mercoledì 24 aprile 2024

25 aprile 1945 - 2024: un augurio e qualche riflessione

Buon 25 aprile. Come ogni anno, sono indispensabili la memoria del passato, l'analisi del presente e la prospettiva per il futuro. Propongo alcune riflessioni, per un necessario confronto. Il testo è lungo e la lettura richiede tempo e pazienza. Un pensiero grato a tutte e tutti coloro che hanno dato la loro vita per la nostra libertà.

Celebriamo oggi la Festa della Liberazione. Celebrare, etimologicamente, significa compiere un atto che prevede il concorso di molta gente. Una festa, parola che proviene sempre dal latino, significa momento di gioia, di profonda letizia. Il concetto di Liberazione deriva dal verbo latino libet, che significa “mi piace”, sono contento perché posso agire secondo il mio desiderio. E, in quanto tale, è il contrario di schiavitù, che significa proprio non essere in grado di poter agire secondo la propria volontà.

Dunque, siamo qua in tanti a gioire insieme perché possiamo vivere in un contesto nel quale siamo liberi di pensare, parlare e agire in modo corrispondente al nostro desiderio.

Ogni festa si colloca sempre in un presente, sospeso tra un passato che la giustifica e un futuro che da essa viene in qualche modo significato.

Per quanto riguarda il passato, la festa della Liberazione è la riproposizione del racconto di ciò che ha dato fondamento e stabilità a quasi 80 anni di storia italiana. Ci si riferisce anzitutto alle partigiane e ai partigiani, che con il loro sacrificio hanno riscattato la vergogna di un’Italia umiliata e vilipesa dal criminale miscuglio di violenza, razzismo e guerra nel quale Mussolini e il regime fascista l’hanno trascinata. Sono donne e uomini che, in particolare dopo l’8 settembre 1943, hanno impegnato la loro vita e spesso versato il sangue, per affiancare chi già stava combattendo contro il nazifascismo e spalancare alle generazioni successive la strada della democrazia, della giustizia e della libertà.

Ogni anno il 25 aprile, data simbolica legata all’insurrezione di Milano, nelle città e nei paesi la gente si incontra per rinverdire il ricordo della Resistenza, ma anche per ribadire la necessità che l’antifascismo sia esplicitamente riaffermato. Il no al fascismo deve essere proclamato con forza, non soltanto come contrasto a un determinato sistema di potere, ma soprattutto a una mentalità che si sta purtroppo diffondendo in modo subdolo e sottile anche tra le pieghe delle istituzioni, attraverso un perverso negazionismo che tende a confinare in un remoto passato ciò che invece da un momento all’altro potrebbe di nuovo manifestarsi. Non si può negare che i riti legati al 25 aprile, nel corso degli anni e soprattutto in Italia, si siano generalmente un po’ appassiti. Da una parte la progressiva scomparsa dei protagonisti della Resistenza ha indebolito l’efficacia di un messaggio particolarmente avvincente, quando trasmesso attraverso la testimonianza diretta. Dall’altra una ventata di revisionismo storico ha portato a idealizzare una falsa idea di riconciliazione, tentando di equiparare perniciosamente vittime e oppressori.

Per quanto riguarda il presente, ci sarebbe quest’anno davvero poca voglia di festeggiare. La festa della nostra Liberazione che coincide con la memoria della fine della seconda guerra mondiale, cade in un momento nel quale la schiavitù e la guerra sembrano parlare con una voce più alta che mai. E’ la schiavitù della fame, dell’analfabetismo, della miseria che attanaglia quattro quinti dell’umanità e che costringe milioni di donne, uomini e bambini a mettersi in cammino alla ricerca di un possibile futuro. Ricevono in cambio ovunque – anche nel nostro sedicente civile Paese - porte chiuse in faccia, respingimenti, reclusioni negli orribili centri per il rimpatrio, veri e propri lager come quello a noi geograficamente vicino di Gradisca. E’ la guerra che si combatte nel mondo da sempre – si parla di circa quaranta conflitti combattuti nel mondo, accompagnati per lo più dal generale silenzio dei media – e che ora ci preoccupa perché sentiamo più vicine le inutili stragi tra Russia e Ucraina, gli attentati sanguinosi di Hamas, il genocidio perpetrato da Israele nei confronti dei palestinesi di Gaza.

Come far sì allora che la festa della Liberazione torni a essere sentita come lo era un tempo? Come far parlare le ragioni dell’antifascismo nell’attuale preoccupante situazione planetaria. Provo a delineare alcune proposte concrete, certamente non scontate e offerte a una discussione che non è mai senza se e senza ma, ma che sempre ci impone di scegliere da che parte stare.

Per rinverdire la forza della festa, è bene dare uno sguardo ai nostri vicini, che ancora la celebrano e vivono con grande intensità, probabilmente perché le conseguenze del fascismo le hanno sperimentate prima di qualsiasi altro movimento di resistenza europeo, a partire dall’incendio del Narodni dom di Trieste nel luglio 1920 e ininterrottamente fino al 1945.  Oltre vent’anni di esplicita persecuzione e cinque di tragedie belliche, hanno lasciato una traccia che è ancora profonda nell’animo delle genti della Primorska e della Benečija. I cori delle comunità slovene, che nel ventennio fascista sono stati spazi di aggregazione e di clandestina libertà, continuano a suscitare emozioni. Le parole hanno lo spessore speciale di chi per tanto tempo è stato maltrattato soltanto perché reclamava il diritto di parlare la propria lingua, al punto da subire, insieme a una vera e propria forma di schiavitù, anche il vilipendio dei propri cognomi e dei nomi dei paesi d’origine. Imparando da loro e più in generale dallo spirito che ha animato in origine la lotta per la Liberazione Jugoslava, con i sogni di unità nella diversità che avevano animato la conferenza di Jajce alla fine di novembre 1943, occorre avere il coraggio della memoria e delle memorie, da difendere anche dai ripetuti tentativi di cancellarla o trasformarla. 

Mi domando, pensando a quell’esperienza che in quella fase iniziale univa comunisti, socialisti, cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani, non si potrebbe forse rilanciare la conoscenza dei luoghi e delle gesta della lotta di Liberazione, proponendo magari che quell’epopea sia riconosciuta come patrimonio unesco immateriale dell’umanità? Non si possono far cadere nell’oblio i monumenti che ricordano i caduti per la Libertà, gli ospedali partigiani di Franja e di Pavla, le tipografie nascoste tra boschi impenetrabili! Sono segni di un eroismo del quale anche oggi si ha bisogno, per combattere le risorgenti nostalgie neofasciste che sembrano prendere sempre più forza un po’ ovunque.

Per quanto riguarda i diritti dei migranti, occorre aderire con convinzione ai progetti di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo che funzionano bene, anzi molto bene, come posso testimoniare avendo realizzato un importante progetto sprar nel periodo in cui sono stato sindaco ad Aiello del Friuli. Portare la presa in carico di piccoli gruppi di persone in seno ai Comuni, con l’aiuto di enti competenti preposti all’azione, significa costruire percorsi di reciproca conoscenza, efficace sostegno e piena integrazione costruttiva tra i nuovi venuti e i residenti storici, in un circolo virtuoso capace di far crescere la comunità civile in modo armonico e, oserei dire, entusiasmante. Non basta dire che si è d’accordo con un umano trattamento delle persone. E’ necessario aderire agli strumenti di liberazione e di coinvolgimento che – un tempo chiamati appunto sprar – oggi portano il nome di Sai, Servizi di Accoglienza e Integrazione.

Riguardo alle guerre, anche qua fare memoria della festa della Liberazione significa ribadire il ripudio della guerra, in tutte le sue forme e dimensioni. La Giornata odierna ci invita a non proclamare sterili invocazioni a una pax generica e insostenibile, ma ad adoperarci in tutti i modi perché immediatamente cessi il fuoco ovunque. Cessi in Ucraina, dove, dopo due anni caratterizzati da decine di migliaia di soldati e civili uccisi, sembra che ci si trovi ancora al punto di partenza. L’Unione europea e gli Stati Uniti sembrano finora non aver trovato nessuna altra strada di soluzione che non fosse l’invio di micidiali armi, la cui conseguenza è stata soltanto quella di un prolungamento a tempo indeterminato del conflitto. E’ urgente che si ascoltino le parole dei pochi saggi che, come papa Francesco, continuano a proporre il negoziato come unica arma in grado di far vincere la guerra alle povere vittime e no agli squallidi interessi dei vari protagonisti di questo tragico teatrino.

Lo stesso vale – a maggior ragione – per il terribile massacro di Gaza. Non si tratta certo di criminalizzare l’ebraismo, al contrario è proprio un antidoto al veleno funesto dell’antisemitismo dichiarare che ciò che sta accadendo a Gaza è inaccettabile. Il carico immane di sofferenza che scaturisce dalla morte di decine di migliaia di persone inermi, tra le quali tantissimi bambini, non può essere né giustificato né compreso, neppure alla luce degli esecrabili attentati di Hamas contro giovani colpevoli solo di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Tacciano subito le armi, vengano rilasciati tutti gli ostaggi, cessi immediatamente il bombardamento sistematico e anche qua, una volta per tutte, ci si sieda intorno al tavolo delle trattative per trovare insieme, con la forza dell’intelligenza e della diplomazia, il bandolo per districare l’aggrovigliata matassa. E’ urgente farlo, ma senza le armi, la cui produzione, vendita e utilizzo fanno sorridere una manciata di approfittatori e getta nel dolore interi popoli.

Rinverdire la Festa della Liberazione significa ritrovare la forza e la convinzione di chi non si sente impotente, di chi crede che è ancora possibile cambiare registro, di chi pensa che l’essere umano ha tutte le potenzialità per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, la violenza in autentica pace. Abbiamo tutto il diritto e anche il dovere di affermarlo in una terra che per tanti anni ha visto scorrere fiumi di sangue sulle nostre colline e montagne, ma ora si appresta a diventare addirittura capitale europea della Cultura. Dedichiamo ai partigiani sloveni e italiani questo straordinario onore che l’Europa riserva a Nova Gorica con Gorizia e tutti i comuni vicini. Lo dedichiamo a loro, perché siamo certi che sia questa cultura dell’amicizia, della reciproca comprensione, della valorizzazione delle diversità, l’obiettivo che si prefiggevano quando combattevano e quando morivano per tutti e per ciascuno di noi.

Viva la Resistenza, vivano i partigiani, vivano la giustizia, la pace e la libertà.

domenica 21 aprile 2024

Gorizia e Nova Gorica, povezani mesti, due città in una

 

Ed eccolo! 

Pensato nell'autunno del 2022 davanti a un caffè, durante una chiacchierata con Boris Peric, ha preso una prima forma grazie a Martina Kafol, responsabile di Založništvo tržaškega tiska (ZTT), l'editrice slovena di Trieste.

Poi c'è stato l'incontro, all'ombra del campanile di Aquileia, con Vittorio Anastasia, direttore di Ediciclo ed è nata una singolare e straordinaria condivisione d'intenti. E' stato un bel segno, significativo di come l'amicizia tra le persone coinvolga le istituzioni e possa portare e una collaborazione efficace e fruttuosa.

Il libro propone e racconta otto itinerari goriziani, rigorosamente senza confini, da percorrere possibilmente in bicicletta e a piedi, alla scoperta dell'incrocio di lingue e culture che caratterizza ogni angolo del territorio. E' pubblicato contemporaneamente in edizione italiana (Ediciclo) e slovena (ZTT), quest'ultima con la traduzione e l'adattamento di Pia Lešnik. La redazione e il coordinamento editoriale sono stati curati da Martina Kafol e Lorenza Stroppa, il progetto grafico è dello Studio Link di Trieste e la cartografia di Noemastudio di Ferrara. Quella in copertina e le altre numerose fotografie sono opera di Mattia Vecchi, con tre sole eccezioni. L'editing del testo italiano è di Francesca Ferrua, mentre la rilettura critica per quello sloveno è di Nives Mahne Čehovin.

Da sottolineare sono anche le due prestigiose prefazioni, proposte da Anja Mugerli e da Angelo Floramo.

Il libro sarà in vendita nelle librerie dal prossimo venerdì 3 maggio, quando, alle ore 18, sarà presentato al Kulturni dom di Gorizia. Con l'autore e la traduttrice dialogheranno Romina Kocina, direttrice del GECT/EZTS e il giornalista Marko Marinčič, coordinati dal presidente del Kulturni dom Igor Komel. L'appuntamento successivo sarà presso la Biblioteca Knižnica Bevk a Nova Gorica, lunedì 6 maggio, sempre alle 18, con la partecipazione di Stojan Pelko, responsabile dell'attuazione dell'EPK GO2025 e dello stesso ideatore del tutto, Boris Peric, presidente di KB1909. E' prevista anche una finestra nell'importante cornice della rassegna udinese Vicino/Lontano, con la presentazione del libro presso la Libreria Feltrinelli, domenica 12 maggio alle ore 17, con introduzione della giornalista Barbara Urizzi.

A tutti coloro che, in un modo o nell'altro, hanno collaborato, così come a chi diffonderà, acquisterà e utilizzerà il libro per percorrere le strade di "Gorici" (espressione duale che in sloveno sta per "le due Gorizia"), giunga un profondo, convinto e assai sincero GRAZIE!

Sotto il Sabotino, con il pensiero a Dario Stasi

 

E' stato un bel modo per ricordare Dario, quello realizzato sabato scorso. L'edizione primaverile del Libro delle 18.03 ha previsto infatti un'uscita a Solkan, in linea con i contenuti del suo bel testo "Intorno a Gorizia".

Quaranta persone si sono incontrate al Centro Kajak. Hanno ascoltato una breve e intensa riflessione di Agostino Colla, presidente dell'Associazione Isonzo Soča. Ricordando l'amico, ne ha tratteggiato il carattere, i tanti obiettivi raggiunti e i sogni ancora rimasti nel cassetto. Con un carattere forte e un'indomita creatività, Dario Stasi è stato un vero costruttore di pace, che ha collaborato con entusiasmo a "demolire muri e costruire ponti". 

L'espressione, ormai divenuta quasi sintetico programma politico e sociale, è stata ben inserita in un luogo caratterizzato proprio da tre bei ponti. Il momento commemorativo è stato tenuto all'ombra della nuova passerella ciclopedonale costruita dal GECT/EZTS in vista del 2025. Si è poi percorso lo spettacolare sentiero sotto il viadotto "di Osimo", per raggiungere e sostare sotto la ferrovia Transalpina, contemplando l'arco di pietra più grande del mondo. Nel frattempo, l'Isonzo con i suoi colori ha dato il meglio di sé per alleviare la gioiosa fatica dei viandanti.

Molto interessante è stata la visita al Mizarski muzej, dove i gestori hanno riservato una calorosa accoglienza e hanno svelato la straordinaria storia dei falegnami di Salcano, un tempo artigiani di fama internazionale. Un pensiero al tempo che fu ha accompagnato i sorprendenti numeri: a fine '800 erano 350 le botteghe artigiane nel paese, nel 2024 ne è rimasta solo una, accanto a tanti ricordi opportunamente evidenziati dall'associazione che promuove e tutela la memoria di questa particolare vicenda sociale.

C'è stato il tempo per visitare altri luoghi caratteristici, la colonna all'inizio del sentiero percorso una volta dai pellegrini che salivano a Sveta Gora (Monte Santo), le fontane dedicate all'Isonzo nelle piazze, la chiesa di Santo Stefano con il ricordo del millenario dalla prima menzione del "Castellum Siliganum", il toccante monumento ai caduti partigiani. Insomma, è stato un breve percorso che ha consentito la conoscenza di luoghi geograficamente vicini, spesso attraversati ma poco conosciuti, come hanno rilevato i partecipanti che hanno concluso la gita con un piacevole "kosilo" presso la gostilna di Sveta Gora, salutati da un affascinante raggio di sole a illuminare il Triglav.

Qualcuno alla fine ha detto che "Dario Stasi avrebbe apprezzato questo modo di ricordarlo". E' una sintesi efficace di una bella mattinata in un lembo della capitale europea della Cultura.

mercoledì 17 aprile 2024

A Solkan, sabato alle 10.03, ricordando Dario Stasi

 

Sabato 20 aprile ricordiamo Dario Stasi. E' stato un precursore delle idee e delle prospettive che oggi sono prerogativa della capitale europea della Cultura. Tra i tanti suoi impegni a favore delle persone che abitano nel goriziano, non si possono dimenticare i cartelli esposti in piazza Travnik e ai Giardini di Gorizia con 40 luoghi significativi, gli oltre 120 numeri della rivista Isonzo Soča, le iniziative di ogni tipo sul confine e i piacevoli libri che hanno permesso a tanti di conoscere spazi e tempi inediti del territorio.

Indimenticabili sono anche le "uscite", in una Nova Gorica e in una Slovenija ancora non entrate ufficialmente nell'Unione europea, come pure ad Aquileia e paesi limitrofi.

Il Libro delle 18.03 ha ritenuto di fare memoria di un amico così prezioso, nel modo che forse Dario avrebbe maggiormente apprezzato, cioè camminando, alla ricerca di orizzonti nuovi, anche se molto vicini alle nostre ordinarie abitazioni.

E così si va a Solkan (Salcano), trovandosi alle 10.03 al centro Kajak, presso il nuovo ponte della bella ciclabile che unisce il paese a Plave. Si costeggerà l'Isonzo Soča, lungo il breve e un po' accidentato cammino sotto i tre ponti e si raggiungeranno i campi sportivi della Žogica. Si visiterà poi, con adeguata guida, il museo della falegnameria e si contemplerà il murale che rappresenta l'arrivo dei Tolminotti a Gorizia, proprio quelli che grazie a un'iniziativa di Dario vengono ricordati, con la loro rivolta, in una significativa lapide in piazza Travnik/Vittoria.

La meta successiva sarà la chiesa di Santo Stefano con la sua centa e le memorie longobarde. Si osserveranno i monumenti alla Soča e le molte memorie lapidarie che si trovano un po' ovunque nel centro del paese. Il monumento ai partigiani caduti, con la commovente scultura di Nemec, sarà un altro insostituibile punto di sosta, prima di rientrare verso  l'Isonzo attraverso  le vie meno note di Solkan.

Al termine della camminata si riprenderanno le automobili per salire a Sveta Gora/Monte Santo, dove dopo una breve visita al Santuario, è previsto un momento di piacevole scambio di opinioni intorno a un immancabile "kosilo" presso la locale gostilna.

lunedì 15 aprile 2024

De Giusti e Fornasaro ad Aquileia, mercoledì alle 18.03

 

Mercoledì 17 aprile, alle ore 18.03, Lorenzo De Giusti e Franco Fornasaro realizzeranno una presentazioni incrociata dei loro libri, "Tre - Storie di Bosnia, Slovacchia e Albania" e "Sconfinare per sopravvivere".

La personalità dei due autori e la loro competenza sono una garanzia dell'assoluto interesse di questo incontro, dedicato, come gli altri in questa sessione della sempre più prestigiosa rassegna, alla riflessione sulle terre di confine.

Di tutto rilievo è anche il luogo, la sala consiliare del Comune di Aquileia, il cui sindaco Emanuele Zorino porterà una riflessione e un saluto introduttivo. 

Veramente, un'occasione da non perdere.

sabato 13 aprile 2024

Spiritualità e religioni di Gorizia. La straordinaria accoglienza nella moschea e nella chiesa protestante

 

L'incontro presso la moschea
Il Comune di Gorizia ha organizzato una bella uscita in città, prevedendo tra l'altro la conoscenza e l'incontro con la moschea e i musulmani della città. 

La seconda puntata della visita ai luoghi religiosi di Gorizia, tenutasi oggi (sabato 13 aprile) nell'ambito del progetto Crocevie di Europa, è durata oltre quattro ore. Una cinquantina di persone, animate da grande interesse e volontà, hanno visitato diversi luoghi della città, dalla chiesa dell'Immacolata a quella di San Giovanni, dalla Sinagoga alle diverse statue e lapidi disseminate ovunque.

Tutto è stato seguito con grande interesse, ma i due momenti salienti sono stati la visita alla chiesa metodista wesleyana di via Diaz e alla moschea e centro culturale El Houda.

Nel primo caso, accolti con grande simpatia dal presidente del consiglio di chiesa Mario Colaianni e dal pastore Jens Hansen, i partecipanti hanno potuto conoscere la storia del movimento protestante, dai prodromi con Pietro Valdo agli sviluppi luterani e alla situazione attuale. Si è parlato anche della costruzione della chiesa goriziana, voluta dal barone Ritter e della vivace realtà attuale della comunità cittadina, molto impegnata sui fronti dell'accoglienza, della solidarietà e della rivendicazione della pace.

Lo stesso è accaduto durante l'incontro con i musulmani, presso la moschea di via Mameli. In questo caso, tutti i rappresentanti erano presenti e il loro punto di vista è stato espresso da una giovane che ha toccato con grande chiarezza e capacità di sintesi i principali temi riguardanti l'Islam. Dopo di lei è intervenuto l'imam, che ha tracciato un vero programma di pace e convivenza per la città di Gorizia e per tutto il mondo. "L'Islam ci chiama all'amore - ha detto tra l'altro - alla morale, alla pace e alla tranquillità, ma ci chiama anche a trasmettere questi principi e valori alle generazioni future, affinché la bontà rimanga diffusa sulla terra e i significati dell'umanità rimangano presenti tra gli esseri umani". Ha concluso dicendo che "il vero ruolo della moschea è l'adorazione, come pure l'insegnamento alle nuove generazioni dei principi di misericordia, pace e convivenza, attraverso lezioni, sermoni e momenti di preghiera".

A suggellare la bellezza dell'incontro è stato l'inatteso e gustosissimo rinfresco, con il tipico the verde e i buonissimi pasticcini preparati per l'occasione in casa. E' stato un segno di amicizia e accoglienza che tutti hanno apprezzato, con uno sguardo pieno di amicizia e interesse anche alla sala interna dedicata alla riflessione e al culto. Una bella lezione di pace e di vita, in un tempo in cui, in certe parti, si vorrebbe negare alle persone perfino il diritto di entrare in comunicazione con Dio.

sabato 6 aprile 2024

Il parco del Rafut, un gioiello nel cuore del territorio goriziano

 

A volte si cercano mete distanti e ci si gode la bellezza del verde e delle architetture di città lontane.

Poi ci si accorge della bellezza del proprio ambiente di vita. Nova Gorica, Gorizia e dintorni sono un miracolo di amicizia e convivenza, luoghi che hanno visto tremendi conflitti oggi diventano un segno talmente forte di unità nella diversità delle lingue e delle culture, da meritare addirittura il titolo di capitale europea della Cultura.

All'improvviso si apre una nuova finestra di bellezza e, oltre alle considerazioni storiche e filosofiche, non si può che rimanere affascinati. E' stato inaugurato in questi giorni il Parco cittadino del Rafut. A neanche un chilometro dalla mia casa, al di là di un chiaro portone, si spalanca un mondo incantato. Strade pittoresche e gradinate sontuose consentono di attraversare veri e propri boschi di canne e di ammirare alberi secolari talmente alti da sembrar sfidare il cielo. Passo dopo passo, gradino dopo gradino si arriva sotto la spettacolare Villa Laščak, dalla storia intrigante e misteriosa e dalle evidenti influenze orientali. Un pezzo dell'Egitto del famoso architetto goriziano è stato portato nel cuore della città, a un passo dallo storico convento della Kostanjevica. L'ideatore e costruttore non ha potuto godersi il fascino della sua opera, ma quando si cammina lungo i vialetti e ci si inerpica sulla collina, è quasi naturale dedicargli un pensiero grato.

In attesa del completamento dei lavori nella Valletta del Corno, il territorio si arricchisce di uno straordinario polmone verde, un dono prezioso a ogni cittadina e cittadino. Veramente, è una passeggiata che vale la pena, tanto più se preceduta o seguita dall'immersione nella storia del Novecento, resa possibile dalla visita ai due bei musei, quella della prepustnica e del contrabbando, nelle antiche case che ospitavano i doganieri al tempo del confine.  

lunedì 1 aprile 2024

Basta favori ai mercanti di armi!

 

La Rete italiana pace e disarmo invita a riflettere sullo svuotamento della legge 185/90 e a sottoscrivere una petizione ad hoc. Nel seguente comunicato stampa la Rete spiega i contenuti della proposta e le modalità per firmare. Alla fine del post c'è l'apposito link. (ab)


Le richieste di questo coordinamento sono chiare e si possono realizzare concretamente approvando gli emendamenti al DDL illustrati e proposti già dall’inizio dell’iter parlamentare del DDL governativo di modifica:

➡️ Fare in modo che la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi, non si trasformi in un “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi ma sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero della Difesa

➡️ Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – che non era presente nel testo originario della Legge 185/90 in quanto entrato in vigore solo nel 2014 – e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali, con forza normativa maggiore di natura internazionale

➡️ Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento, in particolare contenendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero della Autorizzazione MAE (Maeci), gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge

➡️ Impedire la cancellazione integrale della parte della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari

➡️ Impedire l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa

➡️ Reintrodurre la possibilità per il CISD di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’ONU e dall’Unione Europea e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute”

Cosa puoi fare per sostenerci?

➡️ sottoscrivi la petizione popolare a sostegno delle richieste di Rete Pace Disarmo per fermare lo svuotamento della Legge 185/90 e chiedere un maggiore controllo sull’export di armi italiane

 https://retepacedisarmo.org/petizione-basta-favori-ai-mercanti-di-armi-fermiamo-lo-svuotamento-della-legge-185-90/

Nella situazione attuale, la Pace presuppone il disarmo

 

In questi giorni pasquali si è parlato ovunque di pace. E' senz'altro un fatto positivo che si diffonda ovunque e diventi centrale la necessità di impegnarsi per raggiungerla, in ogni contesto planetario e locale.

Tuttavia il rischio c'è. Quale rischio? Quello di rendere il concetto talmente astratto da ottenere l'inevitabile accordo di tutti, anche di coloro che sono coinvolti nelle guerre.

E allora? Allora occorre lasciare il comodo spazio dell'enunciazione di principio, per scendere sul complesso terreno delle scelte concrete, individuali e collettive. Tra queste scelte, in un contesto almeno apparentemente democratico, le decisioni sulla guerra e sulla pace non dipendono soltanto dai rappresentanti del popolo, ma dal consenso generale che le influenza. Per questo, scegliere da che parte stare e manifestarlo anche pubblicamente è un gesto di profonda importanza etica e politica.

Nella situazione attuale, non si tratta solo di scendere in piazza e di dire con forza "PACE", ma anche di dare forma storica e pratica a tale vocabolo. Pertanto, per stilare un elenco di alcune tra le tante possibili applicazioni, ha senso dire pace se si propone la cessazione dell'invio delle armi in Ucraina, schierandosi dalla parte di chi - come per esempio papa Francesco - invoca il negoziato come unica soluzione possibile del conflitto. Ha senso dire pace se si dà il nome giusto, cioè genocidio, al massacro sistematico che Israele sta portando avanti a Gaza. Ha senso dire pace se si mette in discussione il ruolo della NATO come alleanza difensiva sì, ma degli interessi macroeconomici del Nord del mondo. Ha senso dire pace se si propongono credibili alternative alla posizione disperatamente allineata agli USA dei vertici attuali dell'Unione europea. Ha senso dire pace se si contestano gli incrementi dei finanziamenti militari, la produzione e la vendita delle armi, i profitti delle fabbriche (anche in Italia) degli strumenti che seminano morte. E così via, compresa la decisione di scegliere come rappresentanti in Europa, nella prossime elezioni, coloro che condividano tali idee di giustizia nonviolenta e le promuovano ovunque. 

Un piccolo gesto è proposto dalla Rete italiana per il disarmo, che promuove una raccolta di firme da inviare ai rappresentanti parlamentari in vista della discussione sulle modifiche alle leggi che consentono il controllo sugli armamenti in Italia. Potete trovare le argomentazioni e il link per eventualmente sottoscrivere nel prossimo post di questo blog. 

sabato 30 marzo 2024

Buona Pasqua, un augurio di autentica pace

 

Aquileia, Giona rigettato dal pesce (inizio IV secolo)

Una delle possibili etimologie della parola “pasqua” deriva dall’ebraico “pesach” che significa “passaggio”.

Gli ebrei vivono una situazione drammatica in terra d’Egitto, ridotti alla schiavitù dal faraone di turno. La loro condizione sembra disperata e irrisolvibile. Il libro biblico dell’Esodo racconta una storia inattesa, un intervento del trascendente consente loro di “passare” attraverso le acque del mar Rosso e il deserto, per raggiungere la terra promessa.

Cosa c’è dietro a questo racconto che porta tutte le caratteristiche di un mito fondatore della coscienza identitaria del popolo ebraico? C’è una storia di sofferenza, di ribellione, di resistenza, di liberazione, di oppressione. Come ogni vicenda umana, come ogni esperienza di popolo. La “pasqua” è la rilettura teologica degli avvenimenti quotidiani, una specie di fuga dall’ordinarietà della classica successione schiavitù, liberazione, nuova oppressione che sembra caratterizzare ogni autentica rivoluzione. E’ il riconoscimento dell’assoluta e non derogabile responsabilità individuale e collettiva relativa all’andamento del mondo. Ma è anche una possibile apertura fiduciale nei confronti di un possibile “senso della storia” che in ogni caso può essere attinto esclusivamente nella dimensione della fede.

Tanto più questo è vero, se ci si riferisce alla prima pasqua cristiana. Il “passaggio” in questo caso è ancora più sconvolgente, riferendosi alla madre di tutte le paure, quella della morte. I vangeli narrano la vicenda con un linguaggio molto profondo, dove il “prima” del Gesù storico è chiaramente distinto dal “dopo” del Cristo della fede, per usare un’espressione celebre del teologo Rudolf Bultmann. La vita pubblica, la sofferenza e la morte di Gesù fanno parte dell’orizzonte della ragione. Sono quanto di più reale ci possa essere, il fascino di una condivisione dell’umano che coinvolge anche il momento supremo della fine. E’ un assassinio in piena regola, perpetrato dai capi religiosi e militari del momento. Lo si può studiare, analizzare, perfino provare con le documentazioni letterarie e archeologiche che arricchiscono di giorno in giorno la conoscenza. La risurrezione è “un altro mondo possibile”, un evento che non riguarda l’al di là, ma il modo di essere in “questa” vicenda. E’ un’altra storia che si nasconde (o si rivela) in questa storia. L’una è irriducibile all’altra, la morte nasconde la vita, ma non ne può disporre.

Ecco allora l’annuncio pasquale che per sua stessa indole è universale, non certamente limitato alla sola dimensione della fede credente, meno ancora a una specifica forma religiosa. La risurrezione afferma la possibilità dell’inattesa vittoria della Vita sulla morte, in una prospettiva che è contemporaneamente immanente e trascendente. E’ immanente, perché non toglie neppure un minimo segno alla scelta umana di costruire pace piuttosto che guerra, perdono invece che vendetta, amore e non odio, tutti termini da considerare anche nella loro essenziale ambiguità e non immediata traducibilità. E’ trascendente, perché apre una nuova possibilità in una nuova dimensione che coinvolge l’essere in un’altra storia. In altre parole, si può vivere da risorti in questa vita, così come si può vivere da morti pur essendo vivi.

Forse è un altro modo per dire ciò che proponeva Carlo Michelstaedter, parlando di persuasione e rettorica. Si tratta dal passare dalla dimenticanza all’essere pienamente se stessi, con tutta la drammaticità che questa scelta comporta. “Passare”, appunto, dalla morte alla vita.

Che sia una Buona Pasqua allora, per il mondo intero!

Ogni catena è una violazione dei diritti dell'uomo

Le immagini di Ilaria Salis incatenata alle mani e ai piedi, tenuta con un guinzaglio di ferro da una guardia, sono di una violenza inaudita. Lo stesso è da dire per centinaia di migliaia di esseri umani che subiscono lo stesso trattamento in diverse parti del mondo.

No, non può esserci alcuna giustificazione davanti a una palese violazione dei diritti della persona. Cosa è stato fatto per evitare questo scandalo? Cosa ha fatto il governo Meloni per evitare che di nuovo la Salis apparisse in queste umilianti condizioni? Non si dica che una pressione di un governo "amico" - Meloni su Orban - non avrebbe potuto produrre alcun cambiamento! E se questo, come è stato a volte ribadito, è il modo di fare con tutti i detenuti in Ungheria, cosa si aspetta a espellere l'Ungheria dall'Unione europea per manifesta violazione dei principi fondamentali del diritto?

Lo stesso vale per tutti, anche per Chico Forti. Già Di Maio aveva annunciato la prossima estradizione e poi non se ne fece nulla. Meloni un mese fa ha annunciato di aver ottenuto il risultato, ma il tempo passa e si comincia a pensare che non è solo la burocrazia il motivo del prolungamento dei tempi.

A molti prudono le mani, i leoni inveterati da tastiera scrivono commenti da brivido sulla "giustezza" dei modi attuati nei tribunali ungheresi. Il consenso crescente alla violenza è un ulteriore motivo di preoccupazione, in un contesto di progressivo avvicinamento a una catastrofe che deve essere in qualsiasi modo evitata, attraverso l'impegno efficace di tutte e tutti gli abitanti del mondo.

Quindi, non occorre essere schierati a destra o a sinistra per gridare contro qualsiasi sistema di potere che usi le catene come deterrente nei confronti di presunti crimini di chicchessia o anche che non faccia nulla per evitarlo, facendo finta di non vedere che cosa accade. Come gli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia quando hanno paura.

giovedì 28 marzo 2024

Il sacerdote alpinista Valentin Stanič sulla "vetta" del campanile di Aquileia

 

In occasione del giovedì santo, ecco una curiosità. Valentin Stanič, una delle figure più interessanti della storia dell'Arcidiocesi di Gorizia, oltre al Grossglockner (II salita assoluta, il giorno dopo i primi salitori), al Watzman (I assoluta) e naturalmente al Triglav (determinazione definitiva dell'altezza), ha "scalato" anche il campanile di Aquileia.

Non è stata una "prima", ma la sua firma è la prima di una lunga serie. Grazie all'intelligente scoperta del professor Alessandro Saša Quinzi, nella cella campanaria della maestosa torre è possibile leggere chiaramente su un mattone la scritta V. STANIC, con la data presumibile del 1810.  

Stanič è nato a Bodrež, frazione di Kanal ob Soči, nel 1774. Ha compiuto studi approfonditi in varie città europee e ha svolto il suo incarico pastorale nel territorio Goriziano. E' ricordato per aver contribuito al disegno del ponte di Kanal, distrutto durante la prima guerra mondiale, per essere stato ottimo scrittore e poeta, per aver messo in piedi una delle prime case editrici della città di Gorizia, per aver fondato una delle più importanti associazioni ambientaliste e di protezione degli animali in Europa, per la carriera alpinistica di alto livello con la conquista di cime per quella volta ritenute ai limiti delle capacità umane. A Gorizia il sacerdote sloveno è ricordato soprattutto per aver fondato e costruito con le proprie mani la sede della scuola per i sordi, durata quasi centocinquanta anni e finalizzata a "dare la parola" a chi non era in grado di comunicare con gli altri. E' morto a Gorizia il 29 aprile 1847 e a lui è tuttora dedicato il più importante premio alpinistico della Baviera. 

Insomma, don Valentin Stanič è un stato un personaggio indimenticabile e meriterebbe, in città, ben di più che la menzione sul  piccolo parcheggio sottostante la sinagoga, accanto alle strutture scolastiche da lui stesso volute. La sua firma sul campanile di Aquileia è un chiaro segno del suo passaggio, della sua predilezione per la città punto di riferimento per l'intero Centro Europa e della passione per le altezze e per le bellezza dell'arte e dei paesaggi.

giovedì 21 marzo 2024

Inizio di primavera con Libera a Roma e Gradisca

 

Anche se dal punto di vista astronomico la primavera è iniziata già ieri mattina, il 21 marzo è la data convenzionale nella quale si avvia, nell'emisfero nord, la stagione della rinascita della natura.

E' proprio in questo momento di speranza e di poesia - è anche la Giornata internazionale della Poesia - che si celebra la XXIX Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo della vittime innocenti delle mafie. E' un'iniziativa promossa da Libera, che propone a tutte e tutti di incontrarsi nelle piazze, per ricordare coloro che hanno perso la vita nelle lotta contro la mafia e per ribadire il proprio impegno per la libertà, la verità e la giustizia, contro ogni forma di mafia. Esserci - se non con la presenza almeno con il pensiero - è più che mai necessario, dal momento che il sistema mafioso è purtroppo ben radicato nella realtà italiana e internazionale. La "Giornata" è un segnale della volontà dei cittadini, ma anche la presa di coscienza della necessità di combattere e vincere la mafia, anche nelle piccole realtà e scelte di fronte alle quali la nostra esistenza ci pone ogni giorno.

La manifestazione nazionale sarà a Roma, per chi è in zona l'appuntamento è a Gradisca, oggi pomeriggio, 21 marzo, alle ore 17.30 in piazza Unità, con la lettura del lungo elenco dei nomi delle vittime innocenti, cadute sotto i colpi della mafia in questi ultimi decenni.

Buon 21 marzo e buona Primavera!

martedì 19 marzo 2024

Na Sabotinu, sul Sabotino...

Dalla O di Tito Nova Gorica e Gorizia sono proprio Gorici, duale femminile, le due Gorica.

La salita al Sabotin è sempre una bella esperienza, anche se ripetuta qualche decina di volte ogni anno. E' una cima vera, nonostante i suoi soli 609 metri, poco più di 500 di dislivello dal ponte di Solkan. 

Ci si può arrivare dalla južna pot, superando balze e ghiaioni, con vista mozzafiato, attraversando la famosa scritta che si vede da tutta la pianura, raggiungendo i ruderi di San Valentino.

Ma perché il Sabotino si chiama Sabotino? E' tanto tempo che  cerco una risposta a questa domanda, ma non la trovo. Qualcuno dice che sia una contrazione di San Valantin, il nome dato dai friulani alla montagna, ma la cosa non mi convince o, almeno, non ci sono sufficienti documenti per dimostrarlo. E se fosse una reminiscenza delle tradizioni aquileiesi legate a Santa Sabida (o Sante Sabide), collegando il nome, per qualche misterioso motivo, alle suggestioni ebraiche e alle derivazioni alessandrine, secondo molti studiosi evidenti nella teologia aquileiese? Mah, è soltanto un'ipotesi fondata sul nulla, ma chissà... Monte del Sabato, perché no?

C'è poi la solita aerea cresta, sempre munifica di scorci sulla sottostante Soča, qui frenata nel suo impeto adulto dalla diga costruita nei primi anni '80 del secolo scorso. Oh, il secolo scorso, che impressione usare queste parole... Quasi metà della mia vita l'ho passata nel secolo scorso, quando non c'erano i telefonini, non c'era l'intelligenza artificiale, neppure internet, et cetera et cetera, bla bla bla... Quando ci si mette, il fiume si offre in colori indescrivibili e anche irriproducibili, blue, verde, marrone, a volte perfino rosso, spesso smeraldo. Un vero gioiello. Uno sguardo di qua ed ecco Sveta Gora, il Monte Santo dalle molte lingue e dalle tante culture. Dall'arco gotico, ciò che rimane dell'eremo antico  di San Valentino, si fa inquadrare nella più immancabile delle foto ricordo. Uno sguardo di là ed ecco la piana goriziana, incastonata tra il Trstelj e la valle della Vipava, tra le alture di San Floriano ed il Calvario. Una meraviglia.

Cammina cammina e giunsero a una torretta. No, non è una favola, è uno dei tanti resti della prima guerra mondiale che qui, come altrove, è stata un inutile strage. Lontano, quasi vicino al fiume, la tozza tomba cumulativa di Oslavija ricorda l'assurdità di ogni guerra, tanto più accentuata dalla bellezza del panorama e dalla gioia di marciare al ritmo veloce dei passi e del fiato. Se le bombe hanno falciato indifferentemente i soldati da una parte e dall'altra, i ropi, le malattie e la fame hanno completato il lavoro. Un vero disastro. Ma ecco la vetta.

Solitudine, silenzio, sensazione di possedere ogni cosa senza essere posseduti da nulla. E' l'emozione di ogni volta, l'incontro con un sasso o un cespuglio diventati ormai familiari. E' il sussurro leggero dell'aria e lo sforzo di una primavera che sembra voler scaturire dal nulla, da un istante all'altro. E' il sentimento dell'attesa, la percezione del sacro, tremendum et fascinans. E' il ricordo di tanti altri giorni, felici e tristi, trascorsi quassù. E' sempre e comunque, un istante di bellezza.

Sento il fragore del vento leggero che attraversa silenzioso le mie ossa inumidite. Mi abbaglia lo splendore della città illuminata dal sole. Mi lascio sorprendere da un pensiero d'Amore, nel mirabile risveglio di una nuova primavera. Lo sguardo corre lontano, oltre le colline frastagliate dell'Essere. S'intravvede il Mare, sepolcro e fonte della Vita. Amen

domenica 17 marzo 2024

Riflessioni per una via crucis di pace, Malnisio 17 marzo 2023

E' una via crucis, ma non è un gesto religioso. Forse si potrebbe dire spirituale, nel senso antropologico del termine. Non è possibile camminare insieme, senza ricordare Pierluigi Di Piazza, che 26 anni fa ha ideato questo gesto di pace e senza pensare a Bepi Mazzon, amico di tutti, sempre presente in tutte le edizioni passate.

Ovviamente in chiave introduttiva, diamo voce al vescovo di Roma Francesco: no alla guerra a oltranza, sì alla trattativa; fermare immediatamente le armi del genocidio di Gaza, cercare insieme una soluzione negoziale. In generale, basta con la politica degli armamenti, avanti con gli strumenti di pace. "Trasformeranno le lance in falci e i carrarmati in aratri". 

Nel caso della prima via crucis, 2000 anni fa, chi sono stati i mandanti dell'assassinio di Gesù? Coloro che hanno obbedito agli ordini, prima di tutto senz'altro i sommi sacerdoti, gli scribi, i capi religiosi dell'antico Israele. Hanno voluto la morte di Gesù, perché riportava alla loro essenza le infinite regole della Torah e metteva così in discussione il loro potere. Lo hanno consegnato all'autorità romana che, impersonata da Pilato, ritiene di lavarsene le mani e di dare il reo in mano ai soldati, per non disobbedire all'imperatore. I soldati hanno ritenuto di fare il loro dovere e a loro volta, come il comandante di Auschwitz, hanno obbedito ai loro superiori". C'è un po' di spazio anche per i discepoli. Pietro ritiene di difendere Gesù usando la violenza contro la violenza e viene rimproverato per questo. Dopo di che, ecco anche un certo pacifismo che non sa più che pesci pigliare: se siamo contro la forza delle armi, se i media non ci danno spazio, se sono anni che diciamo sempre le stesse cose e non incidiamo in nulla sulle decisioni dei capi, tanto vale che cerchiamo di salvarci la pelle... Ecco, tutti questi - a volte anch'io, a volte anche noi - collaborano al mandato di morte.

Ma ci sono, nella via crucis, i mandanti di pace? Non ci sono "i" mandanti, ma ci sono "le" mandanti. Solo le donne restano accanto a Gesù, in tutto il percorso e nel momento supremo. Morendo Gesù grida perfino l'abbandono di Dio, ma Maddalena, la madre Maria, quella di Giacomo e Giovanni, Giovanna, Susanna sono lì, presenti fino all'ultimo momento, portando con loro la forza travolgente dell'Amore. E' forse per questo che saranno le donne le prime testimoni dell'avvenimento che sovverte i piani della storia. La risurrezione non è l'happy end di una vicenda andata storta, ma la rivelazione dell'essenza stessa del Creato, quella nascosta dentro le effimere apparenze di una storia che ritiene che i vincitori siano la ricchezza, la forza e il Potere, in tutte le sue dimensioni.

La risurrezione non è un progetto politico o una strategia alternativa. E' un equivoco nel quale sono ancora incastrati gli apostoli il giorno dell'Ascensione: "E' questo il segnale per scatenare l'inferno e per rovesciare il potere dei romani, instaurando finalmente il regno di Israele?" E' l'equivoco che ha portato Costantino e soprattutto Teodosio a immaginare che l'impero cristiano sarebbe stato il regno di Dio sulla terra. E' un ritornello che giunge fino a oggi, là dove in tempo di democrazia liberale, le varie forme di Democrazie Cristiane hanno ritenuto che bastasse ottenere il consenso e raggiungere gli scranni del Potere per avviare il tempo messianico della giustizia e della pace sulla Terra.

La risurrezione è un mandato di vita non affidato all'imperatore o al presidente, ma a ogni essere umano, nessuno escluso. E' l'invito alla conversione, ovvero, come dice l'etimologia della parola in greco, meta-noia: finora si è pensato così, d'ora in poi si scopre che la Verità dell'essere è un'altra. E la verità dell'Essere è che l'Amore vince, l'amore vissuto, in tutte le sue dimensioni, in ogni istante della vita. Per questo la pace o la guerra non saranno decise dalle trame dei potenti, ma neanche dal numero dei partecipanti alle manifestazioni o dall'acquisizione di spazi importanti sui giornali. Sarà decisa da donne e uomini che decidono di vivere da risorti, ovvero sperimentando in questa vita la bellezza e la gioia di pensare con la propria testa, di anteporre l'interesse comune a quello proprio, di rispettare la natura, dono meraviglioso della nostra madre terra. E lo faranno in gesti quotidiani, comprando in un modo piuttosto che nell'altro, ponendo come linea da seguire il dono e non il possesso, la condivisione invece che l'accumulo, la sobrietà invece del consumo. E lo faranno con l'impegno politico, non intruppati in ordini di scuderia partitici o religiosi, ma ragionando con una coscienza formata dalla profondità dell'amore, in grado di decidere, volta per volta, cosa sia giusto o cosa ingiusto nelle inevitabili scelte che la nobile arte della Politica ogni giorno impone.

La risurrezione segna uno spartiacque, da una parte genera la fede in un'immensa speranza trascendente, dall'altra libera la ragione umana da ogni riferimento all'assoluto. Solo l'Uomo è artefice del proprio destino, non esistono provvidenze o disegni divini ai quali appellarsi. Le scelte che determineranno la guerra o la pace nel pianeta, riguardano solo ed esclusivamente la responsabilità della propria coscienza di consapevoli appartenenti alla famiglia umana.

Oggi, domenica 17 marzo, è già Pasqua, se ognuno di noi tornerà a casa con il desiderio profondo di amare e con esso si tufferà in ogni istante, pienamente presente nella condivisione del mistero del Dolore, del tutto responsabile nel dare concretezza culturale e politica all'annuncio fattivo della Risurrezione, cioè dell'Amore accolto e condiviso ogni giorno della nostra vita. 

domenica 10 marzo 2024

Il comandante di Auschwitz, di Thomas Harding

Avete visto il film "La zona d'interesse"? 

Sì o no che sia, il consiglio è di cogliere l'occasione per leggere lo straordinario libro dello scrittore Thomas Harding, Il comandante di Auschwitz.

Quando lo si apre, non ci si riesce a staccare dalla lettura. E' interessante come e forse più del film, con la differenza che in questo caso tutto è basato su una documentazione rigorosa e la storia raccontata è clamorosamente vera, dalla prima all'ultima pagina.

La pluricitata "banalità del male" non viene testimoniata dalle dolci immagini di una famigliola che vive serena incosciente di ciò che accade al di là del muro. E' invece trattata con un approfondimento storico e psicologico che, nella sua essenzialità, suscita brividi di estrema inquietudine.

Come Plutarco, Harding presenta due vite parallele, una delle quali a lui molto vicina. Da una parte c'è infatti Alexander Howard Harvey, detto Hanns, il prozio dell'autore. Dall'altra c'è Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, il criminale che ha deciso da solo la morte del maggior numero di persone in tutta la storia. L'uno cresce nella Germania, assiste all'ascesa di Hitler e si trasferisce in Gran Bretagna prima della catastrofe. L'altro sogna di diventare un bravo contadino, accudendo gli animali in qualche amena fattoria della Baviera. Il primo si prefigge la distruzione del nazismo e la cattura dei gerarchi che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare con la Shoah. L'altro, dopo l'incontro quasi casuale con il mondo delle SS e in particolare spinto da una vera e propria infatuazione per Heinrich Himmler, percorre la carriera di custode dei campi di concentramento fino a diventare comandante ad Auschwitz. 

I due personaggi sono descritti nella loro vita quotidiana, dalla nascita alla morte. E' vero, si ha l'impressione che entrambi siano come qualunque altra persona, desiderosi di vivere una vita serena con la propria famiglia e di avere un buon lavoro. Soltanto che il primo fa parte dell'enorme gruppo delle vittime del nazismo e sente come propri amissione quella di smascherare il più orribile sistema di produzione di razzismo, violenza e morte che l'umanità abbia mai escogitato. Il secondo ritiene di essere nel giusto, obbedendo agli ordini superiori, senza porsi alcuna domanda di ordine etico o empatico sulle proprie azioni. A differenza di quasi tutti gli altri processati a Norimberga, il comandante di Auschwitz ammette le proprie colpe, scrive il numero spaventoso degli uccisi nel campo di sterminio, forse addirittura comprende il proprio mastodontico errore quando, prima dell'impiccagione, augura al figlio di "pensare sempre con la propria tesa e mai con quella degli altri. Non suscita alcuna compassione, ma nella concretezza e crudezza della sua testimonianza si rende molto simile a chiunque, in ogni momento del tempo, pensi di "difendere le ragioni della propria parte", non accorgendosi, se non addirittura contribuendo, alla distruzione dell'altro riconosciuto come il "diverso".

Il film e il libro sono molto diversi fra loro, l'unico punto in comune è il protagonista, ritratto nel cinema attraverso un'analisi psicologica fondata sull'orrore della "normalità" in un contesto radicalmente "non normale". Lo straordinario scrittore Thomas Harding, invece, grazie a un'analisi spietata di testi documentari raccolti in tutta Europa e alle coinvolgenti interviste ai familiari di Höss, ci restituisce veramente la figura di "un uomo come noi". E' uno che si è trovato nel posto più sbagliato possibile, attraverso una sequela clamorosamente ordinaria di scelte quotidiane, dettate da squallidi ma comunissimi interessi quotidiani. Il carrierismo, la raccomandazione, la promozione, l'aumento di stipendio, possono essere i gradini apparentemente insignificanti che fanno salire un possibile bravo imprenditore agricolo fino alla direzione del più spaventoso mattatoio umano della Storia. 

martedì 5 marzo 2024

Gorizia 9 marzo, per la pace in Corso (Verdi)

 

Ecco il manifesto pubblicato dal Comitato per la Pace di Gorizia per invitare la cittadinanza a partecipare all'iniziativa pubblica che si terrà sabato 9 marzo, in Corso Verdi a Gorizia. Ed ecco anche il testo proposto dagli organizzatori per riflettere insieme, in accordo con altre decine di migliaia di persone che manifesteranno sabato con le stesse motivazioni, in Italia e nel Mondo. 

I venti di guerra soffiano sempre più forte.

Le vittime del genocidio nella Striscia di Gaza sono ormai oltre 30.000, buona parte delle quali bambini. La sofferenza del popolo palestinese è talmente grande da suscitare timide reazioni di perplessità perfino in chi, dall’inizio, continua a giustificare questa guerra. Si ritiene infatti che sia normale e giustificata una simile terribile strage, in quanto reazione agli attentati del 7 ottobre scorso.

La guerra fra Ucraina e Russia segna il suo secondo anniversario. Si parla di centinaia di migliaia di morti, tra soldati e civili, oltre che di immani distruzioni. Fin dall’inizio era chiaro che l’unica possibile via di uscita fosse quella negoziale. Invece… invece gli Stati Uniti e con loro l’Unione europea hanno deciso di prolungare il conflitto all’infinito, inviando continuamente armi, con il rischio che da un momento all’altro possa scoccare la scintilla per un tragico ulteriore aggravamento della situazione.

In altre parti del mondo si combattono almeno 84 guerre, per lo più dimenticate dai media, ma non dai costruttori e trafficanti d’armi che speculano sul dolore umano e costringono intere popolazioni alla miseria più assoluta.

In Italia chi esprime dissenso viene mediaticamente azzittito, quando addirittura non si giunge ai manganelli per fermare l’impeto giovanile di tanti studenti che hanno l’unica colpa di voler dichiarare la loro contrarietà a qualsiasi forma di guerra armata. Eppure, in un contesto in cui il Paese sembra sempre più saldamente in mano a una maggioranza trasversale che sostiene Netanyahu e arma Zelensky, l’unica forma possibile di pressione è manifestare.

Esprimiamo pubblicamente il nostro chiaro e dettagliato no alla guerra, no cioè all’invio delle armi nei Paesi in conflitto, al sostegno alla campagna criminale di Israele nella Striscia di Gaza, alle parole dei governanti europei e mondiali che gettano benzina sul fuoco delle controversie internazionali.

Esprimiamo pubblicamente il nostro sì all’impegno per portare i contendenti sul tavolo delle trattative, alla costituzione dei corpi civili di pace europei, all’investimento di risorse umane e finanze per creare le condizioni affinché cessino immediatamente i bombardamenti e gli scontri, all’assunzione della lotta nonviolenta come forma autenticamente degna dell’intelligenza umana.

Esprimiamo piena solidarietà con gli obiettori di coscienza e i disertori, presenti in tutte le Nazioni coinvolte nei vari conflitti. Sono i veri eroi, coloro che si rifiutano di imbracciare un fucile o di lanciare una bomba. Rischiano il carcere e a volte anche la vita per testimoniare quanto sia importante che la pace non sia mai armata, se non dalla consapevolezza di appartenere tutti alla medesima umana famiglia.

Richiamiamo con forza i nostri governanti europei e italiani perché fermino immediatamente questo apparentemente ineluttabile declino. Ci vadano loro al fronte, con l’elmetto in testa, a garantire gli interessi del dio Capitale. Ci vadano loro e lascino stare i nostri giovani che hanno il diritto di sperare in un possibile pacifico e laborioso futuro.

Comitato per la pace di Gorizia

domenica 3 marzo 2024

Sta per uscire Nova Gorica Gorizia, due città in una, la guida bilingue per idealisti, viandanti e ciclisti

 

Mancano due mesi.

A cosa?

Ma è logico, al 3 maggio.

Embhè?

Come embhè? Sta per uscire!

Sta per uscire che cosa?

Eh, non ti dico ancora...

E allora, perché mi dici che mancano due mesi, se poi non puoi dirmi per cosa?

Perché volevo tirarla un po' per le lunghe...

E allora?

Allora il 3 maggio uscirà la guida per conoscere le Culture (con la C maiuscola) della due Gorica.

Come "della due Gorica"?

Sì, si parlerà di "due città in una" e per questo ci si può permettere anche di stravolgere perfino la grammatica. L'edizione slovena è facilitata, basta dire Gorici, grazie al bellissimo e originalissimo duale, ecco riassunte in un'unica parola Nova Gorica e Gorizia. Con i loro bei dintorni, ovviamente.

Quindi sarà in due lingue?

Sì, per ora sì, un'edizione in sloveno (ZTT Trieste) e una in italiano (Ediciclo), poi si penserà anche all'inglese...

A chi è rivolta?

A chi ama camminare e andare in bici, sulle strade della Capitale europea della Cultura. Ciclisti e viandanti di tutto il mondo, unitevi!

E chi l'ha scritta?

Beh, questo te lo dirò un'altra volta. Intanto, save the date: la "prima" presentazione sarà venerdì 3 maggio, ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia. Rigorosamente, in italiano e in sloveno.

Lep pozdrav, dragi bralec!

venerdì 1 marzo 2024

Fermiamo la guerra!

 

Una bella iscrizione su un muro di Pistoia
Putin, Zelensky e von der Leyen, come Netanyahu e i capi di Hamas, ma anche Biden e tanti guerrafondai di casa nostra, stanno ulteriormente e pericolosamente innalzando i toni dello scontro.

La "guerra mondiale" non è più una parola tabù, si comincia a prenderla in considerazione, a pensarla come una necessità. Magari triste, magari orribile, ma pur sempre una necessità.

Se questo piano inclinato non viene raddrizzato, i venti di guerra rischiano di diventare autentica tempesta. E' necessario interrompere subito questa deriva che può mettere in gioco il futuro stesso della vita su questo meraviglioso e drammatico Pianeta.

Sì, ma come fare? Come convincere i governanti del mondo a compiere scelte oculate, ragionevoli, degne dell'umana intelligenza? Come convincere un'opinione pubblica sempre più succube del potere straripante dei media? Come urlare la propria contrarietà, se anche dei giovani studenti indifesi vengono presi a manganellate perché cercano di far sentire la loro voce?

Occorre chiedersi chi può guadagnarci qualcosa da una possibile immane carneficina. Forse gli stessi che già ora si sfregano le mani per il fatto di riuscire a svuotare arsenali e aumentare il pil costruendo nuove e sempre più sofisticate armi. Forse coloro che approfittano di queste industrie di morte per creare posti di lavoro, nell'illusione di poter garantire ai propri cittadini condizioni di vita migliori, dimenticando che tutte queste eventuali apparente conquiste, in caso di guerra, gli si ritorcerebbero contro. Ci vadano loro sotto le bombe o il tiro delle mitragliatrici, non inviino al macello i nostri fratelli, figli o nipoti.

Le parole di questi giorni stabiliscono il fallimento delle speranze del Novecento. Si pensava che il superamento dell'epoca del fascismo e del nazismo, come pure i massacri delle due guerre mondiali avrebbero aperto una nuova strada per l'umanità. Si sperava nella distruzione degli arsenali bellici e nella riconversione delle fabbriche d'armi. Si auspicava una vera società delle Nazioni, dotata di forza giuridica e non solo morale, per poter affrontare e risolvere con le trattative le controversi interne ed esterne a ogni Paese. Si immaginava perfino un mondo senza più confini, la fine di ogni nazionalismo, la centralità dell'essere umano in quanto tale, la libertà di circolazione delle persone ovunque, il superamento degli abissi di differenza tra l'estrema povertà dei sud e la ricchezza dei nord del mondo.

Si desiderava tutto questo e molto di più. E' del tutto svanito questo sogno? Non c'è alcun modo di impedire la catastrofe? Sembrerebbe di no, osservando la farneticante richiesta di aumento di spese militari della presidente della Commissione europea o le commesse per la Leonardo volute dal nostro governo. Ma forse la speranza è l'ultima a morire e quindi qualche barlume ancora c'è. E' importante esprimere la propria contrarietà, "no in nome mio", far capire che si può immaginare una relazione tra le persone non basata sulla difesa dei propri confini, ma sull'eliminazione di ogni barriera divisoria. E' indispensabile uscire dalla logica perversa del "noi contro voi", per mettere al centro il diritto della Persona, di ogni essere che prima di essere italiano, ivoriano, turco, americano o russo, è sempre anzitutto un appartenente alle specie umana o, per dirla in termini più spirituale, una sorella o un fratello facente parte della mia sessa famiglia.

Manifestiamo quindi, perché il violento non è chi protesta contro la guerra, ma chi, seduto sulle poltrone paludate e asettiche del Potere, minaccia di condurre l'umanità al suo definitivo tramonto.

mercoledì 28 febbraio 2024

L'Orsigna, Tiziano Terzani, la pace e la politica...

La strada Porrettana congiunge Pistoia con Bologna, valicando l'Appennino Tosco Emiliano all'altezza del Passo della Collina. Segue poi la stretta valle del fiume Reno. Qualche chilometro prima di Ponte della Vetturina, si dipana sulla sinistra una stretta strada che tra curve e tornanti consente di raggiungere in sicurezza il pittoresco abitato di Orsigna. Oltre l'agglomerato di case, si continua a salire, si passa accanto alla casa di Tiziano Terzani e si prosegue fino a dove finisce la carreggiabile. Venti minuti di cammino nel bosco e si arriva all'albero con gli occhi, una sorta di santuario tra il buddista e il laico, venutosi a creare nel tempo nei pressi dell'albero sotto il quale il grande giornalista amava soffermarsi e meditare. Ci sono tanti segni di una forte presenza spirituale che emana dalla natura, ma anche dalle pietre, dalle bandierine simili a quelle che si vedono nelle foto delle spedizioni alpinistiche nel Nepal. sono come ex voto che raccolgono le ansie, le speranze, i dubbi e le certezze di migliaia di persone che sono arrivate fino quassù, sulle orme di un uomo la cui religione fondamentale è sempre stata quella della concordia e della pace fra i popoli.

Ed è proprio pensando a Tiziano Terzani che sotto l'albero con gli occhi abbiamo collocato anche noi la nostra piccola pietra simbolica, con la speranza di raccogliere il suo testimone e di essere sempre, almeno più possibile, costruttori di pace. E questo è possibile se si è capaci, proprio come diceva Terzani, di ascoltare le ragioni dell'altro. Il che non significa condividerle, ma porre le basi per chiedersi se abbia un senso un intervento violento, a livello personale o internazionale, al fine di risolvere una determinata questione. Quanto questo sia facile a parole, ma difficile in realtà, lo si sperimenta ogni giorno, quando si invoca la pace partecipando a manifestazioni e a gesti eclatanti di protesta e poi non si è capaci di superare neppure le piccole incomprensioni quotidiane, vanificando di fatto la richiesta ai governanti di cessare il fuoco e di sedersi al tavolo della trattativa.

E allora? Allora la strada da seguire implica un impegno, da una parte personale, dall'altra collettivo. Dal punto di vista individuale, è logico che in un tempo drammatico come l'attuale occorre un soprassalto di responsabilità. E' necessario cioè che nel piccolo contesto dell'ordinario scorrere della vita, si ribaltino situazioni incancrenite, si riaprono percorsi di dialogo precedentemente bloccati, si percorrano con nuova convinzione sentieri interrotti. Dal punto di vista collettivo, mai come ora è necessario credere nell'autentica Politica.

Cosa significa ciò? Significa che se accettiamo le attuali regole della democrazia, qualcuno deve prendere su di sé la croce e incamminarsi anche sulla via della rappresentanza. La democrazia - almeno come determinata dal dettato costituzionale - implica da una parte la partecipazione assembleare alla costruzione della società, dall'altra l'accettazione della regola della dimensione elettiva. Tutti possono fare pressione culturale e sociale per ottenere ciò che si ritiene giusto, ma è necessario anche eleggere i rappresentanti del popolo, in modo che essi portino negli spazi governativi e amministrativi le idee e le posizioni di chi li sceglie. Tra l'altro è questa l'etimologia della stessa parola "deputati".

Se si è convinti delle proprie concezioni del mondo, occorre esprimerle in forma partecipata e assembleare, ma anche in quella determinata dalla rappresentanza. Per esempio, se la mia idea di società è internazionalista e ritiene che le armi siano lo strumento principe per affermare le ragioni del Capitale, è giusto che io manifesti per far sapere al Governo di turno il mio disaccordo nei confronti di chi ritiene giusto produrre e vendere armi o inviarle in zone di guerra. Ma se le regole democratiche affidano a chi la pensa diversamente da me di avere una maggioranza che consente di decidere, il modo per cambiare le cose non dipende tanto dal mio costante scandalizzarmi, quanto dalla decisione di mettersi a disposizione del proprio gruppo di pressione culturale, presentandosi al giudizio degli elettori. Lo stesso vale, sempre in termini esemplificativi, per l'accoglienza dei migranti. Se sono convinto dell'umana fraternità o sororità universale, è logico che rifiuterò qualsiasi forma di rifiuto, di respingimento e di maltrattamento, mentre al contrario proporrà accoglienza, condivisione e sostegno. Ma perché la legislazione possa trasformare il mio pensiero in regola valida per tutti, devo cercare di vincere le elezioni. Insomma la concretizzazione della mia istanza morale passa attraverso la straordinaria fragilità della ricerca del consenso elettorale, con tutti i limiti tecnici e mediatici che influenzano in modo determinante un'opinione pubblica ben poco avvezza alla lettura e all'approfondimento.

C'è un'alternativa a tutto questo? Mah, è difficile dirlo. Tuttavia l'evidente spaventosa crisi della democrazia rappresentativa pone una questione decisiva: la situazione è questa per il deterioramento delle istituzioni o per un livellamento in peggio della cosiddetta classe politica oppure è l'inevitabile punto di non ritorno del sistema capitalista? Se la risposta è questa seconda, il problema diventa ben complesso. Come uscire dal capitalismo? Come immaginare e soprattutto realizzare un sistema alternativo? Per arrivarci, si può individuare un metodo che consenta una transizione abbastanza sostenibile e nonviolenta oppure c'è la necessità di agire una vera e propria rivoluzione? E' inevitabile il passaggio attraverso la morte per addivenire alla risurrezione, ben sapendo che lo sprofondamento nella guerra globale nel tempo della bomba atomica potrebbe portare alla stessa cancellazione della Vita sulla Terra?

Insomma, l'insoddisfazione del momento induce a meditare e il pensare deve portare all'azione, in modo concatenato e consequenziale. E' certo che non basti più il rituale stracciamento di vesti e l'indicazione del "mandante" di turno. Occorre piuttosto innestare la marcia e procedere spediti, affinché le proprie istanze non siano sistematicamente mortificate da rappresentanti che non rappresentano, ma che possano incidere sul cambiamento della società. Manifestando pubblicamente, anche correndo il rischio di essere ripagati con qualche manganellata o anche peggio. E gettandosi a capofitto nell'agone della politica rappresentativa. 

lunedì 26 febbraio 2024

Viaggio al Focardo

La dolcezza delle colline toscane è conosciuta in tutto il mondo. E' stato molto emozionante immergersi in esse, alla ricerca di una maggior comprensione degli eventi accaduti il 3 agosto 1944.

Il Comune è quello di Rignano sull'Arno, la frazione è quella di Troghi e l'agglomerato di case che interessa questa storia si chiama Il Focardo. Qualcuno ha pensato di allestire un piccolo "cammino", cinque chilometri in tutto, per contemplare la bellezza dei luoghi e per meditare sul mistero dell'umana crudeltà.

Si comincia dal piccolo cimitero della Badiuzza. C'ero già stato altre volte, la prima nel 1974, avevo 14 anni ed erano ancora presenti alcuni dei protagonisti della vicenda. In questo caso non ho potuto trattenere un moto di commozione. Rispetto al passato, il cimitero ha due ospiti in più, le seconde cugine Paola e Lorenza Mazzetti, scomparse nel 2020 e nel 2021. Sono le gemelle, originali e piene di creatività, che in tutta la loro esistenza hanno sublimato la tragedia, trasformandola in opera d'arte, il libro Il cielo cade, le frequenti regie cinematografiche, le mostre di pittura e di fotografia. Erano state quasi adottate dalla famiglia Einstein, Robert e Nina Mazzetti, hanno condiviso i momenti di terrore e la disperazione della separazione violenta dalle zia e dalle altre cugine, Luce e Cici. hanno trascorso una vita intera a rielaborare e a ricostruire, non soltanto per sé stesse ma anche per aiutare tante persone a superare la tentazione della vendetta, a far vincere il perdono, a costruire sempre una nuova possibilità. Mi è dispiaciuto averle conosciute solo negli ultimi anni, ma quanto entusiasmo hanno saputo suscitare in me, con la loro irresistibile simpatia e la travolgente semplicità e saggezza!

Il monumento è sempre lì, edificato almeno quaranta anni dopo gli eventi, slanciato verso l'alto come una fredda protesta verso il Cielo. Per un istante si scostano le nubi e un raggio di sole colpisce pietoso il ferro. Sotto da una parte riposano Nina Mazzetti, Anna Maria detta Cici e Luce Einstein, uccise senza pietà dai tedeschi che stavano per essere cacciati dagli Alleati. Cercavano Robert, volevano rapirlo per ricattare il cugino Albert in America. Ma Albert non era nella villa, si trovava con i partigiani nei boschi. Nina gridava: Robert vieni, vogliono ucciderci tutti! Ma Robert non aveva sentito e i suoi compagni di lotta lo avevano trattenuto, forse convinto che nessuno avrebbe fatto del male. E invece no, il soldato che separava le une, inviate a nascondersi nella stanza alta e le altre, trascinate nella sala rossa. Poi solo gli spari, e poi la fuga, il fuoco, i contadini pietosi che si prendevano cura della zia Seba, di Paola, di Lorenza, di Anna Maria che poi è mia madre. La corsa nei boschi e da lontano, il bagliore dell'incendio. Poi il ritorno di Robert, la muta disperazione, forse un ingiustificato senso di colpa. Robert Einstein, l'ingegnere, vende i suoi beni, sistema il futuro delle gemelle, scrive parole profonde a ogni persona cara e decide di chiudere la parentesi della sua vita. E chiede di stare lì per sempre, accanto alla moglie e alle figlie, diciassette e ventisei anni.

Il cammino riprende. Si passa vicino a laghetti intorno ai quali d'estate pascola il bestiame, si vedono cancelli che introducono a ville sontuose, si sente ovunque l'abbaiare dei cani e dopo un po' si arriva al Focardo. C'è la casa del Peppone, il capo dei contadini che aveva accolto per primo i fuggiaschi dalla casa in fiamme. Lo ricordo cinquanta anni fa, alto, solenne, alle lacrime nel riconoscere mia madre, detta "La Picchia". ora ovviamente non c'è più, ma la figlia abita ancora la stessa casa e c'è il tempo per un breve, fuggevole saluto. E ora la casa, bellissima, dei miei prozii, Nina, sorella di mia nonna Ada e Robert Einstein. Per un varco si riesce a entrare nel giardino, sembra di sentire le risate, le ampie discussioni, di vedere arrivare ospiti illustri. Poi cala soprattutto un silenzio strano, il posto è intriso di un dolore che permane, quasi incollato alle pareti, alle finestre chiuse dai pesanti serramenti. E' una sofferenza immensa, il rumore degli spari, l'odore del sangue, il componimento dei corpi straziati. Ma è come se fosse rimasto lì, una parte penetrata in Robert fino al gesto estremo, una parte prigioniera del Focardo. Ha lasciato liberi tutti gli altri, ciascuno a suo modo, di vivere una vita piena di intensità, di umanità. c'è il tempo per sbirciare un stanza, quasi una cantina con le finestre rotte. 

Dentro ci sono dei disegni, sembrano quasi messaggi pompeiani. La mano è forse di Paola o di Lorenza, a un grazioso uccellino può darsi che abbia collaborato anche mia madre. Sono sprazzi di luce, memoria di un tempo di grande gioia, stroncata da una sparatoria, una manciata di giorni prima della "Liberazione". Ma sanno suscitare anche adesso un sorriso. E permettono di uscire dalla villa, sorprendentemente, con nel cuore un'improvvisa sensazione di Speranza.

Basta uno sguardo, tra i presenti, per capirsi al volo. L'emozione lascia spazio alla gioia dello stare insieme. La vita è bella e vale la pena di essere vissuta. Chi l'ha persa così drammaticamente non soffoca, con una falsa idea di ricordo, la possibilità di continuare a sorridere. Al contrario, il ricordo, lungi dal suscitare l'odio, si trasforma in impegno. E in un abbraccio di pace.