lunedì 18 settembre 2017

L'ordine delle cose

L'ordine delle cose, di Andrea Segre, è un film complesso nel quale si incrociano diversi approcci. L'elemento dominante è la crisi del protagonista che si trova a fare i conti con una situazione drammatica provocata di fatto dai suoi stessi successi professionali. L'elemento psicologico è trattato molto bene, con la sottolineatura dei particolari stati d'animo che si succedono man mano che la vicenda si svolge.
Le domande interiori, riportabili ma solo in parte al rapporto tra ragione di Stato  e coscienza individuale, si dipanano all'interno di una specifica situazione geopolitica - la Libia del dopo Gheddafi e l'Italia del pd renziano - e sociale - l'intensificazione dei movimenti migratori attraverso il Mediterraneo. La descrizione degli eventi risulta quasi profetica, dal momento che la fiction è stata superata dalla realtà proprio nei giorni dell'"uscita" del film nelle sale. Sembra infatti descritto l'antefatto dell'accordo Minniti, sottoscritto con il governo libico, in cambio del pattugliamento delle coste africane cospicui aiuti finanziari.
La forte accentuazione del logorio interiore del protagonista rende meno significativa la descrizione del contesto. I centri di detenzione per gli immigrati e i rozzi comandanti sono rappresentati in modo convenzionale e a tratti quasi caricaturale, la stessa descrizione fotografica della città di Tripoli è talmente standardizzata da renderla priva di qualsiasi riferimento riconoscibile. La denuncia del mancato riconoscimento dei diritti della persona risulta molto sfumata, a fronte delle terribili notizie reali che provengono dai veri e propri campi di concentramento allestiti sulle coste libiche.
In questo modo il contesto rischia di essere ridotto a mera occasione nella quale si svolge il percorso psicologico del funzionario del Ministero, potrebbe essere sostituito da qualunque altro tra i fin troppi contesti di sofferenza umana planetaria.
Da segnalare l'interpretazione del sempre più bravo Giuseppe Battiston, anche se in un ruolo non da protagonista. Non eccezionali gli altri attori.

mercoledì 6 settembre 2017

Per un dialogo "umano"

E' un po' angosciante rilevare che su ogni argomento oggi ci si possa schierare da una parte o dall'altra con enorme passione e (quasi sempre) scarsa competenza o informazione. E' venuta meno quella sana capacità di dubitare che un tempo veniva descritta come potenzialità di pensare con la propria testa.
Si tratti di migrazioni o di vaccini, di Trump o di politica italiana, di sport o di letteratura, sembra impossibile non doversi dichiarare o totalmente da una parte o totalmente dall'altra. Si creano così le condizioni per una vera e propria guerra civile, per ora per fortuna confinata ancora a livello di violenza verbale.
Il linguaggio di chi si pronuncia contro l'accoglienza è ormai letteralmente disumano (l'altro è il nemico che si comporta in modo bestiale, che deve essere "neutralizzato" e non ha alcun diritto di cittadinanza fra gli esseri "civili") e costringe chi ritiene che ogni essere umano abbia uguali diritti e doveri in questo mondo a combattere la xenofobia con l'esterofilia, il razzismo con il mito della bontà innata di ogni essere umano, tanto più se non corrotto dalle spire del serpente capitalista.
Chi sostiene la necessità dei vaccini è costretto a favorire una legge imposta per decreto al Parlamento e in molte parti priva di buon senso, chi invece sottolinea la pericolosità dei vaccini prende posizioni prossime all'aggressione fisica per contestare le norme ritenute penalizzanti la salute dei bambini. Gli uni e gli altri spesso procedono da casi specifici, senza cercare un fondamento autenticamente scientifico alle proprie posizioni, escludendo a priori che dall'una e dall'altra parte ci possano essere delle buone ragioni in grado di consentire un onorevole soluzione il più possibile vicina alle esigenze della salute e della democrazia.
Quello che si è perso - forse è un effetto del bipolarismo degli anni passati - è il ragionamento politico e democratico, quello cioè teso a cercare dei percorsi condivisi tra diversi orientamenti di pensiero. La logica del "vinca chi è più forte" rischia di costringere il dibattito negli angusti spazi dei media, anch'essi rigorosamente schierati dall'una o dall'altra parte.
La scuola, il mondo della cultura e quello delle amministrazioni virtuose potrebbero essere palestre di inversione di questa tendenza. Le idee possono essere diverse, ma non necessariamente antitetiche e contrapposte, l'ambito del riconoscimento della comune umanità potrebbe essere davvero quello nel quale ricondurre il conflitto fuori dalle pastoie della violenza e dentro i meandri dell'intelligenza.

sabato 2 settembre 2017

E' vera Riforma?

Francesco, Vescovo di Roma, quando aveva 42 anni "ha incontrato" (sic!) una psicoanalista per sei mesi. Questa notizia è balzata subito nella prima pagina dell'effimero circo mediatico. Ma cosa c'è di strano? La psicoanalisi non è certo più un tabù, se ne parla con ordinario rispetto nelle Università Pontificie, ci sono tanti psicoanalisti cattolici e anche tanti preti che svolgono tale professione. E' poi noto che molte religiose e molti religiosi ricorrono allo psicoanalista: come tanti altri esseri umani, vivono situazioni difficili e spesso sono chiamati a condividere momenti drammatici delle altrui esistenze, è normale che ci sia bisogno di un consiglio e di un accompagnamento.
La domanda quindi è un'altra, perché Francesco abbia sentito l'esigenza di raccontare un particolare della sua vita, ben sapendo che tale suo racconto avrebbe offuscato il resto di una peraltro molto interessante intervista. Si trattava forse di sdoganare definitivamente e autorevolmente la psicoanalisi nella Chiesa? Perché non dirlo esplicitamente traendo le conclusioni dalla propria esperienza personale, senza temere di chiamare "cura" (invece che "consulto per chiarire alcune cose") gli incontri settimanali e senza raccontare gli sviluppi privati del suo rapporto con la psicoanalista ebrea che lo avrebbe chiamato poco prima di morire?
Questo particolare rivela la forza e la debolezza di papa Bergoglio. La forza sta nell'aprire nuove strade e nell'abbattere antiche mura (a volte peraltro già demolite da altri con meno scalpore). La debolezza sta nel non incamminarsi con convinzione e decisione lungo le vie intravviste. In questo modo le buone intenzioni si scontrano con le fragilità dei fondamenti teologici e con la ritrosia al cambiamento delle norme del diritto canonico. In questo modo Francesco indica in se stesso l'esempio di una Chiesa cattolica davvero "universale", ecumenica, aperta al dialogo con tutti, libera, accogliente, simpatetica ed empatica. Tuttavia tale forza innovativa non diventa vera "riforma" perché nel momento della decisione vincolante viene ritirata la mano che ha lanciato il sasso.
E così non c'è il rischio di una frattura perché questa c'è già ed è evidente, ma della mancanza di un punto di riferimento da accogliere da parte di chi ritiene giunto il momento di una conversione radicale alla Scrittura delle origini o da rifiutare da parte di chi ritiene una sciagura l'abbandono della traccia di una Tradizione ritenuta ben più infallibile della stessa parola del Fondatore.

venerdì 1 settembre 2017

Ancora una volta, sullo Jof di Montasio...

Jof di Montasio, 2753 metri. La seconda cima delle Alpi Giulie - dopo il Triglav - presenta tre ampie pareti, una più bella dell'altra, mentre verso est la sua cresta si protende verso il vicino gruppo dello Jof Fuart. La parete ovest è talmente impressionante da essere stata paragonata da Julius Kugy al Cervino, quella Nord è un enorme muraglione, limitato dalla Cresta del Drago, che chiude la dolce Val Saisera, il versante Sud è più dolce, la cuspide rocciosa emerge per circa 500 metri sopra gli ampi prati sovrastanti l'altipiano del Montasio. L'accesso alla vetta è riservato ad alpinisti ed escursionisti dotati di esperienza e allenamento. Tralasciando gli itinerari di pura roccia, da Nord è possibile salire attraverso la Via Amalia o dei Cacciatori Italiani, aiutati da qualche attrezzatura in un ambiente solenne, solitario e grandioso, da Ovest la via di Dogna è una delle più affascinanti ascensioni dell'arco alpino, ma richiede competenze alpinistiche possedute da pochi. Ordinariamente si sale da Sud e dopo la facile salita su sentiero dalle malghe e dal Rifugio Brazzà, le vie di accesso sono sostanzialmente due. La splendida Cengia che conduce fino all'aereo Bivacco Suringar (oltre 2400 metri), ardito sentiero naturale sospeso su una abisso di oltre mille metri, seguita dalla salita diretta fino alla cresta lungo la Via Findenegg o dei primi salitori: diversi salti di roccia (fino al II grado) da superare con  creatività e coraggio, infine una breve passeggiata sospesi tra cielo e terra fino alla vetta. Oppure la scala Pipan, un divertente susseguirsi di pioli di acciaio collegati da corde di ferro che permette di superare un difficile salto di circa cento metri di roccia, per raggiungere la cresta, questa volta molto più lunga ed arrivare alla croce sulla cima. sono itinerari da evitare in caso di pioggia e soprattutto di temporali. Accompagnano la salita decine di stambecchi e di camosci, guardano con sospetto gli umani intrusi, ma se non li si disturba tutto sommato non oltrepassano il livello della curiosità o il sottile orgoglio nel saltellare sull'impossibile suscitando cori di sorpresa e ammirazione. Con il bel tempo, il panorama è meraviglioso, riempie il cuore e la mente e rende più gioiosa la vita. Ogni scalatore può provare l'emozione di Tenzing e Hillary nel posare il piede sulla vetta dell'Everest e dire con loro, pieno di stupore e ammirazione, "sopra di noi soltanto il cielo". Buon cammino!

martedì 29 agosto 2017

A wonderful world

Il missile nordcoreano non ha svegliato solo milioni di giapponesi allertati dagli sms governativi, ma anche le coscienze sopite di un mondo occidentale ripiegato sempre più sulla difesa dei propri interessi.
La parola "guerra", da oltre settant'anni riferita a Paesi percepiti come "lontani" da un Nord ricco coinvolto al massimo in peraltro tremendi attentati terroristici, sembra affacciarsi come uno spettro, con il suo potenziale di morte e devastazione.
Ciò che spaventa ancor di più è la "normalità" della violenza, verbale e fisica. Scorrendo i commenti ai post sui vari social colpisce il linguaggio già tipico di ogni guerra: chiamata alle armi, disconoscimento dell'appartenenza al genere umano dell'altro, "neutralizzazione" (nemmeno più "uccisione") dell'avversario, diffidenza, insulti generalizzati, menzogna sistematica.
Anche per questo il missile che sorvola la terra giapponese fa paura, perché sotto la sua traiettoria non esistono più movimenti in marcia per la pace, le bandiere arcobaleno sono ormai consunte in qualche angolo delle cantine, il costituzionale "ripudio" della guerra come strumento di risoluzione delle controversie sembra essere per lo più dimenticato.
Il nemico di turno è l'inquietante dittatore Kim Jong Un, ma nella sua figura si incarna la minaccia che sembra incombere in ogni angolo del Pianeta. E la goccia che fa traboccare il vaso sembra essere penzolante dal rubinetto della Storia.
E' possibile evitare lo scontro atomico? E' possibile alleviare le sofferenze di popoli e nazioni che in questi settant'anni la guerra l'hanno vissuta - eccome! - a guisa di parafulmini del disagio generale?
E' possibile senz'altro, ma solo se la rotta viene invertita prima che la nave si infranga contro l'iceberg. E' indispensabile una nuova stagione nella quale l'autentica Politica ritrovi la sua radice intrinsecamente culturale. Forse occorre tornare a un recente evento, forse un po' sottovalutato per ciò che concerne la sua portata storica.
Si tratta del G8 di Genova, nel luglio 2001. Nei giorni precedenti il terribile week end che ha portato tanta vergogna all'Italia sulla ribalta mondiale, il centro di Genova è stato teatro dell'ultimo grande convegno generale intorno a un modello di coesistenza alternativo al liberismo senza freni. Il soffocamento nel sangue di quelle giornate di enorme speranza, insieme al quasi contemporaneo attentato alle Twin Towers e alla guerra infinita scatenata poco dopo da Bush, hanno cancellato il sogno di "un altro mondo possibile". Da quei giorni si è avviata una deriva nella quale è diventato possibile augurare la morte a chiunque la pensi diversamente, invocare catastrofi su persone e popoli già provati dalla miseria, ridicolizzare i costruttori di pace, un tempo osannati, oggi disprezzati e additati nel migliore dei casi come ingenui utopisti, nel peggiore come meschini approfittatori o disertori vigliacchi.

Una meravigliosa giornata

Un missile nordcoreano sorvola il Giappone, il Medio Oriente è in fiamme, estate di violenza sulle coste adriatiche, razzismo e inviti alle armi sui social network, corruzione dilagante e individualismo senza freni... Insomma, a wonderful day...

sabato 19 agosto 2017

E se i volontari interrompessero il loro servizio?

Questa notte sono passato per la Galleria Bombi di Gorizia. Sull'asfalto, nell'umidità del luogo, dormivano decine di persone, immigrati esclusi dalle convenzioni cittadine perché in sovrannumero e costretti alla ricerca di alloggi di fortuna, via via loro negati dall'ordinanza comunale e dal processo progressivo di - orribile parola! - igienizzazione.
Al di là della critica a un'amministrazione comunale che non sembra in grado di rispondere a tale cosiddetta "emergenza", è possibile fare qualcosa perché la situazione venga affrontata o almeno presa in considerazione da chi ne ha la piena responsabilità?
Due possono essere le strade: una è quella propositiva.
Primo: requisire un ambiente grande ma confortevole, per rispondere all'arrivo improvviso di tante persone, ad esempio il PalaBigot o qualche caserma da poco dismessa in città.
Secondo: mantenere e possibilmente ampliare l'offerta d'accoglienza più strutturata con l'allestimento di un ufficio comunale apposito, in grado di coordinare l'azione del pubblico e del privato, in costante e stretto rapporto con la Prefettura.
Terzo: impostare lo sprar attraverso la ricerca di alloggi privati in città e favorire il miglioramento dei bandi sprar accelerandone le pratiche burocratiche, eliminando il 5% a carico dei Comuni e rendendo più veloce l'erogazione dei contributi per evitare contrasti insanabili tra enti amministrativi e enti gestori.
L'altra strada è quella della protesta e questa - piaccia o non piaccia - passa attraverso un possibile innalzamento della tensione sociale. In due anni la presenza sempre più numerosa a Gorizia di persone richiedenti asilo in attesa di verifica dello status da parte della Commissione non ha portato ad alcun momento di particolare tensione, se non per qualche intemperanza di stampo fascista e razzista. Ciò è accaduto grazie alla mitezza degli ospiti, ma anche al fatto che molte delle loro esigenze hanno trovato risposta nell'enorme lavoro svolto dai volontari. Essi, da una parte hanno offerto il volto umano della città ai nuovi arrivati, con una sensibilità e un'umanità straordinarie; dall'altra hanno tolto molte castagne dal fuoco all'amministrazione comunale e ad altri che per statuto dovrebbero essere preposti all'accoglienza. In cambio, hanno ottenuto scherno, derisione e addirittura l'accusa di lucrare sulla pelle dei poveri. E se in una partecipata conferenza stampa si preannunciasse la fine di ogni collaborazione, dando un ultimatum alle istituzioni? Se queste ultime si trovassero improvvisamente costrette a sopperire alle necessità immediate dei richiedenti asilo fuori convenzione, cosa accadrebbe? Se qualcosa si muovesse, l'obiettivo sarebbe raggiunto, altrimenti si creerebbe inevitabilmente un indispensabile scontro sociale e apparirebbe chiara a tutti la disumanità e l'omissione di soccorso da parte delle istituzioni.
ab

"Noi" e "loro", prodromi della guerra globale

Esaurito il consueto vocabolario di "mai più!", "non passeranno", "vinceremo!" e così via, restano le constatazioni e gli interrogativi.
La constatazione è che dal punto di vista della comunicazione si è ormai in piena guerra. Da una parte ci siamo "noi", dall'altra "loro". Tristemente nel "noi" sono inclusi gli autoctoni occidentali europei, vittime dell'offensiva dei "loro", tra i quali vengono annoverati senza troppe distinzioni appartenenti a gruppi terroristici legati all'ISIS, fedeli discepoli dell'Islam e immigrati economici o in fuga dalle sanguinose guerre del Medio Oriente e del Nord Africa.
L'attentato di Barcellona è orrendo perché colpisce la "civiltà", mentre i bombardamenti sull'Afghanistan, sull'Iraq, sulla Libia e sulla Siria sono una difesa della democrazia e dei suoi diritti, poco importa se i morti sono esseri umani, con gli stessi diritti di tutti.
E poi, come in ogni guerra che si rispetti, falsità, generalizzazione e ignoranza la fanno da padrone. Se la stragrande maggioranza delle guide religiose e un miliardo di musulmani condannano senza esitazione la violenza, gli integralisti cattolici - compresi molti atei devoti - contestano che "nessuno ha avuto il coraggio di prendere le distanze". L'Islam e l'Isis vengono trattati come se fossero la stessa cosa, come se qualcuno avvicinasse il cattolicesimo al Ku Klux Klan. L'"Occidente" è identificato con "i valori" criticati e minacciati dalla "barbarie" del Sud del mondo.
Così di sicuro non si va da nessuna parte, purtroppo anzi si va dalla parte di un innalzamento progressivo del livello dello scontro, dalle parole agli attentati, dalla violenza urbana ai pogrom, dalle guerre locali al conflitto globale.
E' ora di cambiare, e con urgenza, impostazione di linguaggio: non più "noi" contro "loro", ma "noi" e "voi" chiamati al difficile ma indispensabile esercizio del dialogo come unico strumento di risoluzione delle controversie tra le persone e tra i popoli.
ab

martedì 15 agosto 2017

Buon Ferragosto!!!

Feriae Augusti. Nel ricordare questa festa che gli antichi dedicavano alla conclusione della stagione dei raccolti e i cattolici dedicano all'Assunzione di Maria, si augura a ogni lettore un buon Ferragosto, nella speranza che l'ormai prossima ripresa delle attività sociali porti in tutti Sapienza e creatività nel rispondere ai tanti drammatici interrogativi che si agitano nel mondo, in Europa, in Italia e a Gorizia...

Molto fumo e poco arrosto...

Dopo la lettura dell'intervista a Debora Serracchiani pubblicata oggi sul Messaggero Veneto si prova un senso di smarrimento. Con simpatia nei confronti dell'interessata e con pieno rispetto della sua persona, le risposte sembrano infatti tutte una lunga premessa a un'argomentazione che alla fine non viene sviluppata. Mancando un'analisi dei cambiamenti socio-culturali degli ultimi quattro anni e mezzo, non si parla di problematiche complesse come quella legata alla crescita delle presenza di richiedenti asilo o di visioni internazionali condivise con la vicina Slovenia o con quei Paesi del Centro Europa che sembravano essere alla base del sogno irrealizzato di Riccardo Illy. Si sottolineano alcuni successi, molti dei quali frutto di un lavoro svolto anche dai predecessori, soprattutto in campo economico e in relazione alla (possibile) centralità strategica del porto di Trieste. E si esprime qualche leggera autocritica in relazione alla grande riforma delle autonomie locali che in realtà non è stata soltanto "troppo poco condivisa", ma ha anche creato delicati e irrisolti problemi organizzativi (non politici, ma appunto organizzativi) a tutti i Comuni che hanno accettato di entrare nelle Unioni Territoriali Intercomunali. La Regione Fvg è in grave difficoltà proprio perché mai forse come in questa legislatura si nota la distanza fra il Palazzo e le realtà territoriali, trattate a volte soltanto come laboratori sperimentali delle riforme, con scarso ascolto delle esigenze reali e quotidiane dei Comuni e delle stesse Uti. L'eliminazione delle Province prima dell'avvio condiviso delle nuove realtà ha in effetti creato dei vuoti di potere e ha moltiplicato invece che ridotto le difficoltà burocratiche. Anche sul suo personale futuro la Serracchiani è stata un po' fumosa: farò il bene del Fvg, ha detto. E chi stabilisce quale sia il bene della Regione? Forse la logica conseguenza di tale battuta è la ri-candidatura: solo in questo modo saranno i cittadini elettori e non la governatrice a stabilire, con il loro voto, quale possa essere il maggior bene per il Friuli Venezia Giulia.

lunedì 14 agosto 2017

Parole come fucili

La violenza del linguaggio anticipa e accompagna quella fisica. Ciò vale ovunque e l'innalzamento del livello di ingiuria e minaccia proposto non solo dai social network, ma anche dal dibattito politico e dalle schermaglie diplomatiche internazionali, è veramente molto preoccupante. La tragica notte dei cristalli è stata anticipata da una campagna antisemita che ne ha costituito il prodromo e l'orribile giustificazione così come la seconda guerra mondiale è stata anticipata da parole sempre più inclini alla distruzione di qualsiasi avversario. Oltre che inquietanti, le parole che si leggono oggi, soprattutto nei commenti ai post sui social, sono un terribile, tollerato invito alla violenza contro gli stranieri, contro chi difende i loro diritti, contro le donne, contro gli omosessuali, contro gli avversari politici... Per non parlare degli insulti a distanza fra Trump e Kim Jo Un, delle loro crescenti minacce volte a terrorizzare il mondo per un possibile conflitto planetario innescato da due incoscienti. Le parole insomma sono pietre, oggi anche bombe e forse bombe atomiche. Ha ragione (su questo) la presidente della Camera Laura Boldrini, è indispensabile frenare questa deriva del linguaggio, anche perché i segnali di trasformazione dalla violenza verbale a quella fisica sono già presenti e forse, purtroppo, potrebbe essere già fin troppo tardi. 

domenica 13 agosto 2017

La patria è il luogo in cui si vive, qui e ora

Prima gli italiani. Aiutiamoli a casa loro. Sono frasi razziste, perché presuppongono che ci sia un'ontologica differenza di diritto tra chi è nato in un luogo piuttosto che in un altro. E lo sono anche perché teorizzano che il mondo è diviso in diverse case e non appartenga quindi a tutti in quanto tale. Tuttavia tali frasi rivelano un disagio del quale è necessario tenete conto. La crescente povertà genera una sorta di guerra fra poveri che cercano di sopravvivere e che, ridotti alla fame, accusano le istituzioni di privilegiare gli stranieri e di penalizzare gli autoctoni. Una Sinistra che si rispetti, invece di litigare incessantemente, deve affermare il diritto all'accoglienza senza se e senza ma, senza però dimenticare il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione. In una Gorizia dove la Safog manda a casa senza troppi complimenti decine di operai, la lotta per la difesa dei richiedenti asilo deve camminare di pari passo con quella per la tutela dei posti di lavoro. Prima gli italiani? Aiutiamoli a casa loro? No! Prima ogni essere umano e aiutiamoci nella noatra comune casa che è il luogo in cui, qui e ora, viviamo.

lunedì 7 agosto 2017

Programma F35, costi in orbita

Bruscolino più, bruscolino meno, il costo previsto dalla Corte dei Conti per il programma militare F35, in forte ritardo sulla tabella di marcia, si aggira intorno ai 10 miliardi di euro. Quanto? Dieci miliardi di euro, 10.000.000.000 di euro, ovvero ventimila miliardi (20.000.000.000.000) di vecchie lire. Il tutto per acquistare 90 aerei che negli Stati Uniti sono ormai considerati fuori mercato.
Ed è solo una minima parte della spesa che il nostro paese investe in armi, facendo poi le pulci sugli investimento dedicati all'accoglienza e più in generale al welfare.

Mare inquieto

Come sempre, il Mediterraneo è inquieto. Solcato da gommoni stracarichi di poveracci in fuga dalla fame, da navi che cercano di offrire soccorso, da altre che vogliono impedire l'aiuto, da loschi interessi che trasformano le tragedie in business, è un cimitero che inghiotte migliaia di naufraghi, autostrada del mare piena di falle abissali.
I porti sono chiusi alle navi delle organizzazioni non governative che non sottoscrivono codici contradditori e a quelle delle fazioni europee anti-immigrazione che inviano messaggi razzisti ai paesi del Nord Africa.
Il problema esiste, eccome. E forse la situazione di crisi sottolinea la necessità di radicalizzare le posizioni. Gli Stati - ma anche le Regioni e i Comuni - non possono affidarsi al buon cuore (e purtroppo anche agli interessi poco nobili di pochissimi) del volontariato sociale che sopperisce alle gigantesche incapacità o impossibilità del "pubblico": perché devono essere le organizzazioni NON governative a soccorrere chi rischia la vita in mare e a "trattare" con i criminali scafisti? Perché devono essere le associazioni di promozione sociale a reperire alloggi, vestiario, cibo e informazioni per i nuovi arrivati lunghe le rotte mediterranee e balcaniche?
In uno Stato laico e democratico, la questione riguarda la Politica, non la Chiesa, il buon cuore (o in rari casi gli affari) del "terzo settore". E dal momento che il fenomeno migratorio non accennerà a diminuire, stante il dislivello economico ancora enorme tra i paesi del Nord e quelli del Sud del mondo e il pullulare di guerre suscitate da interessi d'ogni sorta, sarebbe ora di pensare a una Politica europea e mondiale non di difesa, ma di ricostruzione di un Sistema generale equo e solidale.
Il discorso è talmente logico da rasentare l'utopia: le migrazioni forzate nascono dalla necessità di sopravvivere e potrebbero essere evitate soltanto rendendo possibile a ogni persona lo stesso diritto d'accesso ai beni della Terra. Non essendo evidentemente possibile che ciò avvenga in tempi brevi, è necessario prendere atto della trasformazione delle società occidentali e pensare a un Continente europeo nel quale la libera circolazione delle persone possa precedere quella delle merci.
Da tale presa d'atto dovrebbero scaturire ben diverse politiche del lavoro, svincolate dal potere delle banche e in grado di riempire il divario esistente tra economia reale e sistema finanziario ormai sfuggito a ogni controllo. Questo è il vero ostacolo da rimuovere, non i poveri in fuga sui sentieri delle montagne balcaniche o tra le correnti del Mare Nostrum.

domenica 6 agosto 2017

Con la propria testa...

La politica è lo spazio della relatività, cioè della relazione fra diverse concezioni del mondo e differenti modalità di concepire la risposta ai problemi del vivere sociale. La sua arte consiste nella ricerca della mediazione, ovvero della miglior soluzione possibile in un determinato contesto. Nell'orizzonte della democrazia rappresentativa, la decisione è vincolata a un criterio molto fragile, quello della maggioranza dei consensi. In un'epoca dominata dal controllo mediatico, è facile comprendere quanto tale determinante variabile possa essere influenzata dai pochi che detengono le leve dell'informazione globale e particolare. D'altra parte è difficile riconoscere un sistema alternativo che non conduca direttamente a una gestione assolutista e dittatoriale del Potere. In un simile contesto diventa fondamentale la responsabilità individuale, ovvero la capacità del soggetto di trovare per quanto possibile elementi sufficienti alla formazione di un giudizio. Per dirla con la saggezza popolare, è più urgente - ma anche più difficile - che mai "pensare con la propria testa" ed essere disponibili a confrontarsi, sempre, con le "ragioni" dell'altro.

sabato 5 agosto 2017

Lo spirito dei piedi

Il desiderio è il cammino e il cammino è il desiderio, nella lunga strada che, al di là degli oceani, delle montagne elevate e nel contempo nel più profondo del cuore umano, fino alle sorgenti meravigliose e imperiture dell'Amore.