venerdì 27 novembre 2020

Tra colori mescolati e affetti proibiti

"La zona rossa incombe sul FVG", titola a nove colonne oggi l'edizione cartacea del Piccolo. Verso mezzogiorno, online, il Presidente Fedriga annuncia che il ministro Speranza ha escluso il declassamento. Secondo altre testate nazionali, nella stessa giornata di oggi, il Friuli Venezia Giulia sta invece per essere "promosso" zona gialla.

Nel frattempo i dati "ufficiali" che arrivano ai Comuni, plausibilmente gli stessi trasmessi a livello nazionale e di conseguenza ai giornali, sono del tutto insufficienti a delineare la situazione reale. Le comunicazioni di esito positivo dei tamponi arrivano con grave ritardo agli interessati, a volte addirittura scavalcati dai precari excel inviati ai sindaci. A volte non arrivano proprio, come anche in ritardo giungono le notizie delle guarigioni.

Tutto ciò per rilevare lo stato di confusione nel quale ci si trova. Tutti dicono tutto e il contrario di tutto, lo Stato e le Regioni sono in un permanente conflitto di competenze che paralizza il sistema. Gli scienziati rincorrono i politici o viceversa, dichiarando e smentendo continuamente gli altri e se stessi. La situazione di totale incertezza crea danni molto cospicui all'economia, ma incide molto anche sulla tenuta psicologica. Si è sempre più nervosi, schierati calcisticamente dalla parte della squadra dei governativi o dell'opposta fazione dei negazionisti, aggregati agli uni o agli altri sulla base dell'espressione del minimo dubbio. Come poter invocare la necessaria fiducia in una situazione del genere?

L'impressione è che non si sia ancora al "picco", non tanto della pandemia quanto della confusione. I nodi arriveranno al pettine con la ventilata introduzione del vaccino, o dei vaccini. Sarà obbligatorio? Se sì, probabilmente scoppierà una grande rivolta, da parte di coloro che ritengono che il proprio corpo non debba essere violato da prodotti che inevitabilmente saranno poco testati. Se no, l'obiettivo dell'immunità di gregge sarà assai difficile da raggiungere, dal momento che lo schieramento contrario, se non maggioritario, è sicuramente portatore di una percentuale alquanto significativa di consenso.

In tutto questo è bene raccogliere un appello, forse apparentemente poco importante, ma in grado di assumere un valore simbolico non trascurabile. A livello internazionale c'è chi richiede che sia riconosciuta come motivazione da autocertificare - oltre alla salute o al lavoro - il legame affettivo fra due persone. Non si vede come l'esperienza vissuta dell'amore possa contribuire a creare assembramento, anzi, al contrario, l'equilibrio psicofisico che da essa sarebbe generato potrebbe offrire un ottimo contributo alla causa del contrasto a un virus che divide e distrugge le relazioni.

mercoledì 25 novembre 2020

Il nuovo Messale Romano, considerazioni a margine...

Entra in uso ufficiale la prossima domenica 29 novembre, prima di Avvento, la terza edizione del Messale Romano in lingua italiana. Si tratta del libro da utilizzare nelle celebrazioni eucaristiche della Chiesa cattolica nel corso dell'intero anno liturgico. 

Se ne è parlato molto in questi giorni, soprattutto per alcune variazioni che incideranno sulla vita e sulle abitudini dei praticanti. Per chi non è abituato a frequentare queste problematiche, può sembrare qualcosa di molto lontano dalle vicissitudini quotidiane, soprattutto in questo periodo di grandi preoccupazioni planetarie. In realtà, la solennità dell'evento e il risalto mediatico invitano a qualche breve riflessione.

Prima di tutto, si tratta della classica montagna che partorisce il topolino. Chi si aspettava una maggior apertura alla creatività e alla necessità di contestualizzare le celebrazioni, resterà deluso. La maggior parte dei sacerdoti cattolici non alzerà lo sguardo dal libro, scrutando con attenzione le rubriche e inforcando gli occhiali per non rischiare di sbagliare le parole. Tutto ciò è molto lontano dalla spontaneità dell'ultima cena di Gesù con i suoi apostoli. Tra l'altro la traduzione italiana delle parole di Gesù sul pane ("Questo è il mio corpo, offerto per voi") rimane la stessa, nonostante le attese contrarie e mantiene la dizione "in sacrificio", a differenza di tutte le altre lingue, compreso addirittura l'originale latino. Si sottolinea quindi una visione sacrificale, a scapito dell'ovvia realtà conviviale della memoria ritualizzata della cena del Maestro con i in suoi amici.

A chi poi ritenesse giunta abbondantemente l'ora dell'apertura al sacerdozio femminile, non potrebbe certo bastare l'aggiunta delle sorelle nel novero di coloro ai quali chiedere, supplicando, di pregare il Signore nel confiteor. Anche in questo caso, il minuscolo adeguamento ai tempi rischia di sconfinare nel ridicolo quando ci si chiede perché, subito dopo, si invoca l'aiuto solo dei santi e non delle sante, mentre sembra non suscitare alcun problema continuare a proclamare la propria colpa, la propria colpa, la propria grandissima colpa, in una visione tutt'altro che irenica di un Dio Padre che sembra voler richiedere la totale umiliazione delle sue creature.

Discutibile è anche il cambiamento nella preghiera del Gloria, da "pace in terra agli uomini di buona volontà" a "amati dal Signore". Da una parte, nel contesto attuale, che si vorrebbe più ecumenico e interreligioso, è difficile comunque ipotizzare che ci siano uomini (e donne, stavolta non citate!!!) che non siano "amati dal Signore". Quindi forse la fedeltà al significato del termine greco ευδοκια orienterebbe a preferire la tradizionale e correttamente ambigua traduzione antica di Girolamo: uomini "di benevolenza". Se poi si tratti di benvolenti o benvoluti, questa è problematica teologica di non poco conto, sfiorando le bimillenarie controversie relative alla volontà di Dio e al libero arbitrio. L'utilizzo del verbo italiano "amare" - del tutto inesistente nello specifico testo di Luca (2,14) - è sicuramente più dolce e attraente, ma anche meno complesso e meno drammaticamente equivoco rispetto alla "buona volontà". Di chi, appunto?

Si affronti ora il passaggio più importante, perché in grado di correggere la stupenda preghiera, ripetuta da milioni di cattolici italiani fin dalla prima infanzia. Il Padre Nostro, proposto da Gesù ai suoi discepoli e riportato in due diverse edizioni - giunte a noi in lingua greca - dagli evangelisti Matteo (5,9-13) e Luca (11,2-4). Finora, per la verità di solito senza pensarci su molto, verso la fine si è detto "non indurci in tentazione ma liberaci dal male". Effettivamente la locuzione, in italiano, non è felice e sembrerebbe attribuire al Padre una volontà di sollecitare verso la tentazione, quasi a godere della sua eventuale caduta. Ora il messale sostituisce con "non abbandonarci alla tentazione". Così posta, la traduzione del verbo αναγγαζω e del sostantivo πειρασμον diventa almeno dubbia. L'azione descritta non ha nulla a che fare con l'"abbandonare", bensì con lo "sforzare". E il sostantivo diventa più chiaro se al posto del molto connotato "tentazione" inseriamo il più letterale "prova". Inoltre, chiedere al Padre che non ci abbandoni "alla" tentazione potrebbe dare l'impressione di una personalizzazione di quest'ultima, quasi che essa sia in agguato, pronta a saltarci addosso per metterci in difficoltà. Volendo superare l'impatto indubbiamente negativo dell'induzione al male, forse sarebbe stato meglio tradurre letteralmente o semplicemente offrire una spiegazione più efficace. "Non ci sforzare nella prova!" sarebbe un'invocazione più comprensibile, evidenziando la debolezza umana in alcuni frangenti, non necessariamente peccaminosi, della vita, come per esempio una malattia, un momento di depressione o di fatica. Certo, in queste situazioni, per un credente avrebbe un senso chiedere di essere accompagnato dal Padre nella sofferenza e di essere liberato non tanto dal "male" - concetto ampio che coinvolge sia la volontarietà che la non volontarietà - bensì da una più probabile "cattiveria" o "malvagità", dipendente dalle scelte umane e non da un ente metafisico astratto.

In conclusione, ancora una volta le buone intenzioni si scontrano con la realtà. Questi discutibili cambiamenti daranno forza alle accuse dei "tradizionalisti" e non soddisferanno certo le attese dei "progressisti". C'è bisogno di un cambio di passo reale, fondato sulla fedeltà evangelica e su un'attenta interpretazione dei tempi. Non esiste motivo per esitare ancora nella reinterpretazione del ruolo presbiterale, da liberare dalla dimensione sacrale o addirittura "essenziale" e da condividere ovviamente anche con le donne. Non c'è motivo di insistere sulla strada del celibato obbligatorio, più legata a squallide motivazioni economiche ed ereditarie che a problematiche di ordine disciplinare. Occorre adeguare da subito i rituali dei sacramenti, concordandoli con le altre confessioni cristiane, aprendo la strada anche al matrimonio omosessuale. Almeno il primo piccolo passo, quello della condivisione eucaristica con chi è divorziato risposato, sia riconosciuto senza ulteriori prolungamenti, la "comunione" è un dono, non un diritto da acquisire.

domenica 22 novembre 2020

Uno sguardo alle sorgenti dell'Isonzo/Soča dai mille colori

Cascata Beri, sopra Poljubinj

Cascata Brinta, presso Selce

Cascata Gregorčič, sotto Vrsno

Seconda sorgente della Soča, sotto la planina Zapotok

Quella del fiume è una bella allegoria della Vita. Tante, tantissime sono le sorgenti dalle quali l'acqua imprigionata dalla roccia, riesce a liberarsi esplodendo gloriosamente alla potente luce del sole o alla pallida luminescenza della Luna. Le cascate testimoniano il lavorio incessante, le pietre levigate, le forre impressionanti, le profonde vallate scavate nel corso dei millenni. Mentre l'Uomo vede il proprio particolare e si premura, per quanto possibile, di salvarsi la pelle nei momenti di prova, la Natura incessantemente si rinnova e si trasforma, incurante del dolore provocato dal suo continuo movimento che produce terremoti, inondazioni, frane, ma anche malattie ed epidemie che si susseguono senza prestare troppa attenzione alle pretese conquiste della scienza dei Sapiens. Eppure la stessa madre Terra, determinata dalla necessità di garantire lo scorrere maestoso dell'Essere nel Divenire, riesce ad allietare le sue piccole consapevoli creature, offrendo spettacoli indimenticabili. Essi non cancellano la drammaticità della legge universale del Dolore, ma alleviano la sofferenza attraverso una Bellezza sublime, che esalta il mistero immenso dell'Amore.

Ecco, oggi un breve post per interrompere il flusso continuo delle preoccupazioni contingenti e ricordare che esiste l'Isonzo/Soča, con le sue mille segrete scaturigini, con le magnifiche cascate (slap) che punteggiano di fragorosa freschezza la sua multicolore gioventù.
 

martedì 17 novembre 2020

Nuovi stili di vita e spazio ai giovani

Questo periodo incide profondamente sulla vita delle persone. Si è particolarmente tesi, nervosi, non si vedono prospettive, ci si arrabbia per niente. E il virus corre, più velocemente di qualsiasi previsione.

E il difficile deve ancora arrivare. Molti investono le loro speranze sul vaccino, gli stati cominciano ad accantonare cifre da capogiro per garantire un'ampia copertura. Ma i tempi non sono brevi e soprattutto la fiducia è poca. Non è elevata nei confronti degli scienziati, la cui bulimica e contraddittoria presenza mediatica ha offerto un'immagine di una "comunità scientifica" - la cui autorità ritenuta oggettiva, un tempo chiudeva qualsiasi discussione - totalmente divisa e frammentata. Ed è quasi nulla nei confronti della classe politica e dei livelli decisionali, sballottati da interessi contrapposti e paralizzati dall'esigenza di mantenere in equilibrio consenso e sicurezza. In queste condizioni, sperare che i cittadini si mettano in fila compatti e unanimi per ricevere il vaccino, credendo nel 90% o più di efficacia, promesso da una parte dei ricercatori e dalle assicurazioni fornite dai politici, è una pura illusione. Se invece si penserà a stabilire un obbligo, non sarà esagerato prevedere una gigantesca ribellione da parte di chi non vuole rendere disponibile il proprio corpo a ricevere composti chimici in ogni caso, poco o tanto, impattanti.

In queste condizioni, l'unica strada che potrebbe mettere tutti d'accordo, è quella della responsabilità individuale e della prevenzione. 

La prima riguarda l'accettazione di ciò che è logico, per esempio la protezione di se stessi e degli altri grazie all'uso intelligente della mascherina chirurgica, il rispetto di una congrua distanza dagli altri - anche maggiore rispetto al metro canonico, la cura di evitare assembramenti in grado di moltiplicare il pericolo del contagio. E' logico che in assenza di una presa d'atto della necessità di attivare tali comportamenti virtuosi, diventa indispensabile anche l'intervento dello Stato. E' anche vero che più  della caccia al povero passeggiatore o divoratore di burek sulla strada, ci si aspetterebbe una di gran lunga maggiore attenzione, da parte del Governo, ai luoghi critici, ovvero al sistema produttivo generale, agli operai costretti a turni impossibili stretti gli uni agli altri, ai trasporti in permanente situazione critica, ai reclusi nelle carceri o nei centri per il rimpatrio. 

La prevenzione riguarda invece lo stile di vita e stranamente se ne parla molto poco. Invece di descrivere solo le caratteristiche tecniche dei medicinali, sarebbe importante anche indicare corrette modalità di vivere le proprie giornate. Sarebbe molto importante ricevere da persone competenti indicazioni ed essere aiutati a comprendere quale dieta seguire, che tipo di attività fisica svolgere, quanto e come riposare, quali vitamine assumere, ecc. Perché non lo si fa o lo si fa ancora poco? Forse perché un cambiamento dello stile di vita è molto meno dispendioso rispetto alla cura delle malattie conseguenti ad atteggiamenti poco compatibili con la salvaguardia della salute?

Un'ultima osservazione apre altre finestre di riflessione e di discussione. Il tempo del Covid-19 segnerà probabilmente una svolta generazionale traumatica. La guida dei processi planetari sarà di coloro che hanno maggior dimestichezza con la realtà virtuale e l'intelligenza artificiale, coloro che hanno davanti un grande, delicato e decisivo futuro. Occorre agevolare questo passaggio, augurandosi che la proclamazione della necessità di lasciare "spazio ai giovani" favorisca tra essi i tanti di loro - tantissimi! - portatori di una sensibilità nuova, convinti di porsi al servizio di un mondo più equo e giusto, oltre le pazzesche divisioni esistenti tra miliardi di poveri e manipoli di straricchi, aperti all'accoglienza e al riconoscimento dei diritti di ogni essere vivente, attenti ai cambiamenti che minacciano la sopravvivenza dell'ambiente, tutori del bene e dei beni comuni.  

domenica 15 novembre 2020

Covid-19: l'urgente necessità di un coordinamento efficace

Non è vero che l'ordinanza del Presidente del Friuli-Venezia Giulia sia stata firmata e pubblicata per evitare che la Regione fosse inserita tra le zone "arancione" previste dal dpcm nazionale. Lo aveva affermato lo stesso Fedriga, lo scorso giovedì nella conferenza stampa di presentazione, ricordando saggiamente che la questione seria non era evitare ulteriori restrizioni, ma combattere la diffusione del contagio.

L'annunciato ritiro dell'ordinanza, oltre che un'inutile ripicca, crea molti problemi in relazione all'interpretazione delle leggi. Nel caso di un auspicato ritorno alla zona gialla, non varranno più i saggi limiti proposti per il F-VG. Inoltre, in alcuni casi, come quelli relativi allo svolgimento dei mercati locali, le clausole regionali sono più restrittive di quelle nazionali e quindi l'annullamento dell'ordinanza andrebbe a beneficio e non penalizzerebbe alcune categorie di lavoratori, rendendo nel contempo spinoso il compito degli amministratori locali che devono già a fatica districarsi nel ginepraio attuale.

L'obiettivo del Governo, con tutti i limiti e gli errori possibili, è quello di fermare la diffusione della pandemia. Ora questa grande confusione, venutasi a creare soprattutto per la mancata chiarezza relativa ai differenti ruoli, rischia di vanificare lo sforzo. Tra l'altro, l'annuncio delle restrizioni con due giorni d'anticipo provoca grandi affollamenti nelle zone interessate. Chissà perché oggi tanti media parlano di una Napoli presa d'assalto dai cittadini. Bastava girare per la piccola Gorizia ieri sera per vedere ovunque lo stesso spettacolo, bar strapieni, vasche per il Corso con e senza mascherine, luoghi di ritrovo naturali affollati, dopo la fatidica chiusura degli esercizi alle ore 18.

In attesa del vaccino, la cui distribuzione e il possibile obbligo costituiranno un problema enorme nei prossimi mesi, occorre che si metta mano quanto prima al titolo V della Costituzione, per evitare che la già precaria situazione della democrazia italiana scivoli verso il livello di guardia. Chi deciderà sulla distribuzione e sulla graduatoria di diritto relativa ai primi vaccini? Quale autorità potrà stabilire un "obbligo" nel suo utilizzo? Chi coordinerà gli inevitabili scienziati che affolleranno gli studi televisivi per dire - come accaduto finora - tutto e il contrario di tutto? E ancora, saranno sufficienti i "ristori" e i sostegni alle realtà lavorative sempre più in ginocchio a causa delle chiusure coatte?

Saremo toccati sulla nostra pelle e siamo già fortemente toccati sulle nostre attività. L'ultima cosa di cui si ha bisogno è l'incertezza del diritto attuale, così come non si può che temere l'imposizione dell'"uomo forte", minaccia diretta alla libertà dell'individuo e della collettività. Ci sarà un'altra soluzione, in grado di contemperare la necessità di combattere il virus e di garantire giustizia e coesione alla comunità, nazionale e regionale? 

sabato 14 novembre 2020

Dal blog del Forum per Gorizia: GECT GO, possiamo far evolvere gli obiettivi statutari in tema energetico e ambientale, attualmente prigionieri della parola “sfruttamento”?

Dall'ottimo blog forumgoriziablog.it, oggi  una più che condivisibile riflessione...


In ogni grande o piccola costituzione, dallo statuto di un’associazione a quello di una persona giuridica europea, come il Gect GO – Gruppo europeo di cooperazione territoriale, fino agli atti costitutivi di un’ organizzazione sovranazionale e alla Costituzione di uno Stato, le parole sono struttura, principi che innervano ogni attività, strumento di interazione con i cittadini e per i cittadini nel loro rapporto con l’istituzione.

Per questi motivi Forum Gorizia ha chiesto, direttamente all’attuale presidente dell’Assemblea del Gect, Matej Arčon, di modificare radicalmente uno degli obiettivi dello Statuto. Quello che recita, nel testo italiano e in forma lievemente diversa nel testo sloveno, “sfruttamento e gestione delle risorse energetiche e ambientali locali”.

E’ una dichiarazione di intenti sorprendentemente antiquata per una istituzione nata nel 2010, priva di qualsiasi riferimento a politiche ambientali ed energetiche, alla conversione ecologica dell’economia, ai principi dello sviluppo sostenibile, alla crisi climatica.

Il termine sfruttamento è parola tossica, che ha avvelenato l’economia, la società, il lavoro, il pianeta intero. Anche la parola gestione senza un aggettivo che ne stabilisca le finalità appare superficiale.

Abbiamo dunque chiesto che lo Statuto modifichi le parole, perché il tema delle risorse energetiche e ambientali è fondamentale per delineare il futuro della Polis transfrontaliera e garantire i diritti fondamentali e gli interessi collettivi dei cittadini di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba: l’obiettivo statutario in questione deve esplicitare il completo cambio di passo nella considerazione delle risorse/beni comuni del territorio transfontaliero.

Questa la proposta inviata a Matej Arčon :

tutela e gestione ecosostenibile delle risorse energetiche e ambientali locali, nella prospettiva di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le risorse che serviranno alle generazioni future, garantendo loro qualità della vita e qualità ambientali, anche indicando uguali iniziative e buone pratiche da introdurre congiuntamente nelle tre amministrazioni comunali in tema di valorizzazione dei servizi eco sistemici, tutela della biodiversità e salvaguardia ambientale nelle pratiche di progettazione urbanistica, pianificazione territoriale, valutazione ambientale strategica, valutazione di impatto ambientale. Martina Luciani

venerdì 13 novembre 2020

Una Chiesa rivoluzionata e rivoluzionaria. Se non ora quando?

"E' giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori." (Gv.4,16)

Il Vangelo di Giovanni, raccontando l'incontro di Gesù con una donna di Samaria presso il pozzo di Sichar, afferma che "in quel momento" è finito il tempo dei luoghi sacri naturali sulla cima dei monti o del solenne santo dei santi di Gerusalemme. Per essere credenti non occorre una religione caratterizzata da gerarchie, spazi e tempi distinti da quelli profani, sommi sacerdoti, basiliche e Stati confessionali. Perché chi vuole "adorare" lo fa "in spirito e verità", ovvero nel profondo della sua coscienza.

Questa sorprendente e rivoluzionaria affermazione sembra in aperto contrasto con tutto ciò che è accaduto nella Chiesa cattolica, dall'editto di Milano (313) e ancor più da quello di Tessalonica (380), da quando cioè essa ha iniziato un processo di identificazione e sostituzione dell'ormai declinante Impero Romano.

Le notizie di questo periodo non sono molto dissimili da quelle che si è imparato fin da bambini a studiare, riguardanti il nepotismo, l'immoralità, la corruzione, la violenza di coloro che si presentavano come i custodi estremamente autorevoli della Divina Rivelazione. Ora, non si capisce bene se il fenomeno dipenda dalla straordinaria volontà riformatrice o dall'incapacità di gestione da parte dell'attuale Capo della cattolicità, l'elenco delle gravi criticità è più lungo che mai. Sul piano finanziario, si assiste a un valzer di cardinali che fanno a gara per avventurarsi in speculazioni immobiliari degne dei più spregiudicati gangster, prima di essere scaricati e sostituiti in tempi assai rapidi. Lo scandalo della pedofilia dei preti e dei vescovi si è talmente diffuso da andare a intaccare perfino la memoria del "santo subito", troppo credulone nella nomina dell'Arcivescovo di Washington e il cui segretario Glemp rischia di doversi districare tra la giustizia canonica e quella civile. Per quanto concerne la trasparenza amministrativa e giudiziaria, nonostante le grandi speranze riposte nel successore di Ratzinger, l'omertà sembra regnare intorno a casi di cronaca nera eclatanti, quali per esempio quelli relativi al misterioso rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori nel lontano 1983. Era passato meno di un anno dal ritrovamento del cadavere di Roberto Calvi sotto un ponte di Londra, ultimo passo di una serie di catastrofi con le quali erano interconnesse alcune delle più oscure vicende del periodo precedente l'elezione di Giovanni Paolo II, non ultima - ma qui si sconfina nel puro terreno delle ipotesi - la morte dopo solo un mese di "regno" di papa Luciani, in precedenza molto critico depositario - in quanto vescovo delegato della Conferenza Episcopale Italiana - di molti segreti relativi ai rapporti con il mondo economico e finanziario del tempo.

Insomma, il momento è propizio per un passo indietro, un ritorno al vagheggiato periodo delle origini, come proposto da tanti nel corso della Storia della Chiesa, dai millenaristi alla lezione di Pietro Valdo, da Francesco d'Assisi allo stesso Lutero. L'ideale di un ritorno al Vangelo "sine glossa" va di pari passo con la rinuncia a tutto ciò che ha a che fare con il potere, sia esso politico che culturale o finanziario. Cosa rimarrebbe alla Chiesa Cattolica se rinunciasse allo Stato della Città del Vaticano e al potere temporale che esso porta con sé? Se smantellasse la rete di nunziature apostoliche che la rende capace di servizi segreti invidiati dalle più grandi potenze? Se venisse meno il "prestigio" sociale che permette a migliaia di prelati di pontificare dai media planetari, chi approfittandone per celebrare un neobarocco trionfo, chi per contestare facendosi forza sui vantaggi garantiti dallo "stare mezzo dentro e mezzo fuori"?

Cosa rimarrebbe se il papa cancellasse il dogma dell'infallibilità e rinunciasse alla pretesa della Chiesa Cattolica di essere la custode della "verità piena", a differenza delle altre chiese o delle altre religioni che invece attingerebbero soltanto a "una parte" della verità (così la peraltro molto innovativa Costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, che ha superato - nel 1964!!! - la quasi bimillenaria formula dell'"extra ecclesiam nulla salus")?

Cosa rimarrebbe se la "Mater et Magistra" rinviasse alla coscienza delle persone le scelte su come affrontare l'inizio e la fine della vita, i legami tra le persone e le relazioni affettive, senza pretendere di prescrivere pesi insopportabili sulle spalle delle persone?

Cosa rimarrebbe? Rimarrebbe Gesù di Nazareth, con la sua testimonianza e la sua parola. Con Lui resterebbe la forza e la consapevolezza di poter dare un senso alla vita delle persone e dei popoli. In Lui si genererebbe un modello capace di consentire a chi lo segue la strada dell'annuncio e del martirio, della responsabilità individuale e sociale, dell'autentica costruzione della giustizia e della pace. Si potrebbe riprodurre la situazione nella quale un manipolo di esseri umani, donne e uomini che credevano nella bellezza della comunità di esseri liberi, sono stati capaci, con pochi mezzi e molte idee, di far conoscere al mondo di allora il miracolo della Vita che vince la morte, del perdono che vince la vendetta, dell'amore al nemico che vince l'odio devastante.

Sarebbe bello se Francesco, capace di distinguersi con parole e gesti che suscitano interesse e attesa, sappia avviare questo processo di smantellamento della Chiesa Vaticana e di riavvicinamento alla Chiesa del Vangelo, appunto senza gerarchie inamovibili, senza basiliche fiammeggianti, senza Stati soggetti alla corruzione e all'immoralità.

martedì 10 novembre 2020

Più che a Biden o a Bergoglio, si crei e si lasci spazio ai giovani

Alla luce della nuova icona di gran parte della cosiddetta sinistra italiana, il neo-Presidente Biden, ci si può chiedere cosa rimanga delle antiche prospettive anticapitaliste e mondialiste. Ci si riferisce soprattutto a quelle soffocate nel sangue nel 2001 a Genova, ridicolizzate dopo la più grande manifestazione pacifista della storia, il 15 febbraio 2003, azzerate dalla crisi del coronavirus del 2020, anno bisesto mai fu più funesto. Si tratta delle prospettive socio-economiche dell'"altro mondo possibile", della difesa di tutti i diritti civili individuali e collettivi, della salvaguardia dell'ambiente vitale contro la rapidità dei cambiamenti climatici, della lotta per la libertà di movimento per tutte e per tutti.

A chi ci si affida per ritornare a sperare che tali istanze si possano realizzare? Joe Biden, veterano della politica americana dei Democratici, è davvero una garanzia per la pace e la giustizia planetarie? Non si può essere troppo ottimisti, dovrà rispondere a chi gli ha garantito la vittoria elettorale e già l'ala che faceva capo a Bernie Sanders comincia a esprimere qualche malumore. Ma per il Partito Democratico di casa nostra, è tempo di festa permanente, è esperto nel sostenere che "piuttosto che peggio sia meglio piuttosto", sulla base di questo principio riesce a far galleggiare un Governo che tutti i sondaggi danno sostenuto da una maggioranza parlamentare che ha perso il consenso dell'elettorato.

L'altra icona "indiscutibile" del periodo è papa Francesco, con l'entourage di prelati che lo sostengono. Che cosa vede il mondo laico nel capo della Chiesa cattolica? Certo, stupisce sentire le parole e vedere i gesti di un Pontefice che alla tutela del matrimonio tradizionale preferisce istillare ipotesi sulla possibilità di riconoscere altri percorsi (senza peraltro chiarirli), ai principi morali non negoziabili in politica sostituisce l'obbligo etico dell'accoglienza universale, senza se e senza ma (senza specificare come), all'attacco frontale al relativismo preferisce il dialogo interconfessionale e interreligioso (senza proporre un criterio di riunificazione delle chiese e di confederazione delle religioni). E' vero che l'azione riformatrice interna di papa Bergoglio sta facendo saltare in aria i meccanismi organizzativi, ma anche quelli magisteriali della cattolicità, rilevando una situazione di inimmaginabile miseria culturale e morale. Ma è anche vero che se tale spinta rinnovatrice si limiterà alle mura vaticane e non metterà in discussione il sistema nel suo insieme, la simpatia umana che promana dal Vescovo di Roma non potrà essere che una bandiera da issare, per nascondere la povertà di una prospettiva politica "di sinistra", ormai priva di fondamenti ideologici, punti di vista etici e percorsi politici.

Forse è tempo di sbarazzarsi di "paternità" filosofiche o teologiche, occorre lasciare spazio a un mondo giovanile molto promettente, non costringendolo ad anticamere o a funzioni di portaborse per decenni. Tutto può essere utile, ma in questo momento si è in attesa dell'assunzione di responsabilità da parte di una nuova generazione, con l'augurio che sia capace di utilizzare i formidabili mezzi e strumenti contemporanei, finalizzandoli alla giustizia sociale, alla pace, al lavoro per tutti, alla crescita di tutti i viventi in un ambiente rinnovato e sicuro. Per questo, senza nulla togliere a Biden o a Bergoglio, i veri punti di riferimento sono quelli che - in nome di un'umanità nuova - indicano un cammino chiaro, deciso, creativo e innovativo. Più che loro, il mondo guardi oggi a Greta Thunberg e a chi tanto le assomiglia a livello globale e locale, i nonni e i padri li sostengano e li accompagnino con la loro esperienza, ma diano a essi ogni spazio possibile. Il mondo del dopo covid-19 deve essere il loro mondo! 

Lo scrive uno che fa parte della generazione di coloro che sono stati tenuti lontano dai gangli vitali perché definiti "troppo giovani", fino al giorno in cui sono stati "rottamati" e messi da parte perchè "troppo vecchi". Ahimé!

domenica 8 novembre 2020

Biden e Harris, due presidenti in uno. La fine politica dei Trump porterà con sé i nostri Trumpini e Trumponi?

E' fin troppo facile lasciarsi cullare dall'onda di entusiasmo che ha travolto buona parte del mondo all'annuncio ufficiale del nuovo presidente degli USA, Joe Biden. Con la sua vittoria, si volta una pagina e ciò che tutti si temeva, una riedizione della coppia Trump-Johnson, non è accaduto. Perché è andata così, quando fino a un anno fa sembrava che i risultati economici non dessero alcuna possibilità a qualsiasi sfidante? Che cosa ha consentito ai grandi elettori - si intende gli influenzatori statunitensi e internazionali - di cambiare idea e di puntare le proprie carte su un altro candidato? E' stato il coronavirus, affrontato da Trump con una spaventosa incoscienza, ad avergli allontanato molti consensi, simpatie e appoggi dei poteri forti?
A pelle, ascoltando e leggendo le prime prese di posizione, non è il sorriso impacciato di Joe Biden - vecchia conoscenza della politica americana degli ultimi cinquant'anni! - a rassicurare, quanto invece il vero volto nuovo della campagna elettorale e di questa difficile fase del post voto. E' la "guerriera felice", Kamala Harris, la speranza di un reale cambiamento nell'affronto dei problemi degli USA e del mondo. In Europa la si è conosciuta soprattutto per le idee chiare e per la forza di convinzione con la quale ha spazzato via lo sfidante vicepresidente repubblicano nel confronto televisivo. Ma ora, leggendo la biografia, scoprendo le sue idee e i suoi percorsi di vita, sembra che sia proprio lei la persona nuova, una figura che irrompe sullo scenario planetario portando con sé non uno sguardo di odio, di violenza e di sopraffazione, ma la possibilità di un altro modo di interpretare e vivere l'autentica Politica.
Il Biden ha tutto l'interesse a non relegare la sua "vice" a un ruolo puramente onorifico o di contorno. Anzi, come qualche giornale oggi titolava, sarebbe importante percepire "due presidenti invece che uno". Sarà così accorto e intelligente, dopo aver raggiunto tutti i possibili obiettivi di una carriera da statista, da essere una specie di maestro, in grado di accompagnare la Harris dando a essa più spazio possibile, preparandola a diventare la prima donna presidente degli USA?
E sarà la Harris all'altezza delle aspettative che le sue parole e il suo curriculum vitae sembrano garantire?
Per ora ovviamente a questa domanda non c'è risposta. C'è solo la soddisfazione di non dover più restare con il fiato sospeso davanti alle rozze interpretazioni del presidente uscente. Di Donald per ora e - speriamo presto - dei tanti Trumpini e Trumponi "de noartri".

venerdì 6 novembre 2020

A margine delle elezioni americane, che cosa è la Democrazia?

Tra numeri covid, polemiche sul dpcm tricolore ed elezioni americane, sono "strani giorni", direbbe Franco Battiato.
Oltre l'Atlantico si gioca una partita molto più dura del previsto, non si sa ancora con certezza chi abbia vinto e colui che sembra destinato alla sconfitta vuole accendere la miccia del broglio elettorale. Che ci riesca o meno, quella che con un'enfasi poco condivisibile viene chiamata "la più grande democrazia del mondo", rischia di dimostrare quanto in questo momento sia evanescente proprio il concetto stesso di "democrazia". Prima di cedere lo spazio alle opposte tifoserie degli entusiasti Bideniani e dei delusissimi e violenti Trumpiani, ci si può porre qualche ulteriore interrogativo, a margine dello "spettacolo" che deve continuare?
Si sa che dietro alla scelta del Presidente degli USA si muovono giganteschi interessi che hanno i mezzi per creare il consenso tra le popolazioni chiamate alle urne. Se Trump eliminò la concorrente Clinton grazie al sostegno di lobby internazionali legate anche alla Russia di Putin, stavolta si è autoescluso gestendo in modo assolutamente incosciente la pandemia e collocando in uno stallo per lui venefico il partito repubblicano, che oggi ha tutto l'interesse di smarcarsi dal suo ormai pericoloso rappresentante.
Biden non viene eletto perché di sinistra o addirittura "comunista". I Democratici nelle primarie l'hanno preferito a Sanders che avrebbe senz'altro costituito una grande novità, proprio per la chiara posizione filosociale. Ma forse non avrebbe potuto offrire le necessarie garanzie ai potentati che decidono di fatto le sorti dei candidati.
Il dato più importante è senz'altro un Paese spaccato in due, immagine di ciò che sta accadendo anche altrove, dove Destre improponibili riescono a ottenere straordinari risultati grazie a un appeal che coinvolge le classi più povere, umiliate dall'eccessiva spocchia di un centro sinistra convinto di detenere sempre e ovunque la leadership intellettuale. L'errore più grande è ritenere che gli elettori del rozzo Trump siano una massa di ignoranti senza testa o che i voti all'ormai sciolto Salvini e ora alla sodale Meloni siano da ridicolizzare. Tanto più è vero questo in Italia, dove tutti i sondaggi, nessuno escluso, dimostrano l'abisso di differenza tra la rappresentanza parlamentare eletta nel 2018 e la realtà di un Paese lontanissimo dagli attuali governanti che non sembra diano l'impressione di rendersene conto e che pensano di mantenere il consenso un po' come ha fatto Biden, rincorrendo politiche più tradizionalmente affini alla destra.
La questione è invece quella di comprendere quali siano i "veri" elettori che portano al potere l'uno o l'altro a secondo dei loro specifici interessi, pilotati legalmente e spesso illegalmente. E' quella di non disprezzare mai nessuno, ma di saper ascoltare le sue istanze anche quando sembrano così lontane dai propri ideali. Insomma, la questione è proprio quella della democrazia, domandarci cioè, 2500 anni dopo Pericle, che cosa sia il "governo del popolo", se e in che modo, oggi, nel 2020, possa ancora essere, almeno vagamente, esercitato.

giovedì 5 novembre 2020

Il dpcm tricolore

L'ultimo dpcm ha scontentato quasi tutti. Non lo si scrive per mero pregiudizio nei confronti di questo nuovo istituto normativo sul quale, in tempo di conclamata emergenza, si può essere più o meno d'accordo, ma per alcune oggettive constatazioni, riguardo al metodo e al contenuto.

Si è cominciato a parlare del "prossimo" documento lo scorso venerdì, a fronte di un incremento esponenziale dei casi di contagio, del progressivo affollamento degli ospedali e dei primi segnali di crisi delle terapie intensive. Successivamente il Presidente del Consiglio ha incontrato una volta i Parlamentari, prima di immergersi in una trattativa fiume con i presidenti delle Regioni, giungendo a sottoscrivere il testo e a definire i "colori" delle zone mercoledì sera e a farlo entrare in vigore venerdì. In altre parole, con i poteri speciali conferiti, il povero Conte ha lasciato trascorrere un'intera settimana prima di partorire un collage di (poche) proposte accettate e di (molte) evidenti manipolazioni da parte dei più o meno forti rappresentanti delle autonomie regionali.

In questo modo tutti hanno motivo di essere poco soddisfatti. Le quattro regioni dichiarate "rosse" lamentano di essere state eccessivamente penalizzate, le pochissime arancioni sono angosciate dal dilemma se, camminando sul precipizio, cadere nel burrone delle restrizioni pesanti o sul più dolce praticello delle prescrizioni leggere, la maggioranza, cioè le regioni gialle, si lamenta non senza ragione perché le restrizioni sono troppo blande e lasciano di fatto quasi tutte le decisioni agli enti locali se non alle singole persone che si devono districare tra pagine e pagine di decreto.

Inoltre, e ciò non è di poco conto per le conseguenze sul piano del lavoro, delle relazioni affettive e della attività produttive, i "colori" in Europa sono quelli del vestito di Arlecchino, dove ciascun Paese propone la propria lettura in modo completamente differente dagli altri. Per esempio, la Germania e la Slovenia riconoscono come zone rosse quasi tutte le regioni italiane classificate gialle dal governo Conte. Per un eventuale viaggio in Italia dovrebbero quindi ritenere molto pericolose zone ritenute a basso rischio dagli italiani (Toscana, Lazio e Campania, per esempio) e invece molto tranquille zone considerate pericolosissime dal dpcm come per esempio la Sicilia e altre. Ciò induce a porsi serie domande sull'unanimità dei pareri degli scienziati che governano i diversi Paesi e sulla conclamata "unità d'intenti" dell'Unione Europea in tempo di pandemia.

Inserendomi tra i sessanta milioni di potenziali presidenti del consiglio, non mi sembra del tutto azzardato pretendere che siano resi pubblici e manifesti i criteri "oggettivi" (se ci sono) che hanno determinato l'inserimento delle regioni (perché non le zone, dato che in ogni regione spesso si riscontrano situazioni assai diverse?) tra quelle colorate di rosso, di arancione o di giallo. Inoltre, in un consesso internazionale dove sembra possibile prendere decisioni comuni per il bene comune e per i beni comuni delle e dei cittadini, non sarebbe meglio riferirsi a un unico "Comitato Tecnico Scientifico" in grado di offrire un orientamento europeo, da adattare poi, con lievi ritocchi a ciascuna delle situazioni specifiche?

Un ultimo pensiero va a chi si lamenta perché le regioni "bloccano" le proposte del governo centrale. Bene, escludendo i non ancora diciottenni nel 2001, sarebbe bene ricordare che il 64,2% dei votanti italiani ha approvato con un certo entusiasmo la riforma costituzionale che ha introdotto la suddivisione dei poteri concorrenti tra Stato e Regioni, concessione del governo Amato (centro sinistra!) al leghismo del tempo, dalla quale derivano molti dei gravi problemi attuali, soprattutto - e non solo - in materia di sanità.

lunedì 2 novembre 2020

Capitalismo e "produzione". In margine al tweet di Toti...

Ancora una volta gli schieramenti si fronteggiano, pro Toti o contro Toti, per le parole contenute nel suo tweet dedicato alle persone anziane "improduttive", da tutelare in tempo di covid.

Premessa necessaria per evitare equivoci. Anch'io sono schierato e ritengo l'intervento di Toti, come pure le maldestre "scuse" successive, inaccettabili sia sul piano del linguaggio che su quello dei contenuti.

Il brivido suscitato dalla lettura si prolunga tuttavia, dilatandosi dallo scandalo per un'affermazione da censurare alla triste e drammatica constatazione dei fatti.

Come vive oggi la maggior parte delle persone anziane? Una minoranza si può permettere case di riposo, inevitabilmente molto care a causa dei costi delle strutture e del personale, quando non per volgari speculazioni portate avanti da realtà prive di qualsiasi scrupolo. Un'ulteriore piccola parte riesce - con i propri risparmi o con il patrimonio dei familiari - a permettersi una dignitosa ospitalità, mentre i più si devono accontentare di istituzioni, per lo più private ma anche pubbliche, con scarso personale, continuo turn over, mancanza d'esperienza. Buona parte degli over 85 è invece già di fatto reclusa in casa, quando possibile assistita da badanti più o meno regolarizzate oppure da parenti stretti ai quali viene preclusa di fatto qualunque altra attività professionale. Il senso di solitudine e di abbandono è molto frequente e crea grandi problemi a livello psicologico e sociale.

Si passi ora a riflettere sulle cure mediche e in particolare alle terapie intensive, all'ordine del giorno in questo difficile tempo di pandemia. La demolizione sistematica della sanità pubblica ha portato a un'incredibile riduzione dei posti letto e del personale qualificato. Ciò è sconvolgente, ma di fatto la situazione pone il personale sanitario nella drammatica necessità di scegliere chi curare e chi no, con dei criteri di equità che necessariamente portano a privilegiare chi è più giovane a scapito di chi ha la sfortuna di essere molto al di sopra degli "anta". La Svizzera lo ha addirittura formalizzato, ma in realtà ciò accade anche da noi e più che stracciarsi le vesti sarebbe utile lottare per il cambiamento del sistema economico e per il rinnovo di una classe politica del tutto asservita alle esigenze vampire del capitalismo liberista.

Sì, perché questo è il vero problema, il sistema sociale nel quale siamo immersi. Favorendo la divisione in classi e una distribuzione sempre più iniqua delle ricchezze, il capitalismo semina germi che si trasformano in guerre tra poveri. I lavoratori guardano con angoscia a un futuro senza welfare e sono indotti a pensare che la causa - o una delle cause - sia da attribuire alle garanzie mutualistiche e pensionistiche conquistate dalle lotte del XX secolo, mentre invece lo spaventoso debito pubblico dell'Italia e di molti Paesi occidentali dipende da uno sciagurato utilizzo delle speculazioni finanziarie. 

Gli anziani vivono già in una situazione di privazione della libertà di movimento, le residenze protette di fatto hanno chiuso l'accesso a parenti e amici, si sono trasformate in più o meno confortevoli prigioni, dalle quali non possono uscire e nelle quali nessuno - tranne il personale - può entrare. Il loro lockdown, anche se in estate leggermente allentato, dura da quasi nove mesi, mentre il bilancio di malattia e di morte negli istituti che non l'hanno immediatamente attuato è stato ed è tragico. E' tremendo dover decidere sulla pelle dei più poveri, tra la libertà di movimento e il rischio di un contagio generalizzato.

Che fare allora? Una sola risposta, facile a scriversi difficile da realizzare, impegnarsi! E' urgente impegnarsi, in tutti gli ambiti possibili, perché la società cambi. L'emarginazione di coloro che il liberismo considera "improduttivi" non l'ha scoperta lo squallido tweet di Toti, è una realtà che precede da lungo tempo il covid. In questo senso il coronavirus potrebbe aprire gli occhi a un mondo che li ha chiusi e aiutarci a cogliere l'occasione per sperare proprio di non tornare a essere come prima. Potremmo approfittare del momento della crisi per immaginare un sistema alternativo dove il motto "prima le persone" non si riduca a un piacevole slogan di facciata ma generi percorsi e normative che consentano a ciascuno di sentirsi sempre e comunque "produttivo", generatore cioè di saggezza, vivacità e umanità.  

domenica 1 novembre 2020

Capharnaum, un film assolutamente da vedere.

Vogliamo vedere il mondo dall'altra parte? Intendo, dalla parte della stragrande parte dell'umanità?

Bene, allora il consiglio è quello di vedere Cafarnao, un film incredibilmente avvincente della bravissima regista libanese Nadine Labaki, perché terribilmente vero e perché sconvolgente nella sua semplicità. Lo straordinario protagonista, Zain El Hajjn è un profugo siriano di dodici anni che offre volto e parola al protagonista, anch'egli chiamato Zain.

Ciò che questo film consente è, per quanto possibile a chi vive in un altro pianeta, "entrare dentro" al dramma di una povertà sconfinata dove la vendita dei figli, il furto, l'inganno, la distruzione sistematica dei sentimenti non è un caso raro, ma l'ordinarietà che consente la mera sopravvivenza. A differenza di altri tentativi più "occidentali", nei quali il lieto fine adegua le situazioni al politically correct della pietas del Nord del mondo, il messaggio della Labaki penetra nel cuore come un pugno spirituale. Non giustifica certo genitori carnefici, madri costrette ad abbandonare il proprio figlio, ragazzi che si adeguano alla lotta per la sopravvivenza accettando la sfida di una violenza senza fine. Ma pone interrogativi profondi su chi sia veramente il mascalzone, il padre o la madre che vendono la figlia, il giovanotto che campa fregando le persone con la promessa di metterle su un barcone che non vedranno mai, la polizia che rinchiude i potenziali profughi in prigioni troppo simili a stalle... oppure il mascalzone siamo noi, sono io, abitanti dell'altra parte del mondo, quella dei pochissimi ricchi, così spesso totalmente ciechi e incapaci di riconoscere a quali condizioni possiamo dormire sugli allori del nostro benessere.

Terribile è la scena dell'arrivo dei "buonisti", il frate e il gruppo d'animazione che viene nel carcere per sollevare il morale delle e dei detenuti. Quanto enorme distanza si rileva tra i volti pasciuti e sorridenti delle "brave persone" e il dolore di Zain e dall'altra meravigliosa attrice, l'etiope Jordanos Shiferaw, privata del proprio bimbo perché priva dei documenti necessari per restare in Libano!

Nel buio del mondo i frammenti di luce sono la sobria solidarietà tra i condannati agli inferi, la gioia di Rahil nel rivedere il figlio ritenuto per sempre disperso, la condivisione dei prigionieri all'ascolto della voce in radio del loro compagno fanciullo, la meravigliosa scena finale con il conquistato sorriso di Zaid, che per la prima volta nella vita sta per ricevere un documento d'identità. Sono bagliori fra le tenebre, che intensificano ulteriormente un sensazione che non è di impotenza, ma di presa di coscienza di una responsabilità.

Sì, qualcosa si può fare, un altro mondo è possibile, ma nulla sarà dato automaticamente, è necessario impegnarsi e lottare, con Zaid, con Rahil e con questa giovane, grande regista libanese, Nadine Lbaki della quale sentiremo ancora per molto parlare, sempre che il nostro benestare non soffochi anche la sua penetrante voce. Un film da vedere, assolutamente...

Primo Novembre al tempo della pandemia

Gli alberi perdono le foglie e la Natura sembra avviarsi a una fredda fine. Gli intensi colori di ottobre lasciano il posto al grigiore uniforme dei rami spogli e sui monti al candore della prima neve.

Proprio in questo periodo, mentre le zucche annunciano la fine dell'annata agricola e ci si prepara alle feste del Ringraziamento, nel ricordo di san Martino, da tempo immemorabile gli umani si interrogano sul mistero più inquietante e affascinante della loro breve ed effimera esistenza. Tutto ha un principio e una conclusione? Oppure, come accade a ogni rivoluzione della Terra intorno al Sole, a ogni fine corrisponde un nuovo inizio? Si trovano da qualche parte coloro che abbiamo incontrato e amato? Se sì, esiste un luogo in cui ci ritroveremo e ci riconosceremo in una gioia infinita, dove riceveremo un giudizio di salvezza o di condanna da Qualcuno per i nostri meriti o indipendentemente da essi? Oppure, come nei racconti epici delle "discese" degli eroi, c'è un luogo triste e malinconico dove i fantasmi vagano all'infinito, senza piacere e senza dolore? O, come nell'avvincente rielaborazione del mito di Orfeo e Euridice proposta da Dino Buzzati in chiave moderna, gli inferi sono il luogo della noia eterna, perché in essi non esistono il limite e la paura? Tutto passa per essere assimilato in una Totalità nella quale niente si crea e niente si distrugge ma tutto (apparentemente) si trasforma? Oppure per ritornare a quel Nulla che è paradossalmente l'essenza dell'essere?

Fatto sta che proprio in questi giorni di inizio novembre, in epoca pre-cristiana e nell'emisfero boreale, si celebravano grandi riti, collegati al desiderio ancestrale di sopravvivenza e al sogno di potersi ricongiungere, ameno per una notte autunnale, con le persone care già transitate sull'altra sponda. Innumerevoli sono i segni che ricordano il culto dei morti tra le popolazioni antiche, dai gesti legati alle culture agricole ai sacrifici agli dei protettori, dai racconti più o meno spaventosi di incontri con gli spiriti dell'aldilà alle più piacevoli e gustose tradizioni culinarie, legate alle mille possibilità offerte dalle zucche o ai dolcetti a forma di ossicini che nel Nord Italia vengono chiamate fave o favette.

Tanto erano presenti tali tradizioni da costringere i pontefici cristiani a sconsigliare il ritorno al paganesimo, arrivando, nell'VIII secolo con Papa Gregorio III, a proclamare il Primo Novembre il giorno di Tutti i Santi. Qualche secolo dopo sarà aggiunta, il giorno successivo, la Commemorazione dei fedeli defunti. Con questa scelta di "mettere il cappello" su tradizioni ben precedenti alla diffusione del cristianesimo, si intendeva dare un nuovo significato alla memoria, in un tempo di influenza determinante della struttura religiosa sulla cultura e sulla politica degli imperi. A ben pensare, si tratta del procedimento opposto a quello della postmodernità e della civitas capitalista, con il trionfo di Hallowen (storpiatura di All Saints day) e con il ritorno - fino a un certo punto scherzoso ma anche emblematico di un nuovo modo di pensare - alle concezioni più antiche.

Insomma, quello che suscita questa Giornata è la domanda delle domande e la madre di tutte le paure, ovvero la questione della Morte. Nei meandri culturali del fiume dello strapotere occidentale, la questione continua ad affacciarsi e proprio per questo viene più possibile tacitata o esorcizzata. In meno di venti anni c'è stato un cambiamento profondo e molto poco studiato intorno al rapporto con la corporeità, la cremazione sta rapidamente sostituendo l'inumazione, metodo che consente un evidente prolungamento della memoria dei propri cari "visitati" nei cimiteri, ma che anche suscita maggior orrore rispetto alla più poetica - se così si può dire - trasformazione in cenere o dispersione sulle cime delle montagne, nei fiumi o nei mari. E' un'ulteriore prova di un tentativo di dimenticare la morte o una modalità per riportarla a una considerazione meno drammatica? E' difficile dirlo, quello che diventa sempre più evidente è che il tema superi l'ormai consolidato ostracismo e si ricominci ad affrontare il Limite non come una privazione, ma come una condizione per poter vivere in pienezza ogni istante del proprio cammino. In fondo, qualcuno, contestando il dominio di una tecnica che ha invaso qualsiasi recesso della nostra esistenza, ha scritto che l'unico spazio rimasto di non-conoscenza (e di conseguenza di interesse) è proprio quello che ci fa comprendere la nostra identità come "essere per la morte". Ciò viene detto non per demolire, ma per costruire senso e significato nella vita. E' importante e urgente non trascurarlo, non soffocarlo sotto le cascate di numeri e i torrenti di parole che, nei giorni della pandemia, sembrano voler far dimenticare che "non di solo pane vive l'uomo".