I dati ufficiali annotano, fino a oggi, circa 3.540.000 persone contagiate dal coronavirus in Italia. 108.000 hanno purtroppo perso la vita, "per" il covid-19 o "con" il covid-19.
Chi lo avrebbe immaginato, un anno fa, all'inizio di questa terribile vicenda? Politici, uomini di spettacolo, anche scienziati e giornalisti, tutti avevano sottovalutato il rischio, prendendo atto solo molto tardi di ciò che esso esattamente avrebbe comportato.
Dal mese di marzo 2020 si è in emergenza e sono stati chiesti enormi sacrifici, le cui conseguenze si possono soltanto intravvedere. Si è partiti con l'obbligo di distanziamento, poi con quello delle mascherine, peraltro nei primi due mesi praticamente introvabili. Si è cancellata un'intera primavera, con la costrizione in casa di quasi tutta la popolazione. Gli operatori sanitari sono finiti loro malgrado in una vera e propria trincea, migliaia si sono ammalati e tanti sono morti, molti di essi all'inizio senza pgli indispensabili presidi e le protezioni. Si è chiusa la stragrande parte delle attività produttive e soprattutto bambini e ragazzi sono stati impediti ai contatti fisici, di fatto per un intero anno solare. Sono stati vietati per mesi i rapporti tra gli anziani nelle case di riposo e i loro parenti più stretti. Decine di migliaia di persone sono morte senza il conforto dei propri cari, spesso anche senza un ultimo saluto terreno. Un numero esorbitante di esercizi commerciali ha dovuto abbassare definitivamente le serrande, la crisi occupazionale e quella economica bussano alle porte della storia. Gli anni '20 del XXI secolo portano all'umanità grandi sfide e le preoccupazioni sono tante.
A Pasqua si diceva che le restrizioni avrebbero salvato l'estate, in estate che bisognava prepararsi a un difficile autunno, in ottobre era necessario fare sacrifici per salvare il Natale e a Natale tutti erano in zona rossa per salvare la primavera... e così via. Nonostante tutti questi grandi sacrifici, i "numeri" sono elevatissimi. Certo, qualcuno potrebbe dire che senza i vari dpcm e dl la situazione sarebbe stata senz'altro molto più grave. Tutto questo era indispensabile in attesa della soluzione, l'attesissimo arrivo dei vaccini che avrebbero finalmente cancellato l'incubo.
Anche su questo, qualche dubbio comincia a serpeggiare. Presentati come privi di qualsiasi rischio ed emblema del disinteressato amore della Scienza per l'essere umano, hanno di fatto suscitato tali perplessità da arrivare a bloccarne per alcuni giorni la distribuzione in numerosi Paesi europei. Per quanto riguarda inoltre gli aspetti di "giustizia", ogni giorno emergono scandali nella guerra commerciale tra le diverse case che tendono ad accaparrarsi il mercato. Là dove si cerca di pensare a una sorta di democratizzazione e internazionalizzazione degli interventi sanitari, come a Cuba, subito interviene l'interesse del Grande Capitale e i Paesi del Nord del mondo - anche l'Italia, clamorosamente non riconoscente - votano un assurdo embargo, nel momento più sbagliato possibile.
Anche le regole attuali, peraltro seguite con sempre minore convinzione da parte dei cittadini, fanno acqua da molte parti. In teoria, in zona rossa, non si potrebbe neppure uscire di casa se non per una piccola passeggiata nel proprio isolato o per una corsa a piedi e in bicicletta, rigorosamente da soli. Non si può andare al cinema o a teatro, neppure con tutti i contingentamenti previsti dal caso, ma si può andare tranquillamente a Messa o partecipare ai funerali, riempiendo di folla i cimiteri e perfino varcando i confini regionali. Non è possibile svolgere una camminata in (piccola) compagnia, ma si possono tenere manifestazioni statiche, senza limite di partecipazione, nelle piazze. Si può andare in vacanza all'estero, senza alcun divieto di assembramento e con l'unica avvertenza di un tampone 48 ore prima del rientro in Italia. Non si possono visitare i genitori anziani che risiedono oltre il confine di una Regione, ma si può andare a ballare nelle discoteche delle isole Baleari. Si rischia una solenne multa se si beve un caffè in piedi nelle vicinanze del bar, ma si può andare in auto fino all'aeroporto per raggiungere destinazioni esotiche.
Gli scienziati nel frattempo continuano a litigare su tutto. Dall'origine del virus a Wuhan alle previsioni per il futuro, dall'efficacia dei vaccini alla validità delle prescrizioni, dalle regole sanitarie e igieniche alle forme di prevenzione. I media, abilmente gestiti dalle centrali politiche, sostengono una tesi o l'altra, cambiando parere a ogni giro di vento, per offrire posizioni importanti ai concorrenti in permanente campagna elettorale.
Tutto ciò per dire che al fondo si accetta ormai tutto, con una sorta di rassegnazione e di fatalistica speranza in un qualcosa che dovrà accadere "nel prossimo futuro", la fine naturale della pandemia, l'immunità di gregge, il ritorno delle condizioni precedenti, i ristori o rimborsi alle aziende, la luce che splende nelle tenebre e così via.
Ci si sta abituando all'impensabile, a relazionarci nelle riunioni tramite le mille piattaforme informatiche, alla didattica a distanza, al non salutarsi più per strada perché non ci si riconosce, a rinchiuderci nelle case, obbligati dal divieto di farsi trovare in strada dalle 22 alle 5 o da una sorta di assuefazione all'inedita situazione di isolamento, di solitudine e di irreale silenzio.
Senza essere tacciati di negazionismo o irresponsabilità, si possono ancora evidenziare questi problemi e chiedere a chi deve decidere di non trascurare questo cambiamento degli stili di vita che potrebbe diventare irreversibile? Si possono individuare anche gli elementi costruttivi, legati a una riscoperta della propria soggettività? Si può nel contempo evidenziare come lo smarrimento della dimensione comunitaria potrebbe portare facilmente all'obbedienza acritica al padrone del vapore di turno? L'enfatizzazione del "virtuale" non rischia di rinchiuderci tutti in un mondo alternativo, in una specie di fiction in grado di rovesciare pericolosamente il senso stesso della realtà, ma anche del pensiero? La domanda sul "chi sono io?", svincolata da un "chi sei tu?" fondato sull'accoglienza dell'altro nella sua integralità, non rischia di essere ridotta all'identificazione di un'immagine su un teleschermo?