Buon 25 aprile. Come ogni anno, sono indispensabili la memoria del passato, l'analisi del presente e la prospettiva per il futuro. Propongo alcune riflessioni, per un necessario confronto. Il testo è lungo e la lettura richiede tempo e pazienza. Un pensiero grato a tutte e tutti coloro che hanno dato la loro vita per la nostra libertà.
Celebriamo oggi la Festa della Liberazione. Celebrare,
etimologicamente, significa compiere un atto che prevede il concorso di molta
gente. Una festa, parola che proviene sempre dal latino, significa momento di
gioia, di profonda letizia. Il concetto di Liberazione deriva dal verbo latino
libet, che significa “mi piace”, sono contento perché posso agire secondo il
mio desiderio. E, in quanto tale, è il contrario di schiavitù, che significa
proprio non essere in grado di poter agire secondo la propria volontà.
Dunque, siamo qua in tanti a gioire insieme perché possiamo
vivere in un contesto nel quale siamo liberi di pensare, parlare e agire in
modo corrispondente al nostro desiderio.
Ogni festa si colloca sempre in un presente, sospeso tra un
passato che la giustifica e un futuro che da essa viene in qualche modo
significato.
Per quanto riguarda il passato, la festa della Liberazione è
la riproposizione del racconto di ciò che ha dato fondamento e stabilità a
quasi 80 anni di storia italiana. Ci si riferisce anzitutto alle partigiane e ai
partigiani, che con il loro sacrificio hanno riscattato la vergogna di un’Italia
umiliata e vilipesa dal criminale miscuglio di violenza, razzismo e guerra nel
quale Mussolini e il regime fascista l’hanno trascinata. Sono donne e uomini
che, in particolare dopo l’8 settembre 1943, hanno impegnato la loro vita e
spesso versato il sangue, per affiancare chi già stava combattendo contro il
nazifascismo e spalancare alle generazioni successive la strada della democrazia,
della giustizia e della libertà.
Ogni anno il 25 aprile, data simbolica legata
all’insurrezione di Milano, nelle città e nei paesi la gente si incontra per
rinverdire il ricordo della Resistenza, ma anche per ribadire la necessità che
l’antifascismo sia esplicitamente riaffermato. Il no al fascismo deve essere
proclamato con forza, non soltanto come contrasto a un determinato sistema di
potere, ma soprattutto a una mentalità che si sta purtroppo diffondendo in modo
subdolo e sottile anche tra le pieghe delle istituzioni, attraverso un perverso
negazionismo che tende a confinare in un remoto passato ciò che invece da un
momento all’altro potrebbe di nuovo manifestarsi. Non si può negare che i riti
legati al 25 aprile, nel corso degli anni e soprattutto in Italia, si siano generalmente
un po’ appassiti. Da una parte la progressiva scomparsa dei protagonisti della
Resistenza ha indebolito l’efficacia di un messaggio particolarmente
avvincente, quando trasmesso attraverso la testimonianza diretta. Dall’altra
una ventata di revisionismo storico ha portato a idealizzare una falsa idea di
riconciliazione, tentando di equiparare perniciosamente vittime e oppressori.
Per quanto riguarda il presente, ci sarebbe quest’anno
davvero poca voglia di festeggiare. La festa della nostra Liberazione che
coincide con la memoria della fine della seconda guerra mondiale, cade in un
momento nel quale la schiavitù e la guerra sembrano parlare con una voce più
alta che mai. E’ la schiavitù della fame, dell’analfabetismo, della miseria che
attanaglia quattro quinti dell’umanità e che costringe milioni di donne, uomini
e bambini a mettersi in cammino alla ricerca di un possibile futuro. Ricevono
in cambio ovunque – anche nel nostro sedicente civile Paese - porte chiuse in
faccia, respingimenti, reclusioni negli orribili centri per il rimpatrio, veri
e propri lager come quello a noi geograficamente vicino di Gradisca. E’ la
guerra che si combatte nel mondo da sempre – si parla di circa quaranta
conflitti combattuti nel mondo, accompagnati per lo più dal generale silenzio
dei media – e che ora ci preoccupa perché sentiamo più vicine le inutili stragi
tra Russia e Ucraina, gli attentati sanguinosi di Hamas, il genocidio
perpetrato da Israele nei confronti dei palestinesi di Gaza.
Come far sì allora che la festa della Liberazione torni a
essere sentita come lo era un tempo? Come far parlare le ragioni
dell’antifascismo nell’attuale preoccupante situazione planetaria. Provo a
delineare alcune proposte concrete, certamente non scontate e offerte a una
discussione che non è mai senza se e senza ma, ma che sempre ci impone di
scegliere da che parte stare.
Per quanto riguarda i diritti dei migranti, occorre aderire
con convinzione ai progetti di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo che
funzionano bene, anzi molto bene, come posso testimoniare avendo realizzato un
importante progetto sprar nel periodo in cui sono stato sindaco ad Aiello del
Friuli. Portare la presa in carico di piccoli gruppi di persone in seno ai
Comuni, con l’aiuto di enti competenti preposti all’azione, significa costruire
percorsi di reciproca conoscenza, efficace sostegno e piena integrazione
costruttiva tra i nuovi venuti e i residenti storici, in un circolo virtuoso
capace di far crescere la comunità civile in modo armonico e, oserei dire,
entusiasmante. Non basta dire che si è d’accordo con un umano trattamento delle
persone. E’ necessario aderire agli strumenti di liberazione e di
coinvolgimento che – un tempo chiamati appunto sprar – oggi portano il nome di
Sai, Servizi di Accoglienza e Integrazione.
Riguardo alle guerre, anche qua fare memoria della festa
della Liberazione significa ribadire il ripudio della guerra, in tutte le sue
forme e dimensioni. La Giornata odierna ci invita a non proclamare sterili
invocazioni a una pax generica e insostenibile, ma ad adoperarci in tutti i
modi perché immediatamente cessi il fuoco ovunque. Cessi in Ucraina, dove, dopo
due anni caratterizzati da decine di migliaia di soldati e civili uccisi,
sembra che ci si trovi ancora al punto di partenza. L’Unione europea e gli
Stati Uniti sembrano finora non aver trovato nessuna altra strada di soluzione
che non fosse l’invio di micidiali armi, la cui conseguenza è stata soltanto
quella di un prolungamento a tempo indeterminato del conflitto. E’ urgente che
si ascoltino le parole dei pochi saggi che, come papa Francesco, continuano a
proporre il negoziato come unica arma in grado di far vincere la guerra alle
povere vittime e no agli squallidi interessi dei vari protagonisti di questo
tragico teatrino.
Lo stesso vale – a maggior ragione – per il terribile
massacro di Gaza. Non si tratta certo di criminalizzare l’ebraismo, al
contrario è proprio un antidoto al veleno funesto dell’antisemitismo dichiarare
che ciò che sta accadendo a Gaza è inaccettabile. Il carico immane di
sofferenza che scaturisce dalla morte di decine di migliaia di persone inermi,
tra le quali tantissimi bambini, non può essere né giustificato né compreso,
neppure alla luce degli esecrabili attentati di Hamas contro giovani
colpevoli solo di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Tacciano
subito le armi, vengano rilasciati tutti gli ostaggi, cessi immediatamente il
bombardamento sistematico e anche qua, una volta per tutte, ci si sieda intorno
al tavolo delle trattative per trovare insieme, con la forza dell’intelligenza
e della diplomazia, il bandolo per districare l’aggrovigliata matassa. E’
urgente farlo, ma senza le armi, la cui produzione, vendita e utilizzo fanno
sorridere una manciata di approfittatori e getta nel dolore interi popoli.
Rinverdire la Festa della Liberazione significa ritrovare la
forza e la convinzione di chi non si sente impotente, di chi crede che è ancora
possibile cambiare registro, di chi pensa che l’essere umano ha tutte le
potenzialità per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, la
violenza in autentica pace. Abbiamo tutto il diritto e anche il dovere di
affermarlo in una terra che per tanti anni ha visto scorrere fiumi di sangue
sulle nostre colline e montagne, ma ora si appresta a diventare addirittura
capitale europea della Cultura. Dedichiamo ai partigiani sloveni e italiani
questo straordinario onore che l’Europa riserva a Nova Gorica con Gorizia e
tutti i comuni vicini. Lo dedichiamo a loro, perché siamo certi che sia questa
cultura dell’amicizia, della reciproca comprensione, della valorizzazione delle
diversità, l’obiettivo che si prefiggevano quando combattevano e quando
morivano per tutti e per ciascuno di noi.
Viva la Resistenza, vivano i partigiani, vivano la giustizia, la pace e la libertà.