e che quindi nessuno - ma proprio nessuno! - si può permettere di trascinarlo dentro gli angusti spazi della ragione, condizionata dallo spazio e dal tempo. La fede autentica non ritiene che Dio "c'entri" con nulla di ciò che appartiene alla natura e alla storia, regni nei quali il dominio è affidato alla casualità degli eventi e, per ciò che concerne l'esperienza umana, alla responsabilità delle scelte determinate dalla libertà della coscienza.

Quante guerre, violenze e sofferenza di ogni sorta sarebbero state evitate dalla consapevolezza dell'inaccessibilità di Dio alle misere strategie umane! Quante vite sarebbero state salvate se non ci fosse stato qualcuno ad agitare il crocifisso o a impugnare i passi della Bibbia e del Koran per gridare "in nome di Dio" o per far sapere agli "altri" che "Dio è con noi". Terribili dittature, guerre mondiali, leggi razziste sono state emanate nel nome di quel "Dio Patria Famiglia", assurdamente di nuovo evocato da Meloni e Orban nel loro recente incontro.

Dio non c'entra con la destra, ma non c'entra neppure con la sinistra. Non c'è alcun bisogno di "difendere Dio" da una parte, ma neppure dall'altra. Meloni e Orban, come prima Mussolini e tanti altri, non sbagliano tanto perché ritengono di sapere che cosa voglia Dio, ma perché lo nominano invano, pensando di poter esserne interpreti, piegando religione e scritture alla loro parziale e fragile ragione. Lo stesso accade dalla parte opposta, quando si rintuzzano Meloni e Orban sostenendo una diversa interpretazione, come se fosse possibile dire chi ha con sé Dio e chi invece non l'ha. Nel nome del Vangelo sono stati perpetuati orribili delitti e nel nome del Vangelo sono state edificate meravigliose opere di solidarietà e di condivisione. 

Chi interpreta giusto e chi interpreta sbagliato? Nessuno lo può sapere. Per questo è meglio accogliere il "comandamento" ed evitare di trascinare Dio dentro ciò che è soltanto degli uomini. E impegnarsi in ogni modo possibile, nell'alleviare l'immenso dolore che alberga nel mondo, nel custodire tutto ciò che esiste e appartiene a ogni essere vivente, nel servire ogni persona, soprattutto chi è più fragile, debole e sofferente, nel costruire con le proprie forze un sistema sociale che sia veramente incentrato sulla giustizia universale, sulla pace tra i popoli e sulla salvaguardia del bene e dei beni comuni.

In tutto ciò, Dio non c'entra.

lunedì 11 settembre 2023

Un futuro a sinistra?

 

Perché i partiti del centro sinistra stanno perdendo sempre più consensi in Italia, nonostante il sostegno di molti potenti mezzi di comunicazione, della maggior parte dei centri culturali e degli intellettuali, anche delle chiese, almeno per ciò che concerne i responsabili?

La domanda va di pari passo con quella, più generale, riguardante la disaffezione al voto da parte degli elettori, ridotti ormai quasi sempre a cavallo della soglia del 50%. Nell'altro 50%, preso atto di una parte di persone impossibilitate per vari motivi a raggiungere le urne, sono da cercare coloro che non si riconoscono più in un sistema che sembra più simile a uno squallido gioco di potere che a uno strumento per servire il bene e i beni comuni dei cittadini.

Quindi, la questione del perché il centro sinistra sia in calo dei consensi, è complementare alla domanda su come sia possibile convincere i votanti a ritrovare un po' di entusiasmo e a dare credito alle interminabili e inesauste promesse degli uni e degli altri. Soprattutto degli uni, cioè degli esponenti del centro sinistra, chiamati a recuperare quell'area di autentica sinistra che è più ampia di quanto i numeri possano indicare e che non si riconosce da lungo tempo negli apparati e nelle burocrazie del Partito Democratico e dei suoi attuali alleati. C'è anche da dire che gli eredi diretti dell'antico Partito Comunista hanno saputo disgregarsi in mille rivoli, quando non hanno cercato di ricostruire una parvenza di unità, ordinariamente affossata dal protagonismo di capetti di breve o lungo cabotaggio. La trafila - Sinistra Arcobaleno, Cambiare si può, Alba, Rivoluzione civile, Sinistra europea, Liberi e Uguali, e chi più ne ha più ne metta - ha segnato un progressivo calo di convinzione, di anno in anno, di elezione in elezione, con conseguenti risultati a dir poco imbarazzanti e sicuramente non corrispondenti al sentire comune di una parte cospicua della società.

E allora? 

Allora per confezionare una proposta politica sostenibile, a tutti i livelli dal Parlamento a ogni singolo Comune, occorrono due ingredienti da dosare con intelligenza e integerrima volontà di servire. Il primo è l'idea, ossia la visione del mondo sulla base della quale costruire il proprio programma politico. Il secondo è la concretezza, ovvero la capacità di tradurre l'ideale in legge, regolamento, azione amministrativa. Non può esserci vera politica senza il riconoscimento di un'idea chiara, ma non ci può essere neppure senza la capacità di enucleare scelte specifiche e molto concrete, che nascano non solo dalla conoscenza e per quanto possibile dalla condivisione delle situazioni, ma anche da una forte e consolidata capacità di "governo". Una grande idea richiede un grande realismo, ma non viceversa.

I partiti del centro sinistra, ma anche le organizzazioni non governative, la Chiesa con il suo capo supremo, i liberi cittadini, tendenzialmente hanno delle idee, si riconoscono e propongono principi morali, si battono per i diritti individuali e sociali. Tuttavia quasi sempre suscitano l'impressione di essere ben poco competenti nell'arte di trasformare i buoni principi in concrete proposte di soluzione dei problemi. Oppure, viceversa, sono così preoccupati di trovare i mezzi per poter realizzare progetti, da dimenticarsi sia delle idee che addirittura dei progetti stessi. Chi richiama costantemente l'approfondimento dell'idea, spesso accompagnando la concezione del mondo con gesti concreti di solidarietà fattiva, non ha il tempo o la possibilità di impegnarsi nell'agone politico della democrazia rappresentativa. E chi invece in esso è immerso fino al collo, spesso è costretto dalla contingenza storica a muoversi in modo tale da dimenticare totalmente i punti ispiratori. 

Ai tempi del "compromesso storico" c'era stato chi aveva proposto la "Politica della Cultura", ovvero la rivalutazione della rappresentatività attraverso il riconoscimento del ruolo e la collaborazione dei due partiti che - almeno orientativamente - raccoglievano il consenso della base operaia comunista e socialista e di quella contadina e terziaria più vicina al cristianesimo democratico. 

E' passato tanto tempo da quegli anni, ma l'idea di fondo resta valida. E' ancora possibile una "Politica" con la P maiuscola, rappresentativa di una base che si riconosca in valori condivisi e che sappia individuare i propri rappresentanti da inviare nel luogo della parlamentazione, della trattativa, del dialogo costruttivo? Esiste ancora un collegamento inscindibile tra tale base e i suoi rappresentanti? Si può ancora sperare che da una parte ci sia chi richiama con forza la coerenza con i valori a costo da risultare insopportabile e dall'altra ci sia chi a partire da quei valori sappia costruire un sistema organico, concreto e sostenibile che consenta la realizzazione dell'autentica Democrazia?

Certo, sono domande che si deve porre anche la destra, quella del governo attuale che dimostra l'inconsistenza di idee urlate nelle campagne elettorali e dissolte come neve al sole di fronte alla concretezza dei problemi e alle imposizioni dall'alto alle quali non ci si può negare. Ma valgono soprattutto per il centro sinistra, che deve ricollegare la spina alla fonte dell'ideale e individuare con creatività nuove proposte attuative convincenti e pratiche. E' facile adagiarsi in una posizione di "opposizione" nella quale basta sempre dire "no"! Occorre seriamente ripartire dai fondamentali per offrire una vera alternativa, solida e credibile, capace di reggere alla prova della storia. 

Prima che sia troppo tardi.

giovedì 1 giugno 2023

Dalla parte della RES PUBLICA. Buon 2 giugno 2023!

Res publica. E' ciò che appartiene a tutti e a ciascuno. Ed è anche il vincolo di appartenenza. Ciò che è pubblico è il contraltare di ciò che è privato. Più ciò che appartiene a tutti occupa gli spazi della società, meno è necessaria l'iniziativa privata. Viceversa, dove viene privilegiato il "privato", i servizi "pubblici" cominciano a entrare in crisi, a disgregarsi e prima o poi ad annullarsi. 

La festa del 2 giugno richiama proprio questa dimensione, la partecipazione di ciascuno alla "cosa pubblica". Tale appartenenza è un onore e una responsabilità. Un onore, perché collega ogni cittadina e cittadino a un progetto di società nel quale dovrebbero prevalere la giustizia, l'equità e la solidarietà. Una responsabilità, perché la comune appartenenza ha delle regole, fissate da quella meravigliosa "Carta" che è la Costituzione.

La Repubblica è fondata sul lavoro, ciò significa che ogni abitante nello Stato è chiamato a costruire la cosa pubblica attraverso la propria azione, qualunque essa sia, a favore non della propria realizzazione personale, ma dell'intera collettività. Questo agire per il bene comune e per la salvaguardia dei beni comuni fonda anche la correlativa idea di "sovranità" che appartiene al popolo che la esercita secondo le regole della rappresentatività.

La Repubblica garantisce tutti i soggetti numericamente minoritari. Promuove la libertà di opinione e di professione religiosa, escludendo soltanto il fascismo, cioè tutto ciò che nega le medesime libertà costituzionali. Garantisce l'accoglienza a chiunque faccia richiesta di asilo, spinto dalla fame, dalle persecuzioni e dai conflitti che insanguinano il mondo. Garantisce l'uguaglianza dei diritti e sancisce ogni discriminazione, Promuove lo sviluppo delle scienze, tutela le esigenze dell'ambiente, si preoccupa anche del rispetto nei confronti degli animali e di tutti gli esseri viventi.

Soprattutto "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

Si celebra il 2 giugno in un momento in cui una parte ormai maggioritaria degli italiani non crede più nella "demos-kratia", ritenendo inutile - spesso con ragioni comprensibili - il voto e la partecipazione alle scelte della politica rappresentativa. La garanzia dell'uguaglianza di diritto sembra quanto mai debole, mentre le "ragioni" del privato sembrano sistematicamente soffocare quelle del "pubblico". L'accoglienza dei migranti è ostacolata in tutti i modi e le frequenti stragi nel Mediterraneo come le morti nei boschi o nei fiumi dei Balcani non riescono a forare il muro di gomma che circonda le coscienze. E il "ripudio della guerra" sembra più teorico che pratico, nel momento in cui si è impegnati di fatto - con armi e tecnologie - dalla parte di uno dei due contendenti nel conflitto russo/ucraino e ben pochi sono stati gli sforzi di portare i fronti opposti su un tavolo comune di trattativa, per uscire, nell'unico modo possibile, da un tunnel che sembra di giorno in giorno farsi sempre più oscuro.

Buona festa della Repubblica allora. Le realistiche preoccupazioni non impediscano l'esercizio della speranza. Forse è ancora possibile credere nella "res publica", forse si è ancora in tempo per far sì che la capacità imprenditoriale del "privato" sia posta al servizio dell'interesse comune. Forse è ancora possibile rovesciare i banchi dei cambiavalute e riportare la verità della Repubblica alla sua essenza e origine, i dodici principi fondamentali della Costituzione, il vangelo laico sul quale improntare la vita da cittadini. Forse c'è ancora spazio per la Politica con la P maiuscola, quell'"uscire insieme dai problemi" (cit. don Lorenzo Milani) che nasce dall'I care ("mi sta a cuore, mi interessa") e rifugge dal motto fascista "me ne frego". Forse è ancora possibile sentire la voce dei padri costituenti, fare memoria del sacrificio dei partigiani che hanno combattuto l'invasore nazifascista, ritrovare la rotta segnata nell'immediato dopoguerra e progressivamente dimenticata nei decenni successivi.

Auguri a tutte e tutti, buon 2 giugno 2023!

martedì 25 aprile 2023

Alla sera del 25 aprile. Contro la mentalità fascista, "ora e sempre Resistenza"

 

Reti e gabbie nel CPR di Gradisca
Si conclude un 25 aprile molto interessante. Preceduto dalle consuete polemiche, a livello nazionale e locale, ha assunto un particolare significato nel primo anno del governo di destra.

Le commemorazioni sono state molto partecipate e coinvolgenti, anche con la presenza dei giovani, ordinariamente abbastanza assenti negli ultimi anni. Le riflessioni sono state ovunque intense e condivisibili, là dove si è sottolineato non tanto il pericolo del ritorno del duce, ma quello ben più sottile della crescita silenziosa e spesso camuffata di una mentalità fascista, dalla quale può nascere qualsiasi mostro.

In questi giorni sono stati diversi gli esempi relativi a segni preoccupanti e inquietanti di tale "mentalità". L'altra sera, Giorgio Beretta, con ampia e approfondita documentazione, ha sollevato il velo sulla produzione e sul mercato delle armi, quelle leggere e quelle militari. E' incredibile il traffico "legale" dei governi - tutti quelli recenti che si sono succeduti, di vario orientamento, almeno apparentemente - con Paesi in guerra o ben lontani dall'essere retti da sistemi democratici. Così come è incredibile la facilità con la quale si può ottenere un porto d'armi e il mancato censimento delle armi legalmente detenute con regolare porto d'armi (si può solo immaginare il mercato illegale!).

Un altro esempio, tra i purtroppo tanti, arriva dal famigerato CPR di Gradisca d'Isonzo. E' stato diffuso un filmato terribile, relativo a un giovane migrante detenuto gettato per terra da un manipolo di poliziotti in tenuta antisommossa, con segni di grande sofferenza e di tremende ferite sulla schiena. La versione dei compagni di cella e dell'avvocata che segue le sue problematiche è quella di un selvaggio pestaggio scaturito dalla semplice richiesta di poter parlare con il proprio legale. Quella della questura denuncia una rivolta in corso e la necessità da parte della polizia di ripristinare l'ordine. Come al solito, ognuno può credere ciò che ritiene giusto, ma alcuni dati sono oggettivi, primo fra tutti il colore del sangue fuoriuscito dalle ferite, filmate con delicatezza dai vicini di stanza. Ciò che accade nel CPR è top secret, ci vogliono giorni, a volte anni, per giungere a una parvenza di verità, come già accaduto in occasione delle morti e dei ferimenti degli scorsi anni. Le persone sono tenute come bestie nelle gabbie, come i leoni prima di essere immessi nell'arena del circo. Le gabbie esistono da quando il CPR, a quei tempi chiamato CPT, era stato aperto, nei lontani tempi di un governo sedicente di centro sinistra. Si parla di "ripristinare l'ordine", rigettando sul pavimento tra le sbarre, con violenza, le persone che rivendicano il rispetto dei propri elementari diritti. L'opinione pubblica tace, anzi sembra che una cospicua parte di essa approvi e accetti l'assurda proposta di moltiplicare ulteriormente questi centri di sofferenza e di detenzione.

Latita nel frattempo una qualsiasi progetto di accoglienza che non sia repressiva, così come nelle guerre in atto sembra scontato che l'unica soluzione possibile sia l'uso delle armi, per innalzare il livello dello scontro. Con le prospettive di un'accoglienza dignitosa e umana, appassisce anche la passione per il dialogo, per la trattativa, per l'autentica diplomazia, soffocata da una disperante rinuncia a esercitare la nobile arte della Politica, che è confronto aperto e dialettico fra diversi punti di vista - esclusi quelli che negano diritto di cittadinanza all'autentica democrazia - per giungere insieme a una forma di legislazione condivisa.  

Ecco, sì, sono segnali di una mentalità fascista, anche se non sembra ancora essere attivo un regime fascista. Il consenso generato da numerosi indicatori di disumanità non può essere sottovalutato. Per questo è bene concludere questo 25 aprile con le classiche parole, richiamate oggi dal presidente Mattarella a Cuneo, "ora e sempre Resistenza".

domenica 23 aprile 2023

Armi sì o armi no, una scelta drammatica e non scontata

 

Lunedì 24, alle ore 18.30 nella sala convegni retrostante la chiesa di Sant'Ignazio a Gorizia, Giorgio Beretta presenterà il suo libro dedicato al "paese delle armi".

E' interessante sapere che l'etimologia del sostantivo "arma" è alquanto incerta. La maggior parte degli studiosi la collega a "ramo" o al tedesco "arm" che significa "braccio". In un senso piuttosto deprimente, l'arma sarebbe intesa come un prolungamento del braccio, come a dire che quasi naturalmente lo strumento che semina morte - sia esso una clava, un coltello, una mazza, una pistola, un cannone o una bomba atomica - altro non è che un inevitabile prolungamento della normale attività umana. Altri propongono come base il latino "ars", ovvero l'azione dell'artigiano, il "mestiere delle armi", come dal titolo di un bel film di Ermanno Olmi.

Comunque sia, già l'etimologia collega strettamente l'esistenza delle armi a un'attività essenzialmente umana. Gli altri animali non costruiscono armi, per attaccare o per difendersi usano solo il loro corpo. L'uomo è l'unico essere che fabbrica strumenti in grado di potenziare al massimo grado possibile la forza offensiva del proprio braccio. Per questo, l'unico nemico che può batterlo è soltanto un altro uomo che ha costruito un'arma più efficace e distruttiva. Per questo, la logica della savana e la legge della giungla hanno le stesse regole dal Pleistocene a oggi, mentre la lotta dell'uomo contro gli altri esseri viventi e contro i propri simili ha attraversato una serie di impressionanti trasformazioni, conseguenza ma anche causa dell'evoluzione tecnologica. Così si è arrivati, passo dopo passo, dalla fionda alla fissione nucleare, fino alla soglia della possibile distruzione di ogni forma di vita sulla terra.

La logica dell'arma, qualunque essa sia, è quella di ferire e uccidere, si tratti di garantirsi il cibo con la caccia (da "captare", sforzarsi di prendere) o di mantenere il proprio spazio vitale, offendendo per allargarlo o difendendosi da altri uomini, per evitare di perderlo. E' un po' singolare, in rapporto agli animali, come l'intensità della pena per la sofferenza di chi viene colpito sia essenzialmente legata a una dimensione essenzialmente culturale, intrinsecamente rapportata allo spazio e al tempo. Si è per esempio assistito, in questi giorni, all'interminabile dibattito sulla sorte che attende l'orsa jj4, mentre solo pochi esseri umani, per lo più vegetariani e vegani provano qualunque sentimento di compassione nei confronti di miliardi di mucche, maiali o polli sacrificati ogni giorno sull'altare della naturale necessità di mangiare. Quasi nessuno si preoccupa per la tristissima sorte dei pesci, tirati fuori dall'acqua e morti soffocati, quando non sbattuti sulla pietra da incolpevoli pescatori oppure trascinati in enormi reti prima di essere distribuiti ancora agonizzanti sui banchi delle pescherie. Una violenza contro un cane in Europa sarebbe considerata alla stregua di un assassinio, mentre in altre parti del mondo si mangiano tranquillamente le carni dei cani e dei gatti, i dolci (o dolciastri, in questo caso) amici dell'uomo.

Ben più drammatica è la questione quando viene applicata al genere umano, dove non esiste alcuna delle possibili e sanamente discutibili "giustificazioni" della caccia agli altri animali o della pesca. Perché un uomo dovrebbe uccidere un altro uomo? Perché dovrebbe sentire usurpato un suo diritto, quando la Terra dovrebbe essere considerata la casa di tutti e l'unica "ars", nelle relazioni tra "fratelli" dovrebbe essere quella della "politica", ovvero della gestione democratica della convivenza? C'è un unico orribile motivo che spiega la guerra e la violenza dell'uomo contro l'altro uomo, è il razzismo, ovvero la considerazione che esistano delle "razze" o delle "etnie" che in qualche modo diversifichino qualitativamente gli uni dagli altri. In questo contesto l'arma è uno strumento micidiale per uccidere chi viene ritenuto inferiore, indegno, privo del diritto alla vita. Le guerre iniziano quando finisce il dialogo, sono in questo senso disumane, perché non corrispondono alla caratteristica fondamentale dell'essere umano, cioè la razionalità, la parola, la possibilità del dialogo, questa sì la vera arma (ars, arte) che caratterizza chi è in grado di "ragionare". La ragione utilizzata per potenziare la forza del braccio porta alla catastrofe. Per questo l'unica logica che oggi potrebbe consentire una generale inversione di rotta è il disarmo totale, la rinuncia alla logica delle armi in nome di quella della ragione.

Tra le tante questioni irrisolte è indispensabile soffermarsi su una. Cosa fare quando il prepotente costringe all'obbedienza e al silenzio il debole? Come impedire il genocidio perpetuato da chi ha dalla sua parte la forza delle armi? E' sufficiente la logica della nonviolenza, nel momento in cui lo strapotere economico e militare vuole soffocare ogni forma di libertà? Si possono accettare dittatori che massacrano i propri oppositori o interi popoli ritenuti "inferiori"? Che fare per fermarli, per bloccare la mentalità fascista che divide gli uni dagli altri, che ritiene che la propria sopravvivenza sia da garantire a tutti i costi, anche soffocando il diritto dell'altro? 

Sono domande drammatiche, alle quali si sono date diverse risposte. Gandhi ha sostenuto la necessità della nonviolenza radicale anche dopo la Shoah e Hiroshima, ma la sua posizione è sembrata a molti teoricamente condivisibile, ma praticamente debole, dopo la seconda guerra mondiale. Dietrich Bonhoeffer è stato ucciso a Buchenwald, per aver partecipato indirettamente all'attentato a Hitler, pur essendo stato uno dei grandi profeti della nonviolenza nel corso del XX secolo. I partigiani hanno messo a repentaglio la propria vita e hanno utilizzato le armi non per difendere i propri interessi di parte, ma per consentire a popoli e nazioni europee di ritrovare la libertà e la giustizia, sbarazzandosi del nazismo e del fascismo. Quello delle armi è dunque un tema molto complesso e forse non può essere delineato in modo radicale, decidendo per un "sì" o per un "no". E' necessario distinguere le diverse situazioni e possedere dei criteri di giudizio che possano consentire, nei diversi contesti, delle scelte drammatiche. 

Certo, le armi esistono per offendere e per uccidere. A volte vengono usate per distruggere e massacrare, altre volte sono considerate una triste necessità, finalizzata a disinnescare l'assoluta violenza derivata da ideologie disumane e da dittatori sanguinari. Dove sta il confine tra la ragione e il torto, come distinguere gli oppressori dagli oppressi, in particolare quando non è chiara la successione di azioni e reazioni che determinano un conflitto? Sono domande importanti e delicate, alle quali rispondere volta per volta, situazione per situazione. 

In questo senso la memoria del 25 aprile è una vera scuola di vita, una data che ricorda un evento in questo caso inequivocabile, una situazione di piena chiarezza in relazione al torto - fascisti e nazisti - e alla ragione - coloro che li hanno combattuti. La parificazione delle sofferenze non è una vera pacificazione, la devozione per ogni vita umana non può in alcun modo dimenticare la fondamentale distinzione tra vittime e carnefici, il rispetto delle memorie non ha nulla a che fare con la riconciliazione, da una parte c'è chi ha promulgato le leggi razziali, ha scatenato la seconda guerra mondiale e lo sterminio generalizzato, dall'altra chi ha tentato di fermare la barbarie. Il fascismo e il nazismo sono stati i carnefici, i loro oppositori sono stati dalla parte delle vittime ed è grazie alla Resistenza che le ideologie perverse sono state sconfitte e che è iniziata una nuova stagione di libertà e di giustizia. Hanno fatto bene a usare le armi, a trasgredire il comandamento di "non uccidere"? E' necessario dirlo, evidentemente sì, nella misura in cui non hanno garantito gli interessi di qualcuno, ma hanno voluto costruire un mondo nuovo per tutti, affrancato dall'egoismo, dal razzismo, dall'avidità, dalla totale disumanità. Per questo è giusto celebrare e valorizzare il 25 aprile, data simbolica e reale nella quale non si ricorda soltanto la fine della guerra, ma la sconfitta definitiva del fascismo e dei suoi orrori, per opera di coloro che hanno combattuto per ottenerla. Per dirla con don Milani e i suoi studenti nella Lettera a una professoressa, è stata "l'unica guerra giusta del XX secolo".

venerdì 31 marzo 2023

A margine delle dichiarazioni di Ignazio La Russa

In ciò che ha detto oggi Ignazio La Russa non stupisce tanto il fatto che il presidente del Senato la pensi così, quanto la noncuranza con la quale tali parole sono state espresse. A parte la mancanza di qualsiasi riferimento storico e storiografico, come pure la superficialità di un'analisi buttata lì, in modo volgare e privo di spessore, colpisce e preoccupa la "normalità" con la quale vengono pubblicizzate idee che fino a qualche anno fa chiunque si sarebbe vergognato perfino di pensare.

La critica all'attentato di via Rasella è una contestazione delle azioni dei partigiani e di coloro che in quel tempo lottavano nella Capitale contro la crudele occupazione nazista, sostenuta di fatto anche dai fascisti italiani. E' di fatto anche un indiretto, indegno e velato indebolimento della responsabilità rispetto al massacro delle Fosse Ardeatine, quasi che possa essere in qualche modo accettata come ordinaria legge di guerra quella della "rappresaglia" su 335 persone inermi e indifese.

La Russa non è l'ultimo arrivato nel mondo della politica italiana e se ha l'ardire di parlare in modo così esplicito, è perché ha il sentore di poter "provocare", senza per questo perdere, anzi forse addirittura aumentando il consenso nei confronti della sua persona e del suo partito. Alla faccia di chi ancora ritiene che "il fascismo non esista più", lo sdoganamento progressivo di un'interpretazione filofascista della storia è fatto particolarmente minaccioso, tanto più in un contesto culturale (o pseudoculturale) nel quale una parte sempre più rilevante della popolazione non soltanto non si scandalizza, ma addirittura si compiace.

Un consiglio a destra e uno a sinistra. 

C'è una destra sociale, molto lontana dalle posizioni dei nostalgici del ventennio. Sarebbe bene che si facesse sentire, soprattutto negli ambiti più rilevanti della politica rappresentativa. Ci vuole proprio tanto a dire: "Io sono di destra, ma non mi riconosco in alcun modo nelle parole di La Russa, anzi me ne dissocio totalmente"? E' lecito per esempio attendersi una sconfessione del genere dalla presidente del Consiglio, che più volte ha cercato di smarcarsi da visioni del passato, bollandole come simpatie giovanili. Così come sarebbe opportuno - e forse anche vantaggioso in termini di consenso - che anche altri esponenti di Fratelli d'Italia (o della Lega o di Forza Italia...) abbiano il coraggio di dissociarsi pubblicamente da certe prese di posizione.

E la sinistra? La sinistra deve tornare a condividere la vita delle persone. Deve prendere molto sul serio la sofferenza di chi lavora nelle fabbriche e nei cantieri, come pure nelle campagne dominate dalle nuove forme di latifondismo. Fa bene a sollevare il rispetto dei diritti civili, ma ha bisogno di riprendersi la leadership della rivendicazione dei diritti sociali. Fa bene a investire in un'elevata visione del mondo, ma è necessario che si renda conto del crescente analfabetismo culturale, indotto da decenni di martellante e sistematico instupidimento delle menti. La sinistra si è sempre caratterizzata dallo stare dalla parte dei più deboli, dall'impegno per la garanzia del diritto al lavorare nella sicurezza, per la giusta paga, per la partecipazione collegiale alla gestione delle imprese, per l'affrancamento dalle antiche e moderne schiavitù, per la contestazione al padronato e alle sue diramazioni, per l'internalizzazione della lotta per la giustizia, la pace, la solidarietà. Se non torna con convinzione a questi temi e non torna ad affrontarli nei luoghi di lavoro, nei quartieri dimenticati, nelle periferie dove vivono milioni di esseri umani spesso schiacciati dalla solitudine assoluta, la sinistra si ridurrà a una fragile élite di intellettuali che ritengono di avere - solo loro - le idee giuste per la riforma della società, perdendo progressivamente il riferimento con la realtà. Se invece ritornerà su questi sentieri interrotti, potrà ritornare nelle piazze con la convinzione di chi non ha soltanto qualcosa da contestare, ma anche da costruire. Sentirà e onorerà di nuovo come propri padri e nonni i partigiani e coloro che hanno lottato contro la tirannia nazifascista.

domenica 12 marzo 2023

Fatal karaoke..

 

T.P.Schmalz, monumento ai migranti, Piazza San Pietro
Fu il karaoke del Papeete a segnare la fine dell'apparentemente irresistibile ascesa di Salvini verso le cariche più alte dello Stato.

E probabilmente il karaoke del trio Meloni Berlusconi Salvini, in occasione del 50° compleanno di quest'ultimo, segnerà l'inizio del declino della rampante Presidente del Consiglio.

Intendiamoci. Non si tratta di una critica al divertimento in sé, si è già visto un premier spassarsela in modi sempre ben oltre i confini della morale e ai limiti di quelli del diritto. E' invece la percezione della distanza abissale tra governanti e governati a generare perplessità e disaffezione nel proprio elettorato, soprattutto in quello più sensibile e razionale, quello per intenderci che determina - in tempi lenti ma inesorabili - i rilevanti e influenti ondeggiamenti dei sondaggi di opinione.

Inoltre, se procura un oggettivo fastidio vedere i propri beniamini mentre festeggiano come adolescenti un genetliaco, soltanto un paio d'ore dopo la celebrazione di una parte dei funerali delle vittime di una spaventosa tragedia, l'allontanamento progressivo dipende soprattutto dalla delusione.

Riguardo alla catastrofe di Cutro, il governo Meloni ha dimostrato una grave impreparazione, inaccettabile soprattutto per chi lo ha votato, oltre ovviamente che per l'opposizione. La presa di coscienza della gravità dei fatti è avvenuta troppo tardi, forse sollecitata dalla presenza quasi istantanea del Presidente della Repubblica nella camera ardente, davanti alle decine di bare allineate. La trasferta nel paese calabro è stata un disastro, con l'incredibilmente mancato incontro della capo del Governo con i parenti straziati delle vittime, l'evidente e inedito nervoso imbarazzo davanti alle pressanti domande dei giornalisti, le scelte operative scevre da qualsiasi analisi politica e culturale profonda e infine - dulcis in fundo - la fuga a Milano per cantare a squarciagola, quasi profanandola tra una risata e l'altra, la (bellissima) Canzone di Marinella. Insomma la sensazione di quell'"io sono io e voi non siete un c...." che tanto disturba i le cittadine e i cittadini semplici, siano essi di destra, di sinistra o di nessuna parte.

Tuttavia la sensazione più devastante è che le mirabolanti promesse di Giorgia Meloni versione guida di Fratelli d'Italia sono quotidianamente smentite dalle decisioni concrete, perfettamente allineate alle posizioni dei vituperati governi precedenti e, per quanto riguarda i migranti, clamorosamente sbagliate. I decreti "anti ong" approvati prima della tragedia non solo non hanno rallentato le partenze, ma le hanno moltiplicate fino a raggiungere i numeri record di questi giorni. Quelle che sono invece drammaticamente cresciute sono le morti in mare e le chiamate in soccorso da parte di natanti alla deriva, alcuni dei quali impossibili da raggiungere proprio a causa dell'estromissione delle navi salvezza dal campo dei soccorsi. Lo stesso inasprimento delle pene nei confronti degli scafisti è un contentino che non soddisfa nessuno, tutti coloro che seguono queste vicende sanno che il nocchiero della carretta del mare è solo l'ultima pedina di un gigantesco traffico gestito dalle mafie internazionali, talmente potenti che nessun Paese al mondo - per quanto potente - risulta essere in grado di contrastarle. E queste sicuramente non si spaventeranno nel continuare imperterriti ad avviare nel mare barchette sgangherate strapiene di poveri esseri umani.

Insomma, al di là di come la si possa pensare sulla questione delle migrazioni, a nessuno di coloro che hanno la responsabilità di governare un Paese, è lecito affrontare questi temi in modo raffazzonato, superficiale e impreparato. Di questo ne sono ben consapevoli anche coloro che hanno sostenuto con speranza la nascita del Governo Meloni e che ora vedono nel karaoke di Milano il simbolico inizio di una fine inattesa.

domenica 5 marzo 2023

Gli avvenimenti interpellano la Politica: tra guerra in Ucraina ed elezioni regionali (2)

 

Lo stesso vale per le guerre, in particolare per quella che si sta combattendo in Ucraina. Non può essere un campo in cui scannarsi, prendendo una posizione piuttosto che un'altra per rimarcare il proprio territorio partitico. Chi crede nella Politica (sempre con la P maiuscola) non può dichiararsi per la pace e poi approvare l'invio degli armamenti a Zelensky. Deve invece proporre con tutte le forze la via del dialogo e della trattativa, compiendo anche gesti concreti per convincere le Nazioni Unite a costruire un'ineludibile tavolo di trattative. Non è giusto sorridere ai sostenitori del disarmo generale per ottenere il loro consenso e nello stesso tempo votare in Parlamento per risoluzioni che determinano l'incremento di armi micidiali sul campo di battaglia. Non si può servire a due padroni, in certi momenti decisivi della storia o si è da una parte o si è dall'altra, non esistono ragioni di Stato oppure opportunità di partito che giustifichino una deroga a tali principi. Poi, le due parti opposte, proprio in ragione della loro specificità, in democrazia sono chiamate a confrontarsi, per trovare una soluzione condivisa che sappia tenere conto della maggior parte delle questioni in ballo e non per suscitare tifoserie relative a un conflitto che tutto è meno che un gioco.

Un pensiero infine va alla Regione Friuli-Venezia Giulia e alla campagna elettorale che si è appena aperta, in vista delle elezioni del prossimo 2 aprile. L'auspicio è che il confronto non sia soltanto sereno e costruttivo, ma anche incentrato sui temi di fondo, sulla "visione" della Regione futura, nei prossimi dieci o venti anni. sarebbe opportuno anche in questo caso un confronto sulla posizione del F-VG in rapporto all'Europa e al Mondo. E' evidente che, anche se piccola e abitata da tanti abitanti quanto un terzo della sola città di Milano, la collocazione la rende una regione perno, luogo di confine tra diverse culture storiche e porta ideale per l'accoglienza di nuovi popoli in cammino. La campagna elettorale sarà in grado di portare al centro dell'attenzione il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, alla sicurezza minacciata dagli interessi dei colossi multinazionali? Sarà in grado di individuare e tematizzare le infiltrazioni mafiose a vari livelli dell'economia e della politica? Suggerirà percorsi di accoglienza per i richiedenti asilo, sosterrà lo smantellamento del campo di concentramento che è il CIE di Gradisca d'Isonzo? Sottolineerà le esigenze dei più deboli e dei più fragili, in particolare la necessità di sistemi sanitari efficienti ed efficaci? Valorizzerà la dimensione internazionale, costruendo relazioni di ampio respiro con i vicini Stati della Slovenia, della Croazia e dell'Austria, riproponendo come percorsi economico produttivi, oltre che culturali, gli assi est ovest e sud nord d'Europa che trovano proprio in questa zona il loro crocevia? Da ultimo e non ultimo - almeno per ora - saprà cercare risposte concrete e praticabili a queste e tante altre domande, non limitandosi alla denuncia o all'impegno morale, ma proponendo strade immediatamente e a lunga distanza percorribili?

Non sono affatto domande retoriche. Il desiderio profondo degli elettori è che la risposta sia, da qualunque parte provenga, un convinto e deciso "sì!"

Gli avvenimenti interpellano la Politica: Cutro (1)

 

70 morti accertati, un numero imprecisato di dispersi, a due passi dalla costa calabra.

In altri tempi i giornali avrebbero titolato a nove colonne per almeno una settimana, ci sarebbero state analisi, controanalisi, proposte, controproposte.

Forse anche in altri tempi, chi è stato scelto dai cittadini per rappresentarli, si sarebbe comportato nello stesso modo. Da una parte c'è il governo, che utilizza la tragedia per rafforzare la propria posizione contro il diritto dei migranti di fuggire da fame e guerra per approdare in terre più sicure, dall'altra l'opposizione, che ne scruta i terribili particolari, dando l'impressione di farlo soprattutto per indebolire la maggioranza.

Razionalmente parlando, occorre ridare dignità alla parola Politica, con la P maiuscola, dando a essa una profondità che possa influenzare e aiutare a confrontarsi tra loro le legittime e a volte necessarie posizioni di parte. Per fare questo, di fronte alle bare allineate degli annegati di Crotone, occorre cercare delle ragioni e trovare delle soluzioni, a breve e lunga distanza.

Perché queste persone hanno perso la vita? Perché erano convinte di poter trovare una situazione migliore rispetto a quella in cui erano costretti a stare. Perché volevano - i padri e le madri per i propri figli, ministro Piantedosi le sue parole sono state davvero indegne! - un futuro migliore e per questo hanno deciso che fosse meglio rischiare la pelle attraversando il Mediterraneo su una carretta piuttosto che continuare a soffrire in silenzio. E perché non stavano bene "a casa loro"? Perché il sistema capitalista ha diviso il mondo in due parti, una straricca e abitata da pochi, una strapovera nella quale trascorrono i loro giorni cinque miliardi di esseri umani. La Politica europea e mondiale deve prendere atto di questa situazione e mettere a tema immediatamente una riforma del sistema di cooperazione e partenariato internazionale che possa, almeno in parte, riequilibrare lo spaventoso divario. Gli sbarchi non si potranno fermare, né con i blocchi navali, né con la creazione dei campi di concentramento in Libia, in Turchia e nelle isole greche. E' inutile stracciarsi le vesti contro il governo di destra, quando le soluzioni proposte dai precedenti sedicenti di centro sinistra non erano molto dissimili. Si deve piuttosto ripartire dall'asserto filosofico e antropologico fondamentale, quello che apre la Carta dei Diritti dell'Uomo, tutti gli umani hanno uguali diritti su questa Terra. Di conseguenza, il problema non è cercare di impedire la fuga da altri Continenti, qualunque sia il motivo che la provoca, ma di trovare il modo di garantire per i nuovi venuti viaggi sicuri e controllati dagli Stati verso i quali sono diretti, un lavoro sicuro, un'abitazione confortevole e la possibilità di ricongiungersi con i propri familiari. Tutto ciò, in attesa del passo successivo e decisivo, lo studio e la realizzazione di un nuovo sistema, alternativo a quello attuale, più consono alla coscienza dell'Uomo e più rispettoso delle esigenze della Natura. E' un percorso lungo e mastodontico, ma se mai si inizia mai si arriva. E i tempi si sono fatti brevi, il solo agitarsi di una possibile ripresa della minaccia nucleare fa comprendere quanto si è fragili e impotenti di fronte a una possibile catastrofe generale. (continua)

domenica 26 febbraio 2023

Una strage senza fine. Che fare?

 

Ennesima strage. Davanti alle coste della Calabria si spezza un barcone strapieno di persone e si teme che ci siano più di cento morti.

Non ci sono parole adeguate, davanti a questa nuova, fin troppo prevedibile catastrofe. Si possono solo immaginare il terrore, l'ansia e il dolore. E non si può fare a meno di porsi domande, purtroppo senza risposta. Anche perché, siano cento o sia soltanto uno, ogni bambino, donna o uomo, sprofondato nell'abisso del mare, è parte della stessa, comune umana famiglia.

C'è chi grida "assassini!". Sì, ma a chi? C'è chi si scandalizza per l'indifferenza di fronte a ciò che accade. Sì, ma di chi? 

Il rischio di cadere nel "cambiare tutto per non cambiare nulla" è molto simile a quello del dichiarare "tutti colpevoli perché nessuno lo sia". Eppure, se non c'è un reale cambiamento di rotta, non è difficile supporre che quello odierno non sia l'ultimo dramma.

In realtà, cercando di uscire dall'inevitabile clima emozionale, si possono individuare responsabilità e forse anche soluzioni. In Italia non esiste una normativa sulle migrazioni che sia in grado di affrontare i problemi contemperando legalità e umanità. I governi - di destra o sedicenti di centro sinistra - che si sono succeduti negli ultimi decenni non si sono discostati molto da una schema incentrato sulla deterrenza invece che sull'accoglienza. Non si tratta solo della (famigerata) lotta contro le ong o del finanziamento dei lager libici e turchi. In realtà, con o senza il supporto delle navi che incrociano nel Mediterraneo proprio per salvare più possibile i naufraghi, i migranti continuano ad arrivare e meno navi stabili incontrano, più è probabile che giungano su barche fatiscenti come quella affondata tra ieri e oggi. Inoltre, anche per chi è riuscito a eludere i controlli, la vita non è stata per nulla semplice, sospesa tra i preannunciati ma mai per fortuna attuati cannoneggiamenti della destra e la creazione di immensi ghetti autogestiti nelle periferie o nel centro delle grandi città. Chi rischia attraversando il mare, si trova spesso considerato come merce da lavoro e avviato dai diversi caporalati a un lavoro nero più propriamente definibile vera e propria schiavitù.

Allora? Allora il compito della Politica è quello di cambiare strada e passare dalla deterrenza all'accoglienza. Perché ciò accada è indispensabile la collaborazione con tutte le realtà dell'Unione europea, cercando insieme una nuova via, legata essenzialmente a quattro grandi urgenze. La prima è la redistribuzione del lavoro, in modo da consentire a tutti coloro che vogliono lasciare la propria terra per motivi di guerra o di fame, di poterlo fare, inserendosi in modo trasparente nei processi produttivi del cosiddetto "occidente ricco". La seconda urgenza è quella dell'abitazione, per consentire a chiunque arrivi un dignitoso inserimento all'interno della comunità sociale che lo dovrebbe accogliere, favorendo in ogni modo percorsi adeguati di reciprocità, inclusione e vicendevole integrazione. La terza urgenza è relativa ai ricongiungimenti familiari, da sostenere e valorizzare con tutti i mezzi possibili, per consentire una sempre più rapida normalizzazione delle relazioni tra le persone e i gruppi di appartenenza. La quarta e conseguente urgenza è quella di gestire direttamente i flussi migratori, investendo risorse finanziarie e umane sulla sicurezza delle rotte marittime e balcaniche, in modo che nessuno debba mai più affidarsi ai criminali mercanti di uomini, questi sì, veri assassini che utilizzano la disperazione delle persone per arricchirsi in modo indescrivibile e spregiudicato.

Se il compito della Politica (con la P maiuscola) è quello di trasformare il grido che si innalza da questa tragedia in un nuovo modo di concepire e intendere l'accoglienza, quale può essere il compito del cittadino che non sia rappresentante eletto dal popolo? E' difficile comprendere quanto sia importante, in un momento come questo, il punto di vista di ogni soggetto. Eppure lo è. Lo è nell'impegno di attenzione nei confronti di ogni migrante che si trovi per qualsiasi motivo in difficoltà, lo è nelle parole che si proferiscono quotidianamente e che possono contribuire a creare accoglienza o diffidenza, lo è nella scelta dei propri rappresentanti e nel voto a coloro che garantiscano con sufficiente credibilità la costruzione di un'Italia e di un'Europa eque, solidali e accoglienti. E lo è anche nella capacità di mettersi insieme per studiare un nuovo sistema sociale, alternativo a quello attuale. Sì, perché le migrazioni forzate altro non sono che una delle più macroscopiche conseguenze del capitalismo planetario, basato essenzialmente sulla necessità di incrementare la già spaventosa distanza tra i pochissimi straricchi e l'immane folla degli strapoveri che cercano di sopravvivere, con fatica e in qualche modo, ogni giorno.

Nessuno è "assassino" o "indifferente". O forse, tutti siamo assassini o indifferenti, il che è la stessa cosa. Piuttosto è necessario risvegliarsi dal torpore dell'impotenza e cominciare a costruire, a ogni livello, la civiltà della solidarietà e della totale condivisione.