Il primo pensiero va alla vittima, alla moglie, alla famiglia. Come è possibile essere uccisi per una semplice richiesta di un aiuto economico? E' possibile perché si è creato un clima intollerante e intollerabile, che identifica il povero con una minaccia e lo straniero con un pericolo. Ne si è responsabili un po' tutti, dai politici che predicano quotidianamente contro le politiche migratorie o che non trovano alternative alla chiusura delle frontiere fino a ogni cittadino che risponde con astio a chi tende la mano per ricevere un sussidio. E' difficile immaginare che non ci sia uno sfondo razziale nella vicenda di Giulianova, ma non si risolve il problema puntando il dito soltanto contro il pazzo che ha ucciso Alika e neppure soltanto su una comunicazione mediatica troppo spesso parziale e superficiale.
Questa morte deve far pensare. Sì, non solo chi è chiamato al nobile compito di scrivere le leggi e farle rispettare - ma quanti anni di ritardo, se si pensa che i percorsi migratori sono regolati ancora dall'ormai ventennale legge Bossi-Fini e che lo Stato sociale è in generale più in crisi che mai - ma anche chi entra o esce dal supermercato o cammina per le vie della città. Come si "guarda" chi propone l'acquisto di un libro consunto, di uno dei mille accendini o pacchetti di fazzoletti che riempiono le nostre case? Come lo si saluta, come lo si aiuta o con quali parole o gesti semplicemente si declina legittimamente il suo invito? E' un vero e proprio esame di coscienza, forse in grado di farci abbozzare un sorriso invece di uno sguardo torvo, una parola cordiale piuttosto che un giudizio sommario, una piccola attenzione piuttosto che un'indifferenza colpevolizzante. In altre parole, riconosco nel volto della venditrice o del venditore, nella mano tesa che richiede una moneta, il volto o la mano di una sorella o di un fratello? Oppure solo di uno scocciatore che non dovrebbe avere il diritto di calcare il suolo cittadino? Sì, perché dalla risposta a questa domanda, la morte di Alika potrebbe rimanere il segno di una violenza privata di un energumeno isolato e schiacciato dalla follia indotta dalla società del Capitale oppure potrebbe essere solo una tragica tappa di una scia di sangue destinata a divenire un inarrestabile e disumano fiume.
Forse andando un po' controcorrente, non mi scandalizza infine particolarmente il fatto che i presenti abbiano filmato l'evento invece che cercare di fermare l'aggressore. Stando ai resoconti del giorno dopo, i testimoni non erano più di quattro, tutti fisicamente deboli, difficilmente in grado di scagliarsi inermi contro un uomo in preda a una rabbia incontenibile e folle. Cosa avrebbero dovuto fare, senza essere eroi? Hanno chiamato le forze dell'ordine, giunte purtroppo troppo tardi per salvare la vita della vittima ma in tempo per arrestare l'aggressore. E hanno filmato l'evento, perché no?, non per compiacersi di ciò che stava accadendo, ma per offrire un documento inoppugnabile da consegnare alla giustizia, una serie di immagini destinate a suscitare orrore e a far pensare a ciò che ognuno di noi realmente è. Perché, mentre un giornalista professionista cerca immagini cruente per descrivere agli spettatori gli orrori di una guerra nella speranza di farsi capire meglio, un cittadino non può fare altrettanto esercitando l'unico potere possibile in un simile contesto, cioè quello di trasformare l'evento in documento? Come del resto è accaduto, dal momento che difficilmente si può negare che siano state proprio quelle immagini a fare di uno dei purtroppo tanti simili fatti di cronaca nera, un momento emblematico della situazione universale dell'Italia e degli italiani attuali. Forse l'orrore suscitato da quelle riprese ha reso almeno un po' meno inutile e vana la morte violenta di un uomo.