giovedì 31 dicembre 2020

Auguri per il 2021, sulla Barca dell'Essere


E' un'opera d'arte, collocata davanti al Museo di Arte Contemporanea di Roma.

La barca serve per solcare le acque, affrontando le tempeste e le onde altissime. Al posto della vela c'è un muro che l'attraversa. La taglia in due.

Da una parte c'è il passato, un anno che se ne va, portandosi via attese realizzate e inevase, sofferenze e soddisfazioni, piccole gioie quotidiane, memorie e rimpianti.

Dall'altra c'è il futuro, con lo sguardo proteso in avanti, con il vento della speranza e la forza del desiderio. Dove ci porterà la nave dell'Essere e dell'esserci, in questo nuovo inizio che sta per accadere?

La barriera tra il passato e il presente è anche quella, misteriosa, tra la vita e la morte. E' qualcosa che impedisce di guardare oltre, ma anche consente di presentire l'Infinito, l'eterno conflitto fra l'angusto spazio della conoscenza e l'ampio oceano dell'ignoto.

La barca ricorda tante sorelle e fratelli che affrontano il mare e sono affondati dal muro dell'indifferenza e dell'egocentrismo, pesante fardello imposto a chi cerca soltanto una vita sicura e un po' di pace. La barriera ricorda la fine della rotta balcanica, il respingimento illegale di migliaia di profughi ce arrivano stremati in Italia e vengono rigettati in Slovenia, in Croazia e poi di nuovo in Bosnia, portando sul loro corpo le ferite e le umiliazioni inferte dai bastoni del Potere.

Il muro richiama la divisione dei confini, le bombe e le fucilate che impediscono di transitare, da una parte all'altra. Ma ricorda anche la bellezza della diversità, il fascino della trasgressione, la curiosità dell'andare, come scriveva Montale, "più in là".

I muri sono fatti per essere abbattuti, ma anche per proteggere la ricchezza della diversità. Sono fatti per limitare, ma anche per donare. Sono impedimenti alle relazioni, ma anche loro condizioni.

Siamo tutti, in modi diversi, su questa barca. Quest'anno lo abbiamo sperimentato più che mai, riscoprendo - forse!!! - la bellezza della solidarietà, della compassione, del richiamo arcano a un amore che trascende l'individuo e si proietta verso la collettività, abitando la distanza che invoca il rispetto per l'enigma di ogni soggettività.

Siamo tutti sulla barca della Realtà, in qualunque modo la si voglia definire o la si voglia ritenere indefinibile. Una barca che ha in mezzo un immenso muro, da scavalcare, abbattere o abbellire, sapendo che solo oltrepassandolo potremo scoprire la Verità, ovvero che l'universo è un immenso mosaico di barche, di muri apparentemente invalicabili, di desideri irrealizzati, di utopie sconvolgenti la dimensione ordinaria del banale "di qua".

Coraggio allora, buon 2021. Se in questa barca dobbiamo remare, avanti a tutta forza, servendoci, amandoci, rispettandoci, guardando con ragionevole fiducia, al futuro prossimo che verrà.

domenica 27 dicembre 2020

Appello da Bihac, fermiamo una possibile strage degli innocenti.

Beth-lehem significa letteralmente "casa del pane". Ma il pane manca per migliaia di persone che vivono nei campi profughi delle isole greche e della Turchia oppure nel nord della Bosnia.
I reportage giornalistici di Nello Scavo su Avvenire nelle domeniche di dicembre e quelli riportati sull'ultimo numero dell'Espresso, più che della capanna di Natale parlano di tante, possibili catastrofi umanitarie.
Migliaia di giovani, provenienti dall'Africa e dall'Asia, sono bloccati ormai da diversi anni nel cuneo di Bihac e della regione del fiume Una. Per loro la vita è un inferno, spesso gli assai precari rifugi ospitano anche intere famiglie, con madri e figli molto piccoli. Come dimenticare Mohamed, un bimbo al massimo di 9 anni, che faceva da interprete per la sua famiglia composta dal padre, dalla madre e da altri tre fratellini? Chiedeva come poter salire senza farsi "beccare" su un treno, per andarsene dalla tenda fatiscente di Bihac e raggiungere l'Italia. Chissà dove sarà, se lui e i suoi avranno realizzato il sogno di raggiungere quello che loro pensavano essere l'approdo della libertà?
In realtà, in questo ormai lungo tempo, tutti prima o poi hanno tentato la sorte con l'ormai noto "game", un tragico tentativo - tutt'altro che un gioco - di attraversare il confine nei boschi ed entrare in Croazia. La stragrande maggioranza di coloro che ci hanno provato sono stati scoperti, picchiati e torturati, poi respinti in Bosnia con l'ingiunzione di non tornare mai più. Alcuni, più "fortunati", sono riusciti nel loto intento e, dopo mille dolorose peripezie, hanno attraversato Croazia e Slovenia per raggiungere finalmente l'agognata Italia. Cosa ne è stato? Una parte cospicua, giunta stremata a Trieste e dintorni, è stata respinta di nuovo in Slovenia, lì rinchiusa nel campo di Postojna e poi rispedita in Croazia, poi di nuovo, non senza la solita dose di bastonate, nello Stato della Bosnia-Erzegovina, cioè fuori dal recinto dell'Unione Europea. Il tutto è avvenuto e continua ad avvenire sulla base di antichi trattati internazionali ampiamente superati dall'appartenenza della Slovenia al novero degli stati dell'Unione.
E nella zona di Bihac cosa sta accadendo? Dove trovano alloggio coloro che giungono dal Sud e coloro che vengono respinti indietro dal Nord? Fino alla scorsa settimana nei campi gestiti dall'IOM e dalle organizzazioni mondiali ed europee. Adesso, dopo l'incendio del campo di Lipa, sull'esempio di quelli altrettanto drammatici di Lesbo e di Samos, le organizzazioni hanno abbandonato i campi e il governo cantonale di Una-Sana non ha autorizzato la riapertura delle fabbriche dismesse dove all'inizio era stata resa possibile una parvenza di accoglienza.
Il risultato di tutto ciò è che migliaia di persone, richiedenti asilo che fuggono da guerra, fame e persecuzioni di ogni sorta, vagano abbandonati da tutti nelle inospitali e attualmente gelide contrade, impossibilitati a entrare in città, perché "non c'è posto per loro nei ricoveri". Non hanno da mangiare nè da coprirsi, si prospetta una vera e propria catastrofe umanitaria. Nello Scavo ha chiamato la rotta balcanica la "via della vergogna". Se nessuno si muoverà in tempo - a livello di istituzioni europee e mondiali - oltre che della vergogna sarà anche la via di una nuova colpevole "strage degli innocenti" voluta o tollerata dagli Erode in doppiopetto che abitano i sontuosi palazzi di Strasburgo e di Bruxelles. 

giovedì 24 dicembre 2020

Arbor Natalis et Praesepium 2020

L'albero di quest'anno, quello realizzato per pensare e non solo per guardare, viene dalla Slovenia. E' costruito con i libri, ovvero, come nell'origine stessa del simbolo, con i frutti della conoscenza del bene e del male. Ci si può nutrire di essi? Oppure siamo condannati a navigare nelle tenebre dell'ignoranza e della sottomissione? Sapere e voler leggere è l'inizio della rivoluzione. Tanti arbusti ogni Natale vengono uccisi, per essere poi portati cadaveri nei boschi, dopo aver impregnato di aghetti le case dove sono stati goduti per qualche breve istante. Un abete di testi, per bambini e adulti, richiama il rispetto della Natura e della Cultura, l'accoglienza del messaggio dei "venerdì per il futuro", l'auspicio di un rispetto nuovo nei confronti dell'ambiente e della Vita.

Ed ecco il ora presepio di quest'anno.

La grotta oscura è senz'altro la tana del coronavirus, illuminata in parte dalle scene che si svolgono al suo interno. La stella che guida i magi dall'Oriente è la Speranza che si posa tranquilla sulle tempeste che agitano il buio dell'antro. I magi sono i dottori che in tanti modi vorrebbero curare l'umanità malata, portando doni di bellezza bontà e verità. L'asino e il bue sono il simbolo delle donne e degli uomini che si prendono cura gli uni degli altri e che riscaldano la mangiatoia senza porsi troppe domande. Quest'ultima, il "praesepium" appunto, è l'oggetto dell'appetito delle mafie più o meno legalizzate che se ne vorrebbero appropriare, dimenticando il bambino adagiato. E' protetto da Giuseppe e Maria, cioè da una paternità e maternità che oltrepassano ogni regola e invitano alla trasgressione e alla rivoluzione. Il bambino Gesù sono i milioni di migranti, costretti a dormire in tuguri ben meno accoglienti di una stalla, a navigare su imbarcazioni ben più fragili di una mangiatoia, a cercare di varcare di nascosto i confini, per non essere respinti, perché anche per loro "non c'è posto nei sontuosi alberghi del Capitale". Gli angeli quest'anno sono tutti gli appartenenti al personale medico planetario, che annunciano la gloria di Dio agli uomini di buona volontà, cioè a quelli disposti a perdere la propria vita per salvare quella altrui, non solo dal virus, ma anche dalla malaria, dal cancro, dalla fame, dalla guerra e da tutte le sventure che ammorbano la famiglia umana.. I pastori sono gli amici, che ci accompagnano nel cammino della Vita e non ci lasciano soli nella prova. E poi naturalmente ci sono i re Erode, oh, quanti re Erode nel mondo, ognuno di essi è una squallida incarnazione del Potere, politico, economico, militare e religioso! Vorrebbero far fuori il bambino che è nato, distruggere l'"homo" e moltiplicare le stragi degli innocenti. Quest'anno queste ultime sono dedicate ai bambini un po' cresciuti, alle decine di migliaia di anziani falciati dal coronavirus nella solitudine delle case di riposo e delle rsa, senza nessuna parola di conforto dei propri cari, esclusi dalla relazione in nome della salvaguardia della loro salute. Un pensiero infine va anche a Santo Stefano, il primo martire cristiano, celebrato con onore il giorno dopo Natale. A chi dedicare questa memoria se non a Giulio Regeni e a tutte e tutti coloro che sono perseguitati, torturati, incarcerati e uccisi perché hanno voluto conoscere, vivere e testimoniare la Verità?

Ecco il mio presepio, nell'anno di grazia e bisesto 2020. Buon Natale, Vesel Božič vsem.

lunedì 21 dicembre 2020

Ma c'è qualche proposta, oltre al lockdown e al vaccino?

Premessa. Non credo che il Natale abbia niente a che fare con le luci, i suoni, i regali, il cenone e via dicendo. Al contrario, penso che per i credenti sia la memoria della nascita di Gesù in una situazione di grande povertà e nella drammaticità delle purtroppo consuete - allora come oggi - stragi di innocenti. Non c'è alcun bisogno né di messe di mezzanotte, né di vin brulé, né di costosi doni portati dai babbi natale vestiti con i colori della coca cola. Per i non credenti ritengo sia il riconoscimento della speranza portata dal Sole che riprende la sua corsa verso la primavera, irradiando con maggior luce e calore la terra, o meglio, il suo emisfero boreale. Tutto ciò per dire che nessuno può "derubare la gente dal Natale" e che un mese di illazioni e controillazioni su come trascorrere le festività è stato solo un'inutile produzione di parole senza senso. 

Certo, si comprende bene invece la problematica relativa al lavoro di milioni di persone, indubbiamente penalizzate nelle loro attività nel periodo più favorevole al turismo e alla ristorazione. E' giusto che si pensi alla loro situazione, con adeguati contributi che consentano ai loro esercizi di sopravvivere ai periodi di restrizione.

Detto questo, si può esprimere qualche dubbio senza essere tacciati di negazionismo, di irresponsabilità, di neofascismo, di egoismo, di ottusità mentale? Ovviamente, cercando di esprimere le perplessità, rispondo affermativamente al quesito.

L'Italia è uno dei Paesi nei quali le "serrande chiuse" sono state proposte (o imposte, a seconda dei punti di vista) con la massima severità, sia in inverno/primavera che in autunno. La motivazione è sempre stata quella di "ridurre al massimo i contagi" e di conseguenza, i ricoveri negli ospedali e nelle terapie intensive, la diffusione nelle RSA e nelle case di riposo, il tristissimo dato riguardante la mortalità.

Evidentemente qualcosa è andato storto, forse - ed è qua il principale dubbio - si è pensato, a tutti i livelli, che l'unico antidoto al virus fosse appunto quello di chiudere tutti, più tempo possibile, nelle loro case. Sta di fatto che i grandi sacrifici - soprattutto, ma non solo, quello terribile delle persone anziane costrette alla malattia e spesso alla morte senza aver potuto abbracciare, e spesso addirittura vedere i loro cari - non hanno impedito all'Italia di essere ai vertici planetari per ciò che concerne percentuali di contagi e numero di morti per covid. 

Io non so come il Presidente del Consiglio o i Presidenti delle Regioni riescano ancora a mantenere una parvenza di sorriso nella loro comunicazione pubblica. Suppongo che anch'essi, come accade a tutte e tutti i sindaci, in particolare quelli di Comuni titolari di case di riposo, non dormano la notte nella constatazione della falcidia di vite umane che si verifica sotto i nostri occhi.

Ribadendo la necessità di rispettare le regole ma constatando che dall'estate la maggior parte della popolazione - salvo relativamente rare eccezioni naturalmente - ha osservato fedelmente l'obbligo di mantenere la mascherina indossata, il distanziamento e il divieto di assembramento, ci si può chiedere come mai la seconda ondata ci abbia colpito ugualmente così gravemente, soprattutto nei luoghi della maggior fragilità e debolezza?

Non sarà che forse i mille scienziati che pontificano ogni giorno sui media dicendo tutto e il contrario di tutto, come pure i politici gravati da più o meno grandi responsabilità, non sappiano in realtà che pesci pigliare, se non rinchiudendo tutti in casa, punto e basta? Se poi allarghiamo lo sguardo, ci si può chiedere che rapporti esistano tra i Paesi europei se sostanzialmente ciascuno va avanti per conto proprio, con evidenti differenze che non diventano mai patrimonio comune, né a livello scientifico, né di determinazione di norme giuridiche?

Ecco, quello che era da dire è stato detto. Spero soltanto di essermi fatto capire, non si tratta affatto di allentare la tensione, ma di immaginare - a tutti i livelli - che la vittoria sul virus non si possa realizzare soltanto votandosi ai santi Lockdown e Vaccino.

domenica 20 dicembre 2020

Auguri di buon solstizio

Il 21 dicembre 2020, alle ore 10.02, ci sarà il Solstizio. 

E' il giorno più breve dell'anno, e anche il più bello, perché impregnato di un'attesa pura, scevra da qualsiasi forma concreta di realizzazione! Da ora in poi, non potrà altro che andare meglio, la luce illuminerà di momento in momento di più la faccia della terra, il calore ricomincerà a riscaldare. C'è ancora un inverno da attraversare, per raggiungere il tempo dei tepori primaverili. Ma tutto è già iniziato e sotto la coltre della neve e del ghiaccio il miracolo della Vita, ancora una volta, ha incominciato a ripetersi, nel silenzio, nel nascondimento, nel gelo che custodisce lo splendore del Futuro. Quest'anno il tutto sarà accompagnato da uno spettacolo eccezionale, che aveva affascinato Galileo Galilei. Giove e Saturno appariranno nella notte talmente vicini da sembrare un unico astro, una specie di cometa natalizia. Da non perdere, davvero.

Sarà così anche per il Mondo? La pandemia avrà toccato il suo punto vertice e intraprenderà l'auspicata strada verso la sparizione? Il capitalismo, con tutto ciò che comporta, avrà iniziato il suo tramonto, a favore di un nuovo "Giorno", fondato sulla pace, la giustizia, la libertà, l'uguaglianza di diritto fra le persone, il rispetto della loro irriducibile dignità? Siamo arrivati al solstizio della civiltà planetaria e ci stiamo incamminando verso una nuova primavera?  

Fin dall'antichità questi giorni di fine anno hanno ospitato le principali festività sacrali, legate al culto della speranza e della rinascita dalla morte apparente. Gli stessi cristiani hanno collocato in questa posizione il Natale, sostituendo con la nascita di Gesù l'antico festeggiamento del Sol invictus. Lo sentiamo da millenni dentro di noi, il tempo è intriso di memoria di ciò che è irrimediabilmente perduto e di desiderio di un qualcosa di ancora sconosciuto, di un nuovo "inizio" capace di contenere in sé i germi di tutto ciò che accade.

Auguri allora di buon solstizio, che la pallida luce del più corto giorno invernale porti con sé la speranza ineffabile, la vittoria sulle tenebre, il superamento della morte. 

sabato 19 dicembre 2020

Čestitke Nova Gorica/Gorizia! La grande occasione...

Le Gorizia/Gorica dalla"O" del Sabotino
La notizia tanto attesa è arrivata. Ieri Nova Gorica è stata proclamata Capitale Europea della Cultura 2025. I sindaci della città, Klemen Miklavič per la parte slovena e Rodolfo Ziberna per quella in Italia, hanno creduto nell'impresa e l'hanno perseguita senza lasciare nulla di intentato.

Ora quella che sembrava una missione impossibile si è trasformata in un sogno che tutte e tutti dovranno contribuire a realizzare. La strada intrapresa, finalmente, sembra non finire in un vicolo cieco, come troppe in precedenza. Può far piacere o meno, ma la gioia sincera e l'abbraccio tra i primi cittadini nell'istante successivo all'annuncio aiutano a ben sperare. E' dalle concrete relazioni di simpatia e amicizia che si costruiscono le occasioni, non viceversa, partendo dalle sovrastrutture per giungere alla realtà di base, come dimostrato da tanti "carrozzoni" negli anni scorsi.

Allora, quale è il sogno per questa due città (l'errore è volontario, per sottolineare l'unicità nella diversità) e per gli ampi territori che le circondano, le valli dell'Isonzo/Soča e del Vipacco/Vipava, l'agro aquileiese e la Laguna di Grado? E' quello di costruire e realizzare un progetto innovativo, che possa diventare un autentico "modello" in Europa, del quale la radice e il fondamento siano la Cultura.

In una zona nella quale a causa dei nazionalismi e dei fascismi si è sparso tanto sangue nelle due guerre mondiali, la Cultura della pace nella giustizia può trasformare le "Gorica" in un laboratorio straordinario di fraternità e convivenza, anche grazie al sostegno degli istituti di ricerca sociologici e accademici che potrebbero offrire un substrato scientifico alle azioni e alle iniziative. Realizzando un auspicio di quasi trenta anni fa, il territorio attorno all'ormai ex confine potrebbe essere il luogo delle trattative diplomatiche per le parti che nei vari Paesi del Mondo cercano di accordarsi per superare conflitti e scontri.

Tenendo presente la straordinaria bellezza del fiume Isonzo e dei suoi affluenti, ma anche dei paesaggi del Collio/Brda e dell'altopiano della Bainsizza, la "capitale della Cultura" potrebbe diventare un grande punto di riferimento per le azioni volte a salvaguardare l'ambiente naturale. Si potrebbero proporre importanti percorsi innovativi di riconversione delle minacciose realtà industriali minacciano l'equilibrio ecologico della zona, individuando e attuando i principi della green economy, in grado di salvaguardare contemporaneamente i diritti alla salute e al lavoro. Oltre alla prevista e in piccola parte già realizzata pista ciclabile sulle rive del fiume, dalla sorgente alla foce, si realizzeranno ulteriori percorsi - a piedi o in bicicletta - per conoscere la storia, la natura, la spiritualità delle affascinanti montagne sopra Gorizia.

La storia del Novecento "goriziano" è stata una vicenda di costruzione di muri e di loro abbattimenti. Una rilettura attenta delle relazioni tra le varie componenti, procedendo dal documento congiunto degli storici italiani e sloveni del 2000, potrebbe davvero consentire di radicare definitivamente il cambiamento completo di paradigma, dal soffocamento delle identità al dialogo costruttivo e simpatetico. Da non dimenticare sarà anche l'esperimento di Franco Basaglia, con la demolizione dei manicomi divenuta legge in Italia nel 1978. Le ottime forme di collaborazione tra realtà attente alle problematiche legate al disagio mentale, potrebbero essere considerate apripista di un nuovo modo di intendere la città "terapeutica", dove ogni abitante e responsabile della cura di tutti gli altri.

Naturalmente tutto ciò potrà avere grandi riflessi sul piano imprenditoriale e occupazionale. Accanto all'ambiente, le eccellenze enogastronomiche sono già e saranno sempre più un'attrattiva turistica di primo ordine, tenendo presente anche la collocazione baricentrica tra mete del turismo internazionale quali Venezia, Lubiana, Trieste, la costa istriana e dalmata. Oltre a ciò, la vocazione moderna e postmoderna di Nova Gorica potrà ben coniugarsi con quella più classica, austro-ungarica della Gorizia in Italia, offrendo originali forme di attività industriali e commerciali in grado di contemperare le esigenze smart del nuovo con quelle slow dell'antico.

E' solo l'inizio di un lungo elenco, che potrebbe essere sintetizzato nel concetto delle Gorizia/Gorica "città della cultura", ma anche dell'"accoglienza", immaginando che uno dei fiori all'occhiello del progetto verso il 2025 sia la risposta alle questioni riguardanti al povertà, soprattutto tenendo conto della crisi pandemica e post-pandemica. L'attenzione nei confronti dei più fragili e piccoli, dei senza tetto e dei migranti, dovrà essere al primo posto nella scelta delle azioni da portare avanti e da sostenere.

Il sogno si potrà realizzare non attraverso una generica omologazione, anche se sarà indispensabile, come minimo, cercare di armonizzare le relazioni se non altro rendendo possibile a tutti ciò che il Kulturni dom di Gorizia ha sempre proposto sotto il concetto di bilinguismo passivo. Una scelta che deve coinvolgere le scuole e gli istituti di cultura del territorio dovrebbe portare a un immediato cambio di passo, lo studio delle lingue dovrebbe consentire a ciascuno di parlare nella propria facendosi comprendere dall'altro, cioè tutti dovrebbero sapere l'italiano, lo sloveno e possibilmente anche l'inglese per l'incontro con coloro che raggiungono il territorio, per vari motivi, da tante parti del mondo.

Si potrà realizzare se ciascuno, consapevole della ricchezza della propria storia e della propria visone del mondo, saprà donarla gloriosamente, nella reciprocità, all'altro, realizzando così l'obiettivo politico che sta alla base della teoria dell'Unione Europea, la comunione nella ricchezza delle differenze. Buon viaggio Nova Gorica/Gorizia, per il prossimo quinquennio la grande Storia - quella di Pace con la P maiuscola - attraverserà questo lembo di terra, tremando e affascinante, come tutto ciò che è sacro"! 

giovedì 17 dicembre 2020

Dal diario di un sindaco di pianura

Fino a un mese fa il paese era, come si suol dire, covid free. Ogni giorno arrivavano le notizie dalle altre zone della Regione. Anche se i contagi erano sempre vicini, si sperava di rimanere isola felice, come nel corso della prima ondata. Poi sono giunti i primi segnali di un cambiamento, prima uno, poi un altro, poi una famiglia in quarantena, il "bollettino" quotidiano dell'azienda cominciava a trasformarsi in comunicato di guerra. Per fortuna, ci si diceva, sono casi asintomatici. Dopo un po' la comunicazione che qualcuno era finito in ospedale. Cresceva la preoccupazione per le case del riposo, quella privata e quella comunale, i luoghi sensibili da presidiare prima di qualunque altro. Si raccomandava a tutti la massima attenzione e prudenza, si inviavano missive ai concittadini perché fossero attenti, con le mascherine, con il distanziamento, con l'evitare gli assembramenti, davanti ai negozi e davanti ai bar.

"C'è un primo caso, asintomatico, ma è persona che ha avuto contatti quasi con tutti gli ospiti". Ecco, la notizia che non si sarebbe mai voluto sentire. Incrociamo le dita, speriamo, forse "andrà tutto bene"...

E invece no, è andato tutto male. Quasi tutti gli ospiti contagiati, il personale in parte conclamato positivo, in parte ai limiti dell'esaurimento per la triplicazione del lavoro. Poi i primi morti, cadono come foglie dagli alberi, in autunno. E loro, la memoria storica del territorio, sono rinchiusi là, impossibilitati da mesi a incontrare i propri familiari, se non attraverso la mediazione di un tablet, spaventati dal dilagare del virus che mette alla prova, indebolisce e uccide, accompagnati da eroici angeli custodi ormai rarefatti e altrettanto impauriti.

Cosa non ha funzionato? E' il destino triste che accomuna quasi tutti i simili istituti in Italia e in Europa? C'è qualche responsabilità in tutto ciò? Si poteva evitare, ma come?

Sì, una responsabilità profonda la si sente, quando sei chiamato ad amministrare un Comune, quando gli elettori ti hanno affidato, tra gli altri, il compito di vigilare sulla loro salute fisica. Hai voglia di invocare le responsabilità del Governo centrale, i tentativi più o meno caotici di arginare l'avanzata del covid, l'assurdità delle prescrizioni regionali e la confusione che regna sovrana. Puoi anche invocare l'inutilità dell'attesa del salvatore, il San Vaccino oppure credere nelle sue assolute virtù terapeutiche. Puoi suggerire ottimi stili di vita e inviare messaggi rassicuranti alla popolazione.

Tuttavia tutto ciò non alleggerisce un potente senso di colpa, che proviene dal fondo dello stomaco e risale, attraversa il cuore e ti serra la gola. Vorresti chiedere scusa a chi è morto, ai suoi familiari nel pianto. Ma sai anche di aver fatto tutto ciò che ritenevi umanamente possibile perché questo non accadesse. Vorresti andartene, dimetterti all'istante, ma sai bene che questo non sarebbe altro che un fuggire davanti alle risposte che solo tu puoi dare. Forse potrebbe dare qualche risposta la filosofia? O la teologia? Ma in fondo, come diceva Hans Jonas commentando la Shoah, "si può ancora credere in Dio dopo la pandemia"? O forse - immaginando i miliardi di esseri umani che si potrebbero porre la stessa domanda pensando alle guerre, ai genocidi, alla malaria, alla fame che uccide ogni anno quindici volte di più che il coronavirus - non potrebbe essere questa proprio la dimostrazione che Dio, se esistesse, non potrebbe essere che il "Totalmente Altro"? 

martedì 15 dicembre 2020

Mercoledì 16, ore 20.30, Thomas Mann, Cultura e Civiltà in Europa. Con Greco, Floramo e Bellavite

Per mercoledì 16 dicembre, dalle ore 20.30 alle 22.30, i Comuni di Aiello del Friuli e di Campolongo Tapogliano, in collaborazione con il Kulturni dom di Gorizia, propongono un'interessante serata letteraria, dedicata al rapporto tra Cultura e Civiltà in Europa alla luce del pensiero di Thomas Mann. Introdurranno il dialogo Albertine Laura Greco, esperta dello scrittore tedesco e consigliera comunale a Campolongo Tapogliano, Angelo Floramo, illustre pensatore e scrittore friulano, coordinati dl sindaco di Aiello del Friuli Andrea Bellavite.

Ecco il link per seguire in diretta l'evento, su piattaforma zoom: https://us02web.zoom.us/j/87416284350?pwd%3Db1ZHQ21QSGx6MlJMWXVOY1g2QW94UT09&sa=D&source=calendar&usd=2&usg=AOvVaw1vQ3ob9m8pik6Z57oefUF

Pandemia e profezia. verso dove andare...

Sì, ma cosa? Da dove cominciare? Cosa significa uscire dalla pandemia migliori di prima? Quale post-capitalismo possibile?

Alcuni slogan dei tempi d'oro potrebbero essere ripresi e riproposti, possibilmente con un linguaggio più apprezzato da un mondo giovanile che ha molto da dire e da insegnare.

Il primo è "lavorare meno, lavorare tutti". I dati economici evidenziano come la distribuzione della ricchezza nel Mondo sia sempre più assurda e iniqua privilegiando sempre meno straricchi e penalizzando sempre più strapoveri. Una politica del reddito di base a livello europeo, come pure un investimento convinto sulla riqualificazione ecologica delle industrie inquinanti, potrebbero essere un'occasione imperdibile per rendere le parole "prima le persone" un obiettivo e un autentico programma politico.

Il secondo è "libera circolazione delle persone". Si tratta di oltrepassare l'angusta visione della libera circolazione delle sole merci, che ha trasformato l'Europa in un ambiente chiuso, poco accogliente, addirittura violento - in molti casi - nel respingere verso il dramma coloro che cercano di varcare i confini per raggiungere la terra che essi vedono come quella capace di dare loro speranza. Il cambiamento culturale è la cifra ermeneutica dell'intera storia degli umani, il fatto che l'Occidente ricco possieda armi e mezzi a sufficienza per paralizzare qualsiasi migrazione, non significa altro che possedere la libertà di scegliere tra una propria lenta egoistica fine e un rapido suicidio. Solo l'incontro e la coesistenza potrebbero costruire una nuova condivisa civiltà, nella bellezza e nella ricchezza della diversità. 

Non dimentichiamo poi i "Venerdì per il futuro" proposti dalla grande Greta Thunberg. I milioni di ragazzi che si sono mobilitati negli scorsi due anni hanno lasciato un messaggio  che le politiche repressive anti-covid non sono riuscite del tutto a soffocare: il mondo è in agonia e se non si cambia passo, non arriveremo lontano. La pandemia è una conseguenza e non una causa della sofferenza del Pianeta.

Ovviamente non si può tralasciare la profezia biblica delle "lance da trasformare in falci" e delle "macchine da guerra da trasformare in aratri". In altre parole, è indispensabile un'azione convinta per la realizzazione di una pace planetaria fondata sulla giustizia. Non basta condannare a parole i "trafficanti di armi" o dichiarare la guerra "una follia", senza denunciare gli squallidi interessi economici perseguiti dai governi sedicenti democratici, compresi quelli amministrati da una specie di "centro sinistra".

Le restrizioni di questo periodo evidenziano ancor di più l'assurdità dei confini. Se oltrepassi la linea di demarcazione, diventi un pericoloso portatore di virus, se sei cinque metri più indietro, sei inoffensivo. Se ami chi sta nella tua casa, non c'è problema, se l'"altra" o l'"altro" sono oltre la linea l'epidemia infuria. A di là del virus, come "pensare" e "pensarsi" tutte e tutti insieme? Come immaginare un'umanità per ora "europea", ma con l'obiettivo globale della "planetarietà"?  

Insomma, è ora di mettere la parola fine all'epoca del Capitalismo, ridando forza ed efficacia alla sua filosofica opposizione, ovvero l'autentico Personalismo. E' la fine del dio Denaro, l'inizio di una nuova epoca, nella quale, come diceva il vecchio Karl, ciascuno potrà dare secondo le sue capacità e ricevere secondo le sue necessità, con la possibilità per tutti di accedere, ognuno a suo modo, alle meravigliose conquiste scientifiche e informatiche dell'umanità contemporanea.. La vittoria sulla pandemia potrebbe essere l'inizio di un post-capitalismo, in un orizzonte sanamente neomarxista, capace di rivitalizzare le culture e le civiltà di Oriente e Occidente, del Nord e del Sud, in una nuova gigantesca sintesi ideale, spirituale e ideologica, in grado di porre le fondamenta di un evo post-post moderno e addirittura post-contemporaneo. 

domenica 13 dicembre 2020

Oltre la pandemia, oltre il Capitalismo...

La pandemia infuria, con numeri da capogiro. Ci si concentra sulle misure natalizie, sulla più o meno accentuata obbedienza degli italiani, sulle speranze (le preoccupazioni sono sistematicamente censurate) nei vaccini che spuntano come funghi in diverse parti del mondo. Ovviamente non mancano le tensioni legate alla prevedibile grande crisi economica e occupazionale, i cui effetti si produrranno nel prossimo anno.
Ciò di cui si parla ancora poco è "come ne verremo fuori". Se da una parte le "serrande abbassate" (per non usare il termine lockdown) hanno portato sulla soglia della povertà milioni di persone in Italia, oltre che all'incremento della fame per miliardi nel mondo, dall'altra hanno dimostrato che il coronavirus ha evidenziato, non certo creato, la malattia dell'"Occidente".
Il malato è il sistema del Capitale. Non è la prima volta, è riuscito a oltrepassare altre crisi, a volte in modo sconvolgente, basti pensare alle due guerre mondiali del XX secolo, a volte in modo meno visibile e subdolo, sacrificando agli interessi di pochissimi intere popolazioni ridotte allo stremo, soprattutto in Africa e in molte parti dell'Asia. La disoccupazione che produce schiavitù, la miseria estrema che destabilizza l'ordine a favore delle mafie internazionali, il rifiuto dell'accoglienza che favorisce i mercanti di persone, i cambiamenti climatici che mettono in ginocchio gli ecosistemi, la persecuzione ideologica e religiosa, il mancato rispetto dei diritti dell'essere umano come pure di ogni essere vivente, l'informazione mediatica al servizio dell'autentica crescita dell'umanità... Tutto ciò viene immolato sull'altare immondo del dio denaro e il Pianeta ne soffre al punto da mostrare i primi segni dell'agonia.
Occorre un vero nuovo corso, che cioè il felice slogan "Green new deal" si trasformi in scelte operative concrete, in convinte politiche anticapitaliste. La lotta contro il covid potrebbe essere l'occasione per riunire tutti in un primo obiettivo di sconfiggere il virus, ma anche in uno sguardo di più ampie vedute, quello di ripensare l'attuale contingenza e orientarsi verso una grande mobilitazione generale. Era il sogno dell'"altro mondo possibile", soffocato nel sangue a Genova nel 2001. Allora sembrava possibile raggiungere gli "obiettivi del Millennio", la vittoria sulla fame, sull'analfabetismo, sulla disoccupazione, sulla malaria e sulle malattie endemiche, sulla violenza e sulla guerra. Perché è fallito quel progetto? Perché non ripartire da quella gloriosa e drammatica settimana di confronto e immenso lavoro? Perché non credere ancora nella costruzione di un nuovo sistema, solidale, democratico, liberante, equo e giusto? Perché non raccontare una nuova storia, dove l'umana immaginazione possa trasformare l'impero del soldo nella civiltà della convivenza e della sororità e fraternità universali?
Sono domande urgenti, perché dalla pandemia del XX secolo usciremo vittoriosi o sconfitti non se torneremo quelli che eravamo un anno fa, ma se ci incammineremo su una strada completamente nuova.

venerdì 11 dicembre 2020

Ferdinando Laurenti, un piccolo grande Uomo

 

E' stato sepolto ieri nel cimitero della sua amata Bagnarola Fernando Laurenti, semplicemente "un uomo". Vorrei ricordare la sua vita extra-ordinaria, cioè letteralmente fuori dall'ordinario. E' stato un amico più fedele di quanto io non sia stato per lui, ma sono certo che - in modo misterioso ma reale - continuiamo a camminare insieme. Da poche persone nella mia vita ho imparato tanto e nella famiglia che gli ha dato l'unica "Casa" della sua esistenza ho visto il rarissimo miracolo dell'autentica Fraternità. Abbiamo scritto insieme le parole che seguono, alcuni anni fa.  Dovevano essere l'inizio di un libro, nel quale raccontare una storia di tanto buio e di immensa luce, di tristezza e di gioia, di solitudine e amicizia. Sono rimaste invece solo l'introduzione a una trasmissione radiofonica su RadioRai dove Fernando - così l'ho sempre chiamato - si è raccontato suscitando le lacrime e il sorriso anche della brava regista e dei tecnici di studio.

“In questo momento per la prima volta apro la porta di un appartamento con una chiave mia”. E’ il 17 novembre 2003, Ferdinando ha più di sessant’anni gran parte dei quali trascorsi senza una residenza fissa, istituti per orfani, panchine, istituti di pena, treni, prigioni…

Il suo primo ricordo è una stanza d’ospedale, un letto sul quale la madre moriva urlando di dolore e stringendogli con veemenza la mano… Poi la divisione dalle sorelle più grandi e la partenza per il primo orfanotrofio, poi i trasferimenti di casa in casa, Veneto, Toscana, Lazio, fino al ritorno nel natìo Polesine: frati, suore, buone dame di compagnie, giochi poco innocenti, punizioni esemplari, miscela esplosiva di rancore, sorda gratitudine e paure…

E venne il compimento del fatidico sedicesimo anno, fine della permanenza garantita: Ferdinando esce dalla sua casa con il classico sacchetto sulle spalle, un cambio di vestiti, i soldi per un panino e la raccomandazione di rigare dritto. Sì, ma dove andare?

I primi giorni della nuova vita trascorrono su una panchina in un parco comunale, come stanza da bagno il pubblico wc e – primo di una lunga serie di periodi - come tetto la volta stellata. Tra chi lo vede c’è chi fa finta di niente, chi avvisa impotenti forze dell’ordine, chi si scandalizza per il degrado della città. Passano due o tre giorni e poi su quella panchina si siede un signore elegante e gentile, che lo affronta con una domanda precisa: “Vuoi lavorare per me?”

La fame e la necessità di avere in tasca qualche lira hanno contribuito in modo decisivo a dare inizio così a una lunga carriera: piccoli negozi, poi più grandi esercizi commerciali, poi qualche banca… Fino al primo arresto e a quello che una volta veniva definito “manicomio criminale”. Soltanto le parole del protagonista possono comunicare una minima idea di ciò che poteva significare per un ragazzo di vent’anni vivere legati ad un letto, fatti vittime dei più incredibili soprusi.

Dopo il più massacrante periodo tra le case di pena, i momenti di libertà, senza denaro, senza prospettive e senza sostegni: nell’Italia di quegli anni la vita per un uomo che non rientra tra le categorie a rischio di alcoolismo o tossicodipendenza è molto dura, sembra non sia contemplata la possibilità di strade riabilitative dedicate a chi – per un motivo o per l’altro – si è trovato a imboccare vicoli ciechi. In una girandola di incontri – affaristi senza scrupoli, benpensanti da spennare, pingui preti alla ricerca di emozioni a buon mercato, ragazzi fuggiti di casa da istruire sui trucchi e sui rischi di un’esistenza vissuta nelle carrozze delle ferrovie – Ferdinando impara a conoscere l’essere umano nel profondo.

Per periodi più o meno brevi paga il prezzo di una vita raminga sperimentando la residenza in quasi tutte le prigioni italiane, conosce dal di dentro brani importanti della complessa recente storia nazionale; nel periodo degli anni di piombo è vittima di clamorosi errori giudiziari giungendo a provare la stretta al cuore che si produce quando il giudice pronuncia la parola “ergastolo”; con la sua selvatica saggezza e la fuga sistematica in un silenzio introverso diventa autorevole fra i suoi compagni di cella procurandosi amicizie e  protezioni utili alla sopravvivenza nella giungla di relazioni umane fragili quanto il vetro più sottile.

L’ultimo nemico, quello da cui è più difficile fuggire, è la propria coscienza a tratti stanca di lottare: le mura delle case di detenzione sono sempre troppo alte, le umiliazioni ricevute da capi disumani sono troppo frequenti cosicché l gambe si spezzano, le braccia si coprono di tagli, i polmoni respirano aria poco pura. E la disperazione si avvicina, nascosta tra le pieghe di un indomito desiderio di autentica libertà.

Passano gli anni e si avvicina il tempo che per molti coincide con la pensione; contemplando il cielo stellato sdraiato sulla pietra lungo la passeggiata delle mura di Lucca, Ferdinando si domanda inquieto a cosa sta andando incontro, come potrà andare avanti ancora nella sua fuga senza fine, dove trovare i mezzi per poter almeno mangiare. Ancora una volta un uomo gli va vicino, lo risveglia dal torpore; è ben vestito ed elegante, gli dice di non averlo mai visto in quel luogo… Colpito dal portamento della persona non si accorge dell’abbassamento del livello di guardia e per la prima volta Ferdinando si racconta, quasi piangendo, come un figlio che si rifugia tra le braccia di un genitore che credeva scomparso. L’uomo lo saluta con sobria gentilezza e scompare come era arrivato, come risucchiato dalle mura di Lucca. Ferdinando si addormenta felice ed al risveglio da un sonno finalmente profondo trova nella sua tasca una busta con tanti soldi, sufficienti a risolvere il problema del cibo e a consentire di rimettersi in strada. Prima di andarsene vuole ringraziare il suo benefattore, chiede informazioni ma nessuno sa dire chi sia: molti ne avevano sentito parlare come dell’”angelo delle mura”, ma alcuni ritenevano fosse una leggenda metropolitana, altri un misterioso Robin Hood che rubava ai ricchi e restituiva ai miseri, alcuni ancora un ricco eccentrico che ogni tanto regalava una sua notte in albergo al primo povero che incontrava.

Con il contenuto di quella busta raggiunge la Lombardia dove uno dei tanti compagni occasionali di cammino gli offre la possibilità di mettere a frutto una delle sue migliori qualità; fa il cuoco in una casa di riposo fino all’ennesimo scontro con i responsabili e all’inevitabile allontanamento. Ma ormai la sorte sembra aver cambiato il proprio orientamento e con l’espulsione da quell’ennesimo istituto si materializza la proposta di trascorrere un mese in una casa-famiglia di Cordovado: un bellissimo podere bagnato dalla Fontana di Venchiaredo (quella cantata da Ippolito Nievo) dove la legge della convivenza è l’accoglienza illimitata e la faticosa valorizzazione della dignità specifica di ogni persona umana.

Siamo nella primavera del 1998; la stanza laboratorio sul retro della grande casa colonica diventa il quartier generale di una nuova fase esistenziale: per la prima volta qualcuno cerca di aiutare Ferdinando che con il sistema delle borse lavoro si impegna in diversi campi, dalla custodia del cimitero all’aiuto in cucina, dalla pulizia nei bar all’arrotondamento degli spigoli nella vetreria. Un percorso di riabilitazione difficile, caratterizzato da esplosioni di rabbia, fughe incontrollabili, incredibili arresti per pene già precedentemente scontate, perfino il destino dell’omonimia con un ladruncolo della zona...

Cammino difficile, ma non impossibile, se è vero che si conclude cinque anni dopo, con l’assegnazione di un appartamento dell’edilizia popolare. La storia non finisce con un “visse felice e contento”: il carattere temprato da decenni di diffidenza e di paura deve fare i conti con le quotidiane costrizioni dell’ordinarietà; resta tuttavia la dimostrazione che un altro mondo è possibile, anche qui e ora, anche per un uomo relativamente avanti con gli anni che ha avuto la forza di cercare e la fortuna di trovare il bandolo della matassa esistenziale.

martedì 8 dicembre 2020

Lidia Menapace, grazie di cuore!

Lidia Menapace (foto Andrea Fregonese)
Lidia Menapace è stata una straordinaria donna, impegnata su tutti i campi del servizio all'autentica umanità. Il suo percorso, condiviso con tanti coetanei, dalla Resistenza al fascismo al Cattolicesimo sociale, dalla Democrazia Cristiana ai Cristiani per il Socialismo, dai movimenti per i diritti civili a Rifondazione Comunista, costituisce già di per se stesso una sintesi della storia del secondo dopoguerra italiano.

Sempre in prima fila nelle rivendicazioni finalizzate a rendere l'Italia una Nazione più equa, solidale, laica e resistente contro ogni forma di dittatura, la si ricorda anche presente in tutte le grandi manifestazioni per la pace e la giustizia che si sono tenute negli ultimi decenni. Con un entusiasmo impressionante e con una parola sempre avvincente, ha saputo infondere sapienza e coraggio a chi ha condiviso gli stessi ideali, dimostrando tra l'altro come l'impegno e il servizio al bene e ai beni comuni non ha età.

Si è scritto molto in questi giorni per ricordarla. Qui solo poche parole, sintetizzate in un convinto "grazie di cuore!" 

sabato 5 dicembre 2020

La via della vergogna. Un "Avvenire" da non perdere!

Il giornalista Nello Scavo
Se si uniscono l'intelligenza e l'umanità di un giornalista con la libertà di un giornale sempre molto informato, soprattutto sugli eventi internazionali, si può incontrare un numero di quotidiano come "Avvenire" di oggi.

Il titolo cubitale della prima pagina, La via della vergogna, aiuta a comprendere da subito di che cosa si tratti. E' la rotta balcanica, seguita nell'ultimo quinquennio da centinaia di migliaia di persone che - provenendo nei primi tempi soprattutto dalla Siria, poi da Pakistan, Afghanistan ma anche dal resto del Medio Oriente e del Nord Africa - hanno camminato per mesi per raggiungere il territorio della speranza, i Paesi dell'Unione europea.

Dopo gli accordi con Turchia e Grecia, che hanno portato alla realizzazione di enormi campi di concentramento, in particolare nel retroterra turco e nelle isole greche di Samos e Lesbo, la frontiera dell'Unione è stata chiusa. Decine di migliaia di profughi sono rimasti bloccati nella punta settentrionale della Bosnia, soprattutto nelle zone di confine di Bihac e Velika Kladusa. E' di questi campi che scrive Nello Scavo, non raccontando purtroppo cose nuove, ma eventi che si stanno ripetendo almeno da tre anni, per lo più ignorati dai media italiani ed europei. Si racconta il disperato tentativo di uomini, donne e bambini di attraversare la frontiera con la Croazia, il ritrovamento da parte delle guardie confinarie e il respingimento in Bosnia, non senza un dose terribile di violenze e torture, delle quali i corpi martoriati sono testimonianza ormai inconfutabile. Qualche intervento al Parlamento Europeo, proteste vibranti di associazioni di volontariato e meno eclatanti da parte degli organismi internazionali, hanno evidenziato una vergogna assoluta, ciò che sta accadendo ai confini tra Bosnia e Croazia non è il frutto della cattiveria di qualche poliziotto fuori controllo, ma è volontà politica dei Paesi dell'Unione che affidano ai croati il "lavoro sporco" della repressione.

Il "campo" di Postojna

Ma Nello Scavo va oltre e descrive una situazione ancora più coinvolgente le nostre coscienze. Tra i tanti che ci provano, alcuni riescono a superare lo sbarramento. Dopo aver investito tutto ciò che avevano riversandolo nelle tasche delle mafie internazionali che agiscono ovunque indisturbate, i profughi attraversano di nascosto le colline e le montagne e giungono in Slovenia. Se vengono rintracciati, finiscono nei corrispettivi dei "nostri" Centri per il rimpatrio (CPR), costretti in situazioni drammatiche, al di là di qualsiasi garanzia di rispetto dei diritti umani. Se ne è parlato anche in questo blog, descrivendo una manifestazione davanti al "campo" di Postojna. Dopo breve soggiorno, il loro destino è quello di essere quanto prima caricati sulle corriere e "restituiti" alla Croazia e alla Bosnia.

C'è chi riesce ad arrivare in Italia, solo in questo 2020 qualche migliaio di persone. In forza dell'interpretazione di un accordo del lontano 1996, cancellato di fatto dall'ingresso della Slovenia nell'Unione europea, molti di questi nuovi arrivati, provati da mesi di cammino, di rischi e di ogni sorta di difficoltà, vengono "restituiti" (si dice proprio così) alla Slovenia. Nello Scavo denuncia tale pratica, sostenendo che la polizia che opera tali reali respingimenti sa benissimo a quale destino i profughi sono destinati: Slovenia, Croazia, tortura, Bosnia e poi probabilmente, ritorno a casa, privi di qualsiasi risorsa vitale, derubata da più o meno legalizzati ladri patentati.

Ecco, è la via della speranza per coloro che la percorrono rischiando la vita per cercare un futuro sostenibile. E' la via della vergogna per gli abitanti dell'Europa opulenta, incapaci di intendere e di volere, chiusi gli occhi e il cuore all'accoglienza di chi vorrebbe condividere con un "nuovo mondo" idee, percorsi esistenziali e spirituali, storie di sofferenza e di realizzazione, momenti che caratterizzano semplicemente e umilmente il nostro semplice sentirci tutte e tutti "umani".

Non perdete Avvenire di oggi, 5 dicembre 2020!

venerdì 4 dicembre 2020

Lo Spirito dei Piedi, una chiacchierata nel Mercoledisagio su facebook

Per chi ha qualche minuto da trascorrere, ascoltando qualche riflessione sul tema che offre il titolo a questo blog, si propone una bella chiacchierata fra Andrea Antoni e Andrea Bellavite, trasmessa su facebook dall'emittente della  Mutua di Assistenza del Credito Cooperativo (MACC): https://m.facebook.com/maccstaranzano/?locale2=it_IT

martedì 1 dicembre 2020

In attesa del nuovo dpcm. Ci si ricorderà dei "congiunti"?

Come previsto, è iniziata la girandola di notizie relative ai contenuti del prossimo dpcm, previsto per giovedì 3 dicembre. I giornali cacciano le indiscrezioni e filtrano decisioni, offerte come certe, in realtà tutte ancora da verificare. Si tornerà tutti in zona gialla, ci sarà o non ci sarà la Messa di Mezzanotte (a Mezzanotte?), come la si mette con il cenone di Natale, a che ora si chiuderà tutto a Capodanno, si potrà sciare oppure no? Anche se all'apparenza sembrano domande banali, dalle risposte dipende probabilmente l'andamento della tremenda pandemia, sicuramente la situazione economica di centinaia di migliaia di persone che vivono dell'indotto del turismo e che vedono la possibile evaporazione degli affari nel periodo più importante dell'anno.

Si comprende quindi la prudenza del Governo, stretto tra la necessità di salvaguardare la salute di tutti e quella di garantire il diritto al lavoro, tra le pressioni dei sanitari e le categorie imprenditoriali, tra la responsabilità di indicare prospettive di ordine nazionale e le esigenze rivendicate con forza dalle singole regioni. Non volendo quindi aggiungere nulla alla ridda delle previsioni, si vuole segnalare un aspetto della questione molto richiamato e poco preso in considerazione, forse anche perché di fatto privo di risvolti commerciali come quelli implicati negli interrogativi che si rincorrono.

I motivi che, previa autocertificazione, consentono il superamento dei confini (tra regioni di colore diverso, tra comuni nelle zone rosse e arancioni, tra Stati nazionali, ecc.) sono essenzialmente il lavoro e la salute. Non sono compresi gli affetti stabili, in particolare le relazioni di coppia consolidate. D'accordo, non è semplice definire cosa si intenda con il concetto di "stabilità", in assenza di legami formalizzati. Tuttavia il divieto generalizzato a due persone che si amano e vivono in realtà geografiche o in Stati diversi, non ha alcuna giustificazione. Il loro incontro non può essere definito un assembramento, anzi potrebbe essere un incentivo a starsene a casa a godersi qualche momento di rara reciproca compagnia. Per questo, l'auspicio è che ci si ricordi dei "congiunti geograficamente separati", per evitare che il divieto sistematico e prolungato si trasformi in una forma di vera e propria violenza psicologica. 

Un discorso parallelo andrebbe proposto anche relativamente alla situazione delle persone anziane che abitano sole, non tanto nelle case di riposo o di soggiorno, dove c'è un oggettivo pericolo di contagio e in ogni caso non dovrebbero esserci situazioni di abbandono. La privazione sistematica della visita di un figlio o - in assenza - di un parente stretto, per hi vive in solitudine, è un aiuto indispensabile all'equilibrio esistenziale.