martedì 26 aprile 2022

Un 25 Aprile celebrato nella dialettica democratica

La Festa della Liberazione non è mai stata così tormentata come quest'anno. Non c'è stata solo la "tradizionale" polemica goriziana, con in testa il sindaco che vorrebbe staccare la Venezia Giulia dall'Italia rifiutandosi di accettare la data unitaria della festa nazionale.

Di nuovo c'è il contesto internazionale che ha portato divisione anche negli schieramenti politici del centro sinistra e della sinistra, oltre che all'interno della stessa Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani. Dopo le numerose polemiche, si è assistito a cortei frammentati, con bandiere e cori inneggianti alla cosiddetta "resistenza" ucraina e al ruolo della NATO da una parte, dall'altra a slogan antiimperialisti e contrari all'invio di armi nel calderone del conflitto russo-ucraino.

Non c'è da stupirsi, la memoria del 25 aprile appartiene a tutti (esclusi coloro che la rifiutano, non riconoscendo giusto celebrare con una data simbolica la fine del nazi-fascismo in Italia) e la discussione interna al movimento antifascista fa parte della dialettica, anche vivace, che deve essere presente in qualsiasi ambito democratico. Del resto il tema è molto importante e assai delicato, mette in gioco convinzioni ritenute poco meno che dogmatiche fino a qualche anno fa e ha a che fare con l'enorme sofferenza di chi soffre sotto le bombe seminate da una guerra tanto sanguinosa quanto incomprensibile.

C'è chi interviene, anche molto autorevolmente come nel caso del Presidente della Repubblica Mattarella, sostenendo di aver pensato agli ucraini, cantando la prima strofa di Bella Ciao. Chi la pensa così, sostiene la necessità di inviare armi per accompagnare e sostenere la lotta contro gli invasori. E ritiene anche che l'Alleanza militare Atlantica debba essere ampliata ai Paesi confinanti con la Russia per ridimensionare le prerogative e le pretese di Putin. Tra i sostenitori del riarmo ci sono anche il Presidente del Consiglio Draghi e i partiti che sostengono l'attuale Governo, con in prima linea un Partito Democratico che sembra - in questa scelta - volersi assicurare il ruolo di loro capofila.

E c'è chi la pensa in modo diametralmente opposto, appoggiandosi anche al forte e non equivocabile magistero di papa Francesco, ritenendo che l'articolo 11 della Costituzione non dovrebbe essere contraddetto da un intervento armato in Ucraina. Per motivi etici, politici e strategici, i contrari all'invio delle armi - tra i quali buona parte di coloro che si riconoscono nella galassia pacifista e ambientalista, anche se con molti distinguo - ritengono un errore clamoroso prendere decisioni in questo senso. Essi pensano che il paragone con la Resistenza sia irriverente, dal momento che la Russia di Putin non è la Germania di Hitler, così come l'Ucraina di Zelen'sky non è paragonabile alle nazioni invase dalla Germania prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Ritengono inoltre che si debbano tenere presenti di più i contesti, dall'oppressione delle popolazioni russofone del Donbass e della Crimea alla provocazione di un allargamento della NATO che sembra più una necessità imperialistica americana che una reale attenzione alle esigenze di Kiev. Come soluzione alternativa all'invio delle armi essi propongono l'intensificazione - o meglio l'avvio, constatata la finora quasi del tutto assente volontà diplomatica - dei tavoli di trattative per cercare soluzioni onorevoli e condivise. Ritengono inoltre che l'accrescimento degli armamenti porterebbe solo a due conseguenze possibili, il prolungamento del calvario del popolo ucraino oppure - con una presenza ben più massiccia degli eserciti internazionali, finalizzata a sconfiggere definitivamente l'invasore russo - una pericolosissima escalation che potrebbe facilmente culminare nella terza guerra mondiale.

Nessuno prende alla leggera le argomentazioni di una parte e dell'altra, tuttavia ognuno, anche sulla base delle pochi informazioni attendibili che si hanno, deve prendere una posizione che si traduce in precise e concrete decisioni politiche, riguardanti chi governa ma anche ogni cittadino chiamato a scegliere i propri rappresentanti e a manifestare pubblicamente il dissenso nei confronti dei governanti. E' una decisione difficile, portando negli occhi i volti di coloro che stanno tremendamente soffrendo a causa di questo conflitto e condannando senza alcuna giustificazione l'aggressione russa. Tuttavia è necessario dire da che parte si sta, se dalla parte delle ragioni della nonviolenza attiva di ispirazione gandhiana o della triste necessità di derogare al principio secondo il quale la guerra non può mai essere uno strumento per risolvere i conflitti fra i popoli e le nazioni.

Personalmente ribadisco la mia posizione. Sono contro l'invio delle armi, a favore dell'intensificazione delle trattative, possibilmente con la mediazione dell'ONU o delle diplomazie europee, dalla parte di chi ancora crede che la nonviolenza attiva possa essere l'unico nuovo e vero mezzo per far vincere l'umanità e non la barbarie. 

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