domenica 21 luglio 2024

A Komenda, nel paese di Pogačar

 

Dopo quattro anni, eccoci di nuovo a Komenda. L'altra volta non lo conosceva quasi nessuno e la lotta con Roglič, vinta all'ultimo chilometro, aveva diviso i tifosi sloveni. C'era un clima elettrizzante, un misto di sorpresa e stupore, stemperati da un buon bicchiere di spumante offerto per un brindisi liberatorio a risultato ottenuto.

Questa volta il luogo del raduno era più organizzato, ormai il loro "Pogi" è una stella dello sport planetario. Il suo trionfo al Giro d'Italia aveva riportato in auge l'interesse sopito per il ciclismo, il suo atteggiamento da asso pigliatutto al Tour de France ha confermato che ci si trova davanti a un fenomeno. Certo, i ripetuti eventi degli ultimi decenni non riescono a fugare del tutto dubbi relativi ai mezzi che trasformano un buon pedalatore in "monstre". Tuttavia il sorriso rassicurante, le parole sagge e l'autentica gioia di vivere dimostrata dal Tadej nazionale sembrano soffiare come la bora sulle nuvole dell'incertezza.

E per un giorno le guerre nel mondo, le preoccupazioni per il domani, il candidato democratico alle prossime presidenziali americane, la violenza, il razzismo e l'egoismo dilaganti ovunque, vengono messi da parte. Tra una birra e un piatto di patatine forniti a ritmo industriale dai bravissimi gestori del Rifugio Alpino, nei boschi a un paio di chilometri dal paese, gli occhi e il pensiero di tutti sono incollati all'uomo in giallo. Divora i chilometri come se fossero noccioline, salendo a mille all'ora e scendendo suscitando l'impressione di rompersi da un momento all'altro l'osso del collo. E invece no.

Uno dopo l'altro arrivano gli avversari, accolti sempre da uno sportivo applauso, ma quando arriva Lui, tutti si alzano i piedi, al grido reiterato di "Pogi, Pogi", le mani alzate al cielo quasi ad accompagnare il gesto del Vincitore. Lo sconfitto - il bravissimo Vingegaard - prorompe in un inatteso pianto dirotto, dovuto alla stanchezza e alla delusione, prontamente consolato dalla moglie e dai compagni di squadra. E' la dura legge dello sport, ieri hai vinto, oggi hai perso, devi fartene una ragione!

L'entusiasmo è molto contenuto, perfino quando viene suonato l'inno sloveno in onore di Pogačar e della sua Nazione, tutti sì, ovviamente si alzano in piedi e cantano, ma in modo sommesso e discreto, quasi a non voler disturbare. Niente esagerazioni, niente eccessi, Komenda e dintorni non sono in vacanza, non ci si può permettere di stancarsi troppo, domani si va a lavorare!

E' probabile che il paese della Gorenjska riservi al suo eroe un'accoglienza meravigliosa e una festa trionfale. Tuttavia la sobrietà di questa sera rimarrà nel ricordo, come il segno della bellezza di un'umanità semplice che, anche di fronte a una performance eccezionale come quella del vincitore di tre Tour e quest'anno della prestigiosa accoppiata Giro/Tour, riesce a mantenere la calma e a esprimere con semplicità soltanto una grande gioia e un timido orgoglio.

Detto questo, non resta che dire: čestitke Tadej in čestitke Slovenija!

domenica 14 luglio 2024

Giuseppe Tornatore, premio Amidei all'Opera d'Autore

 

Giuseppe Tornatore (foto Giuseppe Longo)
Il premio internazionale alla miglior sceneggiatura cinematografica Sergio Amidei, si svolge a Gorizia da ben 43 anni. E' uno straordinario appuntamento, dal punto di vista culturale senz'altro uno dei più importanti dell'anno, che ha consentito alle cittadine e ai cittadini - da sempre in questo caso senza confini - l'occasione di vedere film meravigliosi e incontrare alcune fra le grandi personalità del cinema mondiale.

E' in pieno svolgimento in questi giorni, tra l'11 e il 17 luglio. Proprio ieri è stato assegnato il premio Amidei all'opera d'autore al Maestro Giuseppe Tornatore, il regista di film indimenticabili come Nuovo Cinema Paradiso, Malena, La leggenda del pianista sull'Oceano, meravigliosa rielaborazione del bel libro di Alessandro Baricco intitolato Novecento e tanti altri. Contemplare le immagini e partecipare idealmente ai dialoghi, significa entrare negli aspetti più veri e profondi della nostra storia personale, italiana ed europea.

E' un altro tassello nello stupendo mosaico che il festival Amidei sta realizzando anno dopo anno, a Gorizia e Nova Gorica, aiutando a crescere culturalmente e umanamente il territorio. Mente e cuore di questa e di mille altre iniziative legate al cinema, insieme a decine di collaboratori, è Giuseppe Longo, che da questo blog ringrazio con tutto il cuore anche per la fotografia che mi onora e rallegra. 

sabato 6 luglio 2024

Settimana sociale dei cattolici a Trieste: benvenuto papa Francesco!

 

Con la visita e il discorso di papa Francesco, si conclude la Settimana Sociale dei Cattolici che si è tenuta a Trieste in questi ultimi giorni. 

L'eco dei vari interventi - dal presidente della Repubblica Mattarella al presidente della Conferenza Episcopale Italiana Zuppi - insieme a quella delle mille esperienze "di strada" presenti un po' ovunque in città, rimbomba in Italia e nel mondo suscitando una sensazione di grande positività.

O meglio, la Chiesa del tempo di papa Francesco, almeno in Italia, sembra riunirsi, accogliendo la chiamata a una vera e propria crociata di pace, incentrata sull'antimilitarismo, su una sorta di anticapitalismo riformista, sull'accoglienza illimitata dell'altro in quanto persona, sul sostegno a una democrazia che abbia come base la tutela del bene e dei beni comuni.

E' evidente che tali posizioni in parte spiegano l'opposizione crescente alla linea dell'attuale pontefice argentino. Posizionare la comunità cattolica sul fronte avanzato della giustizia e della libertà, privilegiando il sociale piuttosto che il privato, fa scattare immediatamente la reazione di chi ritiene che la Chiesa non si debba ridurre alla stregua di un qualsiasi partito politico, ma debba salvaguardare i valori fondanti della sua spiritualità. Il paradosso è abbastanza evidente: il Papa, richiamando una spiritualità cristiana molto profonda, più vicina al protestantesimo del XX secolo che al magistero dei suoi immediati predecessori, fonda l'impegno per l'Uomo - in tutte le sue dimensioni - sulla base del vangelo e viene accusato di materialismo. I suoi oppositori, richiamandosi a una lettura unilaterale dei testi fondanti e soprattutto a una tradizione della Chiesa decisamente vetusta e fuori dalla storia, lo accusano di trascinare la cristianità verso una vera e propria evaporazione.

E' molto significativa la vicenda della Madonna di Linz. Di cosa si tratta? Di una totalmente inedita, a parere di chi scrive meravigliosa opera d'arte che ritrae Maria nel momento del parto - sofferente come ogni altra donna, dentro le immagini e i colori dell'iconografia classica. Il vescovo di Linz l'ha fatta collocare nella grande cattedrale della città austriaca. Apriti cielo. Da una parte si è tuonato contro la bestemmia, dall'altra si è sostenuto la necessità di ripresentare la fede cristiana in  modo comprensibile al mondo attuale. La violenza di chi non ci sta - supercattolici tradizionalisti sostenuti dalle destre agnostiche europee - è arrivata fino a tagliare la testa della statua, un segno inquietante dell'ottusità ma anche della pericolosità di chi rimane ancorato a un passato che ormai non potrà mai più tornare.

La settimana triestina richiama tutto ciò e in fondo non c'è niente di nuovo. Il buon Cromazio fa costruire una nuova chiesa e nuovi mosaici sulla primitiva basilica teodoriana aquileiese perché i mosaici originari erano diventati scandalosi, troppo legati alla quotidianità per comunicare un Mistero che - almeno così la pensavano - con Teodosio aveva trovato modo di giungere fino a determinare la ordinarie vicende dell'uomo e della storia.

Papa Francesco riporta la chiesa alla dimensione delle origini e al centro della sua riflessione non c'è la teoria, ma la pratica, o meglio la prassi, come dicevano i dimenticati sociologi del '68 europeo. E' del tutto vero che in questo modo mina le fondamenta della chiesa imperiale postcostantiniana, ma è un rischio da correre. E non sarà indolore. Una chiesa che si china sulle ferite dell'umanità non avrà bisogno di fuffignessi come l'8 per mille o i mille privilegi tuttora esistenti. Entrerà sommessamente e semplicemente nella storia, riportando al cuore della democrazia la ventata di una Speranza trascendente e per questo incontrollabile, quella della vittoria definitiva della vita sulla morte. E' la forza di questa speranza a portare anche i cattolici a lottare per un'autentica democrazia, radicata nella ricerca di un'identità multipla ideale e svincolata dalla mera e squallida voglia di Potere.

Forse tra breve non avranno più senso le settimane "dei cattolici" e forse il gigantesco potere che ancora caratterizza la Chiesa in Italia e nel Mondo sarà messo in discussione e forse addirittura sarà spazzato via dalla storia. Sarà in quel momento che la testimonianza di chi crede nell'evento irripetibile della Risurrezione potrà ritrovare dentro e fuori di sé l'inarrestabile forza del potere dei senza potere. C'è ancora qualche passo da fare, ma il futuro è più vicino di quanto non si possa pensare!

martedì 2 luglio 2024

Un nuovo ruolo delle religioni per la pace

 

La parola Islam contiene la radice del termine shlm, nella quale è facile riconoscere il riferimento al concetto di "pace".

E' fin troppo immediato riconoscere come il testo sacro del Koràn, come tutti i fondamenti spirituali della religione musulmana, siano essenzialmente improntati alla realizzazione della pace interiore ed esteriore. 

Certo, come è accaduto e purtroppo ancora accade all'ebraismo e al cristianesimo, la traduzione dei principi spesso si è accompagnata a un'interpretazione restrittiva dei testi e soprattutto a una pericolosa politicizzazione della pretesa di essere detentori della Parola dell'Assoluto.

E' interessante notare che in ogni caso le tre vie religiose - sempre diversificate al loro interno da mille diverse concezioni e confessioni - sono accomunate dalla proibizione di nominare o farsi immagine del divino. Tale condizione dovrebbe preservare ogni potere umano dal pretendere di farsi incarnazione nella storia del Dio che invece trascende ogni spazio e ogni tempo. La dichiarazione dell'assolutezza e della non piena conoscibilità di Dio - qualunque nome metaforico gli si attribuisca - dovrebbe condannare qualsiasi imperialismo, ovvero qualsiasi pretesa dell'uomo di sostituirsi a Dio, con tutte le conseguenti tragedie.

Per millenni le religioni dell'assoluto si sono drammaticamente poste come ispirazione di mattatoi provocati dall'appartenenza all'uno o all'altro schieramento portante il vessillo "in nomine Dei". Negli ultimi secoli, con la creazione degli Stati Nazionali e con il diffondersi del veleno del nazionalismo, non ci si è più scannati "in nomine Dei", ma "in nomine Patriae", ovviamente come sempre con i poveri immolati sull'altare del Dio denaro dai pingui e felici sacerdoti del capitalismo. Le religioni sono diventate scuse piuttosto fragili, al punto da non saper coniugare appartenenza spirituale e nazionale, divenendo grottesco sostegno di eserciti formati da persone votate a diverse forme religiose, pronte a fare strage di "nemici" che utilizzavano (e utilizzano) armi benedette dalle guide delle stesse comunità religiose, cattolici contro cattolici, protestanti contro protestanti, cristiani romani contro cristiani uniati e ortodossi, musulmani contro musulmani e così via.

Cosa devono fare allora le religioni? Probabilmente prendere atto - senza drammi e forse anche con un senso di profonda liberazione - di essere state marginalizzate dal neoliberismo imperante. La loro forza potrebbe essere proprio al loro attuale debolezza. Potrebbero, rigorosamente insieme, rinunciando all'assolutezza del "proprio" Dio per accogliere con convinzione la consapevolezza della sua irriducibile e inconoscibile "unicità". E in questa rinuncia creativa le religioni possono portare effettivamente un messaggio di speranza, tanto più forte quanto più svincolato da interessi di parte.

Tale messaggio potrebbe incentrarsi su una parola cara a tutte le tradizioni mediterranee e non solo: la misericordia. Nell'Islam è uno dei tanti nomi di Dio (ma quello più vero nessuno lo può conoscere) e il termine arabo che lo rappresenta, corrisponde all'utero materno, il luogo attraverso il quale ogni essere umano è transitato per venire al mondo. L'annuncio di una dimensione di misericordia generativa potrebbe essere il fondamento di una nuova concezione dell'umanità e delle sue relazioni. Nel termine misericordia ci si può riconoscere tutti - credenti o non credenti - come espressione del bisogno profondo che alberga in ogni cuore e come atteggiamento di costruzione di una nuova società fondata sull'azione del "miseris cor dare".

Insomma, invece di temerlo e ostacolarlo, l'Islam richiede di essere conosciuto in tutte le sue espressioni e di non essere ridotto a una frangia di interpreti "violenti", infinitesimale frazione all'interno di un Oceano di profonda spirituale bellezza.

giovedì 27 giugno 2024

Mirt Komel a Medsočje, contemplando Il tiglio spezzato

 

Questo post ripropone un articolo scritto per il notevole settimanale Novi Matajur. E' l'occasione per segnalare un'interessante e bella lettura.

Introdotto da una spettacolare copertina, è stata infatti pubblicata l'edizione in lingua italiana del libro Il tiglio spezzato, del filosofo e scrittore Mirt Komel . L'autore di Nova Gorica, già conosciuto in Slovenia per i suoi pregevoli romanzi, può così essere apprezzato anche in Italia, grazie all'ottima traduzione di Miha Obit e alla disponibilità della piccola ma assai benemerita casa editrice Qudu di Gorizia.

Nell'originale, il testo si intitola Medsočje e si riferisce a un affascinante paesino della valle dell'Isonzo, dove si verificano diversi eventi che ne sconvolgono l'apparente serenità. Ci sono tutti gli elementi del giallo, con una scrittura lineare che rende l'intrigo avvincente. Non entrando ovviamente nella trama che coinvolge il lettore dalla prima all'ultima pagina, c'è da dire che il romanzo si presta a diverse letture.

La prima è storico filosofica, là dove i contesti immaginari intrecciano e trovano spessore nelle reali vicende quotidiane della Soška dolina e della Repubblica di Slovenia È interessante la descrizione di un presente complesso, sospeso tra un passato in grado ancora di essere divisivo e un futuro incerto. La domanda, classica ma in questo contesto originale, è quella di sempre, ovvero il senso stesso della realtà, ammesso che essa esista e in ogni caso se ne possa parlare.

La seconda è psicologica. Mirt Komel ci accompagna in una viandanza vertiginosa nei meandri del conscio, dell'inconscio e del subconscio. Si è costretti a immedesimarsi nei diversi personaggi e da ogni pagina si esce con la netta sensazione di essere parte integrante della vicenda narrata. Il "chi sono io?" rimbomba nella mente con il fragore di un’impetuosa cascata e obbliga non tanto a una risposta, quanto alla percezione consapevole della drammaticità, individuale e collettiva, della domanda.

La terza è paesaggistica e naturalistica. Per chi conosce e frequenta la valle dell'Isonzo non è difficile perdersi nella memoria e lasciare spazio alla creatività. Si accompagna volentieri il giornalista per le vie di una Medsoče che potrebbe essere Kanal, Tolmin oppure anche Spodnje Nehovo o qualche altro borgo abbandonato alle pendici del Korada. Si cammina per i boschi pieni di anfratti e nascoste sorgenti, ci si affaccia dai ponti della Soča (Isonzo), che scorre orgogliosa, incurante delle vicende degli umani e dello sfruttamento provocato dalle dighe e dagli scarichi industriali.

Sulla fragile linea di confine tra l’essere e l’apparire, tra l’io e la collettività, tra la natura e l’uomo, tra la vita e la morte, c’è anche la terra di nessuno dove si misurano, pur senza incontrarsi, il trascendente e l’immanente. Il “mistero” – nel senso etimologico del termine, “ciò di cui non si può parlare”, è in agguato, ma rimane ineffabile, in-comprensibile. Nella scrittura intelligente, profonda, libera e spesso molto divertente di Mirt Komel, si riscontra uno sguardo simpatetico e quasi amorevole su tutto ciò che è “umano”, nelle sue dimensioni del visibile e dell’invisibile.

Assolutamente da non perdere, cinque asterischi su cinque disponibili.

sabato 22 giugno 2024

Walk to Spirit, Iter Goritiense, il Cammino da Aquileia a Sveta Gora

 

Le foto sono di Mattia Vecchi
E' stato in questi giorni segnalato lo stupendo "Iter Goritiense", un percorso a piedi dalla basilica di Aquileia al santuario di Sveta Gora (Monte Santo).

L'iniziativa, chiamata Walk to Spirit, nasce nell'ambito degli small projects finanziati dal GECT/EZTS in vista dell'appuntamento del 2025 e unisce due realtà già profondamente unite da legami di collaborazione e amicizia. I due project manager sono Nace Novak e Mattia Vecchi, protagonisti anche della realizzazione della significativa segnaletica, durante la passeggiata sperimentale da giovedì 20 a domenica 23 giugno.

La prima tappa, da Aquileia a Sagrado, è abbastanza impegnativa, di circa 28 chilometri, con dislivello irrilevante. In questo primo tratto si indagano le RADICI storiche, culturali e spirituali di un territorio votato all'unità nella diversità fino dal primo millennio avanti Cristo. Si tratta di una zona nella quale culti religiosi ed espressione artistica si sono intrecciati mirabilmente, come testimoniato dai reperti custoditi nel Museo Archeologico e visitabili camminando nelle zone archeologiche. Particolare importanza riveste la storia del cristianesimo, con quello che forse è il primo sistema di culto pubblico cristiano al mondo, la prima chiesa di Teodoro costruita con i mirabili mosaici forse all'indomani dell'editto di Milano del 313. Da segnalare l'epoca dei martiri, in particolare con il passaggio attraverso le memorie di san Canzian d'Isonzo e le tracce del Patrarcato che nel medioevo e nel rinascimento è stato faro di cultura per tanti popoli dalle diverse lingue e culture. Ci si può godere anche la vista dell'Isonzo, il fiume ormai avviato verso la foce ancora lontana, dai mille colori e dalle invitanti spiagge di ghiaia.

La seconda tappa, da Sagrado a Mirenski Grad, di 23 chilometri con un dislivello complessivo di circa 600 metri in salita, consiste nel suggestivo attraversamento del Carso Goriziano. Si possono contemplare i luoghi delle ferite e delle CICATRICI. Le trincee della prima guerra mondiale si alternano alle pietraie sconvolte dalle granate, i paesi testimoniano storie di distruzione ma anche volontà di ricostruzione, sembra di sentire con il rumore delle esplosioni anche la voce della letteratura e della poesia, Ungaretti, Voranc, Hemingway e tanti altri. Dopo i paesi di san Martino e di Vrh (San Michele) si scende nel Vallone, per risalire tra arbusti e vegetazione lussureggiante, verso il confine con la Slovenia e l'ultima parte del cammino, sperimentando con inquietudine anche i passi nelle zone sconvolte dagli incendi dell'estate 2022. Ferite inferte tra "uomini contro" e ferite della Natura trovano pacificazione nel Monumento di Cerje, con la memoria del cammino storico del popolo sloveno e dei primi movimenti antifascisti in Europa (TIGR). Una breve ripida discesa e si è a Mirenski Grad, dove rifocillarsi e trovare riposo.

E' tempo di incamminarsi verso "le" Gorizia, dove, insieme alla capitale europea della cultura, si può contemplare la bellezza della RINASCITA. La terza tappa è decisamente più breve delle prime due e consiste in una piacevolissima camminata dapprima superando e costeggiando la Vipava (Vipacco), poi attraversando il centro storico di Miren, vedendo il cimitero un tempo tagliato in due dalle assurdità del Trattato di Parigi (1947), affrontando poi l'amena campagna goriziana, tra orti e campi coltivati. Si arriva dopo 8 chilometri a Šempeter, in tempo per gustarsi qualche bel Tone Kralj nella parrocchiale e per ritornare in terirtorio italiano nel parco Basaglia. Dopo il giusto e universale omaggio al demolitore dei muri che circondavano i manicomi e all'inventore del welfare di comunità, i non locali non possono evitare di seguire un'importante proposta di transito cittadino, incontrando i principali luoghi della cultura e dell'arte, giungendo, dopo 13 chilometri (gli ultimi cinque dedicati alla visita alla città antica), nel piacevole rifugio della centrale Casa dello studente/ex Seminario diocesano.

L'ultimo giorno si sale. Sempre per i non locali, il consiglio è di visitare un'altra parte della città, poi salire al castello, scendere al Rafut e risalire allo storico santuario di Kostanjevica, per giungere poi nel cuore della Nova Gorica e scoprire buona parte degli stili urbanistici internazionali della seconda metà del XX secolo. Dopo un'imperdibile visita alla piazza Transalpina/Trg Evrope, si giunge a Solkan e si attraversa due volte la Soča/Isonzo, prima sulla passerella ciclabile, poi sul ponte cosiddetto di Osimo, con scorci indimenticabili. Dalla piazza della ritrovata Solkan, si sale decisamente verso il monte San Gabriele, si attraversa poi in costa fino al Preval e si sale finalmente verso Sveta Gora, il punto d'arrivo dal quale si può contemplare a ritroso l'intero cammino percorso, poco più di 80 chilometri e, nell'ultimo tratto, almeno 600 metri di dislivello, quelli dell'ultima bellissima ascesa. Sul monte, oltre alla basilica del santuario, ci si può ricreare con la visita all'appena inaugurato - nell'ambito dello stesso progetto - centro di accoglienza Mir in Dobrro (Pace e Bene), ottimo ostello e porto di spiritualità. 

Dall'alto è ancora più chiaro il perché della scelta del logo, da una parte il richiamo a uno dei più frequenti mosaici aquileiesi, il nodo di Salomone, dall'altra al miracolo dell'unità nella diversità, due corde intrecciate che mantenendo la loro specificità formano una nuova figura geometrica. Proprio come sono Nova Gorica e Gorizia, capitale congiunta della cultura europea 2025, ma anche - si auspica - capoluogo dell'accoglienza, della giustizia e della pace. Il camminatore, viandante o pellegrino che sia, sarà accompagnato in tutti i suoi passi da questo segnale, dal quale sarà confermato di essere sulla giusta strada e che in certo momenti sarà tenuto a cercare con attenzione, per non perdersi nelle lande della pianura o tra gli innumerevoli viottoli del Carso. Il progetto Walk to Spirit prevede, nel prossimo anno e mezzo, anche una serie di momenti artistici e musicali, oltre a dialoghi sul presente e sul futuro dell'Europa, il primo dei quali, curato da Stojan Pelko, Fabiana Mertini e Pater Karel Gržan, si è già tenuto proprio nel Santuario con gran concorso di pubblici ed entusiasmo degli ascoltatori. Non resta che augurare a ciascuno e a tutti un Buon Cammino, fisico ed esistenziale!

martedì 18 giugno 2024

Perché il male? L'insolvenza della domanda...

 

Su una domanda si infrange la teologia, intesa nel senso letterale come "discorso su Dio".

La domanda è il perché dell'esistenza del male. Si intende il male fisico, la sofferenza dell'anima, il dolore esistenziale, il male morale che ha singolarmente lo stesso nome di quello fisico.

Se c'è un elemento che congiunge ogni essere vivente, di ogni genere e specie, è proprio la sperimentazione del male, subito o provocato che sia.

Se in qualche modo ce la si può cavare con la responsabilità umana, quando ci si riferisce alla guerra, alla fame o alle torture persecutorie, la scorciatoia non porta da nessuna parte quando si pensi alle inevitabili apparenti bizze della Natura, alle malattie che devastano il corpo e l'anima, alla morte dei bambini tra atroci spasmi.

E' logico che di fronte a tutto questo ci si chieda perché. E' meno logico pretendere che a questa domanda ci sia una risposta. Forse le religioni, con i loro complessi sistemi rituali-mitologici-morali riescono a dare delle provvisorie spiegazioni generali, attribuendo ciò che accade a un disegno provvidenziale che sfugge all'umana comprensione. Il cristianesimo si fonda sulla realtà di una condivisione del dolore fino al momento supremo della morte, anzi, perfino all'abbandono stesso del divino generatore dell'essere. Ma proprio tale affermazione proietta la soluzione della questione in una dimensione irraggiungibile dalla ragione. L'abbandono nel Dio che abbandona è un atto di fede illimitato, se non irrazionale almeno transrazionale, là dove negazione e affermazione fondamentalmente coincidono. Nella contemplazione dello Stabat Mater si congiungono compenetrandosi la più radicale esperienza di fede e il più convinto ateismo filosofico.

La debolezza delle religioni storiche sta forse proprio nel tentativo impossibile di razionalizzare l'esperienza del sacro, nel senso di rifiutarla proprio nel momento in cui la si riporta dall'orizzonte originario del tremendum et fascinans a quello ben più controllabile del dogma, della dottrina, della regola. In questo modo la religione diventa un formidabile strumento di consolazione, cancellando alla radice la tragicità dell'interrogativo esistenziale, ma anche di oppressione, vincolando la concezione del divino a un'unica visione umana e attribuendo a posizioni essenzialmente immanenti la potenza indiscutibile dell'irruzione dell'Assoluto. Il relativo si riempie di assoluto e diventa a sua volta assoluto, totalitario, in permanente scontro dialettico con la concorrenza delle altre religioni.

Non può non essere così e se anche nella società meno secolarizzata di quanto non sembri, diventa imperativo categorico il dialogo tra le religioni alla ricerca di un incontro sul punto di scaturigine comune, tale impresa risulta destinata al fallimento per un unico decisivo motivo. Il fondamento delle sacre scritture, delle regole etiche, dei miti e dei riti, non può essere raggiunto dalla ragione, può essere attinto esclusivamente nel fondo dell'anima (Maister Echkart!), là dove ogni ragionamento viene annullato dalla luce in-conoscibile della fede. E' il divieto di nominare il divino presente nelle religioni cosiddette  rivelate che paradossalmente da una parte postulano l'essere totalmente altro di Dio, dall'altra pretendono di rivelarne la volontà non solo relativamente alle grandi linee della creazione, ma anche all'esperienza storica e quotidiana di ogni essere vivente.

Ordunque, la domanda sul perché dell'esistenza del male non può trovare risposta nelle religioni. Anzi, non può e non deve trovare alcuna "risposta". Affermare questo è l'unico modo per "salvare Dio" ed evitargli un catastrofico processo da parte delle miliardi di vittime di un universo ritenuto finalizzato. Se Dio non c'entra, non c'è bisogno di mettere sotto processo nessuno, basta solo ergere la propria dignità di fronte alla tempesta del dolore cosmico e affermare che la grandezza dell'uomo, anzi di ogni vivente, sta nell'esserci, senza spiegazioni, consolazioni o recriminazioni, se non quelle da rivolgere con forza ai propri simili. Sì, perché se ciò che accomuna così drammaticamente l'umano è il mistero della sofferenza globale, il fondamento di ogni etica non è da ricercarsi nel trascendente, ma nell'immanente. E' l'impegno a lottare contro il male fisico e morale, con tutte le proprie forze, l'indignazione per la violenza e la guerra, l'azione convinta e indefessa a cercare di vincere quotidianamente le piccole battaglie, ben sapendo di dover soccombere, a testa alta e con il coraggio della speranza, nella madre di tutte le battaglie, quella contro la morte.

Oltre la quale tutto sarà finalmente chiaro. E Dio continuerà a essere, ma come era, è e sarà, al di là di ogni spazio e di ogni tempo.