martedì 31 dicembre 2024

L'anno che se ne va...

 

Si conclude il 2024, anno bisestile come il difficilmente dimenticabile 2020. Infatti i pensieri finali riportano alle situazioni di guerra e di sofferenza che colpiscono una parte del Mondo e che preoccupano l'altra.

Ci si lascia alle spalle un periodo di incertezza e per molti di paura, con le purtroppo consuete immagini di morte e di distruzione, di mancata accoglienza e di crisi profonda di autenticità e di umanità.

E' stato comunque un anno di Vita, un'occasione quotidiana per vivere a ogni livello l'esercizio solenne della Responsabilità morale, scegliere l'amore invece che l'odio, il perdono invece che la vendetta, la solidarietà invece dell'egoismo, la delicatezza invece che la violenza, la pace invece che la guerra. A volte ci si riesce, a volte no. La parola più ripetuta in questo ultimo scorcio di anno solare è Speranza. Ecco, forse è proprio la Speranza la virtù capace di orientare la bilancia verso il bene piuttosto che verso il male.

E con la Speranza, dentro ogni realtà, rinasce il sentimento della Gratitudine. Grazie perché in ogni caso la Vita c'è e continua; e perché essa impegna chiunque ne sia coinvolto ad alleggerire il dolore del Mondo e a gustare il dono della Natura e dell'incontro con l'Altro. Sempre e ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte. 

domenica 29 dicembre 2024

Tra remissione dei debiti e liberazione dei prigionieri

Nel corso di un'articolata celebrazione, iniziata nella chiesa dei Cappuccini e conclusa nella Cattedrale di Gorizia, è stato ufficialmente aperto oggi il Giubileo del 2025 in ambito diocesano.

La riflessione sulla Speranza è stata il filo conduttore del momento iniziale, come della Messa presieduta dall'Arcivescovo Redaelli che nella sua interessante omelia ha richiamato i fedeli alla dimensione della remissione del debito, quello contratto con sé stessi e quello degli uni nei confronti degli altri.

In questa apertura dell'anno santo, c'è qualcosa che sfugge. I riti sono molto potenti, quelli presieduti da Francesco in Vaticano e soprattutto a Rebibbia, come il pellegrinaggio per le vie della città compiuto oggi a livello locale. Ma non si riesce a cogliere fino in fondo il nesso tra la dimensione legata alla contemplazione del Mistero del trascendente, come fondamento spirituale assoluto della Speranza e quella immanente, determinata dalla sempre contingente traduzione in gesti e azioni conseguenti.

E così, un evento simbolicamente potente come quello di un Papa che chiede di entrare nella "porta santa" di Rebibbia, rimane sospeso tra lo stupore di una Chiesa che vuole "farsi prossimo" dei detenuti e la constatazione che quell'apertura potrà servire solo a far entrare il pontefice e i suoi collaboratori, non certo per far uscire coloro che sono reclusi. L'annuncio della liberazione dei prigionieri rimane per così dire "imprigionato" nella sfera dello Spirito, mentre non parla alla "Carne" del detenuto. Oppure viceversa, il messaggio assume una forte valenza politica di (irrealizzabile purtroppo) abbattimento dei muri della prigionia, perdendo nel contempo la libertà dello Spirito che "soffia dove vuole". 

E' simile l'impressione suscitata dalla sosta davanti alla casa circondariale di Gorizia. Da una parte si è vista una processione che più tradizionale di così non si può, litanie antiche ad accompagnare una croce sballottata di qua e di là dai portatori che non sembravano conoscere il programma del percorso, Arcivescovo in paramenti da celebrazione con mitria sul capo e pastorale tra le mani, monsignori impettiti con tanto di cappelli rossi a pon pon. Dall'altra il semplice tocco della mano del celebrante sul portale di ferro, l'aprirsi e il comparire di un detenuto insieme a don Alberto e a don Paolo, la sua lettura del Vangelo - timido e fragile - sulla liberazione degli oppressi nel Giubileo della misericordia del Signore, un breve saluto e il rinchiudersi secco e risonante del portale, chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori. Sarà perché nessuno si è premurato di spiegare l'importanza del momento, sarà perché la cortina dei giornalisti e dei fotografi ha sottratto ai più la partecipazione ai gesti, sarà perché si è voluto mostrare una Chiesa sulla soglia ma non l'uscita di coloro che sono rinchiusi, fatto sta che molti presenti erano visibilmente commossi, ma senza sapere perché. 

"Che bel gesto, emozionante e commovente!" "Già, ma cosa cambia?" "E cosa dovrebbe cambiare, mica vorrai che tutti quelli che hanno commesso reati vengano liberati?" "E allora, che senso ha questo gesto?" "Dare a loro speranza..." Ecco alcuni sprazzi dei commenti della "cente".

Ecco, per essere costruttivi e per cercare di tradurre il gesto spirituale in proposta concreta: questo anno santo potrebbe servire per facilitare i permessi d'uscita agli ospiti del carcere goriziano; per favorire la creazione di comunità dove svolgere pene alternative al carcere, necessariamente per pene inferiori ai tre anni, possibilmente anche per quelle superiori; per istituire urgentemente - atto semplicissimo da realizzare, in quanto senza oneri per l'amministrazione! - il GARANTE PER I DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA' INDIVIDUALE, con bando pubblico bandito immediatamente dal Comune di Gorizia; per chiudere il CPR di Gradisca d'Isonzo e tutti i CPR Lager presenti in Italia; per creare una piccola comunità di detenuti nell'ex seminario di Gorizia, facendo di loro degli ottimi "hospitaleri" per i giovani in cammino sull'iter goritienese o sui mille percorsi a piedi e in bicicletta che intersecano il territorio.

Insomma, c'è bisogno di riconciliare trascendenza e immanenza, senza confonderle, ma anche senza collocarle una accanto all'altra in modo poco comprensibile. In fondo, è un bel compito che può essere svolto in questo anno giubilare che per Gorizia - non è mai da dimenticare - sarà anche quello della compartecipazione a Nova Gorica, capitale europea della Cultura 2025.

sabato 28 dicembre 2024

L'assurdità della guerra in una pittura parietale sotto il Krn

 

Questa semplice pittura parietale è stata realizzata tra il mese di giugno 1915 e il novembre 1917. E' raffigurata una Pietà, con uno sfondo celeste, nel quale rilucono le stelle, forse la luna e in alto il sole. E' meno celebre di quella di Michelangelo, ma non suscita minore emozione, in quanto l'ignoto pittore è stato un soldato italiano che ha voluto decorare la chiesetta dedicata alla Consolatrice degli afflitti, sulle pendici del Monte Krn, in un sito che richiede un paio di ore di cammino per potervi arrivare.

La cappella ospitava i soldati che si ritrovavano a pregare, guidati da cappellani militari giovani quanto loro, che li confortavano con sagge e prudenti parole e benedivano le loro armi, sperando che fossero efficaci e che i militi non cadessero sotto i piombo degli avversari.

A pochi chilometri da questo luogo, nel quale il pensiero struggente va a una generazione falciata dalle decisioni di pochi politici inamidati e dalle strategie di generali incoscienti, c'è un'altra chiesa suggestiva, quella di Javorca. Essa è più nota, addirittura è segnalata come patrimonio culturale europeo. E' stata edificata durante la prima guerra mondiale dai combattenti sotto l'esercito austro-ungarico. In essa si ritrovavano a pregare guidati da cappellani militari giovani quanto loro, che li confortavano con sagge e prudenti parole e benedivano le loro armi, sperando che fossero efficaci e che i militi non cadessero sotto i piombo degli avversari.

Insomma, cattolici contro cattolici, benedizioni richieste allo stesso Dio, invocazioni di preti della stessa confessione affinché gli uni si potessero salvare a discapito degli altri.

Pochi punti del nostro territorio di confine raccontano in modo più forte l'assurdità dell'inutile strage. Questi sprazzi di bellezza, quasi macchie di colore nell'oscurità della tragedia assoluta, sembrano celare infiniti tesori nascosti, gli ultimi istanti di umanità prima della brutalità dell'assalto, il pensiero mesto alle proprie famiglie e al tradimento di una vita stroncata all'alba del suo realizzarsi. Parlano dell'orrore degli amici fatti a pezzi, del sangue e del terrore, ma anche della forza e del coraggio, spesso del rifiuto di uscire dalla trincea, magari confidato segretamente al proprio Dio prima di essere falciati dalle raffiche dei carabinieri delegati a uccidere quelli che a quel tempo chiamavano i "disertori".

Oh, se queste due chiesette potessero parlare, gridare all'Europa e al Mondo l'ingiustizia della guerra, della fame, della persecuzione! Se potessero arrivare a suggerire al cuore di chi ancora crede che le armi possano risolvere i conflitti del mondo, di chi massacra senza pietà gli innocenti di ogni tempo per garantirsi una presunta sicurezza presente e futura! Se potessero svelare i segreti gelosamente custoditi, le ultime riflessioni, gli ultimi battiti del cuore, le ultime memorie di un amore che non si sarebbe mai più realizzato!

giovedì 26 dicembre 2024

Una Chiesa che cambia?

 

Francesco, vescovo di Roma, ha avviato ufficialmente l'Anno Santo, la notte di Natale, aprendo la porta di San Pietro in Vaticano. E' il "pontefice", cioè "colui che costruisce ponti" e in effetti i suoi gesti e le sue parole sono improntate dal desiderio di costruire ponti di fraternità fra le persone, i popoli e le nazioni.

L'immagine del papa in carrozzina che spinge delicatamente il portale della chiesa cattolica più grande e importante del mondo è molto suggestiva. La debolezza fisica amplifica il messaggio inviato a ogni abitante del mondo, mentre la gigantesca coreografia rinascimentale sembra volerlo soffocare, ridurlo a un flatus vocis incapace di varcare le barriere degli interessi politici ed economici planetari.

Francesco parla del dolore del mondo e la sua voce riesce a raggiungere ogni angolo perché diffusa dai media gestiti dallo stesso Potere che determina le guerre, gli squilibri economici e la divisione tra pochissimi straricchi e una moltitudine immensa di strapoveri. La forza della sua denuncia è indebolita dal pulpito dal quale parla, quello di una cattolicità ancora enormemente impregnata di quello stesso immenso Potere che le ha permesso di sopravvivere e di attraversare 1700 anni di storia.

Probabilmente il papa se ne rende conto e infatti sembra più interessato a inviare accorati appelli al Pianeta minacciato che a trasformare l'istituzione ecclesiale della quale è a capo. In altre parole, parla con la forza della sua debolezza e trascura la debolezza della forza, cioè della struttura sostenuta da un miliardo di fedeli che appare sempre più come la gigantesca barocca facciata di un edificio ormai vuoto.

E' un pastore inascoltato che vuole proteggere il gregge dai lupi del presente? O è una pecora che veste la pelle del lupo per evitare all'umanità di essere sbranata? Si può usare ancora usare la metafora del buon pastore che entra per la porta giusta dell'ovile e del nemico che invece entra dalla finestra per rapire e distruggere? Fino a che punto la parola di una pecora-lupo può essere effettivamente compresa e raccolta, senza rischiare la completa inincidenza? Se fosse davvero solo pecora, sarebbe sicuramente sbranata insieme all'intero gregge? 

Tutto ciò per dire che Francesco dice parole da condividere e da comunicare ovunque, ma che la Chiesa della quale è guida suprema e assoluta deve cambiare. Le sue strutture, la visione teologica, il diritto canonico sono aggiornati, nel migliore dei casi, al Concilio Vaticano II. I documenti dell'assise di ormai 60 anni fa sono il frutto di una specie di compromesso tra "progressismo" e "conservatorismo", per cui ciascuno può trovare in quei testi conforto alle proprie tesi. E così la vita pastorale ordinaria scorre per lo più nella stessa direzione di cento anni fa, i sempre meno cosiddetti praticanti partecipano a una messa domenicale noiosa e ripetitiva, seguono schemi stantii dove ancora i sacramenti fungono da antropologici riti di iniziazione in una società ormai totalmente laicizzata, pluriculturale e plurireligiosa.

Il mondo in questi ultimi 60 anni è radicalmente cambiato e non occorre essere sociologi o analisti politici per potersene rendere conto. La globalizzazione, internet, i grandi movimenti di popoli alla ricerca di pane e pace, le guerre tecnologiche, il cambiamento climatico non inducono immediatamente a una visione di speranza. Le religioni e in particolare i cristianesimi potrebbero portare davvero una ventata di trascendenza, un altro punto di vista sulla realtà capace di rovesciare le carte e di aprire nuove inattese porte. Ma occorre superare il rischio della formalità, altrimenti anche l'apertura dei cancelli santi di Rebibbia rischierebbe di risultare un gesto soltanto simbolico se non fosse accompagnato dalla concreta liberazione di coloro che, in ogni parte del mondo, sono paralizzati dalle catene della prigionia e della schiavitù.

Il papa giustamente addita l'anno del Giubileo del 2033, memoria dei 2000 anni dalla Pasqua di Risurrezione, come tappa di verifica degli auspici che l'Anno Santo della Speranza 2025 porta con sé. E' necessario tuttavia che la chiesa cattolica per prima si aggiorni, con la possibilità di trasformarsi fino al punto da mettere in discussione i suoi stessi capisaldi. E' tempo di un nuovo Concilio, veramente "ecumenico" come quelli dei primi secoli. Se ciò accadrà, nella prossima occasione giubilare non si percepirà probabilmente soltanto la forza della debolezza di un uomo anziano in carrozzina che grida al mondo il proprio desiderio di pace,  ma quella di una Chiesa che ha rinunciato al proprio potere e alle propri strutture, per testimoniare come un altro mondo sia veramente possibile, la civiltà della pace e della giustizia. E' la riscoperta della forza travolgente del martirio, l'estrema debolezza dell'apparente perdente che mette in crisi, nell'azione nonviolenta impregnata dall'amore, uno dei più grandi imperi che la storia ricordi.

lunedì 23 dicembre 2024

Buon Natale, Vesel Božič 2024

 

Il bosco rappresenta l'essenza della vita. Ogni albero racconta una lunga storia individuale e nello stesso tempo fa parte di una vicenda collettiva. Genera ossigeno, rende possibile la vita, manifesta segreti meravigliosi ai cinque sensi di chi sa vedere, ascoltare, toccare, annusare, gustare. L'oscurità invita alla contemplazione del mistero e gli sprazzi di luce consentono di superare atavici timori. Il bosco è abitato da tanti animali, piccoli e grandi, parla al cuore con l'aiuto del vento, sussurra dolci poesie piene d'amore. Ci sono anche le fate, gli gnomi, facile incontrarle presso una cascatella gorgogliante e dietro la perfezione delle ragnatele intessute da straordinari tessitori. A volte il bosco si trasforma, quando è minacciato dall'uragano o quando sente sopravvenire la fine perché il suo più accanito nemico, il fuoco, cerca di divorarlo seminando strage. Allora la pace si trasforma in terrore, la soave percezione della trascendenza in angosciata illusione di potersi salvare.

C'è poi la Donna e con lei la permanenza della Vita. La dolcezza dello sguardo e la potenza della maternità, l'amore senza confini e l'immensità del dono, la debolezza della quotidianità e la forza inarrestabile della giustizia. E c'è l'Uomo, il sorriso timido, l'ingenuità dell'inconsapevolezza, la paura della guerra e la desolata passività davanti alla violenza cieca, l'asino che cerca di correre portando in salvo il figlio, mentre alle loro spalle il lugubre urlo della strage degli innocenti.

E infine c'è il Bambino, ai limiti della foresta, messaggio divino incomprensibile, se non fuori dallo spazio e dal tempo. Nello stesso tempo è un messaggio umano, la maestà della Nascita, subito custodita dalla Donna e dall'Uomo, nello stesso istante minacciata dai meandri incontenibile del Caos e dalle sempre evidenti mire dell'effimero Potere. Il re dei re, infinito ed eterno, si scontra con l'effimero re degli umani e lasciarci le penne sono i poveri bimbi di Betlemme. Rachele piange i suoi figli, perché non sono più.

La foresta è il luogo della pace, la culla dell'esistenza ritrovata. Ma la foresta nasconde anche le armi con le quali si scatenano le guerre. Il bambino sta in mezzo e vede attonito i missili che scavalcano la sua mangiatoia e annichiliscono i neonati di Gaza, cancellano i giovani russi e ucraini, uccidono e devastano villaggi e città. Oppure è sulla sella di un animale da soma, con la Madre e il Padre che fuggono e non trovano alloggio, vengono rispediti al mittente, non hanno permessi di soggiorno, ma solo l'onta di dover tornare indietro, fuggiti dalla fame e dalle bombe per esser ricacciati nella fame e sotto le bombe.

Difficile credere nel principe della Pace in tempi cupi, più utile forse contemplare con orrore le piaghe di coloro che sono morti, al posto di Gesù bambino. Difficile, ma non impossibile, se dal piano razionale ci si eleva a quello sovrarazionale e si percepisce nel bosco non l'intrico dei rami ma l'aria che si respira. E' forse questa la Speranza, la capacità di guardare oltre il velo della lettera, per scoprire lo Spirito che soffia nell'oscurità. Lo Spirito non trasforma la storia, ma penetra nei viventi e dona a essi il respiro. Ciascuno può fare la sua parte e portare una minuscola tesserina nel mosaico della Pace, sostituendo con essa la pietra annerita dalla cattiveria, dall'ottusità, dalla brama di ricchezza e di potere. E chissà, milioni, miliardi di tesserine potrebbero anche comporre il nuovo, meravigliosa mosaico dell'Umanità.

sabato 21 dicembre 2024

La Stazione del Sole

 

Oggi, 21 dicembre, alle ore 10.20, il Sole raggiunge la "stazione". Il suo percorso apparente nell'orizzonte celeste raggiunge il punto estremo. Si ferma, per così dire, per iniziare il suo cammino di ritorno che durerà circa sei mesi. "Stazione del Sole", questa potrebbe essere una traduzione del termine "Solstizio".

Fin dalla più remota antichità, nell'emisfero Nord, questo momento si carica di significati simbolici e fonda la mitologia religiosa.

L'inizio dell'inverno porta con sé una duplice suggestione, da una parte suggerita dall'apparente morte della vegetazione, dall'altra dalla consapevolezza che proprio dentro questa fine si nasconde il nuovo inizio. In breve tempo il Sole si rialzerà sull'orizzonte, le giornate torneranno a essere più lunghe, il freddo sarà meno intenso. Ma tutto questo sul momento non si può percepire, il seme che riposa sotto la coltre della neve, il gelo che intristisce l'animo, l'oscurità che sembra avere ancora per qualche istante il sopravvento.

Come non collegare gli espliciti suggerimenti della Natura con la speranza nell'immortalità? Nell'apparente rigore dell'esperienza della vita, nel buio che incombe sul mondo, si può intravvedere il segno di un rinnovamento generale, di una rigenerazione cosmica? I miti preromani, i saturnali, le feste legate al sole, le affascinanti altezze spirituali del mitraismo, i nomi del divino, fino al mistero cristiani del Natale, si presentano come varie modalità di esprimere lo stesso infinito desiderio di vita nel superamento dell'oppressione di quello che alcuni filosofi definivano lo "squallido quotidiano".

Anche oggi, su un Pianeta avvelenato dalla follia della guerra, dell'ingiustizia sociale, della minaccia dell'inquinamento globale, si alza il Sole che sta per giungere al punto estremo del suo apparente girovagare nello spazio e nel tempo. Il Solstizio sia percepito come un messaggio di speranza e come un impressionate augurio di autentica pace che la Natura rivolge a ogni vivente.

giovedì 19 dicembre 2024

Lucio Ulian e la sua fotografia epifanica al Kulturni dom di Gorizia

 

Giovedì 19 dicembre, presso il Kulturni dom di Gorizia è stata inaugurata la bellissima mostra fotografica di Lucio Ulian, intitolata "Epifanie".

In un sorprendente dialogo tra la forza della dimensione materica e la proiezione verso l'orizzonte pneumatico, nell'arte di Ulian si sperimenta il superamento del fascino della gnosi nella percezione di un orizzonte in grado di coniugare quasi armonicamente l'immanenza con la trascendenza.

Il "quasi" sta a indicare l'inevitabile aporia della ragione, ma nello stesso tempo il suo potente anelito ad attraversare la barriera spazio temporale per proiettarsi, rischiosamente ma anche avventurosamente, verso l'eterno e l'infinito.

In questa riconciliazione degli opposti che si potrebbe quasi definire simbiotica congiunzione tra femminino e mascolino, si rivela il mistero della manifestazione, nella sua duplice dimensione dell'epifania e dell'apocalisse. Tutto ciò si rileva non censurando lo sguardo acuto e penetrante del fotografo sulla realtà in quanto tale, ma consentendo alla concretezza sobria del quotidiano la metamorfosi del senso e generando in questa impresa la fragilità dell'intuizione o, in qualche caso, della visione.

Le immagini sono accompagnate da approfondite spiegazioni, proposte in lingua italiana e slovena, nelle quali l'artista rivela la sua ricerca interiore e il suo desiderio di incontrare l'interlocutore in un'appassionata comunicazione, nello stesso tempo intensa, coinvolgente, simpatica ed empatica. In fondo, è proprio la rivelazione artistica di Lucio Ulian, amico di tutti a Gorizia, impegnato per anni nella politica amministrativa della città, operatore e ricercatore nell'ambito della prevenzione e dello spegnimento degli incendi, uomo di grande capacità di relazioni umane e di autentica amicizia.

Una mostra da non perdere, con le introduzioni dell'artista, del direttore del Kulturni dom Igor Komel e dell'autore di queste "storie viandanti"!

sabato 14 dicembre 2024

Zimske urice: sabato 21 ore 11 da Maks a Nova Gorica il secondo dialogo filosofico teologico

Mirt Komel, Andrea Bellavite, Marcel Štefančič da Maks
Segnatevi la data, perché questo incontro è di quelli da non perdere! 

Nell'ambito delle "Zimske urice" (titolo della prima grammatica slovena di Adam Bohorič del 1584, in latino "Arcticae Horulae", conservata anche nella biblioteca di Kostanjevica), splendida rassegna che si terrà presso la Knigarna Kavarna Maks a Nova Gorica (Delpinova ulica), sabato 21 dicembre, alle ore 11, si terrà la seconda conversazione filosofico-teologica tra il filosofo Mirt Komel e il teologo Andrea Bellavite.

Nel primo incontro, collocato ai limiti della stagione estiva alla presenza di un numeroso pubblico, si è parlato dell'esistenza del Trascendente in rapporto al mistero del bene e del male. In questa occasione la riflessione, nel giorno del solstizio e del passaggio tra l'autunno e l'inverno, sarà incentrata sul tema della vita, della morte e del desiderio di immortalità.

Come sempre, si spazierà dalla filosofia antica a quella contemporanea e dal mondo religioso ebraico a quello cristiano e islamico, senza trascurare le suggestioni dell'Oriente. La conversazione sarà rigorosamente bilingue, nel senso che ciascuno si esprimerà nella propria lingua materna, con brevi sintesi dedicate a chi non conosce quella dell'altro.

Si tratta di un altro appuntamento, inserito nella rassegna Zimske urice che durerà dal 19 al 21 dicembre, della splendida realtà della libreria caffetteria Maks che, di giorno in giorno, sta diventando uno dei più importanti punti di riferimento per le persone che amano e generano la Cultura (con la C maiuscola) di Nova Gorica e Gorizia.

venerdì 13 dicembre 2024

Mercoledì 18 alle18 al Kulturni, un nuovo numero di Isonzo Soča, nel ricordo di Dario Stasi

 

Che cosa nasconde il lenzuolo, in attesa di quale inaugurazione? La copertina del numero 118 della rivista Isonzo Soča che sarà presentato solennemente mercoledì 18 dicembre, alle ore 18  presso il Kulturni dom di Gorizia.

Che cosa rappresenta la copertina? Non si svela alcun segreto se si risponde: il fondatore e direttore della prestigiosa testata goriziana, Dario Stasi che ci ha lasciato esattamente un anno fa, visto con gli occhi e con l'arte del grande pittore Franco Dugo.

E' stata una grande perdita per la cultura goriziana. Dario è stato presente in tutti i settori, dalla storia all'archeologia, dalla lettura del presente agli itinerari da una parte e dall'altra del vecchio confine. Indimenticabile è stata la grande mostra sul "secolo lungo", presentata a Nova Gorica, a Gorizia e addirittura presso il Senato della Repubblica italiana. Un vero vulcano di idee e proposte, Stasi ha accompagnato  con la sua guida decine di scrittori e giornalisti nel Goriziano nell'avventura più che trentennale di Isonzo Soča. E' stato un percorso straordinario, 117 numeri intrisi di informazioni, riflessioni e spunti che hanno a loro modo preparato il terreno per il raggiungimento dell'obiettivo della Capitale Europea della Cultura e ancor di più per la realizzazione del sogno di un territorio finalmente senza confini.

Tutti sono invitati a partecipare a questo momento di memoria e di cultura. Il periodico non finirà con questo numero, ma riprenderà la sua corsa, con identica testata e rinnovata grafica e formato, nel fatidico 2025. Sono attesi quattro numeri, sulla traccia segnata da Dario Stasi e nello stesso tempo verso nuovi orizzonti e prospettive, rigorosamente transfrontalieri, bilingui e tesi alla concretizzazione dell'ideale europeo dell'unità nella valorizzazione della diversità.

mercoledì 11 dicembre 2024

Alla vigilia di EPK/CEC Nova Gorica con Gorizia 2025: impressioni di un cittadino

 

La presentazione del programma della Capitale europea della Cultura ha senz'altro dimostrato l'enorme lavoro che è stato svolto da tutti i vari attori coinvolti. Non si può che ringraziare chi ha predisposto il bidbook, chi ha avviato i progetti nell'ambito del sistema interreg e ha indetto i bandi, chi ha curato finora l'attuazione del tutto.

In questo necessario ringraziamento è compresa anche la possibilità di esprimere qualche opinione, quello che un privato cittadino, presente martedì sera all'Auditorium della Cultura Friulana, può ritenere di suggerire, per così dire da esterno.

Ecco, forse questa è la parola esatta, "esterno". L'impressione è stata quella di ascoltare da una parte gli "addetti ai lavori", dall'altra di non vedere presenti tutti coloro che non sono entrati nella sala, gli "esterni" appunto, che in grande maggioranza forse non sapevano neppure dello svolgersi dell'iniziativa.

I primi hanno raccontato le linee fondamentali e hanno elencato le mille splendide iniziative che si svolgeranno nel corso del 2025. Gli altri sembrano essere toccati ancora molto poco da tutto ciò, c'è indubbiamente molta attesa, ma poca speranza. Ci si aspetta infatti tanto dal concretizzarsi di momenti artistici, musicali, teatrali, culturali, storici, ludici, gastronomici, ma non si ha ancora chiaro cosa si voglia che resti, dopo l'anno della celebrazione. Non lo hanno chiaro soprattutto le cittadine e i cittadini che avrebbero potuto e forse dovuto essere maggiormente coinvolti in un'azione che dovrebbe essere essenzialmente collettiva.

Lo si è detto più volte. La Capitale europea della Cultura non è stata scelta per i suoi monumenti, ma per la straordinaria realtà di culture, lingue e visioni del mondo differenti che, invece di combattersi, decidono di donarsi reciprocamente, le una alle altre. In altre parole, l'attrattiva di Nova Gorica con Gorizia non sarebbe determinata anzitutto dalla bontà degli eventi programmati, bensì dalla straordinaria ordinarietà di una convivenza tesa a diventare congiunzione. Per questo, negli anni precedenti, sarebbe stato necessario investire sulla conoscenza reciproca fra gli abitanti, sull'apprendimento indispensabile delle lingue degli uni e degli altri, sulla creazione di modelli di accoglienza e integrazione tra "vecchi" autoctoni e "nuovi" arrivati, sulla specificità di un laboratorio nel quale creare precisi percorsi e strumenti di pace e di giustizia sociale.

Ciò non significa che non sia necessario proporre avvenimenti che potranno diventare memorabili nella storia del territorio. Ben vengano, ma è importante che non siano fini a sé stessi. Dispiace la sostanziale assenza, in fase organizzativa, dei centri culturali sloveni e italiani che negli ultimi decenni hanno lavorato per abbattere i confini e costruire ponti di incontro e di amicizia. Sono i luoghi in cui, sia pur in piccole dimensioni, l'ideale della comunione nella valorizzazione della ricchezza delle diversità, si è già pienamente realizzato. Chi verrà a Nova Gorica e a Gorizia lo farà per incontrare questo tipo di realtà, dilatata al di là del recinto di tali istituzioni, per assaporare la bellezza di quella che con forte espressione si potrebbe definire "congiunzione fraterna".

Per questo, è bene che siano stati illustrati tanti gesti che sicuramente metteranno insieme le persone, anche se ciò non sarà sufficiente, senza un'approfondita visione d'insieme. Per esempio, Gusti di Frontiera, che - mi si consenta un assolutamente personale "purtroppo" - è stato indicato come uno dei quattro istanti topici della Capitale, non ha mai congiunto nessuno, ha solo affiancato masse di consumatori dediti a ingozzarsi (compatibilmente con i prezzi), cullati da una musica assordante che non ha consentito mai un minimo di approfondimento relazionale. 

Il 2025 e soprattutto il 2026, dovrebbe essere l'occasione per avviare un nuovo modo di sentirsi, goriziani o goričani, locali o migranti provenienti da tutto il mondo e attualmente residenti. Ci si dovrebbe incontrare, conoscere e amare, realmente senza confini, né fisici né mentali. Perché questo accada, accanto alla giusta preoccupazione di offrire all'Europa e al Mondo grandi iniziative, occorrerebbe forse anche la ricerca di qualche tentativo di coinvolgere ogni cittadina e ogni cittadino, perché non si senta spettatore fra spettatori, ma a pieno titolo attore protagonista di una vera e propria trasformazione ontologica di un tessuto urbano.

Un aspetto importante è quello storico, per sentirsi parte di un'unica realtà, è importante conoscere le radici culturali e spirituali dei popoli e delle persone che vivono intorno all'antico confine. Sono ottime le proposte presentate ieri sera, incentrate sulla prima guerra mondiale, sul contrabbando, sul verde cittadino e sull'arte, così come le figure di persone di ieri e di oggi che hanno contribuito a far crescere la coscienza del territorio e, più in generale, della nostra umanità. Dispiace un po' che il Comune di Gorizia abbia di fatto ignorato la possibile grande mostra "dal preromano al postmoderno" - partendo da Aquileia e procedendo attraverso Gorizia, Nova Gorica, Kostanjevica, il Goriški muzej e così via - che avrebbe potuto donare ai residenti e ai visitatori una sintesi generale della ricchissima vicenda storica del territorio. Se ci fosse stata, tutti avrebbero potuto sapere delle popolazioni preromane, della conquista dei legionari, del primo affascinante cristianesimo, dell'allargamento del Patriarcato a confini coincidenti con il centro Europa, della storia del popolo sloveno e della conversione alla nuova fede, della presenza fondamentale del protestantesimo, di quella ebraica, della religiosità popolare, degli staroverci, della complessità del Novecento. In un contesto così ampio, anche i temi "scomodi" - come l'incredibile permanenza di Mussolini tra i cittadini onorari di Gorizia e molto altro - avrebbero potuto essere approfonditi con serenità e scientificità.

Certo e in ogni caso, il 2025 sarà spettacolare e le osservazioni vogliono essere umili suggerimenti, non certo critiche al mastodontico ed efficace lavoro che è stato portato avanti finora e che ancor più dovrà essere svolto nei prossimi mesi. 

Utilizzando un'espressione coniata nel precedente post, l'augurio è quello che non soltanto si riescano a raggiungere numerosi obiettivi, ma che sia soprattutto l'inizio della realizzazione di un meraviglioso sogno.

lunedì 9 dicembre 2024

La drammatica sostituzione dei sogni con gli obiettivi

Inaugurazione del Cammino Celeste, Agosto 2006 (foto A. Pantanali)
 Una conversazione interessante, foriera di numerosi, possibili approfondimenti. Si parte dall'analisi della situazione dei giovani, per constatare una differenza fondamentale: fino ad alcuni decenni fa si avevano dei "sogni", oggi sono prevalenti gli "obiettivi".

Il sogno presuppone una visione complessiva del mondo e si concretizza in una dimensione di speranza. Non si sa bene che cosa si riuscirà a realizzare, non perché non esistano le idee, ma perché si ha un enorme ventaglio di possibilità di realizzazione. I viandanti sanno che, come in ogni sogno che si rispetti, ogni meta raggiunta è soltanto una tappa, dalla quale ripartire verso quella successiva. 

Pensiamo per esempio alla giovane generazione uscita dalle macerie della prima guerra mondiale. In modi diversi i partigiani sognavano una nuova società, dando a essa la forma di una repubblica socialista o di una costituzione democratica. Non sapevano esattamente cosa li attendeva, ma sapevano che avrebbero investito tutte le loro risorse ed energie nell'accompagnare il loro sogno, rinvigorendolo e adattandolo ai diversi momenti dello spazio e del tempo.

Esaurito il momento dei sogni, è stato sostituito da quello degli obiettivi. A scuola ci si va non per coltivare il sogno di una vita e acquisire gli strumenti per dargli forma e sostanza. Si devono invece raggiungere gli obiettivi, o almeno cercare di individuarli. L'obiettivo è unitario, una volta raggiunto si è superficialmente soddisfatti, anche eventuali scopi successivi sono nella stessa direzione: avere un buon voto a scuola, trovare un lavoro redditizio, mettere su famiglia, fare carriera nel proprio campo. Nel trionfo degli obiettivi, manca sempre la domanda che accompagna invece ogni sogno: PERCHE'?

Si possono sognare un mondo migliore, un'umanità affrancata dalle guerre, una fraternità universale e all'interno di questi orizzonti compiere scelte fondamentali, anche se sempre provvisorie perché guidate dalla visione del mondo. Al contrario, una volta raggiunti gli obiettivi, si rimane fermi al pianerottolo raggiunto, perché non interessa conoscere la dimensione e le strutture architettoniche della casa.

I giovani del '68 pensavano che il cambiamento del Pianeta fosse lì, dietro l'angolo e scendevano in piazza per scandire con tutta la loro voce la forza del loro desiderio. Avevano grandi sogni, come i loro successori, almeno fino a quando i loro figli - o forse anche nipoti - si sono visti soffocare il loro sogno nelle terribili giornate del luglio 2001 a Genova. Hanno vinto, almeno apparentemente, gli obiettivi: se la politica non può realizzare una nuova possibile umanità, tanto vale sfruttarla per raggiungere i propri individuali interessi; se la guerra non si può fermare perché "fa parte della natura umana", tanto vale starsene più lontano possibile dai problemi del mondo e curarsi i propri affari; se la famiglia umana non può essere aiutata a crescere in una nuova dimensione di pace e giustizia, tanto vale raggiungere l'obiettivo della tranquillità della propria individuale famiglia.

Ogni grande sogno ha trasformato la società, basti pensare all'esperienza di Basaglia a Gorizia oppure alle grandi opere dell'Arte e della Cultura. Ogni obiettivo rimane fine a sé stesso, paralizzando chi lo raggiunge nella propria ottusa soddisfazione e riempiendo di intollerabile ansia la grande maggioranza di coloro che non ci arrivano e si sentono loro malgrado "non all'altezza" di ciò che il Potere pretende da loro.

Insomma, se vogliamo una nuova generazione capace di costruire un Pianeta migliore, non soffochiamo i sogni sostituendoli con gli obiettivi.

sabato 7 dicembre 2024

Movimento pacifista: largo ai giovani!!!

 

Le guerre infuriano e sembrano allargarsi a macchia d'olio. I processi di pace, presunti o reali, non sembrano certo dipendere dal desiderio di interrompere una tragica catena di sangue e distruzioni, ma dalla realizzazione degli interessi dei Potentati di turno.

Si manifesta. Si manifesta contro la guerra ogni settimana, ogni mese, ogni giorno. Gruppi di persone camminano, vanno in bicicletta, gridano slogan per dire, con convinzione e tenacia, il loro no alla violenza, alla guerra, alle armi. 

L'impressione sull'efficacia non è delle migliori. Partecipano per lo più persone che sono sulla strada e nelle piazze da decine di anni, i capelli da neri e biondi sono diventati bianchi, forse si aggiunge qualche figlio o qualche nipote. Si è sempre meno e gli slogan, scanditi con voce sempre più fioca, si elevano verso il cielo tra l'indifferenza assoluta dei passanti.

Si ha la sensazione di essere come il figlio impertinente, arrivato in ritardo con strepitio e rumore al gran banchetto, al centro del magnifico e abbastanza emarginato film di Ermanno Olmi Lunga Vita alla Signora. Là dove, alla cena del Potere, tutti erano tollerati, anche l'impertinente che alla fine risulta clamorosamente il più amato tra i numerosi discendenti della Padrona.

Che fare allora, se non manifestare? E' effettivamente difficile dirlo e la tentazione della delusione inconcludente e cieca è sempre dietro l'angolo. Ma un tentativo di risposta c'è e forse non è ancora stato abbastanza indagato. Può essere sintetizzato dall'espressione "Largo ai giovani".

Sì, i giovani hanno dato prova di essere non soltanto entusiasti, ma anche capaci di guidare il corso degli eventi. Per qualche anno sono stati l'antenna del cambiamento climatico e oggi, di fatto, sono le prime vittime della guerra in Ucraina e del genocidio di Gaza. Perché sono così pochi alle manifestazioni organizzate in maggioranza dagli adulti, diciamo pure dai vecchi? Perché non trovano spazi nei momenti organizzativi? Perché gli adulti partecipano poco alle loro proposte?

Certo, le idee e soprattutto le strategie delle nuove generazioni - come sempre accaduto del resto - non collimano del tutto con quelle dci chi si è sentito per mezzo secolo  sul "fronte della pace". Forse è giunto il momento di farsi da parte. Non significa sparire o non continuare a esserci nei momenti chiave della protesta, meno che meno andarsene dai luoghi della politica rappresentativa e assembleare. Si tratta invece di cedere senza indugio i ruoli di conduzione e di ideazione, mantenendo una posizione di saggio consiglio, quando richiesto, e di supporto.

Il movimento pacifista non è in crisi perché mancano i motivi per urlare contro la guerra, ma perché non si è saputo rinnovare, lasciare le redini in mano a chi ha forse ed energie per riempire di nuovo le piazze, non in uno scontro generazionale, ma in una nuova collaborazione, resa possibile dall'umile accettazione di un cambio urgente di leadership.

Altrimenti il rischio è quello di una triste deriva della protesta, ridotta sempre più a colorati momenti quasi folkloristici, per nulla temuti, anzi, forse guardati con particolare affetto e tenerezza dal Potere.

giovedì 5 dicembre 2024

Con rispetto e senza nulla togliere...

 

Una notizia passata un po' in sordina. Papa Francesco ha ricevuto in dono un'automobile nuova, un fuoristrada adattato a "papamobile".

Tutte le testate evidenziano la scelta green, è una macchina con quattro motori elettrici, evviva il Papa dell'enciclica Laudato sii!

Solo in una rivista, specializzata in automobili, si trova la quotazione della vettura, costo pulito, senza gli accessori per la legittima comodità del vescovo di Roma sofferente: 215mila euro.

Non è certo questo il criterio di valutazione di una persona che sta in prima linea, sul fronte della pace, dell'accoglienza dei migranti, della condanna senza remissione degli armamenti, della denuncia delle pecche del capitalismo neoliberista. E neppure interessa troppo l'aspetto oggettivo, si capiscono benissimo le ragioni dell'accettazione di una macchina comodo e all'altezza dei tempi.

Tuttavia, ammesso che la cifra del giornale sia corretta, è da ritenere giunto il tempo di accantonare alcune agiografie papali che lo hanno dipinto come "l'uomo qualunque" che si porta da solo la borsa sulla scaletta dell'aereo o che viaggia in Topolino in mezzo a dodici auto blu della scorta.

Niente di male, o forse un pochino sì, però quei 215.000 non avrebbero suscitato l'interesse di nessuno se non si fosse propagandata prima la retorica delle scelte semplici (stiche) e pauperistiche.

Ingorghi goriziani. Un'unica soluzione, Gorizia ciclabile

 

Finalmente Gorizia è diventata una metropoli. In questi ultimi giorni, i tempi per entrare e uscire dalla città sono stati degni della Via Aurelia a Roma o del viale Monza a Milano.

Blocco in uscita del ponte per la rotonda di Vrtojba, senza segnalazioni previe e con caterve di santi e madonne tirate giù dal cielo, asfaltatura in via Duca d'Aosta, asfaltatura e sistemazione della strada di accesso da Lucinico, concomitanza con fiera di sant'Andrea e giostre residue, piazzale stazione sempre precluso, ecc. Insomma, un mix di colonne d'auto, fumo da tubo di scappamento, stress da macchine in fila.

Le proteste ci sono state un po' ovunque, sui giornali e sui sociale, ma a tutto stasera la situazione non è molto cambiata.

Certo, passati i giorni critici, tutto tornerà alla normalità e la lezione non sarà ancora una volta stata imparata. C'è un'unica soluzione - strategica, salutare, politica e soprattutto culturale - per evitare nel presente e nel futuro simili black out: rendere Gorizia una città ciclabile.

Ciò significa almeno tre decisioni, da prendere insieme alla già più avanzata Nova Gorica, in vista dell'Evropska prestolnica kulture. La prima è quella di riempire la città di piste ciclabili, moltiplicando i sensi unici e proponendo percorsi coerenti per le automobili. La seconda è quella riservata alla cospicua parte della popolazione che se lo può permettere, cioè utilizzare sempre la bicicletta per gli spostamenti all'interno dei centri cittadini, incrementando anche il buon servizio di bike sharing in questo periodo gestito da Nomago. La terza è la stesura di un piano di trasporto pubblico enormemente rafforzato, con percorsi che intersechino le zone di entrambe le città.

Sembra una frase del conte Lapalisse: solo diminuendo drasticamente il traffico automobilistico, la città potrà rivivere e i suoi cittadini potranno respirare, spostandosi più velocemente, in modo più sano e sicuro.

O no?