martedì 31 dicembre 2024

L'anno che se ne va...

 

Si conclude il 2024, anno bisestile come il difficilmente dimenticabile 2020. Infatti i pensieri finali riportano alle situazioni di guerra e di sofferenza che colpiscono una parte del Mondo e che preoccupano l'altra.

Ci si lascia alle spalle un periodo di incertezza e per molti di paura, con le purtroppo consuete immagini di morte e di distruzione, di mancata accoglienza e di crisi profonda di autenticità e di umanità.

E' stato comunque un anno di Vita, un'occasione quotidiana per vivere a ogni livello l'esercizio solenne della Responsabilità morale, scegliere l'amore invece che l'odio, il perdono invece che la vendetta, la solidarietà invece dell'egoismo, la delicatezza invece che la violenza, la pace invece che la guerra. A volte ci si riesce, a volte no. La parola più ripetuta in questo ultimo scorcio di anno solare è Speranza. Ecco, forse è proprio la Speranza la virtù capace di orientare la bilancia verso il bene piuttosto che verso il male.

E con la Speranza, dentro ogni realtà, rinasce il sentimento della Gratitudine. Grazie perché in ogni caso la Vita c'è e continua; e perché essa impegna chiunque ne sia coinvolto ad alleggerire il dolore del Mondo e a gustare il dono della Natura e dell'incontro con l'Altro. Sempre e ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte. 

domenica 29 dicembre 2024

Tra remissione dei debiti e liberazione dei prigionieri

Nel corso di un'articolata celebrazione, iniziata nella chiesa dei Cappuccini e conclusa nella Cattedrale di Gorizia, è stato ufficialmente aperto oggi il Giubileo del 2025 in ambito diocesano.

La riflessione sulla Speranza è stata il filo conduttore del momento iniziale, come della Messa presieduta dall'Arcivescovo Redaelli che nella sua interessante omelia ha richiamato i fedeli alla dimensione della remissione del debito, quello contratto con sé stessi e quello degli uni nei confronti degli altri.

In questa apertura dell'anno santo, c'è qualcosa che sfugge. I riti sono molto potenti, quelli presieduti da Francesco in Vaticano e soprattutto a Rebibbia, come il pellegrinaggio per le vie della città compiuto oggi a livello locale. Ma non si riesce a cogliere fino in fondo il nesso tra la dimensione legata alla contemplazione del Mistero del trascendente, come fondamento spirituale assoluto della Speranza e quella immanente, determinata dalla sempre contingente traduzione in gesti e azioni conseguenti.

E così, un evento simbolicamente potente come quello di un Papa che chiede di entrare nella "porta santa" di Rebibbia, rimane sospeso tra lo stupore di una Chiesa che vuole "farsi prossimo" dei detenuti e la constatazione che quell'apertura potrà servire solo a far entrare il pontefice e i suoi collaboratori, non certo per far uscire coloro che sono reclusi. L'annuncio della liberazione dei prigionieri rimane per così dire "imprigionato" nella sfera dello Spirito, mentre non parla alla "Carne" del detenuto. Oppure viceversa, il messaggio assume una forte valenza politica di (irrealizzabile purtroppo) abbattimento dei muri della prigionia, perdendo nel contempo la libertà dello Spirito che "soffia dove vuole". 

E' simile l'impressione suscitata dalla sosta davanti alla casa circondariale di Gorizia. Da una parte si è vista una processione che più tradizionale di così non si può, litanie antiche ad accompagnare una croce sballottata di qua e di là dai portatori che non sembravano conoscere il programma del percorso, Arcivescovo in paramenti da celebrazione con mitria sul capo e pastorale tra le mani, monsignori impettiti con tanto di cappelli rossi a pon pon. Dall'altra il semplice tocco della mano del celebrante sul portale di ferro, l'aprirsi e il comparire di un detenuto insieme a don Alberto e a don Paolo, la sua lettura del Vangelo - timido e fragile - sulla liberazione degli oppressi nel Giubileo della misericordia del Signore, un breve saluto e il rinchiudersi secco e risonante del portale, chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori. Sarà perché nessuno si è premurato di spiegare l'importanza del momento, sarà perché la cortina dei giornalisti e dei fotografi ha sottratto ai più la partecipazione ai gesti, sarà perché si è voluto mostrare una Chiesa sulla soglia ma non l'uscita di coloro che sono rinchiusi, fatto sta che molti presenti erano visibilmente commossi, ma senza sapere perché. 

"Che bel gesto, emozionante e commovente!" "Già, ma cosa cambia?" "E cosa dovrebbe cambiare, mica vorrai che tutti quelli che hanno commesso reati vengano liberati?" "E allora, che senso ha questo gesto?" "Dare a loro speranza..." Ecco alcuni sprazzi dei commenti della "cente".

Ecco, per essere costruttivi e per cercare di tradurre il gesto spirituale in proposta concreta: questo anno santo potrebbe servire per facilitare i permessi d'uscita agli ospiti del carcere goriziano; per favorire la creazione di comunità dove svolgere pene alternative al carcere, necessariamente per pene inferiori ai tre anni, possibilmente anche per quelle superiori; per istituire urgentemente - atto semplicissimo da realizzare, in quanto senza oneri per l'amministrazione! - il GARANTE PER I DIRITTI DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA' INDIVIDUALE, con bando pubblico bandito immediatamente dal Comune di Gorizia; per chiudere il CPR di Gradisca d'Isonzo e tutti i CPR Lager presenti in Italia; per creare una piccola comunità di detenuti nell'ex seminario di Gorizia, facendo di loro degli ottimi "hospitaleri" per i giovani in cammino sull'iter goritienese o sui mille percorsi a piedi e in bicicletta che intersecano il territorio.

Insomma, c'è bisogno di riconciliare trascendenza e immanenza, senza confonderle, ma anche senza collocarle una accanto all'altra in modo poco comprensibile. In fondo, è un bel compito che può essere svolto in questo anno giubilare che per Gorizia - non è mai da dimenticare - sarà anche quello della compartecipazione a Nova Gorica, capitale europea della Cultura 2025.

sabato 28 dicembre 2024

L'assurdità della guerra in una pittura parietale sotto il Krn

 

Questa semplice pittura parietale è stata realizzata tra il mese di giugno 1915 e il novembre 1917. E' raffigurata una Pietà, con uno sfondo celeste, nel quale rilucono le stelle, forse la luna e in alto il sole. E' meno celebre di quella di Michelangelo, ma non suscita minore emozione, in quanto l'ignoto pittore è stato un soldato italiano che ha voluto decorare la chiesetta dedicata alla Consolatrice degli afflitti, sulle pendici del Monte Krn, in un sito che richiede un paio di ore di cammino per potervi arrivare.

La cappella ospitava i soldati che si ritrovavano a pregare, guidati da cappellani militari giovani quanto loro, che li confortavano con sagge e prudenti parole e benedivano le loro armi, sperando che fossero efficaci e che i militi non cadessero sotto i piombo degli avversari.

A pochi chilometri da questo luogo, nel quale il pensiero struggente va a una generazione falciata dalle decisioni di pochi politici inamidati e dalle strategie di generali incoscienti, c'è un'altra chiesa suggestiva, quella di Javorca. Essa è più nota, addirittura è segnalata come patrimonio culturale europeo. E' stata edificata durante la prima guerra mondiale dai combattenti sotto l'esercito austro-ungarico. In essa si ritrovavano a pregare guidati da cappellani militari giovani quanto loro, che li confortavano con sagge e prudenti parole e benedivano le loro armi, sperando che fossero efficaci e che i militi non cadessero sotto i piombo degli avversari.

Insomma, cattolici contro cattolici, benedizioni richieste allo stesso Dio, invocazioni di preti della stessa confessione affinché gli uni si potessero salvare a discapito degli altri.

Pochi punti del nostro territorio di confine raccontano in modo più forte l'assurdità dell'inutile strage. Questi sprazzi di bellezza, quasi macchie di colore nell'oscurità della tragedia assoluta, sembrano celare infiniti tesori nascosti, gli ultimi istanti di umanità prima della brutalità dell'assalto, il pensiero mesto alle proprie famiglie e al tradimento di una vita stroncata all'alba del suo realizzarsi. Parlano dell'orrore degli amici fatti a pezzi, del sangue e del terrore, ma anche della forza e del coraggio, spesso del rifiuto di uscire dalla trincea, magari confidato segretamente al proprio Dio prima di essere falciati dalle raffiche dei carabinieri delegati a uccidere quelli che a quel tempo chiamavano i "disertori".

Oh, se queste due chiesette potessero parlare, gridare all'Europa e al Mondo l'ingiustizia della guerra, della fame, della persecuzione! Se potessero arrivare a suggerire al cuore di chi ancora crede che le armi possano risolvere i conflitti del mondo, di chi massacra senza pietà gli innocenti di ogni tempo per garantirsi una presunta sicurezza presente e futura! Se potessero svelare i segreti gelosamente custoditi, le ultime riflessioni, gli ultimi battiti del cuore, le ultime memorie di un amore che non si sarebbe mai più realizzato!

giovedì 26 dicembre 2024

Una Chiesa che cambia?

 

Francesco, vescovo di Roma, ha avviato ufficialmente l'Anno Santo, la notte di Natale, aprendo la porta di San Pietro in Vaticano. E' il "pontefice", cioè "colui che costruisce ponti" e in effetti i suoi gesti e le sue parole sono improntate dal desiderio di costruire ponti di fraternità fra le persone, i popoli e le nazioni.

L'immagine del papa in carrozzina che spinge delicatamente il portale della chiesa cattolica più grande e importante del mondo è molto suggestiva. La debolezza fisica amplifica il messaggio inviato a ogni abitante del mondo, mentre la gigantesca coreografia rinascimentale sembra volerlo soffocare, ridurlo a un flatus vocis incapace di varcare le barriere degli interessi politici ed economici planetari.

Francesco parla del dolore del mondo e la sua voce riesce a raggiungere ogni angolo perché diffusa dai media gestiti dallo stesso Potere che determina le guerre, gli squilibri economici e la divisione tra pochissimi straricchi e una moltitudine immensa di strapoveri. La forza della sua denuncia è indebolita dal pulpito dal quale parla, quello di una cattolicità ancora enormemente impregnata di quello stesso immenso Potere che le ha permesso di sopravvivere e di attraversare 1700 anni di storia.

Probabilmente il papa se ne rende conto e infatti sembra più interessato a inviare accorati appelli al Pianeta minacciato che a trasformare l'istituzione ecclesiale della quale è a capo. In altre parole, parla con la forza della sua debolezza e trascura la debolezza della forza, cioè della struttura sostenuta da un miliardo di fedeli che appare sempre più come la gigantesca barocca facciata di un edificio ormai vuoto.

E' un pastore inascoltato che vuole proteggere il gregge dai lupi del presente? O è una pecora che veste la pelle del lupo per evitare all'umanità di essere sbranata? Si può usare ancora usare la metafora del buon pastore che entra per la porta giusta dell'ovile e del nemico che invece entra dalla finestra per rapire e distruggere? Fino a che punto la parola di una pecora-lupo può essere effettivamente compresa e raccolta, senza rischiare la completa inincidenza? Se fosse davvero solo pecora, sarebbe sicuramente sbranata insieme all'intero gregge? 

Tutto ciò per dire che Francesco dice parole da condividere e da comunicare ovunque, ma che la Chiesa della quale è guida suprema e assoluta deve cambiare. Le sue strutture, la visione teologica, il diritto canonico sono aggiornati, nel migliore dei casi, al Concilio Vaticano II. I documenti dell'assise di ormai 60 anni fa sono il frutto di una specie di compromesso tra "progressismo" e "conservatorismo", per cui ciascuno può trovare in quei testi conforto alle proprie tesi. E così la vita pastorale ordinaria scorre per lo più nella stessa direzione di cento anni fa, i sempre meno cosiddetti praticanti partecipano a una messa domenicale noiosa e ripetitiva, seguono schemi stantii dove ancora i sacramenti fungono da antropologici riti di iniziazione in una società ormai totalmente laicizzata, pluriculturale e plurireligiosa.

Il mondo in questi ultimi 60 anni è radicalmente cambiato e non occorre essere sociologi o analisti politici per potersene rendere conto. La globalizzazione, internet, i grandi movimenti di popoli alla ricerca di pane e pace, le guerre tecnologiche, il cambiamento climatico non inducono immediatamente a una visione di speranza. Le religioni e in particolare i cristianesimi potrebbero portare davvero una ventata di trascendenza, un altro punto di vista sulla realtà capace di rovesciare le carte e di aprire nuove inattese porte. Ma occorre superare il rischio della formalità, altrimenti anche l'apertura dei cancelli santi di Rebibbia rischierebbe di risultare un gesto soltanto simbolico se non fosse accompagnato dalla concreta liberazione di coloro che, in ogni parte del mondo, sono paralizzati dalle catene della prigionia e della schiavitù.

Il papa giustamente addita l'anno del Giubileo del 2033, memoria dei 2000 anni dalla Pasqua di Risurrezione, come tappa di verifica degli auspici che l'Anno Santo della Speranza 2025 porta con sé. E' necessario tuttavia che la chiesa cattolica per prima si aggiorni, con la possibilità di trasformarsi fino al punto da mettere in discussione i suoi stessi capisaldi. E' tempo di un nuovo Concilio, veramente "ecumenico" come quelli dei primi secoli. Se ciò accadrà, nella prossima occasione giubilare non si percepirà probabilmente soltanto la forza della debolezza di un uomo anziano in carrozzina che grida al mondo il proprio desiderio di pace,  ma quella di una Chiesa che ha rinunciato al proprio potere e alle propri strutture, per testimoniare come un altro mondo sia veramente possibile, la civiltà della pace e della giustizia. E' la riscoperta della forza travolgente del martirio, l'estrema debolezza dell'apparente perdente che mette in crisi, nell'azione nonviolenta impregnata dall'amore, uno dei più grandi imperi che la storia ricordi.

lunedì 23 dicembre 2024

Buon Natale, Vesel Božič 2024

 

Il bosco rappresenta l'essenza della vita. Ogni albero racconta una lunga storia individuale e nello stesso tempo fa parte di una vicenda collettiva. Genera ossigeno, rende possibile la vita, manifesta segreti meravigliosi ai cinque sensi di chi sa vedere, ascoltare, toccare, annusare, gustare. L'oscurità invita alla contemplazione del mistero e gli sprazzi di luce consentono di superare atavici timori. Il bosco è abitato da tanti animali, piccoli e grandi, parla al cuore con l'aiuto del vento, sussurra dolci poesie piene d'amore. Ci sono anche le fate, gli gnomi, facile incontrarle presso una cascatella gorgogliante e dietro la perfezione delle ragnatele intessute da straordinari tessitori. A volte il bosco si trasforma, quando è minacciato dall'uragano o quando sente sopravvenire la fine perché il suo più accanito nemico, il fuoco, cerca di divorarlo seminando strage. Allora la pace si trasforma in terrore, la soave percezione della trascendenza in angosciata illusione di potersi salvare.

C'è poi la Donna e con lei la permanenza della Vita. La dolcezza dello sguardo e la potenza della maternità, l'amore senza confini e l'immensità del dono, la debolezza della quotidianità e la forza inarrestabile della giustizia. E c'è l'Uomo, il sorriso timido, l'ingenuità dell'inconsapevolezza, la paura della guerra e la desolata passività davanti alla violenza cieca, l'asino che cerca di correre portando in salvo il figlio, mentre alle loro spalle il lugubre urlo della strage degli innocenti.

E infine c'è il Bambino, ai limiti della foresta, messaggio divino incomprensibile, se non fuori dallo spazio e dal tempo. Nello stesso tempo è un messaggio umano, la maestà della Nascita, subito custodita dalla Donna e dall'Uomo, nello stesso istante minacciata dai meandri incontenibile del Caos e dalle sempre evidenti mire dell'effimero Potere. Il re dei re, infinito ed eterno, si scontra con l'effimero re degli umani e lasciarci le penne sono i poveri bimbi di Betlemme. Rachele piange i suoi figli, perché non sono più.

La foresta è il luogo della pace, la culla dell'esistenza ritrovata. Ma la foresta nasconde anche le armi con le quali si scatenano le guerre. Il bambino sta in mezzo e vede attonito i missili che scavalcano la sua mangiatoia e annichiliscono i neonati di Gaza, cancellano i giovani russi e ucraini, uccidono e devastano villaggi e città. Oppure è sulla sella di un animale da soma, con la Madre e il Padre che fuggono e non trovano alloggio, vengono rispediti al mittente, non hanno permessi di soggiorno, ma solo l'onta di dover tornare indietro, fuggiti dalla fame e dalle bombe per esser ricacciati nella fame e sotto le bombe.

Difficile credere nel principe della Pace in tempi cupi, più utile forse contemplare con orrore le piaghe di coloro che sono morti, al posto di Gesù bambino. Difficile, ma non impossibile, se dal piano razionale ci si eleva a quello sovrarazionale e si percepisce nel bosco non l'intrico dei rami ma l'aria che si respira. E' forse questa la Speranza, la capacità di guardare oltre il velo della lettera, per scoprire lo Spirito che soffia nell'oscurità. Lo Spirito non trasforma la storia, ma penetra nei viventi e dona a essi il respiro. Ciascuno può fare la sua parte e portare una minuscola tesserina nel mosaico della Pace, sostituendo con essa la pietra annerita dalla cattiveria, dall'ottusità, dalla brama di ricchezza e di potere. E chissà, milioni, miliardi di tesserine potrebbero anche comporre il nuovo, meravigliosa mosaico dell'Umanità.

sabato 21 dicembre 2024

La Stazione del Sole

 

Oggi, 21 dicembre, alle ore 10.20, il Sole raggiunge la "stazione". Il suo percorso apparente nell'orizzonte celeste raggiunge il punto estremo. Si ferma, per così dire, per iniziare il suo cammino di ritorno che durerà circa sei mesi. "Stazione del Sole", questa potrebbe essere una traduzione del termine "Solstizio".

Fin dalla più remota antichità, nell'emisfero Nord, questo momento si carica di significati simbolici e fonda la mitologia religiosa.

L'inizio dell'inverno porta con sé una duplice suggestione, da una parte suggerita dall'apparente morte della vegetazione, dall'altra dalla consapevolezza che proprio dentro questa fine si nasconde il nuovo inizio. In breve tempo il Sole si rialzerà sull'orizzonte, le giornate torneranno a essere più lunghe, il freddo sarà meno intenso. Ma tutto questo sul momento non si può percepire, il seme che riposa sotto la coltre della neve, il gelo che intristisce l'animo, l'oscurità che sembra avere ancora per qualche istante il sopravvento.

Come non collegare gli espliciti suggerimenti della Natura con la speranza nell'immortalità? Nell'apparente rigore dell'esperienza della vita, nel buio che incombe sul mondo, si può intravvedere il segno di un rinnovamento generale, di una rigenerazione cosmica? I miti preromani, i saturnali, le feste legate al sole, le affascinanti altezze spirituali del mitraismo, i nomi del divino, fino al mistero cristiani del Natale, si presentano come varie modalità di esprimere lo stesso infinito desiderio di vita nel superamento dell'oppressione di quello che alcuni filosofi definivano lo "squallido quotidiano".

Anche oggi, su un Pianeta avvelenato dalla follia della guerra, dell'ingiustizia sociale, della minaccia dell'inquinamento globale, si alza il Sole che sta per giungere al punto estremo del suo apparente girovagare nello spazio e nel tempo. Il Solstizio sia percepito come un messaggio di speranza e come un impressionate augurio di autentica pace che la Natura rivolge a ogni vivente.

giovedì 19 dicembre 2024

Lucio Ulian e la sua fotografia epifanica al Kulturni dom di Gorizia

 

Giovedì 19 dicembre, presso il Kulturni dom di Gorizia è stata inaugurata la bellissima mostra fotografica di Lucio Ulian, intitolata "Epifanie".

In un sorprendente dialogo tra la forza della dimensione materica e la proiezione verso l'orizzonte pneumatico, nell'arte di Ulian si sperimenta il superamento del fascino della gnosi nella percezione di un orizzonte in grado di coniugare quasi armonicamente l'immanenza con la trascendenza.

Il "quasi" sta a indicare l'inevitabile aporia della ragione, ma nello stesso tempo il suo potente anelito ad attraversare la barriera spazio temporale per proiettarsi, rischiosamente ma anche avventurosamente, verso l'eterno e l'infinito.

In questa riconciliazione degli opposti che si potrebbe quasi definire simbiotica congiunzione tra femminino e mascolino, si rivela il mistero della manifestazione, nella sua duplice dimensione dell'epifania e dell'apocalisse. Tutto ciò si rileva non censurando lo sguardo acuto e penetrante del fotografo sulla realtà in quanto tale, ma consentendo alla concretezza sobria del quotidiano la metamorfosi del senso e generando in questa impresa la fragilità dell'intuizione o, in qualche caso, della visione.

Le immagini sono accompagnate da approfondite spiegazioni, proposte in lingua italiana e slovena, nelle quali l'artista rivela la sua ricerca interiore e il suo desiderio di incontrare l'interlocutore in un'appassionata comunicazione, nello stesso tempo intensa, coinvolgente, simpatica ed empatica. In fondo, è proprio la rivelazione artistica di Lucio Ulian, amico di tutti a Gorizia, impegnato per anni nella politica amministrativa della città, operatore e ricercatore nell'ambito della prevenzione e dello spegnimento degli incendi, uomo di grande capacità di relazioni umane e di autentica amicizia.

Una mostra da non perdere, con le introduzioni dell'artista, del direttore del Kulturni dom Igor Komel e dell'autore di queste "storie viandanti"!

sabato 14 dicembre 2024

Zimske urice: sabato 21 ore 11 da Maks a Nova Gorica il secondo dialogo filosofico teologico

Mirt Komel, Andrea Bellavite, Marcel Štefančič da Maks
Segnatevi la data, perché questo incontro è di quelli da non perdere! 

Nell'ambito delle "Zimske urice" (titolo della prima grammatica slovena di Adam Bohorič del 1584, in latino "Arcticae Horulae", conservata anche nella biblioteca di Kostanjevica), splendida rassegna che si terrà presso la Knigarna Kavarna Maks a Nova Gorica (Delpinova ulica), sabato 21 dicembre, alle ore 11, si terrà la seconda conversazione filosofico-teologica tra il filosofo Mirt Komel e il teologo Andrea Bellavite.

Nel primo incontro, collocato ai limiti della stagione estiva alla presenza di un numeroso pubblico, si è parlato dell'esistenza del Trascendente in rapporto al mistero del bene e del male. In questa occasione la riflessione, nel giorno del solstizio e del passaggio tra l'autunno e l'inverno, sarà incentrata sul tema della vita, della morte e del desiderio di immortalità.

Come sempre, si spazierà dalla filosofia antica a quella contemporanea e dal mondo religioso ebraico a quello cristiano e islamico, senza trascurare le suggestioni dell'Oriente. La conversazione sarà rigorosamente bilingue, nel senso che ciascuno si esprimerà nella propria lingua materna, con brevi sintesi dedicate a chi non conosce quella dell'altro.

Si tratta di un altro appuntamento, inserito nella rassegna Zimske urice che durerà dal 19 al 21 dicembre, della splendida realtà della libreria caffetteria Maks che, di giorno in giorno, sta diventando uno dei più importanti punti di riferimento per le persone che amano e generano la Cultura (con la C maiuscola) di Nova Gorica e Gorizia.

venerdì 13 dicembre 2024

Mercoledì 18 alle18 al Kulturni, un nuovo numero di Isonzo Soča, nel ricordo di Dario Stasi

 

Che cosa nasconde il lenzuolo, in attesa di quale inaugurazione? La copertina del numero 118 della rivista Isonzo Soča che sarà presentato solennemente mercoledì 18 dicembre, alle ore 18  presso il Kulturni dom di Gorizia.

Che cosa rappresenta la copertina? Non si svela alcun segreto se si risponde: il fondatore e direttore della prestigiosa testata goriziana, Dario Stasi che ci ha lasciato esattamente un anno fa, visto con gli occhi e con l'arte del grande pittore Franco Dugo.

E' stata una grande perdita per la cultura goriziana. Dario è stato presente in tutti i settori, dalla storia all'archeologia, dalla lettura del presente agli itinerari da una parte e dall'altra del vecchio confine. Indimenticabile è stata la grande mostra sul "secolo lungo", presentata a Nova Gorica, a Gorizia e addirittura presso il Senato della Repubblica italiana. Un vero vulcano di idee e proposte, Stasi ha accompagnato  con la sua guida decine di scrittori e giornalisti nel Goriziano nell'avventura più che trentennale di Isonzo Soča. E' stato un percorso straordinario, 117 numeri intrisi di informazioni, riflessioni e spunti che hanno a loro modo preparato il terreno per il raggiungimento dell'obiettivo della Capitale Europea della Cultura e ancor di più per la realizzazione del sogno di un territorio finalmente senza confini.

Tutti sono invitati a partecipare a questo momento di memoria e di cultura. Il periodico non finirà con questo numero, ma riprenderà la sua corsa, con identica testata e rinnovata grafica e formato, nel fatidico 2025. Sono attesi quattro numeri, sulla traccia segnata da Dario Stasi e nello stesso tempo verso nuovi orizzonti e prospettive, rigorosamente transfrontalieri, bilingui e tesi alla concretizzazione dell'ideale europeo dell'unità nella valorizzazione della diversità.

mercoledì 11 dicembre 2024

Alla vigilia di EPK/CEC Nova Gorica con Gorizia 2025: impressioni di un cittadino

 

La presentazione del programma della Capitale europea della Cultura ha senz'altro dimostrato l'enorme lavoro che è stato svolto da tutti i vari attori coinvolti. Non si può che ringraziare chi ha predisposto il bidbook, chi ha avviato i progetti nell'ambito del sistema interreg e ha indetto i bandi, chi ha curato finora l'attuazione del tutto.

In questo necessario ringraziamento è compresa anche la possibilità di esprimere qualche opinione, quello che un privato cittadino, presente martedì sera all'Auditorium della Cultura Friulana, può ritenere di suggerire, per così dire da esterno.

Ecco, forse questa è la parola esatta, "esterno". L'impressione è stata quella di ascoltare da una parte gli "addetti ai lavori", dall'altra di non vedere presenti tutti coloro che non sono entrati nella sala, gli "esterni" appunto, che in grande maggioranza forse non sapevano neppure dello svolgersi dell'iniziativa.

I primi hanno raccontato le linee fondamentali e hanno elencato le mille splendide iniziative che si svolgeranno nel corso del 2025. Gli altri sembrano essere toccati ancora molto poco da tutto ciò, c'è indubbiamente molta attesa, ma poca speranza. Ci si aspetta infatti tanto dal concretizzarsi di momenti artistici, musicali, teatrali, culturali, storici, ludici, gastronomici, ma non si ha ancora chiaro cosa si voglia che resti, dopo l'anno della celebrazione. Non lo hanno chiaro soprattutto le cittadine e i cittadini che avrebbero potuto e forse dovuto essere maggiormente coinvolti in un'azione che dovrebbe essere essenzialmente collettiva.

Lo si è detto più volte. La Capitale europea della Cultura non è stata scelta per i suoi monumenti, ma per la straordinaria realtà di culture, lingue e visioni del mondo differenti che, invece di combattersi, decidono di donarsi reciprocamente, le una alle altre. In altre parole, l'attrattiva di Nova Gorica con Gorizia non sarebbe determinata anzitutto dalla bontà degli eventi programmati, bensì dalla straordinaria ordinarietà di una convivenza tesa a diventare congiunzione. Per questo, negli anni precedenti, sarebbe stato necessario investire sulla conoscenza reciproca fra gli abitanti, sull'apprendimento indispensabile delle lingue degli uni e degli altri, sulla creazione di modelli di accoglienza e integrazione tra "vecchi" autoctoni e "nuovi" arrivati, sulla specificità di un laboratorio nel quale creare precisi percorsi e strumenti di pace e di giustizia sociale.

Ciò non significa che non sia necessario proporre avvenimenti che potranno diventare memorabili nella storia del territorio. Ben vengano, ma è importante che non siano fini a sé stessi. Dispiace la sostanziale assenza, in fase organizzativa, dei centri culturali sloveni e italiani che negli ultimi decenni hanno lavorato per abbattere i confini e costruire ponti di incontro e di amicizia. Sono i luoghi in cui, sia pur in piccole dimensioni, l'ideale della comunione nella valorizzazione della ricchezza delle diversità, si è già pienamente realizzato. Chi verrà a Nova Gorica e a Gorizia lo farà per incontrare questo tipo di realtà, dilatata al di là del recinto di tali istituzioni, per assaporare la bellezza di quella che con forte espressione si potrebbe definire "congiunzione fraterna".

Per questo, è bene che siano stati illustrati tanti gesti che sicuramente metteranno insieme le persone, anche se ciò non sarà sufficiente, senza un'approfondita visione d'insieme. Per esempio, Gusti di Frontiera, che - mi si consenta un assolutamente personale "purtroppo" - è stato indicato come uno dei quattro istanti topici della Capitale, non ha mai congiunto nessuno, ha solo affiancato masse di consumatori dediti a ingozzarsi (compatibilmente con i prezzi), cullati da una musica assordante che non ha consentito mai un minimo di approfondimento relazionale. 

Il 2025 e soprattutto il 2026, dovrebbe essere l'occasione per avviare un nuovo modo di sentirsi, goriziani o goričani, locali o migranti provenienti da tutto il mondo e attualmente residenti. Ci si dovrebbe incontrare, conoscere e amare, realmente senza confini, né fisici né mentali. Perché questo accada, accanto alla giusta preoccupazione di offrire all'Europa e al Mondo grandi iniziative, occorrerebbe forse anche la ricerca di qualche tentativo di coinvolgere ogni cittadina e ogni cittadino, perché non si senta spettatore fra spettatori, ma a pieno titolo attore protagonista di una vera e propria trasformazione ontologica di un tessuto urbano.

Un aspetto importante è quello storico, per sentirsi parte di un'unica realtà, è importante conoscere le radici culturali e spirituali dei popoli e delle persone che vivono intorno all'antico confine. Sono ottime le proposte presentate ieri sera, incentrate sulla prima guerra mondiale, sul contrabbando, sul verde cittadino e sull'arte, così come le figure di persone di ieri e di oggi che hanno contribuito a far crescere la coscienza del territorio e, più in generale, della nostra umanità. Dispiace un po' che il Comune di Gorizia abbia di fatto ignorato la possibile grande mostra "dal preromano al postmoderno" - partendo da Aquileia e procedendo attraverso Gorizia, Nova Gorica, Kostanjevica, il Goriški muzej e così via - che avrebbe potuto donare ai residenti e ai visitatori una sintesi generale della ricchissima vicenda storica del territorio. Se ci fosse stata, tutti avrebbero potuto sapere delle popolazioni preromane, della conquista dei legionari, del primo affascinante cristianesimo, dell'allargamento del Patriarcato a confini coincidenti con il centro Europa, della storia del popolo sloveno e della conversione alla nuova fede, della presenza fondamentale del protestantesimo, di quella ebraica, della religiosità popolare, degli staroverci, della complessità del Novecento. In un contesto così ampio, anche i temi "scomodi" - come l'incredibile permanenza di Mussolini tra i cittadini onorari di Gorizia e molto altro - avrebbero potuto essere approfonditi con serenità e scientificità.

Certo e in ogni caso, il 2025 sarà spettacolare e le osservazioni vogliono essere umili suggerimenti, non certo critiche al mastodontico ed efficace lavoro che è stato portato avanti finora e che ancor più dovrà essere svolto nei prossimi mesi. 

Utilizzando un'espressione coniata nel precedente post, l'augurio è quello che non soltanto si riescano a raggiungere numerosi obiettivi, ma che sia soprattutto l'inizio della realizzazione di un meraviglioso sogno.

lunedì 9 dicembre 2024

La drammatica sostituzione dei sogni con gli obiettivi

Inaugurazione del Cammino Celeste, Agosto 2006 (foto A. Pantanali)
 Una conversazione interessante, foriera di numerosi, possibili approfondimenti. Si parte dall'analisi della situazione dei giovani, per constatare una differenza fondamentale: fino ad alcuni decenni fa si avevano dei "sogni", oggi sono prevalenti gli "obiettivi".

Il sogno presuppone una visione complessiva del mondo e si concretizza in una dimensione di speranza. Non si sa bene che cosa si riuscirà a realizzare, non perché non esistano le idee, ma perché si ha un enorme ventaglio di possibilità di realizzazione. I viandanti sanno che, come in ogni sogno che si rispetti, ogni meta raggiunta è soltanto una tappa, dalla quale ripartire verso quella successiva. 

Pensiamo per esempio alla giovane generazione uscita dalle macerie della prima guerra mondiale. In modi diversi i partigiani sognavano una nuova società, dando a essa la forma di una repubblica socialista o di una costituzione democratica. Non sapevano esattamente cosa li attendeva, ma sapevano che avrebbero investito tutte le loro risorse ed energie nell'accompagnare il loro sogno, rinvigorendolo e adattandolo ai diversi momenti dello spazio e del tempo.

Esaurito il momento dei sogni, è stato sostituito da quello degli obiettivi. A scuola ci si va non per coltivare il sogno di una vita e acquisire gli strumenti per dargli forma e sostanza. Si devono invece raggiungere gli obiettivi, o almeno cercare di individuarli. L'obiettivo è unitario, una volta raggiunto si è superficialmente soddisfatti, anche eventuali scopi successivi sono nella stessa direzione: avere un buon voto a scuola, trovare un lavoro redditizio, mettere su famiglia, fare carriera nel proprio campo. Nel trionfo degli obiettivi, manca sempre la domanda che accompagna invece ogni sogno: PERCHE'?

Si possono sognare un mondo migliore, un'umanità affrancata dalle guerre, una fraternità universale e all'interno di questi orizzonti compiere scelte fondamentali, anche se sempre provvisorie perché guidate dalla visione del mondo. Al contrario, una volta raggiunti gli obiettivi, si rimane fermi al pianerottolo raggiunto, perché non interessa conoscere la dimensione e le strutture architettoniche della casa.

I giovani del '68 pensavano che il cambiamento del Pianeta fosse lì, dietro l'angolo e scendevano in piazza per scandire con tutta la loro voce la forza del loro desiderio. Avevano grandi sogni, come i loro successori, almeno fino a quando i loro figli - o forse anche nipoti - si sono visti soffocare il loro sogno nelle terribili giornate del luglio 2001 a Genova. Hanno vinto, almeno apparentemente, gli obiettivi: se la politica non può realizzare una nuova possibile umanità, tanto vale sfruttarla per raggiungere i propri individuali interessi; se la guerra non si può fermare perché "fa parte della natura umana", tanto vale starsene più lontano possibile dai problemi del mondo e curarsi i propri affari; se la famiglia umana non può essere aiutata a crescere in una nuova dimensione di pace e giustizia, tanto vale raggiungere l'obiettivo della tranquillità della propria individuale famiglia.

Ogni grande sogno ha trasformato la società, basti pensare all'esperienza di Basaglia a Gorizia oppure alle grandi opere dell'Arte e della Cultura. Ogni obiettivo rimane fine a sé stesso, paralizzando chi lo raggiunge nella propria ottusa soddisfazione e riempiendo di intollerabile ansia la grande maggioranza di coloro che non ci arrivano e si sentono loro malgrado "non all'altezza" di ciò che il Potere pretende da loro.

Insomma, se vogliamo una nuova generazione capace di costruire un Pianeta migliore, non soffochiamo i sogni sostituendoli con gli obiettivi.

sabato 7 dicembre 2024

Movimento pacifista: largo ai giovani!!!

 

Le guerre infuriano e sembrano allargarsi a macchia d'olio. I processi di pace, presunti o reali, non sembrano certo dipendere dal desiderio di interrompere una tragica catena di sangue e distruzioni, ma dalla realizzazione degli interessi dei Potentati di turno.

Si manifesta. Si manifesta contro la guerra ogni settimana, ogni mese, ogni giorno. Gruppi di persone camminano, vanno in bicicletta, gridano slogan per dire, con convinzione e tenacia, il loro no alla violenza, alla guerra, alle armi. 

L'impressione sull'efficacia non è delle migliori. Partecipano per lo più persone che sono sulla strada e nelle piazze da decine di anni, i capelli da neri e biondi sono diventati bianchi, forse si aggiunge qualche figlio o qualche nipote. Si è sempre meno e gli slogan, scanditi con voce sempre più fioca, si elevano verso il cielo tra l'indifferenza assoluta dei passanti.

Si ha la sensazione di essere come il figlio impertinente, arrivato in ritardo con strepitio e rumore al gran banchetto, al centro del magnifico e abbastanza emarginato film di Ermanno Olmi Lunga Vita alla Signora. Là dove, alla cena del Potere, tutti erano tollerati, anche l'impertinente che alla fine risulta clamorosamente il più amato tra i numerosi discendenti della Padrona.

Che fare allora, se non manifestare? E' effettivamente difficile dirlo e la tentazione della delusione inconcludente e cieca è sempre dietro l'angolo. Ma un tentativo di risposta c'è e forse non è ancora stato abbastanza indagato. Può essere sintetizzato dall'espressione "Largo ai giovani".

Sì, i giovani hanno dato prova di essere non soltanto entusiasti, ma anche capaci di guidare il corso degli eventi. Per qualche anno sono stati l'antenna del cambiamento climatico e oggi, di fatto, sono le prime vittime della guerra in Ucraina e del genocidio di Gaza. Perché sono così pochi alle manifestazioni organizzate in maggioranza dagli adulti, diciamo pure dai vecchi? Perché non trovano spazi nei momenti organizzativi? Perché gli adulti partecipano poco alle loro proposte?

Certo, le idee e soprattutto le strategie delle nuove generazioni - come sempre accaduto del resto - non collimano del tutto con quelle dci chi si è sentito per mezzo secolo  sul "fronte della pace". Forse è giunto il momento di farsi da parte. Non significa sparire o non continuare a esserci nei momenti chiave della protesta, meno che meno andarsene dai luoghi della politica rappresentativa e assembleare. Si tratta invece di cedere senza indugio i ruoli di conduzione e di ideazione, mantenendo una posizione di saggio consiglio, quando richiesto, e di supporto.

Il movimento pacifista non è in crisi perché mancano i motivi per urlare contro la guerra, ma perché non si è saputo rinnovare, lasciare le redini in mano a chi ha forse ed energie per riempire di nuovo le piazze, non in uno scontro generazionale, ma in una nuova collaborazione, resa possibile dall'umile accettazione di un cambio urgente di leadership.

Altrimenti il rischio è quello di una triste deriva della protesta, ridotta sempre più a colorati momenti quasi folkloristici, per nulla temuti, anzi, forse guardati con particolare affetto e tenerezza dal Potere.

giovedì 5 dicembre 2024

Con rispetto e senza nulla togliere...

 

Una notizia passata un po' in sordina. Papa Francesco ha ricevuto in dono un'automobile nuova, un fuoristrada adattato a "papamobile".

Tutte le testate evidenziano la scelta green, è una macchina con quattro motori elettrici, evviva il Papa dell'enciclica Laudato sii!

Solo in una rivista, specializzata in automobili, si trova la quotazione della vettura, costo pulito, senza gli accessori per la legittima comodità del vescovo di Roma sofferente: 215mila euro.

Non è certo questo il criterio di valutazione di una persona che sta in prima linea, sul fronte della pace, dell'accoglienza dei migranti, della condanna senza remissione degli armamenti, della denuncia delle pecche del capitalismo neoliberista. E neppure interessa troppo l'aspetto oggettivo, si capiscono benissimo le ragioni dell'accettazione di una macchina comodo e all'altezza dei tempi.

Tuttavia, ammesso che la cifra del giornale sia corretta, è da ritenere giunto il tempo di accantonare alcune agiografie papali che lo hanno dipinto come "l'uomo qualunque" che si porta da solo la borsa sulla scaletta dell'aereo o che viaggia in Topolino in mezzo a dodici auto blu della scorta.

Niente di male, o forse un pochino sì, però quei 215.000 non avrebbero suscitato l'interesse di nessuno se non si fosse propagandata prima la retorica delle scelte semplici (stiche) e pauperistiche.

Ingorghi goriziani. Un'unica soluzione, Gorizia ciclabile

 

Finalmente Gorizia è diventata una metropoli. In questi ultimi giorni, i tempi per entrare e uscire dalla città sono stati degni della Via Aurelia a Roma o del viale Monza a Milano.

Blocco in uscita del ponte per la rotonda di Vrtojba, senza segnalazioni previe e con caterve di santi e madonne tirate giù dal cielo, asfaltatura in via Duca d'Aosta, asfaltatura e sistemazione della strada di accesso da Lucinico, concomitanza con fiera di sant'Andrea e giostre residue, piazzale stazione sempre precluso, ecc. Insomma, un mix di colonne d'auto, fumo da tubo di scappamento, stress da macchine in fila.

Le proteste ci sono state un po' ovunque, sui giornali e sui sociale, ma a tutto stasera la situazione non è molto cambiata.

Certo, passati i giorni critici, tutto tornerà alla normalità e la lezione non sarà ancora una volta stata imparata. C'è un'unica soluzione - strategica, salutare, politica e soprattutto culturale - per evitare nel presente e nel futuro simili black out: rendere Gorizia una città ciclabile.

Ciò significa almeno tre decisioni, da prendere insieme alla già più avanzata Nova Gorica, in vista dell'Evropska prestolnica kulture. La prima è quella di riempire la città di piste ciclabili, moltiplicando i sensi unici e proponendo percorsi coerenti per le automobili. La seconda è quella riservata alla cospicua parte della popolazione che se lo può permettere, cioè utilizzare sempre la bicicletta per gli spostamenti all'interno dei centri cittadini, incrementando anche il buon servizio di bike sharing in questo periodo gestito da Nomago. La terza è la stesura di un piano di trasporto pubblico enormemente rafforzato, con percorsi che intersechino le zone di entrambe le città.

Sembra una frase del conte Lapalisse: solo diminuendo drasticamente il traffico automobilistico, la città potrà rivivere e i suoi cittadini potranno respirare, spostandosi più velocemente, in modo più sano e sicuro.

O no?

domenica 24 novembre 2024

Gorica Nova Gorica povezani mesti v torek v Ljubljani, martedì a Lubiana

 

Saluto con molta riconoscenza la presentazione presso la Slovenski knijžni sejem (fiera del libro) di Ljubljana del libro Gorica Nova Gorica, povezani mesti, MARTEDI' 26 NOVEMBRE, alle ore 12, nella sede della Fiera.

Il testo, più volte già presentato sia in Slovenija che in Italia, al di là dell'opera in quanto tale, ha ovunque suscitato interessanti dibattiti, coinvolgendo in modo diretto la preparazione allo straordinario evento che sarà la Capitale europea della Cultura 2025. L'incontro e l'impatto con i lettori della Capitale dello Stato saranno quindi particolarmente avvincenti e porteranno senz'altro nuovi contributi alla comprensione della nostra realtà territoriale.

Uno degli elementi di originalità dell'operazione letteraria è stato quello della congiunzione non solo delle due/una città in una sola guida, ma anche dei due editori, in particolare Vittorio Anastasia di Ediciclo di Portogruaro e Martina Kafol di ZTT di Trieste. Essi si sono incontrati, scambiati buone pratiche e realizzato un'opera che fin dall'inizio è stata presentata sia in lingua italiana che slovena.

In occasione della presentazione a Ljubljana saranno presenti la traduttrice Pia Lešnik e Anja Mugerli, la giovane scrittrice di Nova Gorica che ha curato l'introduzione e che è stata quest'anno insignita di uno dei più importanti premi letterari della Slovenija.

Una notizia interessante è che presto il volume uscirà anche in lingua inglese, come strumento per conoscere dal di dentro questa affascinante e drammatica realtà che è "Gorici" (le due Gorizia).

Un'ultima nota e un ulteriore appuntameno. Grazie all'iniziativa di Anna Cecchini, presto - dopo Capodanno - a Gorizia saranno insieme dietro allo stesso tavolo i tre autori di testi sul territorio, pubblicati nel corso dell'anno 2024: Giustina Selvelli, con il suo bellissimo "Capire Gorizia", Alessandro Cattunar, con il documentatissimo "Storia di una linea bianca" e il sottoscritto con la "guida" e con l'annesso "Gorizia e Nova Gorica, dalla A alla Ž", pubblicato per UNITRE di Cormons.

domenica 17 novembre 2024

Mercoledì 20 da MAKS, presentazione degli Atti del Convegno su pace e negoziato dello scorso 30 dicembre.

 

Nella notte del Mondo, si accende una piccola luce di speranza. 

Mercoledì 20 novembre, alle ore 18 presso la splendida Libreria Maks, in Via Delpinova a Nova Gorica, saranno presentati gli Atti del Convegno su pace e negoziato, tenutosi lo scorso 30 dicembre 2023 nelle aule dell'Università di Trieste a Gorizia.

Raccolti grazie al grande lavoro di Sergio Pratali e pubblicati dalla rivista Mosaico di Pace, sono un formidabile strumento di lavoro per puntare al raggiungimento di almeno due obiettivi: trasformare Nova Gorica e Gorizia in laboratorio permanente di giustizia e pace per l'intero Pianeta e avviare la formazione dei corpi civili di pace europei.

All'incontro, promosso grazie alla collaborazione fra l'associazione Pax Christi e la Knjigarna Maks, parteciperanno Stojan Pelko, già relatore al Convegno del 30 dicembre, il giornalista Marko Marinčič, il presidente di Transmedia Boris Peric, Paolo Zuliani ed Elisabetta Tofful per Pax Christi Gorica. 

Nel corso della presentazione, parleranno anche alcuni rappresentanti della Marcia Mondiale per la Pace, un'iniziativa di grande respiro che tocca tutti i Paesi perportare un messaggio di vita, contro la morte seminata dalle armi di distruzione di massa, dalle guerre e dai genocidi che i perpetuato un po' ovunque.

Servirà a qualcosa? Chi lo sa? In un periodo in cui tanto male viene seminato dappertutto, far germogliare e crescere i germogli di bene, di giustizia, di amore e di pace è senz'altro un antidoto alla diffusione della rassegnazione e dell'apatia.

Arrivederci quindi a mercoledì 20, ore 18, da Maks.  

martedì 12 novembre 2024

Disonorevole Mussolini

 

Dopo l’incredibile conclusione del dibattito svoltosi la scorsa notte in Consiglio Comunale a Gorizia, ci sono state molte reazioni. Ha colpito tutti silenzio assoluto dei consiglieri di maggioranza, per i quali si è espresso il solo sindaco Ziberna con un sermone di oltre venti minuti condito di confusi e del tutto decontestualizzati riferimenti – dagli imperatori romani alle statue di Buddha distrutte dai talebani, da Saddam Hussein ai campi di sterminio. Interessante il seguente testo, che evidenzia la rabbia che serpeggia nel mondo sloveno, di fronte a un atto che – al di là degli arzigogoli – significa una cosa sola: la maggioranza dei consiglieri comunali di Gorizia ritiene che Mussolini sia ancora persona da onorare con il massimo riconoscimento che una città può conferire (oppure ovviamente ritirare). Credo che valga la pena leggere il seguente testo di Pia Lešnik, in lingua slovena e in mia traduzione e adattamento in lingua italiana. (ab)

 

Tolk da vemo, pri čem smo: pravkar se je zaključia seja mestnega sveta v Gorici, kjer so na pobudo opozicijske svetnice, da bi odstranili imenovanje za častnega občana Benita Mussolinija, odločali o odstranitvi. Večina je izglasovala, da je fašistični vodja, ki je ukazal izbrisati Slovence in prepovedal rabo slovenskega jezika v javnosti, še naprej castni občan Gorice. In to skoraj na predvečer Evropske prestolnice kulture 2025, ko bomo vsi maldane bratje in sestre, povezani, sodelovalni ipd... Dvolični! To bo sporočilo GO25!

Mnogo je bilo že izrečenih vzhičenih pridevkov o dveh Goricah (tudi z moje strani), o dvojnosti in o čudoviti dvojini in o ljubezni in o zaupanju v skupno prihodnost proti kateri naj bi krenili,  o dveh sestrskih mestih. Celo 'città gemelle' in ne vem kaj vse. Kaže, da bomo pristali le na dvoličnosti. Pa ne dveh mest.

In Nova Gorica se bo spet grenko nasmehnila, kot vedno potrpežljivo sklonila glavo,  stisnila zobe, ker projekt je treba speljat do konca, pa košta quel ke košta, pa saj bo, važno je misliti na prihodnost... Ponižana in razžaljena, kdaj boš zares z dvignjeno glavo korakala v nov cas???

Kdaj, če ne zdaj???!!!

 

Si è appena conclusa la riunione del consiglio comunale di Gorica, dove, per iniziativa della consigliera d'opposizione Eleonora Sartori e altri firmatari, è stata proposta una mozione per revocare la nomina a cittadino onorario di Benito Mussolini. Il Sindaco e la maggioranza hanno respinto la mozione votando quindi che il leader fascista che – oltre a tutti gli altri crimini - ordinò lo sterminio degli sloveni e proibì l'uso della lingua slovena in pubblico, resta un onorato cittadino di Gorizia. E questo è accaduto quasi alla vigilia della Capitale Europea della Cultura 2025, quando si dovrebbe essere tutti fratelli e sorelle, connessi, cooperativi, ecc...

Bifronte! Questo sarà invece il messaggio di GO25!

Sulle due Gorica, anche da parte mia, sono già stati detti molti aggettivi entusiastici, sulla meravigliosa dualità, sull'amore e sulla fiducia nel futuro comune verso il quale dobbiamo camminare, su due città sorelle, addirittura 'gemelle' e non so cosa. Il voto di ieri sembra farci capire che ci dovremo accontentare della doppiezza degli amministratori di Gorizia, altro che dualità delle città!

E Nova Gorica? Sorriderà ancora amaramente, chinerà pazientemente la testa come sempre, stringerà i denti, perché il progetto deve essere portato a termine, costi quel che costi, lo sarà, l'importante è pensare al futuro... Umiliata e offesa, riuscirai a entrare davvero in una nuova era a testa alta???

Se non ora, quando????!!!

domenica 10 novembre 2024

Benito Mussolini non onora in alcun modo Gorizia

Lunedì 11 novembre, la consigliere comunale Eleonora Sartori presenterà una mozione per proporre la cancellazione del nome di Benito Mussolini dal registro dei cittadini onorari del Comune di Gorizia.

Con molti altri Goriziani, esprimo piena solidarietà alla proponente, nella speranza che avvenga in Consiglio ciò che sembra ovvio, ovvero l'accettazione della proposta, possibilmente dopo adeguata e serena discussione.

Di fatto, chi voterà per la mozione Sartori affermerà semplicemente che "Gorizia non onora più Benito Mussolini". Chi voterà contro o si asterrà, consapevolmente o meno affermerà che "Gorizia onora ancora Benito Mussolini". Elementare Watson!

Il conferimento di una cittadinanza onoraria è infatti sempre un atto simbolico e come tale soggiace alle regole del contesto storico. In una determinata situazione, quella appunto del Ventennio, la politica fascista ha voluto questo atto, per dimostrare la piena adesione della città a colui che avrebbe istituito una feroce dittatura in Italia, imposto le leggi razziste e trascinato milioni di persone nella catastrofe della seconda guerra mondiale. In una nuova situazione, come quella determinata dalla Resistenza e dalla Liberazione dal nazifascismo, sarebbe stato naturale compiere immediatamente questo atto di cancellazione del nome di colui che non merita certamente alcun onore, tanto meno quello di essere cittadino di una città provata dalle sue funeste decisioni come è appunto Gorizia.

Tale eliminazione dall'albo non c'entra assolutamente nulla con la cosiddetta "cancel culture". La città è piena di monumenti e architetture fascisti e nessuno pretende la loro demolizione o cancellazione, in quanto testimonianza muraria - in certi casi anche interessante - di una storia che dovrebbe essere definitivamente passata. Altra questione è quella dell'onore di essere appuntati nell'inevitabilmente mutevole albo dei meritevoli o di ricevere la dedicazione di una strada o piazza cittadina. La loro valenza simbolica e la forma di per sé stessa effimera (si pensi al Corso Italia che in poco più di trenta anni, tra il 1914 e il 1948, ha cambiato nome non meno di sei volte!), fa sì che non debba essere consegnata alla storia una menzione d'onore, bensì il suo destino che nel caso di Mussolini non dovrebbe essere altro che quello di una "storica" cancellazione della cittadinanza onoraria.

Eleonora, grazie per la tua iniziativa che merita un'unanime e convinta adesione!

Iter Goritiense, Goriška pot, Cammino goriziano

L'Iter Goritiense prende forma. Il percorso da Aquileia a Sveta Gora è ormai del tutto segnalato e si offre ai viandanti in tutta la sua bellezza, profondamente inserito nella Storia e nella Natura del territorio.

Sabato 9 novembre, con un invito social lanciato all'ultimo momento, circa 70 persone si sono ritrovate di prima mattina alla stazione di Sagrado per intraprendere insieme la seconda tappa dal cammino, 26 chilometri di saliscendi sul Carso, fino al santuario di Mirenski grad.

La prima frazione dell'intero percorso, da Aquileia a Sagrado, misura circa 29 chilometri, interamente pianeggianti. E' protagonista la storia di una zona unica nel suo genere, il ricordo della Chiesa e del Patriarcato aquileiese porta a immaginare popoli e nazioni uniti, pur nella straordinaria diversità delle loro lingue e culture. Si attraversa l'antica san Lorenzo e si sfiora il cimitero di Fiumicello, con un pensiero di verità e giustizia per Giulio Regeni. Si scopre il sito archeologico di San Canzian d'Isonzo, con la memoria letteraria e archeologica dei tre giovani Canziani, qui martirizzati all'inizio del IV secolo, durante l'Impero di Diocleziano. Si costeggia a lungo l'argine sinistro dell'Isonzo, gustandone il dolce fragore e beandosi gli occhi dei meravigliosi colori e si raggiungono le pendici del Carso.

La terza e la quarta parte del cammino uniscono Mirenski grad a Nova Gorica con Gorizia, capitale europea della cultura 2025 e poi a Sveta Gora, lo spettacolare santuario che domina dall'alto un settore del Centro Europa che va dalle alte Alpi Giulie fino all'azzurro Adriatico.

L'obiettivo della camminata dello scorso sabato era quello di contemplare le ferite inferte a questa terra dalla prima guerra mondiale, che ha devastato il tessuto di unità nella diversità che la caratterizzava, come pure dai cambiamenti climatici, corresponsabili degli incendi che negli scorsi anni hanno devastato il Carso. 

Accolti dal saluto del sindaco di Sagrado Marco Vittori ed espletate le funzioni di segreteria, i viandanti hanno intrapreso i suggestivi sentieri del Carso. Hanno toccato la chiesetta di Santa Maria in Monte, sopra Fogliano, si sono addentrati nella landa carsica fino all'enorme cippo Corridoni. Hanno meditato sulle bizzarrie della storia, pensando a questo giovane idealista, combattente per l'Internazionale socialista, trasformato dal fascismo in eroe patriottico al quale è dedicato un grande monumento dallo stile inconfondibile. A San Martino del Carso hanno trovato alcune sorprese. Lo stesso sindaco Marco ha allestito un sontuoso rinfresco a sorpresa, graditissimo dai partecipanti, ricevendo inoltre un grazie dal primo cittadino per aver pensato al Comune di Sagrado come parte centrale dell'intero percorso. Hanno poi incontrato molti giornalisti della carta stampata e delle televisioni locali che hanno voluto sapere il perché e il per come di questa lunga passeggiata. Infine è comparso anche il padre Bogdan Knavs, rettore del santuario di Sveta Gora, completando coì il quadro degli organizzatori, insieme al direttore della Basilica di Aquileia e ai due responsabili di progetto Nace Novak e Mattia Vecchi.

La strada da percorrere era ancora tanta e con solerzia e qualche affanno si sono attraversati i monumenti del San Michele, il paese di Vrh e le cannoniere del Brestovec. Una vertiginosa discesa ha accompagnato tutti verso la trafficatissima strada del Vallone, resa attraversabile dalla gentile presenza dei carabinieri di Sovodnje ob Soči, allertati per l'occasione dal sindaco di Savogna Luka Pisk. E' stata la volta della salita a Cerje, con la grande torre-museo dedicata alla storia del popolo sloveno e poi giù di nuovo, fino all'ultima breve erta oltre la quale tuti si sono riuniti, all'accensione delle prime luci della sera, davanti alla chiesa di Mirenski grad. Un grazie speciale va anche ai collaboratori di Tmedia, Paolo Hmeljak e Francesca Iancig, che hanno fornito tutto l'apporto logistico necessario, dalla partenza all'arrivo.

Che cosa rimane di questo bel sabato di novembre? La percezione di aver realizzato il principale obiettivo di Gorica25: camminare insieme, italiani e sloveni, fianco a fianco. Ha colpito molto constatare come passo dopo passo sono cadute le barriere e come le persone, spesso anche senza capirsi data la diversità della lingua, hanno cominciato spontaneamente ad avvicinarsi le une alle altre, per darsi una mano, scambiarsi un'occhiata e scoprire senza alcuno sforzo quanto - parafrasando la Bibbia - "sia bello e soave che le sorelle e i fratelli stiano insieme".

Miracoli del cammino!


lunedì 4 novembre 2024

Višarje e Koroška, impressioni di cammino

 

L'eccezionale periodo di bel tempo consente percorsi che erano stati sconsigliati durante la bollente estate.

Il Lussari è una meta tradizionale, ma sempre affascinante. Anche se lo si è percorso decine di volte, non risulta mai noioso. C'è il selciato di pietra che suscita il ricordo di quando la gente saliva in ginocchio per raggiungere il monte di Maria. Ci sono le nuove scorciatoie, immerse nel bosco tra il mormorio del torrente lontano e il profumo dei funghi novelli. Ci sono i colori dell'autunno, con la loro intensità e forza che inducono alla contemplazione e instillano una punta di malinconia. C'è naturalmente Tone Kralj, il grande pittore, che si incontra nel delicato tratto delle scene della via crucis, recentemente ripulite e restaurate. C'è il piacere di salire, sbuffando per la fatica e gioendo per il respiro affannoso, gustando la compagnia degli altri escursionisti o pellegrini, nel progressivo dilatarsi dell'orizzonte e degli spettacolari panorami: da una parte il verde Osternig e le ampie vallate carinziane, dall'altra i massicci rocciosi, il Mangart, lo Jalovec, poi più vicino Cima Cacciatore, il maestoso Jof Fuart e il re delle Giulie Occidentali, lo Jof di Montasio. C'è il tempo per una preghiera per la pace e il bene nel nostro tormentato Pianeta e le ombre cominciano a scendere, il crepuscolo avanza, è tempo di ritornare a valle.

Poi ci sono la Koroška e le Karavanke. Le valli profonde, scavate da fiumi impetuosi, sono circondate da montagne bellissime. I paesi sono pittoreschi, anche se da una parte la civitas del commercio ha raggiunto anche le zone più nascoste, dall'altra sono ancora evidenti le ferite dell'alluvione del 2023. Ci sono molte romantiche fattorie e in una di queste è nato Prežihov Voranc, al secolo Lovro Kuhar (1893-1950), straordinario scrittore che potrebbe essere definito neorealista. In lingua italiana si trova ancora da qualche parte il suo Doberdob, una descrizione cruda, una potente denuncia degli orrori perpetuati nel corso dell'inutile strage che è stata la prima guerra mondiale. Il suo paese si chiama Podgora, sotto il monte. Quale monte? E' l'Uršlja gora, il monte di sant'Orsola, alto 1699 metri, balcone meraviglioso dal quale scrutare all'orizzonte le più spettacolari vette della Slovenia. C'è anche un santuario, nei pressi della cima, dedicato alla santa martire del paleocristianesimo, costruito e restaurato più volte, tra il XIII e il XX secolo. C'è da camminare un'oretta per raggiungere la vetta, dopo aver percorso con l'auto un immenso labirinto di strade bianche tracciate tra rigogliosi boschi e radure prative occupate da suggestive malghe. Non ci sono solo villaggi, anche centri più grandi attraggono l'attenzione del viaggiatore, Sloveni Gradec per esempio o, ai limiti ormai della zona montuosa, Velenje con i due calmi laghetti e l'evidente centrale termoelettrica di Soštanj, sinistre ciminiere, immensi padiglioni di lamiera e il fumo candido che sale dritto dritto fino al cielo.

giovedì 31 ottobre 2024

Una gita sull'Olševa

 

Per onorare Primož Trubar e la Festa della Riforma, cosa meglio di una bella gita sui monti, favorita da un tempo spettacolare e da una temperatura che non si sa se definire piacevole o preoccupante?

La meta è stata il massiccio dell'Olševa, sopra il paese di Solčava. Certo, prima di arrivare al punto di partenza, c'è stato il tempo per riflettere sui cambiamenti climatici e sulla terribile tragedia di questi giorni in Spagna. Non vi si poteva non pensare, attraversando Ljubno e Luče, poi Črno na Koroškem. Sono tutti paesi che portano ancora ben evidenti le ferite dell'alluvione di un anno fa, che ha trascinato con sé case, campi, strade e ponti. Ed è un puro caso il fatto che nessuno si sia fatto male. 

Da Solčava si percorre una ripida stradina di montagna, passando accanto a romantiche kmetije, fattorie che ospitano non solo mucche, pecore e galline, ma anche turisti che desiderano sperimentare l'accoglienza della gente della montagna.

Si arriva così nei pressi di una chiesa, dedicata a Sveti Duh, lo Spirito Santo. Lo sfondo è mozzafiato, con il Kamniško Sedlo, dominante Logarska Dolina e alla sua destra la vetta della Brana, tondeggiante. Tutto è immerso nella tranquillità del mezzogiorno, con il Sole che ha già iniziato la sua parabola discendente, ma non per questo si è stancato di scaldare la terra, in questo scorcio finale di un estate prolungata ben oltre le annuali scadenze astronomiche. Tra una casa contadina e un gregge con gli agnellini che giocano e saltano in modo talmente simpatico da suscitare penosi sensi di colpa a chi non dimentica gli arrosticini dell'Abruzzo, si comincia a salire. Per arrivare in cima, ci sono oltre 800 metri di dislivello da superare, ma la meta intermedia è alla portata, anche se si è partiti in orario da spiaggia e non da escursione alpina.

Il bosco è bellissimo, il profumo dei funghi domina ovunque e si cammina sul muschio come su una meravigliosa moquette. All'improvviso, proprio dove minacciosi cartelli annunciano l'attraversamento clandestino del confine fra la Slovenia e l'Austria, il sentiero si fa stretto e comincia a farsi molto ripido. Si oltrepassa senza difficoltà un grande balzo roccioso e in breve tempo si arriva a Potočka Zijalka, dove, come racconta la seconda parola, si rimane a bocca aperta.

Nella roccia si apre un'immensa cavità, si addentra nella montagna per oltre cento metri. E' possibile entrare e camminare tra gli sfasciumi di rocce crollate chissà quando.
Opportuni cartelli informativi raccontano dei ritrovamenti del secolo scorso. Prima uno studente di medicina scoprì le ossa degli orsi che avevano per millenni abitato l'antro, prima di essere soppiantati dal solito essere umano. La datazione dell'arrivo dei nuovi inquilini si aggira intorno ai 35.000 anni fa. Erano i "Cro Magnon" che non sembra fossero particolarmente aggressivi, anche perché difficilmente a qualche concorrente sarebbe venuto in mente di attaccare un alloggio così difficilmente accessibile. E così, sembra che i buoni Crommy si dedicassero all'arte musicale, nella grotta è stato trovato un flauto ricavato da osso d'orso più giovane di "soli" 10mila anni rispetto a quello dei Neanderthal nascosti nelle Divje Babe di Šebrelje. Può darsi che siano stati tra gli antenati dei sarti della storia, qui è stato trovato anche un ago, il primo conosciuto al mondo, per cucire le pelli che scaldavano gli esseri umani. Bon sì, è ovvio, per quanto romantici e sognatori, dovevano pur vivere e quindi erano anche cacciatori, mangiavano gli orsi e le capre selvatiche, si coprivano con il loro cuoio.

Ad avere tempo, sarebbe bello salire ancora un po', fin sulla vetta più alta del massiccio. Ma il percorso, facilitato anche da corde di ferro ben salde nelle rocce, si può affrontare quando si parte al sorgere della nostra grande Stella e non in prossimità del suo tramonto.

Per il momento, è meglio scendere godendosi i sussurri degli alberi nel bosco. Molti sono minacciati dalla scure, sono stati colpiti a morte dalle tempeste del 2023. Altri l'hanno scampata e si leccano reciprocamente le ferite. Tutti si domandano la data dell'arrivo della prima neve. Sì, dal loro mormorio concitato, non disdegnano di succhiare la luce solare, ma dimostrano anche una certa apprensione. 15 gradi, a 1600 metri, alle quattro del pomeriggio, anche per i più vecchi sono una novità...

mercoledì 23 ottobre 2024

Memorie di guerra in tempo di pace

 

So che l’argomento è delicato e mi assumo ogni responsabilità personale su ciò che scrivo.

Se ogni significante rimanda a un significato, ogni segno linguistico ha una certa importanza, in quanto esprime una determinata concezione della vita e della storia.

Ciò vale anche per la toponomastica e per le lapidi o i monumenti che caratterizzano il panorama cittadino. Per fortuna nessuno la nota, ma cosa potrebbe pensare un visitatore che si trova davanti alla lapide riprodotta nella foto?

A parte il contenuto che nel complesso potrebbe sembrare ridicolo, se non fosse riferito a una vicenda che ha provocato centinaia di migliaia di morti, che dire del termine “servaggio”? E’ possibile violentare la storia fino a questo punto?

E’ un linguaggio che ben si coniuga con il ventennio fascista che ha fatto del razzismo, del nazionalismo e della guerra le proprie funeste barriere. Tuttavia non può essere accettato in un contesto nel quale si vorrebbe trasformare Nova Gorica con Gorizia in una vera capitale europea della giustizia, della libertà, dell’accoglienza e della pace.

Non si tratta di voler cancellare la memoria, ma bisognerebbe lasciare a una commissione di storici il compito di stabilire che cosa lasciare e che cosa no. Uno è infatti il ricordo dei fatti del passato, altro è presentare come irriformabile un’unica loro interpretazione. Non si tratta affatto di damnatio memoriae, nessuno chiede di togliere lapidi storiche come per esempio quella all'esterno del Duomo di Gorizia, dove si fa riferimento all'iniziativa di Mussolini per la ricostruzione postbellica di quell'"insigne testimonianza dell'arte italica" (c'è scritto proprio così!).

Si tratta invece di confinare nei meandri del tempo ciò che testimonia l'odio tra i popoli e ciò che ha provocato tanto dolore e tanta umana sofferenza. Preoccupante è in questo senso l’imbarazzo dimostrato nell’ovvia attuazione della richiesta di cancellazione della cittadinanza onoraria al dittatore Mussolini che ha trascinato la Nazione nella catastrofe delle leggi razziste e della seconda guerra mondiale. Ciò dimostra quanto in realtà i simboli abbiano ancora una loro forza di coesione, anche quando riferiti a una stagione politica solo teoricamente conclusa 80 anni fa, ma in realtà ancora ben viva nella mente di tante persone.

Togliamo quindi memorie guerrafondaie, anacronistiche e violente come quelle testimoniate nella lapide che inneggia al IX agosto, togliamo dall’albo dei cittadini onorari Benito Mussolini. Mettiamo il tutto negli archivi della storia e nei depositi del Comune, sostituiamo queste scritte offensive con altre, che inneggino alla concordia tra i popoli e alla reciproca integrazione tra le lingue e le culture.

Si tratta di costruire una nuova storia, lasciando alle guerre del passato e del presente soltanto il compito di ricordare l’assurdità di ogni forma di violenza, l’inutilità delle armi come strumento per risolvere i conflitti e la mesta memoria di intere generazioni spazzate via da scelte politiche e da posizioni strategiche che hanno trasformato l’Europa e tante altre parti del mondo in un immenso mattatoio di carne umana.

martedì 22 ottobre 2024

L'unico confine da difendere è l'umanità

 

L'unico confine da difendere è quello che separa l'umanità dalla disumanità.

Quella scatenata contro i migranti è una vera guerra. Non lo è perché qualcuno armato stia minacciando l'Italia e abbia assembrato carri armati e truppe d'assalto per impadronirsi dello Stato.

Lo è perché il Governo ha ritenuto di "difendere i confini", impedendo con tutti i modi possibili a migliaia di poveri che fuggono da fame guerra e persecuzioni di raggiungere il Bel Paese.

Salvini, accusato di aver sequestrato oltre cento persone su una nave al largo nel Mediterraneo, afferma di averlo fatto per difendere i confini. Meloni, smessi i panni del feroce condottiero militare che istituisce un impossibile blocco navale, utile solo a raccogliere facili consensi elettorali, difende i confini trattando con assai loschi governi del NordAfrica, versando abbondante denaro in cambio del trattenimento dei migranti nei campi di concentramento. La stessa, per difendere i confini, escogita l'affare Albania, dilapidando un miliardo di euro per deportare qualche centinaio di persone fuori dai confini dell'Italia e dentro quelli del Paese delle aquile. La stessa, insieme al Governo, inventa da un giorno all'altro un Decreto Legge per stabilire - non si sa con quali criteri - quali siano i Paesi sicuri e quelli insicuri nel mondo, naturalmente, sempre "per difendere i confini".

Nel frattempo, ormai da quasi un anno, per difendere i confini è stato sospeso il trattato di Schengen e sono stati ripristinati i controlli di polizia sui vecchi valichi, dove occorre rallentare o fermarsi all'ALT per dimostrare di non essere terroristi. No, ovviamente non per questo, ma per impedire ai poveri di oltrepassare i ritornati sacri confini della Patria.

L'altra scusa è "per fermare i trafficanti di persone". Meloni sa bene, come lo sanno tutti quelli del suo Governo, che anche questa è una sciocchezza. Non sono certo i conducenti di navi fatiscenti che per una miseria rischiano la vita con i loro compagni di viaggio a gestire i traffici di persone. Insieme alle armi e alla droga, è una delle più fiorenti entrate delle mafie internazionali, quelle, per intenderci, che nessuno Stato e Potenza militare al mondo è in grado oggi di affrontare senza uscirne con le ossa distrutte. L'unico modo per sottrarre alle mafie la gestione delle migrazioni è quello di produrre, a livello europeo e nazionale, mirate ed efficaci politiche del lavoro, della casa, dei ricongiungimenti familiari. E' la scelta dell'accoglienza invece che del rifiuto, quella della reciproca integrazione invece della paura dell'assimilazione, del dialogo costruttivo tra diverse culture invece della chiusura nelle proprie ideologiche roccaforti medievali.

E' un rischio? Forse è invece un'alternativa allo svuotamento di senso che sta dilapidando l'Europa di risorse e di persone. E forse è la prova della verità di ciò che, secondo alcuni che lo avevano conosciuto, diceva un tipo vissuto circa duemila anni fa: "Chi vorrà salvare la propria vita (leggi i propri privilegi, ricchezze, egoismi, confini da difendere, ecc.) la perderà, chi sarà disponibile a perderla (falso concetto di identità, primati e priorità, lusso, ecc.), la salverà (in una nuova meravigliosa dimensione di interrelazione e non di chiusura)".

domenica 20 ottobre 2024

Marco Girardo presenta "Gorici" a Gradisca: il link della serata

 

Foto Nicola Orzan
Davvero una bella presentazione di Gorizia Nova Gorica, due città in una, nella sala comunale di Gradisca d'Isonzo.

Insieme a Marco Girardo, direttore di Avvenire, si è parlato di universali e particolari, spaziando dal tema del confine a quello della pace nel mondo, dalla necessità di politiche di accoglienza fino al ruolo del giornalismo.

Oltre cento persone hanno partecipato con passione e interesse all'incontro che a buon diritto può essere inserito nel percorso di preparazione al grande evento della Capitale europea della Cultura. L'introduzione di Paolo Polli, presidente del "Libro delle 18.03" è stata seguita da un saluto del Sindaco di Gradisca Alessandro Pagotto.

D'altra parte, il libro è occasione di dibattito e approfondimento, proponendosi come strumento per coinvolgere tutta la popolazione in un percorso che riguarda senz'altro amministratori e tecnici, ma che deve coinvolgere ciascuna cittadina e ciascun cittadino, ognuno come vero protagonista dell'evento. Ogni appuntamento si è rivelato assai interessante, nel Goriziano e altrove, come dimostrato anche la scorsa settimana nella Libreria Friuli di Udine, con l'ottima conduzione di Eleonora Sartori.

Di seguito il link per godersi la serata di Gradisca in diretta, come sempre opera preziosa di Nevio Costanzo: https://youtu.be/QBbC8so1imA

martedì 15 ottobre 2024

Le "Giornate" di Gregorčič e della Soča

 

Oggi, 15 ottobre, è la "Giornata" di un grande personaggio sloveno. Ma ricordando lui, tra ieri e oggi si celebra anche la "Giornata" dell'Isonzo, che in sloveno si chiama Soča e, come il sostantivo "reka" (fiume) è di genere femminile. 

Nel paese di Vrsno, sotto l'ombra del massiccio del Krn, poche case rurali tra gli alpeggi, a mezza costa tra la Soča e le alte vette, il 15 ottobre 1844 è nato Simon Gregorčič, poeta, scrittore, patriota, sacerdote, al di là delle definizioni soprattutto Uomo.

Già da bambino ha conosciuto l'asprezza della vita del pastore, vegliando sulle mucche e imparando i fondamenti del mestiere del casaro. Dimostrando fin dalla più tenera età una particolare intelligenza, viene avviato ben presto all'unica istituzione nella quale avrebbe potuto studiare e approfondire gli elementi costitutivi della realtà, il Seminario.

Ed è così che il giovane Simon lascia le erbe e i panorami delle alte vette per studiare e per prepararsi a diventare sacerdote incardinato nell'allora territorialmente enorme Arcidiocesi di Gorizia. Svolgerà il suo ministero prima a Kobarid, non lontano dal paese natale, poi a Branik, sotto l'antico castello di Rifembergo, a Gradiska pri Prvačini e infine a Gorizia.

Per la forza della sua vena poetica, è stato chiamato "l'usignolo di Gorizia" e a lui sono dedicati diversi monumenti, tra essi anche quello collocato nell'Erjavčeva ulica a Nova Gorica.

Si potrebbe sintetizzare il suo messaggio con la parola "amore", declinata in molti modi. Gregorčič ha amato appassionatamente la sua patria, al punto che sulla sua tomba, nel cimitero presso la chiesa di San Lorenzo a Smast, è raffigurato come il nocchiero che conduce la barca Slovenija attraverso i marosi minacciosi del suo tempo. Il suo più noto poema, dedicato alla reka Soči, oltre che essere una vera e propria dichiarazione all'amato corso d'acqua, preconizza con qualche decina di anni d'anticipo la catastrofe della prima guerra mondiale e la sofferenza che attendeva il suo popolo. 

Ha amato la natura, quella conosciuta quando da piccolo percorreva in lungo e in largo le balze del Krn alla ricerca delle mucche e delle capre. In tante sue poesie ritorna la profonda nostalgia della gioventù tra le malghe. Le montagne contemplate dalla pianura portano un messaggio di amicizia e lo stesso fiume ormai lento nel suo percorso verso il mare, ricorda lo splendore e la vivacità delle cascate alpine. In una sua poesia, paragona il suo essere stato pastore felice tra i prati sotto le montagne e il suo svolgere l'incarico di pastore d'anime, pensoso, nostalgico e molto spesso triste, rinchiuso nella sua nera veste. La malinconia che traspare dalle sue parole non gli ha impedito di diventare un punto di riferimento molto importante per i suoi parrocchiani, un prete amatissimo, tanto che al suo funerale si era formato un corteo lunghissimo che aveva attraversato la città di Gorizia e che aveva indotto un altro importante autore sloveno, Alojž Gradnik, a raccontarlo con emozione e sorpresa.

Il suo cuore lo ha avvicinato anche a una donna e l'uragano dei sentimenti corrisposti ma incompatibili con la veste talare si è riversato sia nel suo modo di intendere la Chiesa, polemico con tutto ciò che in essa appare come favoreggiamento alla banalità. al carrierismo e al classismo. E si è manifestato anche in alcuni dei suoi più struggenti versi, là dove esplode con potenza la contraddizione fra il desiderio di vivere il più umano dei sentimenti e la costrizione a una forzata rinuncia, dipendente dalla sua situazione di chierico. E' da questa privazione che peraltro scaturisce la caratteristica malinconia che traspare in tutti i suoi scritti, un senso di piccolezza di fronte al mistero della vita e della storia che non gli impedisce di impegnarsi e di lottare, ma che al fondo rileva sempre il calore di un fuoco che, al di là di tutto, resta inestinguibile. 

Di ogni essere umano si potrebbero scrivere enciclopedie, perché l'esistenza di ognuno è sempre un condensato immenso di pensieri, opere, azioni che in un modo o in un altro hanno contribuito a rendere la storia del mondo così come è. Ancor più vera è questa affermazione se applicata alla vicenda di un uomo e di un poeta come è stato Simon Gregorčič. Per il momento non si può che rinviare alla lettura dei suoi "Canti".