domenica 30 luglio 2023

La Vita viene prima dell'identità...

Memorie...
È una considerazione ovvia, ma avendo la grande fortuna di poter viaggiare, ovunque ci si imbatte in memorie di guerra.
Eserciti invasori sono contrastati dai difensori autoctoni, conflitti planetari seminano morte e distruzione nei più sperduti villaggi fra le montagne, stragi di civili compiute ovunque, con lo scopo di terrorizzare le popolazioni.
Ognuno ha la sua memoria, gli eroi che hanno dato e tolto la vita pur di conquistare, annientare o tutelare i diritti propri e dei propri cari.
Ci sono monumenti con enormi liste di morti, prima guerra mondiale, seconda guerra mondiale, guerre balcaniche, ma si può risalire ai tempi dei romani, dei greci e degli Illiri. Si trovano sempre antiche e nuove testimonianze, una violenza estrema che sembra drammaticamente collegata all'essere "umani" e al voler sopravvivere sopraffacendo l'altro. 
C'è qualche possibilità di uscire da questo tunnel oscuro? Ci si può affrancare dalle armi, dal gemito dei feriti, dagli sguardi di innocenti condotti al macello?
Forse due insegnamenti, per quanto inattuati, potrebbero indicare una via alternativa alla guerra. Nel Vangelo Gesù propone la nonviolenza attiva, "se uno ti percuote su una guancia, tu porgigli anche l'altra". Gandhi sostiene la legge del Satyagraha, "meglio e più efficace combattere morendo che uccidendo, essendo ferito che ferire". È una prospettiva affascinante e comprensibile a livello individuale, ma debole in una visione collettiva. Se uno vuole uccidere non te ma i tuoi cari, lo lasci fare in nome della nonviolenza? Se un tiranno distrugge sistematicamente ogni parvenza di libertà, scatena guerre mondiali e crea campi di sterminio, lo lasci fare cercando solo di convincerlo con belle parole? E se un esercito occupa quella che tu consideri tua terra e ti sottopone a ogni sorta di umiliazioni e persecuzioni, come ti devi comportare?
Senza dimenticare che perfino nel nome di Dio e delle parole contenute nei vangeli, si dono perpetuate orrende stragi, musulmani contro cristiani, cristiani contro ebrei, cattolici ortodossi e protestanti tutti contro tutti.
E allora? C'è qualche altra possibilità? Forse, ma il tema è gigantesco e sarà da approfondire, potrebbe cambiare qualcosa se ci si sentisse prima di tutto parte di un'unica meravigliosa affascinante e drammatica umanità. In essa, prima di ogni pretesa identitaria, dovrebbe prevalere il senso di appartenenza alla medesima famiglia umana e le diversità culturali linguistiche e sociali non sarebbero occasione di pretesa superiorità o privilegio, ma ricchezza da condividere fra tutti. Tutto potrebbe procedere da un'immediata constatazione. La Terra è un piccolo pianeta che ruota vorticosamente nell'immenso vuoto che separa gli elementi dell'universo. Ogni suo spazio appartiene a ogni abitante, nessuno escluso e se ci deve essere un'organizzazione non può essere altro che un servizio pieno e totale a tutto ciò che fa parte della Vita.
Già, la Vita. È una realtà straordinaria, il frutto di un'incredibile concatenazione di casualità che ci ha condotto a essere quello che siamo, due miliardi di anni incastonati in ogni nostra cellula, in ogni anfratto della nostra memoria.
Come mai siamo così inclini a soffocare questo dono meraviglioso? Perché la rendiamo così difficile agli altri, pur di raggiungere i nostri meschini scopi? In che modo far sì che il rispetto per la vita prevalga sul gioco effimero e immaginario delle pretese identità?


 

sabato 29 luglio 2023

La bella Albania, tra passato e presente

 

Spiaggia di Borsch
In buona parte dei Balcani occidentali, l'Italia fascista ha provocato gravi danni. Ha occupato la Croazia e il Montenegro, ha esercitato un potere violento e repressivo su metà della Slovenia, ha partecipato alle attività antipartigiane in Bosnia, tra il 1941 e il 1943. In realtà l'impegno militare è stato ovunque pressoché fallimentare, ma ha creato le occasioni per l'intervento della Germania nazista. Di fatto, ovunque la Resistenza antifascista, sia pur numericamente e tecnologicamente inferiore, ha dato costantemente molto filo da torcere ai soldati italiani, decine di migliaia dei quali sono morti in terribili battaglie.

Anche in Albania il fascismo non ha fatto nulla di buono. Gli italiani sono arrivati già nel 1939, con un'occupazione che, dopo aver costretto all'esilio il re Zog, si è trasformata in protettorato. È stata poi utilizzata come base per il lancio della (anch'essa fallimentare) campagna di Grecia. Anche in questo caso, la presenza italiana non è stata certo apprezzata, osteggiata fin dall'inizio da un vero e proprio esercito clandestino, antifascista militante, legato soprattutto, anche se non esclusivamente, al partito comunista. Il presidente del raggruppamento e conduttore principale delle operazioni antifasciste, fu proprio quell'Enver Hoxha che governò poi l'Albania per oltre 40 anni, dal ritiro delle truppe naziste nel 1944 alla sua morte, avvenuta nel 1985. Sono stati anni difficilissimi, una dittatura spietata nei confronti degli oppositori, un periodo di totale isolamento dal resto del mondo, un potere anacronisticamente determinato dall'ammirazione per la figura e l'ideologia staliniste.

L'Albania ne è uscita dopo il 1990 e si è incamminata sulla strada del capitalismo, aprendosi al resto del mondo, senza per questo vedere evidenti miglioramenti nella vita economica e sociale. La crisi finanziaria e politica dei primi anni '90 del XX secolo ha portato più di un milione di albanesi, soprattutto giovani, fuori dal loro Paese, per cercare di sopravvivere. Si sono inseriti in generale abbastanza bene nei territori di immigrazione e alcuni hanno avviato imprese imprenditoriali, i cui proventi sono stati spesso utilizzati per migliorare la situazione interna.

Un elemento sicuramente recente è la valorizzazione del turismo. Poco più grande della Lombardia, l'Albania è molto bella e interessante. Ci sono importanti siti archeologici visitabili (molto ben tenuti!), luoghi nei quali viene presentata la storia più recente, con l'evidente tentativo di dimostrare la rottura con il passato fascista e con lo stato di ispirazione comunista dominato da Hoxha. Ci sono belle montagne, le cui vette raggiungono i 2500 metri e c'è un mare che offre possibilità per tutti i gusti, dalla spiaggia di sabbia a quella di sassi fino agli scogli che si specchiano nell'acqua limpida. Ci sono città affascinanti, antiche e moderne, fiumi impetuosi e laghi dai mille colori. In effetti, il turismo sta rispondendo bene alla chiamata e sono tante le presenze dall'estero. Molti sono  albanesi che hanno  fatto fortuna fuori e rientrano "a casa" per le ferie, ma tanti vengono dall'Italia, dal resto dei Balcani e da molti altri Paesi. Si costruiscono nuove strade, si migliorano le vecchie, ma c'è ancora tantissimo da fare, soprattutto per collegare le zone montuose interne, a volte realmente impraticabili e per migliorare il traffico caotico che caratterizza le grandi città del Nord.

Sono solo impressioni, per conoscere bene una cultura e un popolo occorre condividerne la vita. Ma anche dall'esterno qualcosa si può intuire, ascoltando le testimonianze delle persone, in genere assai gentili e inclini alla conversazione e tenendo gli occhi aperti, cercando di cogliere l'insieme e le diverse particolarità.

venerdì 28 luglio 2023

Pensieri albanesi...

 

Uscendo dalle strade principali, si incontra un'altra Albania, specialmente nei paesi lontani dalla costa adriatica. Colpisce ovunque l'accoglienza, spesso accompagnata dal piacere di scambiare due parole. Molti hanno lavorato in Italia, ciò facilita la comunicazione e il reciproco racconto.

La situazione economica è ancora preoccupante. Gran parte dei più giovani si trova all'estero e da lontano mantiene chi è rimasto. Da qualche anno il turismo sta diventando componente importante, chi è direttamente coinvolto riesce a realizzare un dignitoso guadagno, ma per la maggior parte della gente la vita non è facile. Con uno stipendio medio sui 400 euro si fa fatica anche a pagare una bolletta della luce, da immaginare tutto il resto. Mancano tutele previdenziali e garanzie di qualsiasi tipo. Lo Stato non funziona come dovrebbe e spesso la corruzione peggiora ulteriormente la situazione, vanificando la passione e l'impegno di buona parte della popolazione.

La conseguenza è l'evidente divario tra pochissimi straricchi e la grande maggioranza di poveri, insomma, in piccole dimensioni, proprio ciò che accade nel mondo intero. Si capisce meglio ciò che dovrebbe essere ovvio. In queste condizioni non ci sono altre possibilità, se non quella di migrare verso lidi migliori (Europa e America del Nord) per poter sopravvivere.

Non c'è molta differenza rispetto a tante altre realtà. I sud e i nord del mondo si incrociano ormai ovunque. La bellezza della natura e l'importanza della storia non sono sufficienti a garantire benessere, pace e giustizia. C'è bisogno di un cambiamento strutturale, di sistema e questo, nell'epoca della globalizzazione, non può essere realizzato da un solo Paese, ma deve essere impegno urgente dell'intera umanità.

mercoledì 26 luglio 2023

Albania, prime impressioni...

 

Scutari, madre Teresa 
Il presidente dell'Albania Enver Hoxha è morto nel 1985, dopo più di 40 anni di governo ininterrotto. Ha contestato il mondo capitalista, ma si è isolato anche da quello socialista, rompendo i rapporti con la Jugoslavia di Tito, l'Unione Sovietica di Kruscev e perfino la Cina del dopo Mao Tze Tung.

In questo modo, fino agli inizi degli anni '90, l'Albania era il Paese più misterioso di Europa, era quasi impossibile entrarci, era quasi impossibile uscirci.

Poi in breve tempo è cambiato tutto e le contraddizioni di un sistema totalmente chiuso al resto del Pianeta, si sono scatenate in una crisi economica e finanziaria senza precedenti. Ne sono scaturite violenze di ogni genere e soprattutto la fuga dei giovani albanesi, alla ricerca di lavoro e sopravvivenza, in ogni angolo d'Europa. Memorabile quello che è passato alla storia come lo sbarco della nave Vlora, 20.000 albanesi sbarcati in un solo giorno a Bari, inizio ufficiale delle grandi migrazioni in Italia e in Europa.

Oggi tanti di loro sono tornati in Albania, alcuni (pochi) dopo aver fatto fortuna all'estero, la maggior parte senza aver realizzato alcun sogno. Solo percorrendone le strade dell'abitata pianura centrale, ci si rende conto della povertà materiale di un popolo fiero, dalle radici storiche importanti. Gli assai suggestivi scavi archeologici di Apollonia e Butrin narrano vicende di greci e di latini, perfino degli studi giovanili di Ottaviano Augusto in quella che fu una delle città più importanti dell'Impero. In epoche più vicine a noi, a tenere banco sono state le lotte tra cristiani e musulmani, con l'emergere della mitica figura di Skanderbeg, considerato un grande eroe sia da quelli della sua parte che dai nemici. È tra l'altro protagonista di un romanzo di Ismail Kadaré, il più noto tra gli autori albanesi contemporanei.

Oggi la piana che circonda Scutari, Durazzo e la stessa Tirana è una desolata distesa di campi per lo più incolti e la strada principale, nei dintorni della Capitale intasatissima, attraversa una lunga teoria di case lasciate a metà, fabbriche chiuse e capannoni in rovina, nuove costruzioni avulse da qualsiasi piano regolatore. Eppure la gente è molto accogliente, si impegna per quello che può, con un minimo di agricoltura e con il nuovo, peraltro per ora limitato, turismo soprattutto balneare. Ci sono infatti belle spiagge e anche le montagne, relativamente vicine alla costa, destano un certo interesse.

Le religioni, bandite dal regime di Hoxha, sono tornate a rifiorire e sono spuntate ovunque, anche nei più piccoli paesi, chiese cristiane e soprattutto moschee musulmane. Naturalmente è molto celebrata Madre Teresa di Calcutta, originaria delle montagne dell'Albania e proclamata santa pochissimi anni dopo la sua morte. Non saranno le fedi rapidamente rinate, neppure i fragili passi della democrazia, a ridare vigore e speranza a questa Nazione, più di un terzo degli abitanti della quale risiede all'estero. Sarà solo un cambiamento di sistema e di visione sociale a livello europeo, la scelta di una solidarietà e partenariato che sembra purtroppo assai lontana dalle corde dell'attuale dirigenza dell'Unione. E questo non vale certo  solo per la bella Albania, ma per tutti gli Stati del vecchio Continente che pur possedendo una ricchezza storica e naturale eccezionale, non la possono trasformare in grande risorsa per la crescita economica e soprattutto culturale degli abitanti.

Tempesta e grandine

Il pensiero di oggi è dedicato a tutti coloro che hanno subito danni, a causa della tempesta dell'altra sera. Il lavoro di tanti mesi in agricoltura è stato in molti luoghi vanificato dalla caduta della grandine, tante case hanno subito danni e anche alcuni vetri della cara basilica di Aquileia si sono rotti.

Ci vorrà molto tempo per risistemare adeguatamente tutto nella Regione, in particolare nel Friuli. Per il momento un grazie al cielo perché nessuno si è fatto male e un grande grazie alla Protezione Civile e a tutti coloro che si sono adoperati per alleviare il disagio della popolazione.

Per quanto riguarda la Basilica, dopo gli accertamenti indispensabili sulle finestre e una prima sistemazione provvisoria dei danni da parte del personale specializzato, non appena sarà riportata in condizioni di assoluta sicurezza, sarà riaperta al pubblico.

Con la speranza che il maltempo eccezionale sia ormai passato.

lunedì 24 luglio 2023

Le montagne del Montenegro

 

Le montagne, per chi le ama, sono un po'come le persone. Quando si va all'estero, le si guarda con ammirazione e si fanno confronti, "questa assomiglia a quella, questo mi ricorda quello".

In questa giornata, dedicata alle alte vette del Montenegro, questa specie di gioco si è ripetuto spesso. Il lago di Plužina rispecchia i monti ai confini con la Bosnia, come la cuspide terminale del Krn si riflette nel Krnsko jezero, gli alti pascoli precedenti le rocce schiacciate dalle energie della Terra richiamano senz'altro la poetica Velika Planina, al cospetto delle Alpi di Kamnik oppure il Monte Baldo sopra il Lago di Garda, il massiccio blocco di erba e di roccia chiamato Durmitor (m.2521, una delle più alte vette dei Balcani), ricorda il Mangart, forse ancora di più il Peralba, sopra Sappada.

Al di là delle somiglianze e delle differenze, le alte cime stagliate nel cielo sereno costituiscono ogni volta uno spettacolo indimenticabile, allietato da un raro fresco estivo. Non ci sono rifugi, se non qualche piccola baita qua e là. Nonostante una strada molto stretta e panoramica che l'attraversa completamente, il gruppo montuoso è quasi disabitato, se si escludono alcuni pastori, qualche gregge di pecore custodito da cani che svolgono con fin troppa premura il loro servizio, poche mucche che paralizzano lo scarso traffico preferendo (giustamente!) l'asfalto ai ripidi pendii assai scoscesi. 

C'è anche qualche alpinista che tenta il sentiero e la ferrata verso la vetta. Non è un cammino facile e l'erba che cresce tra le pietre richiede attenzione ed esperienza. Si incontra qualche pastore e qualche custode di baite costruite nel nulla. Hanno i volti con le rughe scavate dal sole e sono parchi di parole, ma dagli occhi che scrutano fin dentro il cuore e dal sorriso abbozzato e accogliente si riconoscono i tratti degli uomini delle montagne, essenziali, semplici, abituati ad affrontare le avversità, sereni nel sapersi inserire nella quotidianità della Natura.

Come sembrano lontane,dalla meraviglia di questi silenziosi altopiani e dalle notti riempite dalla luce fioca e impressionante delle stelle, le permanenti notizie sulle guerre, sulle violenze di ogni tipo, sui giochi squallidi di potere che dominano i giornali, le radiotv e i social media. Ogni tanto, se ce lo si può permettere, è necessario elevarsi per poter riscoprire lo sguardo d'insieme e per rendersi conto, ancora una volta, che questa immensa bellezza non dovrebbe essere soltanto per pochissimi, ma dovrebbe realmente appartenere a tutta l'umanità, a ogni donna e uomo che affronta l'umana avventura su questo meraviglioso e drammatico pianeta che si chiama Terra.

domenica 23 luglio 2023

L'inquieto fascino dell'ortodossia

Il monastero di Ostrog
Sulla collina che sovrasta Trebinje, nella repubblica serba, meridione della Bosnia Erzegovina, nel 2000 si è voluto costruire un santuario ortodosso, per quanto possibile identico a quello famoso, storico e stupendo della Gračanica in Serbia. Alla liturgia domenicale sono presenti tante persone, entrano ed escono con grande rispetto, mentre il pope e i suoi diaconi cantano ininterrottamente i versetti dei salmi e della celebrazione. Le icone moderne ma uguali alle antiche rassicurano il popolo della benedizione di Dio e dei suoi santi. Il profumo dell'incenso si spande ovunque, creando un clima di profonda sacralità. Ci sono tanti giovani e numerosi bambini inseguiti vanamente dalle mamme vestite a festa. Si percepisce un'appartenenza, come se lo scorrere monotono delle melodie e l'alternanza dei canti dei celebranti entrassero nella carne di un popolo, dando in fondamento trascendente all'orgoglio di essere serbi. Lo stesso, probabilmente, accade nei culti islamici o nelle chiese cattoliche. Il sacro è una forza formidabile per formare e consolidare le identità. Per quanto inventato dall'uomo, il concetto di sacro collegato ai diversi nomi di Dio, ha generato meravigliose opere d'arte e scatenato le più terribili guerre e violenze che si possano immaginare. 

Viene da chiedersi se il processo di evidente desacralizzazione che interessa oggi la chiesa cattolica possa essere effettivamente un'assoluta novità, sia pur collegata con la chiarissima opera di "desacerdotazione" realizzata niente meno che dal Maestro Fondatore. Una chiesa che si allontana dal sacro è molto vicina all'intuizione di Lutero, almeno a quella originaria. Fuori dall'esercizio del sacro, in qualche modo delegato alle persone preposte, la comunità umana non trova altri punti di riferimento identitari che non siano la faticosa ricerca del consenso, secondo le fragili regole della democrazia. Ciò che papa Francesco sta portando avanti, consapevolmente o meno, è una gigantesca rivoluzione dalle conseguenze inimmaginabili. Finisce il tempo della Chiesa cattolica, sorta sulle ceneri dell'Impero Romano e inizia l'era del primato della coscienza, con tutte le conseguenze, non sempre piacevoli, che ci si può attendere 

L'ortodossia serba sembra lontana da questo processo di definitiva secolarizzazione. Ciò è ancora più evidente camminando lungo l'impervia scalinata che conduce al monastero di Ostrog, nel cuore del Montenegro, fondato da un certo san Basilio all'inizio del '600. Una folla di "veri credenti" prega, mentre suda ininterrottamente sotto il sole e i 35 gradi all'ombra. All'arrivo tutti sono in silenzio, attendono il momento di entrare, di baciare le icone e di toccare con venerazione le soglie delle porte e i muri benedetti dalla presenza dei santi.  Un monaco dallo sguardo severo presenta alle labbra la croce e ti benedice, "che Dio abbia misericordia di te!" I volti scavati dalla commozione sembrano distendersi in un timido sorriso. Forse il sacro non è solo coscienza di appartenenza a un popolo, ma anche forma misteriosa del desiderio di vita e di amore che alberga nel cuore di ogni uomo.

Dalle volte scavate nella pietra le icone affrescate o in mosaico trasmettono il messaggio divino. Adamo è salvo, Cristo liberatore dopo la morte scende agli inferi e tutti coloro che ne erano prigionieri risalgono con Lui, per sempre. Come Orfeo ma ben più di Orfeo! Non c'è che dire, al di là delle più che convinte razionalizzazioni, si riprende la scalinata e si inizia a scendere sui gradini consunti; accompagnati da centinaia di sguardi rasserenati ed è difficile nascondere una forte emozione.

La Dubrovnik del turismo globale

 

Ci si attende molto da una visita a Dubrovnik, l'antica Ragusa. In effetti, la sua collocazione strategica, le sue mura possenti, la ricchissima storia, le chiese, le case, i numerosi monumenti, costituiscono un tesoro prezioso, non a caso con il riconoscimento unesco di patrimonio dell'umanità.

Una calda estate nel tempo del turismo globale riesce a trasformare un breve tour della "old city" in un'interessante esperienza fantozziana. Subito dopo aver avvistato dall'alto la "perla dell'Adriatico e aver espresso l'inevitabile oh di meraviglia, ci si accorge di essere imbottigliati sulla trafficatissima Magistrala, la strada della costa dalmata. Un'oretta di espedienti, a 40 gradi all'ombra e si raggiungono gli agognati parcheggi. Il costo scoraggerebbe perfino gli antichi pirati provenienti dal mare: 7 euro all'ora, 80 tutto il giorno.

Attraversando strade intasate di taxi bollenti, si arriva all'agognata porta, una delle tre principali, assediata da ogni sorta di bancarella dove vengono venduti sempre gli stessi souvenir. Chi vende cappelli fa grandi affari, 22 euro una visiera da nulla per evitare i colpi di sole. All'interno si scende verso l'ampia strada principale, gustando per un istante la sensazione di tornare indietro nel tempo, almeno 500 anni di vita di gran signori, mercanti, soldati e poveri pescatori intenti nello sforzo di riuscire a dar da mangiare alle proprie famiglie. Ma è solo un'impressione, perfino più veloce di quella che si riceve quando si entra per la prima volta a Venezia. In realtà non esiste una casa che non sia stata trasformata in ristorante o negozio di cianfrusaglie più o meno lussuose. Occhio ai prezzi, per una pizza e una birra, a leggere i menu esposti, non se ne vanno meno di una ventina di euro. 

Ed ecco la grande strada centrale. Turisti multicolori si aggirano ovunque, armati della macchina fotografica, alla caccia dello scorcio del secolo da far contemplare compiaciuti ai malcapitati ospiti nelle future lunghe sere invernali. Sono soli, in coppia, in gruppetti di amici. I più disperati sembrano quelli inquadrati nei gruppi scaricati un paio d'ore prima dalle grandi navi attraccate nel porto neanche troppo vicino. Le guide con le bandierine urlano notizie in tutte le lingue e le teste si muovono di qua e di là, come guidate da tanti improvvisati direttori d'orchestra. Non si ha molto tempo per entrare in un museo o per approfondire gli studi sul barocco dubrovnikiamo. Sono più attraenti i comportamenti delle migliaia e migliaia di visitatori, come anche il proprio. Ci si sente infatti come isole in movimento in un Oceano sconfinato, in balia di forze misteriose che ti sospingono qua e là. Viene da chiedersi se non sia questo l'inferno dei privilegiati che hanno vissuto una vita nel Nord del mondo, eternamente rinchiusi in una bolla di benessere dove non ci si interessa più a nulla, si vaga come fantasmi alla ricerca di qualcosa che non si sa e ci si passa accanto nell'indifferenza totale, cercando di sfuggire ai diavoletti aguzzini che cercano di rifilarti gioielli, pranzi di gala o magneti da attaccare sul frigorifero di una casa lontana.

Forse il tanto decantato giro sulle straordinarie mura difensive ritemprerà l'umore depresso? Un sorriso al panorama costa 35 euro, 15 per i bambini. Si capisce che la "stagione" qua dura poco più di due mesi, ma aggiunti al parcheggio, al gelato, al pranzo, all'immancabile ricordino, fanno una cifra considerevole per una famiglia normale. Chi si può permettere di viaggiare nelle grandi mete del turismo globale? Meglio uscire, trovare un albero compiacente con le foglie mosse dalla brezza marina, guardare le onde frastagliate e pensare al mistero della Vita.

In realtà, Dubrovnik è veramente una singolare e fantastica città. Ma se vi posso dare un consiglio, cercate di andarci in autunno o in primavera...

sabato 22 luglio 2023

Le differenze nella Bosnia

 

La Bosnia Erzegovina è un Paese bello, pieno di boschi e di fiumi, senza contare le numerose città cariche di storia e di cultura.

Gli accordi che hanno portato alla controversa pace, dopo le guerre degli anni '90, l'hanno unita in una confederazione di facciata,nella quale agiscono di fatto autonomamente l'entità serba e quella bosniaco musulmana. Il confine tra le due forme amministrative è molto frequente e lo si nota facilmente, da una parte si usa il carattere cirillico, dall'altra quello latino. I cartelli che indicano l'inizio e la fine dei paesi sono scritti in entrambe le forme. Non essendo troppo distanti la lingua serba e quella bosniaca, si potrebbe parlare di una sorta di assai originale e forse unico bicaratterialismo, la lingue simile espressa in forma scritta con caratteri del tutto differenti!

Ciò che è anche evidente è la diversità religiosa. Nel tempo della Jugoslavija, musulmani ortodossi cattolici ebrei protestanti e atei sembravano andare sostanzialmente d'accordo. Poi le religioni non si sono certo distinte come operatrici di pace e nel tempo della cruenta disgregazione dell'apparato centrale, hanno contribuito in modo determinante a fornire supporto spirituale (o pseudo tale) alla violenza sconfinata, nel senso di senza confini, di quel periodo. Ciò vale anche per le memorie che tutto sembrano tranne che riconciliate, anche se effettivamente non si ha la sensazione di tensioni superiori al livello di guardia e quindi di segnali di possibile ripresa delle ostilità  he hanno messo in ginocchio i Balcani. 

Certo, l'ostentazione dei simboli religiosi in un simile contesto fa pensare alla difficoltà di un dialogo nel rispetto della pari dignità che dovrebbe caratterizzare ogni realtà democratica moderna. In realtà, neanche in Italia è stato del tutto superato il dibattito fra laicità dello Stato e appartenenza religiosa. Certo, meditare su ciò che è accaduto in Bosnia nell'ultimo decennio del Novecento, dovrebbe insegnare molto all'umanità in generale e agli uomini religiosi in particolare. Ogni assolutismo contiene in sé i germi della guerra e del genocidio.

Ora un salto a Dubrovnik, old city o moderno luna park del capitalismo culturale?

Jaice e il sogno di un mondo nuovo

A Jajce c'è un museo molto interessante. Occupa una casa all'interno della quale si trova una grande sala, arredata così come lo era il 29 novembre 1943. Nel mezzo della tragedia della seconda guerra mondiale e nel cuore di una Bosnia Erzegovina teatro dei più violenti scontri armati tra il fronte di Liberazione e gli eserciti occupatori nazisti e fascisti, si riuniscono in questo luogo e in questa data le delegazioni antifasciste di una grande parte dei Balcani.

Le numerose fotografie e i documenti presentati aiutano a immergersi, con un brivido di emozione, negli avvenimenti. Le delegazioni, scelte nei rispettivi convegni svolti nelle città momentaneamente libere, giungono a Jajce a piedi, percorrendo centinaia di chilometri, affrontando la neve e le altre intemperie. Donne e uomini portano un desiderio si pace, giustizia e libertà, ma anche di unità e fraternità tra popoli diversi e culture differenti. Arrivano dalla Slovenia, dalla Serbia, dal Montenegro, dalla Croazia, ovviamente dalla Bosnia. Solo il gruppo dalla Macedonia non raggiunge la meta, bloccato dai tedeschi.

Qui, coordinati da Josip Broz Tito, immaginano la nuova Jugoslavija, uno stato federale suddiviso in sei repubbliche dotate di una certa autonomia. L'obiettivo della Liberazione si accompagna a quello della valorizzazione delle specificità. Ci sono comunisti e socialisti, cattolici, ortodossi e musulmani, credenti e non credenti, lavoratrici e lavoratori in ogni campo della vita umana. Impegnati in una guerra con forze impari rispetto ai potenti apparati militari degli occupatori, trovano in questo loro incontro un'immensa energia e un grande entusiasmo per riprendere la lotta, uniti fino alla vittoria, con l'aiuto, sia pur limitato, dei sovietici, degli americani e dei britannici. Le scritte originali, solo rinfrescate sui muri della sala, riportano la gratitudine nei confronti di chi ha espresso concreta vicinanza e sintetizzano questo afflato con le parole "morte al fascismo libertà ai popoli".

Insomma, in questo salone di Jajce, il 29 novembre 1943 è nato il sogno di un sistema politico non legato ad appartenenze etniche o ad assolutismi ideologici o religiosi, ma fondato sull'unità nel riconoscimento delle diversità. Se poi la divisione in diverse realtà confederate abbia funzionato e se abbia effettivamente consentito un'epoca di vera pace e piena libertà, è oggetto di interpretazione storica e giudizio politico. Certo, il ricordo delle imprese partigiane ma anche dei relativamente lunghi tempi "in cui c'era Tito" è ancora forte in tanti cittadini della ex Jugoslavija. Sì, anche perché dopo la morte del Presidente il sogno si è trasformato in un incubo, soprattutto proprio in Bosnia, dive ogni paese ricorda con monumenti rigorosamente separati le decine di migliaia di vittime della disgregazione provocata dalle guerre balcaniche degli anni '90.

Jajce è anche tanto altro. La famosa cascata che sembra fuoriuscire dalla città rispecchia un'antica fortezza, un mitreo del IV secolo testimonia la presenza di soldati dall'oriente e da Roma, i fiumi e i laghi da essi formati consentono giornate estive gioiose e rinfrescanti. Ma il pensiero che rimugina dentro, lasciandola alle spalle, corre soprattutto ai volti severi e appassionati dei partigiani riuniti in quella sala, al loro desiderio di costruire un futuro, alla consapevolezza di scrivere la storia del dopoguerra. È andata proprio come avrebbero desiderato? Il sacrificio di tante vite ha realizzato l'immenso sogno di un sistema politico ed economico alternativo al capitalismo? La Jugoslavija"non allineata", quanto ha concretizzato delle speranze immense di quel giorno? Non è certo questo lo spazio per rispondere, per il momento basta lasciarsi coinvolgere dalle domande e comunque dalla gratitudine per chi, ovunque, ha lottato e continua a lottare contro ogni tirannide che soffoca il mondo.

venerdì 21 luglio 2023

In viaggio (1)

Velika Kladuśa 
Il filo spinato sul fiume Kolpa, anche se un po' accantonato sulle sponde del ponte, ricorda che il confine tra Slovenia e Croazia è stato fino a quest'anno quello di Schengen. Poco dopo un altro fiume dal nome simpatico -Dobra- con un bel ponte arcuato di inizio '700, rallegra la vista in attesa di raggiungere la nuova frontiera.

In effetti ci si accorge ben presto di essere in un punto di passaggio. A Maljevac c'è una lunga coda di auto, più di mezz'ora per poche manciate di macchine. E Velika Kladuśa, in realtà, dopo un chilometro parla più o meno la stessa lingua, ma racconta tante culture e una religione maggioritaria diversa. È il punto più a nord nei Balcani della diffusione di un Islam, qui non certo integralista o impositivo. Si lascia alle spalle l'Unione europea ma non si abbandona l'Europa, quella dei differenti popoli e nazioni, della quale l'Unione è soltanto una parte.

Purtroppo questo confine non permette di "condividere i fini" e per molti versi segna una distanza quasi incolmabile tra il Nord e il Sud del mondo. Qui fino a poco tempo fa esisteva un grande campo profughi, dal quale ogni notte partivano i game, i drammatici tentativi di migliaia di persone in fuga da guerra fame e persecuzioni. Finivano quasi sempre male, con il respingimento in Bosnia a suon di percosse e insulti. Ora ci sono solo campi incolti e la rotta balcanica sembra essere stata spostata altrove. Forse la Croazia, divenuta il limite sud di Schengen, non si può permettere di impedire con la forza gli ingressi e tramite le organizzazioni internazionali i campi di "accoglienza" sono stati trasferiti lontano dal confine. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, prosegue la vita difficile delle schiere il cui desiderio è quello di sopravvivere, in Italia in Germania ovunque possibile. Decine di persone sostavano l'altra notte alla Casa Rossa di Gorizia, riparate da un minuscolo davanzale mentre imperversava la bufera.

Nel baretto ostello dove in passato un uomo generoso offriva qualcosa da mangiare ai profughi, stanno seduti una decina di giovani. Sono molto simpatici, offrono un buon caffè e sorridono. Dicono di venire dal Kurdistan iracheno, "dove si vive molto bene". Sono a Velika Kladuśa perché attendono il visto turistico e "vogliono visitare l'Italia", soprattutto Roma, l'unica città che conoscono. "Siamo turisti e non vediamo l'ora di goderci le meraviglie del tuo Paese!". Dietro la divertita accoglienza e gli occhi dallo sguardo profondo, si può intuire la diffidenza e il timore. Un tempo il dolore veniva ostentato come un grido di aiuto, ora è tenuto dentro, non si sa mai con chi tu stia parlando, un poliziotto, un giornalista poco incline alla multiculturalità, un agente segreto... Meglio offrire un caffè e una risata e salutarsi cordialmente. "Ci si vede in Italia" o "forse anche in Iraq".

Scorrono i chilometri nella verde Bosnia e dopo vari saliscendi si arriva a Jajce, la città costruita sulla cascata. Qui, il 29 novembre 1943, è nata l'idea della nuova Jugoslavija. Ma questo è un altro capitolo della storia mondiale, come pure di questo breve resoconto.

martedì 18 luglio 2023

Aquileia: una straordinaria settimana dei patroni

Il concerto dell'11, con Vocinvolo, Manos blancas e Filarmonici Friulani
E' stata una settimana impegnativa, ma straordinaria, quella vissuta ad Aquileia intorno al 12 luglio, la festa dei patroni della Regione Ermagora e Fortunato.

I momenti più toccanti sono stati quelli di martedì 11. Nel pomeriggio, nel corso di un'affollatissima conferenza stampa, è stato presentato il progetto "Basilica per tutti", mentre la sera si è tenuto lo spettacolare concerto con Le manos blancas, i cori Vocinvolo e Artemia e l'orchestra del giovani filarmonici friulani.

Al di là degli importanti contenuti, ripresi e riproposti ampiamente sui media, cosa rimane di questi giorni, caratterizzati dalla presenza di amici assai esperti e competenti? 

Rimane il messaggio esistenziale di Mara e di Deborah, abituate a guidare le persone a scoprire la bellezza dei Musei Vaticani e ora presenti ad Aquileia per aiutare tutti a scoprire ciò che rimane nascosto a chi i sensi li potrebbe utilizzare nel loro insieme. La loro simpatia e semplicità, come pure la straordinaria esperienza e conoscenza, hanno consentito a chi è entrato in basilica in quei giorni di trasformare una visita - anche a volte puramente casuale - in un'intensa vicenda di bellezza e di umanità.

Rimane la saggezza di Suor Veronica e di Cristina, la loro armonia nel parlare con la lingua dei segni, il fascino di starle ad ascoltare nel loro portare la limitata realtà aquileiese nel più ampio panorama del rispetto dei diritti di ogni persona, in particolare di chi è portatore di qualsiasi disabilità.

Resta la maestria dei mosaicisti di Ravenna, Marco e Anna, che hanno regalato alla Basilica il dono più strepitoso, un mosaico tattile del nodo di Salomone a grandezza naturale, utilizzabile dai non vedenti per scoprire perfino le differenza dei colori, da tutti per conoscere la varie fasi che consentono a tante tesserine di pietra di formare un meraviglioso disegno.

Rimangono gli ospiti, una rete di relazioni regionale, nazionale e internazionale, che porterà frutti nel prossimo futuro e consentirà di puntare a ulteriori ambiziosi progetti di valorizzazione della spiritualità, dell'arte e della Cultura, anche nella chiave importante di Nova Gorica con Gorizia capitale europea della cultura 2025. La presenza dei responsabili principali dell'evento goriziano è un segno di come Aquileia/Oglej possa essere veramente riconosciuta come la radice dalla quale si è sviluppata una longeva pianta che solo ora sembra produrre frutti maturi di giustizia e di pace.

Rimangono i coristi, che si sono espressi mirabilmente con le voci e con le mani, nel concerto della vigilia, come pure quelli del coro segnante che ha accompagnato la liturgia del 12 luglio, come segno di un'amicizia e di un'accoglienza che sono fondamento di un autentico inizio di reciproca appartenenza. Rimangono i vescovi, con le loro parole, gli abitanti del paese, i partecipanti, tutti, agli eventi, che con il loro entusiasmo incentivano il desiderio di continuare ad approfondire, a camminare sulla strada intrapresa.

E rimangono i meravigliosi collaboratori della Basilica, dagli uffici con la "mente" del progetto Anna, la responsabile amministrativa Ornella, la referente dei concerti Sara, il responsabile della comunicazione Mattia fino a ciascuno degli addetti alle biglietterie e ai custodi, tutti schierati con gioia in questa vera e propria lotta a qualsiasi stigma o forma di marginalizzazione che possa impedire a chiunque di accedere a capolavori artistici che - per la loro natura di patrimonio dell'umanità - appartengono a tutte e tutti, senza eccezione alcuna.

lunedì 10 luglio 2023

Una domenica sera, a Šebrelje...

 

Tramonto a Šebrelje
Quando finisce il giorno, mentre il Sole scompare dietro ai monti, le voci degli amici si affievoliscono nel piacere dello stare insieme, il cielo si riempie di infinite sfumature. Le nuvole disegnano paesaggi immaginari e contemplano dall'alto il quotidiano affaccendarsi dei viventi.

La temperatura scende lentamente e gli animali rintanati fanno capolino dai loro nascondigli. I cervi e i caprioli brucano felici, i gatti si producono in slanci avventurosi cacciando a loro modo i calabroni. Il ronzio dei piccoli insetti si accompagna al frinire delle cicale e al concerto degli uccelli che marcano con determinazione il loro territorio.

L'armonia dei suoni e dei colori non cancella la lotta per la sopravvivenza, mentre la Bellezza del tramonto suscita i più dolci e romantici pensieri, ogni frammento di vita cerca di mantenersi succhiando agli altri l'energia, in una lotta permanente nella quale nulla si crea nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E' la maestà dell'Essere che si manifesta nella sua pienezza, affascinante e tremenda, nei suoi minimi particolari e nella dimensione universale.  

Le campane suonano l'Ave Maria della notte, ma potrebbero essere i muezzin che annunciano l'ultima preghiera o anche i cori che nella piazza grande di una Capitale intonano l'inno alla gioia di Schiller al termine dell'indimenticabile Nona sinfonia di Beethoven. Si ascolta, si attende il sopraggiungere furtivo del silenzio. Tutto sembra per un istante immobile, sospeso in una speranza ineffabile. Prima di rendersi conto di come tutto continui a muoversi in una rotazione universale, la terra intorno al Sole, alla folle velocità di oltre 107.000 chilometri orari (30 chilometri al secondo).

domenica 9 luglio 2023

Una Madre inclusiva e accogliente. L'affresco della chiesa del Lussari/Višarje

Sempre lui, sempre Tone Kralj. 

L'affresco sull'arco trionfale della chiesa del Monte Lussari/Višarje rappresenta Maria che allargando il suo manto, accoglie e include le persone che si rivolgono a lei. Sono espressione di un'umanità oppressa e ferita che cerca di trovare una luce di speranza e di libertà.

Al di là dell'aspetto religioso, la camminata da Camporosso al Lussari è sempre una grande occasione di immersione nella natura, nell'arte e soprattutto nella compagnia di tante persone che, soprattutto nella stagione estiva, salgono insieme verso il santuario. Ci si saluta sempre in quattro lingue, per non escludere nessuno, austriaci, sloveni, italiani e friulani. E anche nel piccolo borgo sulla vetta. dagli altoparlanti si sentono preghiere e canti espressione di tutte le tradizioni culturali.

Non manca lo spettacolo, uno dei più impressionanti delle Alpi Giulie. Da sinistra a destra lo Jof de Miezegnot, il possente Montasio con la sua inconfondibile cresta del drago, lo Jof Fuart con le Madri dei Camosci, l'invitante vicina Cima Cacciatore. Scendendo alla sella sottostante, ecco i due fratelli Mangart e Jalovec che sembrano dialogare eternamente fra loro, spesso coperti dalle nuvole, quelle che formano il loro cappello, che, quando c'è "o farà pioggia o farà bel".

Per chi può percorrere il sentiero del pellegrino, un paio d'ore di aria buona e sentieri tra i boschi, ci sono anche le cappelle della Via Crucis, originariamente dipinte sempre da Tone Kralj. Da notare nella prima stazione, l'arresto di Gesù, il soldato che non vede l'ora di prendere in custodia il condannato e che tiene nella mano un inquietante fascio littorio. E' sempre il pittore sloveno, capace di unire la storia raccontata dal vangelo con quella del suo popolo oppresso dal fascismo.

Insomma, da questa cima non può che scaturire un profondo anelito alla pace e alla giustizia. La bellezza della natura, dell'arte, delle relazioni simpatetiche tra le diverse culture, non dovrebbe essere riservata solo a pochi, ogni essere umano dovrebbe vedere riconosciuto nei fatti il proprio diritto a vivere, a gioire, a essere nella pace, a poter visitare e conoscere il mondo senza limitazioni e senza barriere. 

Credo sia questo il messaggio principale di Maria che distende il suo manto per accogliere tutti, senza eccezioni. E' un messaggio sociale e profondamente umano, prima che esplicitamente religioso. Potrebbe essere la Madre Terra, come la Madre di ogni vivente, oltre naturalmente che la Madre di quell'uomo straordinario che porta il nome di Gesù.

giovedì 6 luglio 2023

Panem et circenses, un'interessante mostra di Tone Kralj a Ljubljana

 

Fino al prossimo 10 dicembre 2023, a Ljubljana presso il Muzej novejše in sodobne zgodovine Slovenije, è in corso unìassai interessante mostra dedicata a Tone Kralj e alle sue pitture realizzate fra il 1941 e il 1945. Il titolo è Kruha in Igre, traduzione del noto detto latino Panem et circenses.

Già il Museo, in sé stesso, merita una visita, in quanto consente di ripassare l'intera storia del Novecento sloveno, dall'epoca austroungarica fino ai giorni nostri. Proprio in questo contesto si inserisce l'esposizione di alcuni quadri dell'ampia opera pittorica di uno dei maggiori autori sloveni contemporanei, Tone Kralj (1900-1975).

Formatosi nelle più prestigiose Accademie europee, tra Praga, Vienna, Lubiana, Venezia e Milano, è stato inserito tra gli "espressionisti", anche se in realtà si è caratterizzato per uno stile del tutto specifico e originale. Le linee tematiche fondamentali sono tre.

La prima è l'ispirazione religiosa, della quale sono testimonianza gli affreschi e le pitture in numerose chiese, soprattutto della Primorska slovena. Il suo afflato spirituale si esprime nella descrizione commovente degli stati d'animo presenti nei protagonisti della varie vicende relative alla storia di Gesù, di Maria e dei santi, tra i quali si nota una certa predilezione per quelli provenienti dall'Oriente.

La seconda è la tematica nazionale. Figlio della sua Nazione, Kralj racconta la sua patria nei paesaggi quasi sempre riconoscibili e nei colori che richiamano quelli presenti nella bandiera slovena. Anche le illustrazioni che accompagnano molti testi letterari rispecchiano la volontà di far conoscere più possibile le vicende storiche, le tradizioni e le leggende che hanno contribuito a rafforzare la specificità identitaria. Particolare attenzione è dedicata alla gente semplice, ritenuta la vera depositaria della Cultura slovena.

La terza problematica, quella alla quale è dedicata tutta la mostra in atto a Ljubljana, è quella politica. La si riscontra spesso nei dipinti a sfondo teologico e spirituale, quando nei personaggi che circondano Gesù o i martiri si riconoscono facilmente i volti e le fisionomie di Mussolini, Hitler e degli altri capi fascisti e nazisti. Il fatto è particolarmente significativo, se si nota che tali opere risalgono a un periodo nel quale ancora il Regime è violento e oppressivo e le sottolineature artistiche avrebbero potuto portare il pittore fino davanti a un plotone di esecuzione. 

Le opere in esposizione fanno parte della terza tematica, ma con una forte identificazione del crocifisso sofferente con la situazione del popolo sloveno nel periodo della seconda guerra mondiale. Il famoso "Trattato di Rapallo" segna una tragica geografia dell'orrore, con i "lupi di Toscana" scatenati che mordono la parte del corpo della Slovenija rimasta sotto la dominazione italiana, sotto lo sguardo indifferente dei potenti del mondo del tempo. Il tragico destino degli "ostaggi" inermi, fucilati senza pietà dai soldati italiani occupatori di Lubiana, fra il 1941 e il 1943, suscita un moto di vergogna di fronte ad azioni efferate troppo spesso censurate e volutamente dimenticate in Italia. Il vertice della protesta sta proprio nel dipinto che dona il titolo, Panem et circenses. Un Mussolini duce e un Mussolini militare, dalla tribuna d'onore del palco di un immenso anfiteatro strapieno di figure rabbiose, guardano all'arena nella quale come gladiatori i collaborazionisti e i fascisti massacrano gli inermi schiavizzati, finendo poi per litigare e combattere fino al sangue fra loro.

Insomma, un grande brano di Storia per lo più in Italia caduto nell'oblio, viene riproposto da un pittore amante della libertà, capace di unire un indomito spirito impregnato di giustizia e di indignazione con uno straordinario afflato religioso, non disincarnato, ma profondamente innestate nelle opere e nei giorni del suo tempo. Una mostra (e un Museo!) assolutamente da non perdere.