sabato 31 dicembre 2022

Il 2022 in archivio...

 

Tramonta un anno, il 2022. Come ogni periodo della vita, individuale e sociale, ha portato con sé speranze e delusioni, gioie e sofferenze, soluzioni e nuovi problemi.

Detto nel post precedente della scomparsa di Josef Ratzinger, cosa ricordare, a cosa si pensa immediatamente quando si pronuncia il numero 2022 (duemilaventidue, non ventiventidue, per favore)? 

A livello internazionale la guerra tra Russia e Ucraina ha sostituito, nelle preoccupazioni della parte ricca del Pianeta, la pandemia globale che comunque, con alti e bassi, ha continuato il proprio corso. Se è sconvolgente il numero di giovani vite falciate da un conflitto che sembra pilotato da tutt'altri interessi che quelli conclamati dagli stati combattenti, rimangono accesi nel silenzio quasi generale tanti altri focolai, che bruciano altrettante esistenze. In ogni Continente continuano i movimenti di milioni di esseri umani che fuggono dalla fame e dalle bombe, quasi sempre rifiutati dai Paesi che potrebbero accoglierli e offrire loro una nuova chance per proseguire il loro cammino. 

A livello nazionale è stato un anno di elezioni. Nei primi mesi dell'anno è stato riconfermato Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla fine della primavera sono stati eletti i sindaci di Roma e di altre importanti città italiane, all'inizio dell'autunno, dopo la prevedibile crisi del governo Draghi, le "politiche" hanno consegnato alla Destra l'Italia, forse più per demerito degli avversari politici che per merito dei vincitori. O meglio, della vincitrice, Giorgia Meloni, prima donna presidente del consiglio, chiamata alla prova dei fatti a realizzare un progetto governativo che entusiasma una parte numericamente notevole dell'elettorato e che getta nello sconforto gli oppositori. In ogni caso, più che tentare di smontare un innegabile consenso con prese di posizione lontane dalla concreta e difficile realtà con la quale si devono misurare ogni giorno i cittadini, la sinistra - ammesso che ancora esista - dovrebbe proporre progetti e programmi realmente alternativi. Non giova piangere sul latte versato, il decennio appena trascorso ha visto protagonista un partito sedicente di sinistra che tutto ha fatto, meno che intensificare il supporto alle grandi sfide sociali del nostro tempo. Se non si impostano le basi per una nuova visione della società e del sistema economico che la supporta, non si potranno proporre politiche sostenibili riguardo alla povertà crescente, alla necessità di accogliere e non respingere i migranti, alle trasformazioni del mondo del lavoro, alla gestione dei grandi cambiamenti climatici e dell'inquinamento, alla visione internazionalista "dalla parte dei più deboli".

Anche il territorio goriziano ha visto importanti cambiamenti, a cominciare dalle elezioni amministrative a Gorizia e Nova Gorica, dove, rispettivamente, è stato confermato il sindaco Ziberna ed è stato scelto il nuovo sindaco Turel. Il percorso di avvicinamento al 2025 sembra ai più molto lento e forse la maggior debolezza sta nel mancato coinvolgimento della popolazione, da una parte e dall'altra del confine. Ci sarà un soprassalto creativo? Si spera di sì, anche se sembrano già mancati alcuni obiettivi decisivi perché l'anno sia un punto di inizio e non una celebrazione fine a sé stessa. Del principale elemento, l'insegnamento curricolare delle rispettive lingue nelle scuole in Italia e in Slovenia, non se ne parla. Così come, al di là delle buone intenzioni e della realizzazione di lodevoli infrastrutture ciclabili, sembra che si sia molto indietro rispetto a ciò che dovrebbe essere specifico della "nostra" capitale europea della Cultura, ovvero la capacità di trasformare un luogo dove è stato versato tanto sangue  causa delle guerre mondiali in un vero e proprio laboratorio di pace e giustizia. Perché questo accada, occorre veramente che tutti, nessuno escluso, si sentano coinvolti in questa potenzialmente straordinaria avventura.

Un'altra immagine di questo anno trascorso è quella del caldo intenso che ha caratterizzato tutta l'estate e con esso, gli incendi che hanno interessato il Carso. Da una parte c'è grande tristezza per una devastazione inenarrabile, un senso di vuoto che permane ancora, osservando da lontano gli spazi vuoti e desolati, là dove fino a qualche mese fa c'erano dei bellissimi boschi. Dall'altra parte c'è un senso di ammirazione e gratitudine per le migliaia di donne e uomini - gasilci, vigili del fuoco, forestali e forze dell'ordine, volontari sloveni e italiani - che hanno lavorato insieme, fianco a fianco, in un'estenuante lotta per limitare, per quanto possibile, i danni provocati dalle fiamme.

Un ultimo pensiero - tra i tanti che ognuno sicuramente porta nella mente e nel cuore - va al mondo dei migranti, messo a dura prova da tutti i governi che si sono succeduti e dall'intensificazione delle misure già avviata dall'attuale. La criminalizzazione delle ong che percorrono il mare per salvare vite umane minacciate dai naufragi, è disumana e inaccettabile. Così come non è possibile che in una città come Gorizia non ci sia altra soluzione che dormire all'addiaccio per le persone che soggiornano la sera nella stazione ferroviaria. Anche qua, da una parte si resta perplessi davanti agli auguri natalizi all'interno dei quali il sindaco non fa alcun cenno alle centinaia di persone che transitano ogni giorno per la città, spesso in condizioni assai difficili, e addirittura si vanta di aver ripulito la galleria Bombi dagli immigrati che egli stesso avrebbe dovuto provvedere a ospitare, qualche anno fa. Dall'altra è da sottolineare l'encomiabile sforzo di tanti volontari che in tutti i modi possibili sopperiscono alle carenze delle pubbliche istituzioni.

Da Josef Ratzinger a Benedetto XVI

 

Ho incontrato personalmente Josef Ratzinger in occasione di un corso di esercizi spirituali da lui tenuti a Collevalenza nel 1986. Lo avevo conosciuto indirettamente nel corso degli studi teologici attraverso i suoi numerosi libri, primo fra tutti l'"Introduzione al Cristianesimo", un compendio di teologia fondamentale ispirato ai documenti del Concilio Vaticano II.

Dal punto di vista dei suoi studi e del suo importante servizio alla Chiesa Cattolica, sono da distinguere diversi periodi della sua vita.

Come valente e apprezzato insegnante, ha fatto parte del gruppo di teologi tedeschi che hanno cercato di tradurre in pensiero e riflessione l'esperienza del Concilio. Alcuni, tra essi i più noti sono stati senz'altro prima Hans Kung e poi Walter Kasper, hanno cercato di sottolineare la necessità di rileggere il cattolicesimo attraverso la lente dell'ecumenismo e dl dialogo interreligioso, mettendo in dubbio anche alcuni dei fondamenti della tradizione dogmatica. Ratzinger si è in quel tempo dimostrato sicuramente molto più prudente, senza per questo venire meno all'apprezzamento nei confronti del principio del dialogo e delle acquisizioni dei suoi colleghi.

La seconda fase della sua "carriera" lo vede vescovo nell'importante sede di Monaco di Baviera. alla sapienza intellettuale si aggiunge in questo periodo l'immersione nel vissuto della comunità, sia pur dal punto di vista elevato e un po' distaccato che necessariamente compete alla guida di qualche milioni di fedeli battezzati. In ogni caso l'approfondimento del pensiero coniugato all'impegno pastorale offre al presule la base teorica e pratica dei suoi interventi nei centri più importanti del governo dell'intera chiesa cattolica.

Chiamato da papa Wojtyla alla presidenza della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant'Uffizio), il cardinale si distingue da subito per la ferrea fedeltà all'insegnamento ufficiale della Chiesa, affrontando da subito il tema ritenuto decisivo. L'interesse teologico del Prefetto, divenuto nel frattempo in ogni situazione il principale e più vicino collaboratore di Giovanni Paolo II, si rivolge al rapporto tra fede e ragione, alla relazione tra rivelazione biblica e rivelazione naturale, ai fondamenti teologici dell'etica e ai principi universali della legge morale. Dalla sua ricerca scaturiscono gli appunti trasformati in alcune delle più note encicliche del papa polacco, in primis Fides et Ratio e Veritatis Splendor. E' direttamente firmatario anche di altri discussi documenti pubblicati a nome della Congregazione, tra essi un'istruzione riguardante il rapporto di subordinazione della filosofia alla teologia e una dichiarazione riguardante il dialogo interreligioso, la Dominus Jesus, sorprendente retromarcia rispetto alle indicazioni più "spinte" del Vaticano II.

Scelto per totale continuità come successore di Giovanni Paolo II, il nuovo papa sceglie il nome di Benedetto XVI, forse in memoria e onore di quel Benedetto XV che aveva definito la prima guerra mondiale un'"inutile strage" e un'"orrenda carneficina". Fin dall'inizio si trova in difficoltà. Da una parte non ha la personalità travolgente del predecessore e neppure il sostegno di un giornalista competente e capace di "creare immagine" come fu Navarro Valls con Wojtyla. Dall'altra parte il senso si distacco nei suoi confronti si acuisce in occasione di alcuni interventi pubblici non compresi fino i fondo se non addirittura manipolati dai media non particolarmente compiacenti nei suoi confronti. Il momento cruciale, dal punto di vista dell'impostazione teorica del suo pontificato, è stato il famoso discorso presso la (sua) Università di Ratisbona, nel 2006. La sua riflessione, straordinariamente importante, è stata velata da un'improvvida citazione del profeta Mohamed, raccolta dalla stragrande parte dei commentatori come una, peraltro reale se decontestualizzata, offesa nei confronti dell'Islam.

In realtà quel discorso conteneva il piano complessivo del pontificato. Ratzinger, con profondo acume filosofico e teologico, contempla un'umanità in crisi e ritiene di avere una risposta ai problemi che attanagliano il mondo. Su questo progetto getta tutte le sue carte, impegnando completamente più sé stesso che la chiesa nel suo insieme. Il punto fondamentale è l'asserzione secondo la quale non è possibile comprendere il cristianesimo, se non dentro le categorie culturali che gli hanno consentito di affermarsi nel contesto dell'Impero Romano. Il Vangelo di Gesù Cristo deve essere quindi riletto e interpretato anzitutto, se non esclusivamente, all'interno del pensiero filosofico greco ed ebraico. Solo un ritorno alle origini, non solo dell'evento Cristo, ma anche del suo prolungamento nella Chiesa, consente una piena comprensione e fonda la corretta inculturazione della fede anche nei nuovi contesti missionari. Di fronte all'avanzare del pensiero debole e della liquida post e ultra modernità, Benedetto XVI chiede all'umanità contemporanea di compiere una specie di passo indietro, aggrappandosi alle solide mura dell'impianto aristotelico tomista, caratteristico del medioevo cristiano. Si tratta di ripresentare e di rivalutare l'oggettività del pensiero logico, etico ed estetico, radicato nella certezza incrollabile della rivelazione naturale e di quella biblica, affidata alla corretta interpretazione autorevole e in certi casi infallibile del Magistero della Chiesa. Solo così, la ragione umana potrebbe avere la meglio sulla destabilizzazione prodotta dal relativismo etico, che rende ciascun individuo, unico padrone del proprio destino e come tale non essere libero, ma facile preda degli appetiti incontrollabili dei Potenti.

Si tratta insomma di un progetto grandioso di restaurazione di un tempo indicato come ideale, nel quale la Verità era immediatamente percepita come "una", la Bontà era chiaramente distinta dalla malvagità e il Bello piaceva incontestabilmente, sottratto alle deboli persuasioni di "ciò che piace".

Si sa che l'orologio della storia non può esser riportato indietro e il programma ratzingeriano, per quanto affascinante e motivato, era destinato a fallire. I consueti intrallazzi Vaticani, giunti fino al furto di documenti dal cassetto papale da parte del classico maggiordomo e alla pubblicazione di carte decisamente inquietanti da parte di acuti giornalisti, hanno sicuramente dato il colpo di grazia alle aspettative del pontefice. Ma la vera grandezza del suo atto di dimissioni - reali al 100%, checché qualcuno ne dica aggrappandosi a cavilli canonici marginali - sta nell'intelligenza e nell'umiltà di un uomo che ha preso atto del fallimento del suo progetto, della mancata realizzazione del sogno del ritorno al cristianesimo imperiale, della necessità, per il bene della da lui tanto amata Chiesa, di farsi da parte lasciando ad altri il compito di aggiornare l'agenda, in tempi di enormi urgenze e decisive scelte.

La strada del dialogo e di un nuovo accordo tra tradizione e modernità è di nuovo aperta, da perseguire con amorevole e preoccupata passione, consapevoli - grazie alla sofferta storia di Josef Ratzinger teologo vescovo prefetto e papa - che ormai non è più possibile tornare indietro. 

Riposi in pace, dopo questi suoi ultimi dieci anni, vissuti relativamente ai margini della storia della Chiesa, con l'inedito e poco appropriato titolo di papa "emerito".

giovedì 29 dicembre 2022

Tanti auguri...

 

E' bella la montagna. Come negarlo in una giornata limpida?

Sono affascinanti gli abitanti dei monti, quelli di una volta o quelli che ancora resistono nei villaggi sparsi, non del tutto travolti dalla civitas della comodità. Come negarlo, quando si pensa all'aria pulita, ai prati verdi, alle nevi che coprono come un manto silenzioso i campi?

In realtà, ordinariamente, la vita tra i monti è assai difficile. Basti pensare alle donne della Carnia, che rientravano con le gerle immense sulle spalle, dopo ore di duro lavoro per strappare alla terra il fieno con il quale alimentare il proprio povero bestiame. O ai pastori nelle malghe del Krn o del Montasio, nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. O al continuo combattimento con il gelo nelle povere case riscaldate da qualche tronco superstite dalla buona stagione. 

E anche chi la incontra solo per una gita, spinto dalla passione per la natura incontaminata, conosce spesso il terrore del fulmine caduto a qualche metro di distanza, il fragore sinistro della valanga, le uggiose settimane ininterrotte di pioggia, condite dal rumore secco di qualche masso staccato dalla vicina parete rocciosa, quando non dalla minaccia dei fiumi ingrossati dalle acque.

Tutto ciò per dire che la realtà sfugge sempre alle semplificazioni e che la vita stessa non può essere inquadrata nelle categorie del successo e della sconfitta, della realizzazione o del fallimento, della soddisfazione o della frustrazione. Chi viveva e in qualche caso vive ancora nelle valli alpine, quelle più lontane dagli impianti sciistici e dai resort turistici, conosce la mescolanza del pianto e del sorriso, radicato come è nella terra arida della sua atavica tradizione. E chi percorre i meandri delle Metropoli, dormendo in caseggiati di lusso o sulle panchine che punteggiano i viali, conosce il sapore amaro della disperazione, come pure quel tepore interiore che caratterizza i rari momenti di una felicità, che non ha tempo né radice. 

Insomma, quando ci si rivolge un augurio di buon anno, non si fa niente di straordinario, se non rendersi presente all'altro, dirgli sommessamente "io per te ci sono". Si sa bene che non c'è alcun motivo valido per credere che davvero l'anno che verrà sarà migliore del precedente, anzi, dato che tutto ciò che esiste apparentemente tende verso una fine, si può con buone ragioni supporre che accadrà il contrario. tuttavia fa piacere sentirsi dire "tanti auguri", perché ci fa superare il senso di solitudine e malinconia esistenziali che caratterizzano, stranamente, ogni momento di festa. E' vero che nel tempo dell'informazione globale, il saluto particolare del vero amico è travolto e soffocato da migliaia di like. Come accade quando si cammina in una grande città, piena di traffico e di gente indaffarata, ci si sente invisibili e non sempre questa sensazione è spiacevole. Tuttavia l'inatteso "ciao" sincero fa emergere dalla nebbia della folla indistinta un volto umano, si percepisce la forza di un legame che trascende le onde su cui viaggia internet e riempie di colore perfino un modesto tweet.

Insomma, sui mari e sui monti, con il bel tempo o nella tempesta, nell'estrema povertà o nel lusso, nel pianto o nel riso sfrenato, l'unico augurio che veramente conta è che si affievolisca l'immensa sofferenza che trabocca dalle falle di ogni istante. E che ogni essere umano si convinca che solo in questo modo qualcosa può ancora cambiare, se si accetta di essere in questo mondo, per togliere almeno una piccola porzione dell'immenso mistero del Dolore, quello creato dall'iniquità, dalla violenza, dalla guerra e quello naturale che comunque ci attanaglia e ci determina.

sabato 24 dicembre 2022

venerdì 23 dicembre 2022

Verso Natale, etsi deus non daretur...

 

Un bambino, solo e in fasce, adagiato sul fondo del mare. I pesci, uno diverso dall'altro, lo circondano. Qualcuno è un po' incuriosito, si avvicina, gli altri sono del tutto indifferenti. Vicino c'è un mostro marino che vuole inghiottire tutto ciò che sembra muoversi. Si avvicina al bimbo, minacciosamente, non sembra esserci via di scampo, le acque profonde o le fauci della bestia avranno la meglio sul piccolo, sorpreso e impaurito, in attesa.

Quanti bambini in carne e ossa sono nella sua stessa situazione? Circondati dalle acque del mare e dei fiumi impetuosi, sprofondati per sempre nell'oblio cosmico o rigettati pietosamente su qualche spiaggia d'Oriente. Riusciranno, come Giona a Ninive, a risvegliare le coscienze sopite? Torneranno dalla morte a una vita totalmente nuova, in un mondo emancipato dall'egoismo e dalla violenza? Apriranno la strada della giustizia, della fraternità universale, dell'autentica Pace?

Di anno in anno il "Buon Natale" viene augurato con sempre maggior cinismo e inconsapevole ipocrisia. Il venditore di almanacchi di Leopardi lo aveva detto in modo incontestabile, non c'è alcun motivo razionale per immaginare che un nuovo anno possa essere migliore di quello appena trascorso. E allora, ha ancora un senso gioire nel tempo del Sole rinascente, cercare di sfuggire alla morsa nauseante del consumismo imperante che vorrebbe far dimenticare la stragrande parte di un'umanità che vorrebbe fuggire dalla fame, dalla guerra, dall'analfabetismo, dall'odio ideologico o religioso?

La statuina del presepio collocata nel cuore del mosaico del mare di Giona ad Aquileia, sembra voler rispondere di sì. Sì, ha ancora un senso, ma solo se si esce dalla logica fatalistica della ripetizione incessante dei medesimi schemi e si entra in quella dominata dalla Speranza. Non c'è nulla di logico, neppure di etico e di estetico nella fede in un Dio che condivide l'oceano del dolore umano e che proclama - senza alcuna possibilità di dimostrazione razionale - il trionfo del bimbo sul mostro marino e la liberazione di tutti i pesci dall'incombente e apparentemente inevitabile destino di morte. E' questa Speranza, quasi sempre inconciliabile con la ragione, una forza interiore che può rinsaldare l'imperativo morale, l'impegno nella quotidiana lotta contro il male, nel diuturno servizio affinché ogni essere vivente sia rispettato nella sua essenziale e irriducibile dignità.

mercoledì 21 dicembre 2022

Buon solstizio 2022!

Alle 21.48 ci sarà il solstizio di dicembre e inizierà ufficialmente la stagione dell'inverno.

Il Sole sembra per un istante "sostare" nel suo corso, per riprendere subito dopo la sua apparente marcia intorno alla Terra. E' il momento della massima vicinanza, ma anche, nell'emisfero boreale, della massima inclinazione rispetto all'asse terrestre.

Per questo è il momento più buio e più freddo. Da ora in poi, la luce tornerà progressivamente a illuminare le mattine e le sere della vita. Inoltre - ma ci vorrà ancora un po' di tempo - i raggi più diretti torneranno a scaldare l'aria e il suolo. Nella terra apparentemente arida e senza vita, i semi attendono l'istante potente del germoglio e tutto ciò che esiste sembra determinato dall'attesa di una nuova Primavera.

Non è un caso che gli antichi celebravano in questi giorni le loro feste più importanti e che papa Leone Magno, quando ritenne giunto il momento di ricordare la nascita di Gesù, la fissò proprio in questi momenti di naturale festa e gioia in onore del Sole nascente. Del resto, la stessa parola "Dio" sembra derivare dal fonema sanscrito "Vau", che indica la luce e il calore che promanano dalla nostra cara Stella.

Nell'oscurità di un tiepido dicembre, tutto sembra respirare in una lenta solitudine. Eppure tutto ruota incessantemente, alla folle velocità di oltre 1.000 km/h e la nostra fragile zattera multicolore corre intorno al Sole, raggiungendo i 107.000 chilometri all'ora. Tutto è in movimento e forse nulla si muove, nella drammatica dinamica della gravità universale. Non resta che inebriarsi, accostando le labbra avide al succo agrodolce che scaturisce dall'effimera fonte della Vita.

Buon solstizio, allora!

lunedì 19 dicembre 2022

"Europa" e "Cultura". Molte domande per una "capitale" possibile

 

Nova Gorica e Gorizia, da Sveta Gora
Capitale europea della Cultura 2025. 

Perché "capitale"?

Perché il progetto di Nova Gorica con Gorizia è stato riconosciuto veicolo di un importante messaggio che interessa l'intera Europa.

Ma quale Europa? Quale "Cultura"? Quale messaggio?

Cosa significa essere "europei"? Esiste "una" cultura europea? La terribile guerra che si combatte ancora in Ucraina ha rivelato - ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno! - l'intrinseca debolezza di un Continente che si estende dall'Atlantico agli Urali, che è ben lontano dal sentirsi unito e dal riconoscersi dentro un orizzonte di valori storici, etici, giuridici comuni.

E' vero, una parte importante, ben 27 Paesi, si trova sotto il cappello dell'Unione Europea, ma la tragica impotenza di fronte alle crisi dei Balcani degli anni '90 e al conflitto russo/ucraino attuale, dimostra quanto questa "unione" sia in realtà sottoposta ai potentati finanziari e militari che soffocano il Mondo. Una parte dei 27 fa parte dell'Area Schengen, si possono attraversare i confini senza neppure mostrare i documenti. Sì, ma solo se sei membro del club. Se arrivi da qualche altra parte del Pianeta e fuggi per fame o per guerra, se cerchi di attraversare il Mediterraneo o i fiumi impetuosi dei Balcani, le frontiere ci sono ancora, eccome! E se per caso riesci ad arrivare fino all'Eldorado, appena vieni preso, sei rispedito fin dove sei venuto, "riammissioni" si chiamano... E una parte dei 27 è unita anche dalla stessa moneta, non occorre scervellarsi per capire quanto costa un caffè o un litro di latte. Ma si sa che l'euro non costruisce cultura, ma favorisce affari, quegli affari che fanno sì che i (tanti) poveri siano sempre più poveri e i (pochissimi) ricchi siano sempre più ricchi. E allora, quale Europa chiede a Nova Gorica e Gorizia di essere capitale europea della Cultura? Quella dei banchieri o quella dei mercanti d'armi? Quella aperta ai popoli e alle nazioni di tutto il Pianeta o quella macerata da tentazioni razziste, di chiusura a prescindere di fronte a qualsiasi possibile cambiamento? Quella di Tolstoj, Kafka, Kosovel, Montale, Thomas Mann, Camus, Picasso? O quella dei macellai che l'hanno insanguinata nel corso del secolo breve e che continuano oggi la loro opera? Quella che chiede la memoria della proprie radici cristiane o quella che procede verso una nuova dimensione in grado di far sentire ciascuno totalmente "a casa propria"? Quale Europa? Dove sta andando l'Europa? Chi è l'"homo europeus" dei primi decenni degli anni 2000?

Poche parole possono assumere così tanti diversi significati come "Cultura". E' il patrimonio che riceviamo e che ci fa essere quello che siamo, ma anche il nostro specifico contributo - quello che solo ogni vita individuale può portare - alla crescita culturale dell'intera umanità. In fondo, la questione dell'appartenenza e dell'identità è da relativizzare. prima di ogni altra definizione, si è umani, se non ancora più ampiamente, "viventi". L'etichetta che ci diamo, la nazionalità, la religione, la concezione filosofica, altro non sono che il frutto della straordinaria immaginazione umana. Sono realtà virtuali, che esistono solo perché noi le abbiamo create, per vivere meglio, non perché i detentori del potere distruggano i più deboli e i più fragili. Sono realtà virtuali, ma "in nome di Dio, Patria e Famiglia" decine di milioni di esseri umani si sono scannati ritenendo che il frutto della propria immaginazione fosse più maturo di quello dell'altro, definito velenoso, pericoloso, indegno di sopravvivenza. Forse allora Cultura è tutto ciò che fa crescere il patrimonio di umanità e che rende l'umanità maggiormente consapevole del compito di custodire l'universo intero. AntiCultura è tutto ciò che vuole la distruzione dell'umano e di conseguenza la devastazione dell'ambiente, la soppressione della Madre Terra. In questo senso, la ricchezza "virtuale" che ogni persona, come ogni popolo, porta con sé, nel momento in cui "si perde" nella condivisione con il "diverso da sé", diventa ricchezza culturale per tutti e rende possibile la crescita di un'autocoscienza costruttiva, carica di bellezza e di senso. La Cultura cresce nella misura in cui rinuncia a sé stessa per donarsi all'altro, inevitabilmente trasformandosi perennemente. Da ogni incontro non si può che uscire cambiati, radicalmente trasformati, non si è più quelli di prima. La "morte" della propria identità è condizione perché ne nasca una nuova, in modo generativo e simpatetico. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà per la causa dell'Umanità, la troverà (parafrasando uno che se ne intendeva...).

E allora? Allora la Capitale europea della Cultura è un dono e una responsabilità. E' un impegno che va ben oltre qualche centinaia di lodevoli e interessanti iniziative, qualche miglioramento infrastrutturale o alcuni istanti di empatica fraternità transfrontaliera, qualche occasione in più per rilanciare il turismo di nicchia. E' la decisione di due città di essere veramente una, di ogni cittadino di offrire la propria identità e la propria storia all'altro, ma anche di accettare con entusiasmo lo stesso dono dall'altro. Non è un reciproco annullamento, né la cancellazione della distanza naturale che separa ogni essere umano dall'altro suo simile. E' invece la scelta consapevole di trasformare Nova Gorica e Gorizia in uno spazio totalmente nuovo da abitare, ciascuno portando in esso, progressivamente, una parte importante del proprio essere. E' un rischio, perché se vissuta così la capitale della Cultura farà di Nova Gorica e Gorizia una nuova, completamente inattesa e imprevedibile realtà, là dove la valorizzazione della diversità - di tutti, non solo degli italiani, degli sloveni e dei friulani - sarà la condizione del realizzarsi dell'unità. Per questo il vero criterio di verifica sarà quello dell'accoglienza e dell'accessibilità. Le decine di persone che in questi giorni rischiano di morire di freddo, dopo la chiusura della stazione centrale, dicono quale NON deve essere la strada da intraprendere. Solo la città che apre le sue braccia a chi è più debole, è degna di fregiarsi del titolo di Capitale europea della Cultura.  

sabato 17 dicembre 2022

L'infanzia di un genio. Al Kulturni dom la mostra su Nikola Tesla.

 

E' stata inaugurata ieri presso il Kulturni dom di Gorizia ed è visitabile fino alla prima metà di gennaio, un'interessante mostra dedicata a Nikola Tesla (1856-1943). Tutti conoscono l'incredibile spirito inventivo di un personaggio che ha dedicato tutta la sua vita allo studio e alla ricerca, scoprendo leggi naturali, inventando straordinari macchinari e immaginando potenzialità dell'intelligenza umana e della natura, tuttora da indagare e potenziare. Si sa anche della sua "rivalità" con altri personaggi famosi, collaboratori e nello stesso tempo antagonisti nei diversi centri di ricerca degli Stati Uniti, quali Edison e Marconi, che gli "soffiò" l'invenzione della radio. Grazie a Tesla si sono scoperte le opportunità offerte dalla corrente alternata, ci si è avvicinati all'uso dei raggi x in vari ambiti dell'esistenza individuale e sociale, si è prospettato l'uso delle energie cosmiche nelle comunicazioni. Non è stato molto capito e apprezzato, nel corso della sua vita e ha "mancato" il Nobel più a causa dei contrasti con Edison che per motivi prettamente scientifici. E' stato anche un personaggio alquanto originale, con le sue idee, come anche con alcune sue manie ossessive, è diventato, forse suo malgrado, anche un punto di riferimento per lo spiritualismo e l'esoterismo del XX secolo. 

La mostra del Kulturni dom non presenta l'intera vita e opera di Nikola Tesla, ma soltanto i primi anni, quelli che giungono fino all'adolescenza. La si potrebbe intitolare "L'infanzia di un grande scienziato". La visita consente non solo di conoscere un Tesla bambino particolarmente intelligente, simpatico e socievole, ma anche di farsi un'idea del tenore di vita di Smiljan, il paese natale e di Gospič, il centro più grande della zona, dove frequenta le scuole medie, prima di raggiungere Karlovac, Graz e Budapest per il prosieguo della carriera scolastica. I pannelli esposti al Kulturni provengono proprio da Gospič, dove è allestito un importante Museo, dove è possibile ripercorrere - attraverso reperti, testimonianze e immagini - la storia di questo grande genio.

Chi è il "genio"? E' colui che non si limita all'ordinario quotidiano, ma guarda avanti, rendendo presente nella sua immaginazione un futuro che per un breve periodo appartiene solo a lui. Difficilmente il genio - scientifico, artistico, filosofico, politico, religioso, ecc. - è riconosciuto come tale dai suoi contemporanei, i quali ordinariamente si sentono giudicati nel loro abbarbicarsi alle presunte sicurezze dell'istante. Reagiscono per questo deridendolo, ostacolandolo, confutando senza sosta le sue idee, nel nome del dogma indiscutibile del "si è sempre fatto così". Il genio non demolisce la tradizione, soltanto la relativizza, utilizzandola come il piedistallo sopra il quale edificare il proprio specifico e unico monumento scientifico. Perseguitato in vita, raramente riesce a godere del riconoscimento delle sue intuizioni. Ma anche quando ciò avviene, il genio è come un pellegrino che raggiunge Compostela e si sente dire da un monaco sul portone della Cattedrale: "no aqui, ultreya y suseya", non qui, sempre avanti e sempre oltre. Quando i più raggiungono il suo livello, egli sa di non potersi fermare e di dover procedere, rifuggendo dagli onori e ricominciando subito la strada di nuove prospettive, di nuove invenzioni e ovviamente di conseguenza, di nuove incomprensioni e persecuzioni. Non si ferma, anche perché probabilmente gli risulta difficile e a volte insopportabile prendere atto di quanto le sue aperture verso il futuro siano utilizzate non per il bene, ma per gli interessi di pochi senza scrupoli, capaci di trasformare in strumenti di guerra, le invenzioni nate dalla più ferrea intenzione di porsi al servizio dell'umanità. E' un'esistenza sempre drammatica la sua, ma quanto bisogno abbiamo, in ogni momento, della presenza e dell'intuizione del genio!

giovedì 15 dicembre 2022

Nel ricordo di Pierluigi Di Piazza, ecco la Lettera di Natale 2022

 

E' stata presentata oggi a Zugliano la tradizionale "Lettera di Natale", scritta ormai da due decenni, da un gruppo di preti e laici e rivolta alle persone e alle istituzioni regionali e nazionali. Il testo integrale si può scaricare dal sito del Centro Balducci oppure semplicemente approfittando di questo link: http://www.centrobalducci.org/easyne2/LYT.aspx?Code=BALD&IDLYT=359&ST=SQL&SQL=ID_Documento=4250 

Procedendo da un affettuoso ricordo di don Pierluigi Di Piazza, amico e compagno di strada, sempre tra gli estensori delle "lettere" precedenti, i firmatari evidenziano diverse problematiche attuali. Si parla di migrazioni e di guerra, ma anche di testimonianze di accoglienza, nonviolenza e pace. Ci si rivolge a chi sovrintende le politiche internazionali, ma anche e soprattutto alla quotidiana lotta di ogni essere umano chiamato a edificare la cultura della giustizia, della legalità, dell'autentica democrazia e, appunto, della pace.

Molti dei problemi che attanagliano il mondo attuale, hanno riflessi evidenti e forti sul nostro territorio. Non poteva mancare un accenno alla situazione dei profughi e alla ripresa dell'illegale pratica delle riammissioni in Slovenia dei migranti giunti in Friuli-Venezia Giulia attraverso la rotta balcanica. A questo drammatico tema, sempre al Centro Balducci di Zugliano, sarà dedicata un'importante conferenza stampa, il prossimo sabato 17 dicembre, alle ore 11.30.

Questa lettera è un dono, da condividere con familiari, amici, compagni di lavoro e di cammino. La lettura possa aiutare a comprendere meglio la nostra "umanità" e a vivere con l'obiettivo di generare intorno e dentro di noi semi di autentica amicizia, libertà e sororfraternità. Buona lettura!

Una nota del Comitato Sì Ciclabile in Corso Italia

Una razionale pista ciclabile nel centro di Mestre: meno auto più bici.
Ecco qua oggi, il comunicato stampa integrale pubblicato sull'interessante pagina facebook del Comitato "Sì Ciclabile in Corso Italia" (https://www.facebook.com/groups/siciclabileincorsoitalia/), relativo alla prossima costruzione del parcheggio per automobili di Via Manzoni a Gorizia. Sono elencate alcune valide ragioni, perché riparta subito il progetto esecutivo di "ciclabile" in Corso Italia, svanito nel nulla a causa delle "sperimentazioni" dello scorso anno e da realizzarsi urgentemente, come imposto dal piano del traffico cittadino. Buona lettura. (ab)

Il parcheggio di via Manzoni costerà € 3.976.000, da come riportato dal quotidiano locale, per avere 200 posti auto. Uno stallo costerà ai cittadini € 19.880! Anche a quelli che non usano l’auto, ma si muovo a piedi, in bici, coi mezzi pubblici. Che poi, non saranno 200 posti tutti nuovi, ma solo indicativamente 100 (100 attuali+100 nuovi). Quindi il costo per ogni stallo nuovo non è € 19.880, ma il doppio! Sicuramente più del valore di ogni singola automobile che attualmente occupa lo stesso spazio. Quante lamentele sui costi si sono levate per fare e disfare la ciclabile in strada su corso Italia? Buttare soldi per riempire ancora di più il centro città di auto invece va bene? E, comunque, sostenere che ci sia la necessità di parcheggi, quando in centro città molti stalli esistenti sono inutilizzati perché occupati dalle attività commerciali, dimostra ambiguità. Creare nuovi parcheggi aggiuntivi purtroppo invoglia a utilizzare l’auto soprattutto quando la tariffazione delle zone blu è più bassa in centro, diversamente dal resto del mondo, dove avviene proprio il contrario. Un nuovo parcheggio in via Manzoni, anche di dimensioni maggiori di quello previsto, avrebbe senso solo se a saldo zero. Se cioè i nuovi posti auto fossero compensati dalla rimozione di altrettanti stalli a raso, a cominciare da Corso Italia, per ricavarne spazi di fruizione per i cittadini e gli esercenti: percorsi ciclabili e pedonali separati e sicuri, spazi di socializzazione e intrattenimento nei dehors sui controviali. E favorendo, con una tariffazione adeguatamente differenziata, l’utilizzo del nuovo parcheggio a scapito delle superfici pubbliche sulle strade. Da considerare anche il sottoutilizzo di parcheggi esistenti, uno per tutti quello della Casa rossa, sottoutilizzati proprio a causa dei troppi parcheggi in centro. Manca una visione precisa su come affrontare il cambiamento climatico nella quotidianità, che passa anche attraverso l’uso troppo disinvolto dell’automobile. Del resto, essa, non è oggettivamente del tutto sostituibile, fino a quando non verranno realizzati parcheggi scambiatori con i bus e, soprattutto, non venga rivisitato e rafforzato il servizio (anche internazionale) dei mezzi pubblici (linee che, nell’impianto generale della rete, risale agli anni ’90). Tutto ciò sarebbe poco efficace, senza favorire con convinzione l’uso della bici, con una moderna rete di ciclabili, dotate anche di moderni parcheggi coperti per bici (ad esempio nei pressi della stazione ferroviaria). A questo proposito, visto che siamo in zona EKP-CEC 2025, si è considerato che ci saranno cicloturisti che arriveranno a Gorizia utilizzando anche il servizio treno+bici?

martedì 13 dicembre 2022

Giovedì al Kulturni gli auguri del Libro delle 18.03, con Cristoph Ulmer e il suo nuovo testo su "La Basilica di Aquileia"

E' davvero un onore poter ricevere a Gorizia Cristoph Ulmer, autore dell'ultimo - in ordine di tempo - poderoso volume sulla "Basilica di Aquileia". In dialogo con lui ci sarà un altro insigne esperto di storia e di arte, Alessandro Saša Quinzi, conservatore dei Musei Provinciali di Gorizia e membro del Consiglio di Amministrazione della Società per la Conservazione della Basilica di Aquileia.

E' un grande studioso tedesco che ha dedicato una parte cospicua della propria vita a conoscere e approfondire le varie fasi della costruzione di quello straordinario gioiello che è la cattedrale aquileiese.

Due sono i veri capolavori che rendono unica la chiesa, i grandi mosaici paleocristiani, forse il pavimento del primo luogo di culto pubblico realizzato dopo l'editto di Costantino e gli affreschi medievali dell'abside e soprattutto della cripta delle reliquie.

Ulmer analizza il tutto non soltanto con straordinaria competenza ed erudizione, ma anche con una non comune passione per un luogo che è un vero e proprio punto di riferimento per una cospicua parte dell'Europa.

L'iniziativa si colloca nell'ambito degli annuali "auguri" che l'ormai assai nota rassegna letteraria "Il libro delle 18.03" rivolge ai propri affezionati partecipanti e si svolge nel prestigioso contesto del Kulturni dom di Gorizia. L'ingresso è libero e il suggerimento è di non lasciarsi sfuggire questa bella occasione di conoscenza e di approfondimento.

lunedì 12 dicembre 2022

L'urgenza di un'Aquileia universalmente "accessibile"

Ogni opera d'arte è un dono e un messaggio. Con essa altri esseri umani, contemporanei o vissuti prima di noi, vogliono comunicarci bellezza, armonia o comunque un particolare aspetto della loro vita e pensiero.

Per questo la parola "accessibilità" non è legata all'attenzione nei confronti di persone che vivono particolari forme di disabilità, ma è una vera e propria forma di rispetto dei diritti universale dell'Uomo. Non ci sarà una vera giustizia sociale in questo campo, fino a quando le opere d'arte non saranno pienamente fruibili da chi povero quanto da chi è ricco, da chi è vedente quanto da chi non lo è, da chi può udire e da chi non lo può, da chi può camminare e da chi è costretto su una sedia a rotella.  

E' questa consapevolezza che ha portato a Roma, all'inizio di dicembre, una delegazione della Basilica di Aquileia, alla ricerca di spunti e di idee da sviluppare, per rendere totalmente accessibile, anche ai più poveri, ai disabili, ai profughi, ai carcerati, il più insigne monumento del Friuli Venezia Giulia. Si sono scoperte agenzie territoriali che formano al lavoro di guida turistica coloro che non hanno il senso dell'udito e della vista. Si è cenato - benissimo fra l'altro - nella trattoria "Degli Amici" a Trastevere, dove sono impiegati dodici tra operatori della cucina e camerieri disabili. Si sono conosciuti pionieri dell'accessibilità, come suor Veronica Donatello, incaricata nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per le disabilità.

Tutto questo non era nuovo e l'impegno per Aquileia - non solo la Basilica ma anche i meravigliosi musei e le suggestive aree archeologiche - è che questo diritto elementare della persona umana sia rispettato ovunque, cercando le forme migliori affinché nessuno mai si senta escluso da ciò che radicalmente gli appartiene.

Marzia accessibile, foto Mattia Vecchi
Quello che forse ha portato ulteriore acqua a questo mulino è stato visitare una piccola parte dei Musei Vaticani, avendo come guida Debora, una studiosa di storia e di arte non vedente. Con lei abbiamo riscoperto alcune opere già ben note, ma mai "viste" con gli occhi di chi può comunicare solo con gli altri sensi. La composizione di Atena e Marzia, copia romane del I sec. d.C. di originale greco del V a.C., ha rivelato mille nuove sfumature, mai precedentemente rilevate, grazie non soltanto alla guida nel tatto, ma anche alla sapiente parola dell'accompagnatrice. La "Deposizione" di Caravaggio si è rivelata densa di particolari, quasi infinitesimali ma importanti, grazie alla descrizione resa possibile da un plastico tridimensionale delicatamente toccato. Lo stesso si è ripetuto con la Trasfigurazione di Raffaello e con gli angeli musicanti del Carracci. E' stata un'esperienza unica, nella quale si è scoperto concretamente quanto "l'invisibile sia nascosto agli occhi" e quanto sia indispensabile collaborare insieme, ciascuno portando il proprio dono e anche le proprie cosiddette mancanze.

Un'altra esperienza si è svolta nei Giardini Vaticani, sotto l'ombra del cupolone, dove Mara, una guida turistica non udente, ci ha permesso di scoprire l'importanza della vista e degli altri sensi. Così come ci ha fatto percepire quanto sia importante la comunicazione, senza la quale si viene progressivamente emarginati, in una solitudine relazionale che annichilisce il desiderio di vivere. Lo scopo del percorso formativo dovrebbe essere quello di aiutare chi custodisce i beni comuni a farli percepire come "proprietà" di ciascuno, nessuno escluso, utilizzando anche gli strumenti formidabili che la tecnologia oggi ha escogitato, per far sì che ciascuno possa essere fino in fondo riconosciuto come portatore di diritti e di doveri.

Su questa strada ci si è incamminati ed è necessario procedere ovunque, con coraggio e determinazione. La presenza di guide turistiche professionali non vedenti e non udenti sarà un plus valore in questo progetto che ha una radice e un fondamento di giustizia sociale, non certo di mero assistenzialismo. Si riuscirà a raggiungere questo obiettivo? Aquileia potrà essere un centro pilota nella sfida dell'accessibilità universale? 

sabato 10 dicembre 2022

Nella Giornata dei Diritti dell'Uomo, l'incontro con don Alberto De Nadai al Kulturni dom. Il link all'incontro...

 

Foto Paolo Zuliani

La sala principale del Kulturni dom di Gorizia, ieri sera era quasi del tutto piena. Erano presenti tanti ex parrocchiani di Sant'Anna, insieme a tanti collaboratori delle varie "ore" dei 90 anni di don Alberto De Nadai. Ha raccontato la sua storia, con passione ed emozione, ha fatto sentire il suo segmento di vita quello di ognuno dei presenti che, in un modo o nell'altro, hanno avuto a che fare con lui. Ecco di seguito ancora una riflessione, nel clima dell'assemblea del Kulturni, magistralmente introdotta dal direttore Igor Komel. Nella Giornata dei Diritti Umani, pensiamo alla vita di un uomo che ha cercato, nel suo piccolo, di garantirli a tutti, soprattutto ai più deboli e ai più fragili. Buona lettura... E per chi se la fosse persa, la serata è riprodotta in un video su you tube, curato da Nevio Costanzo. Ecco il link: https://youtu.be/9pna0Zo-BRg Ne vale davvero la pena! 

Nato a Salgareda (TV) il 27 novembre 1932, don Alberto De Nadai è da oltre 60 anni un testimone importante della vita sociale di Gorizia.

Di certo, l’inizio del ministero sacerdotale non avrebbe potuto far prevedere una storia di un prete così radicalmente impegnato nell’attuazione di alcune delle esperienze più innovative e per certi versi più rivoluzionarie della Chesa cattolica italiana appena uscita dal Vaticano II. Lo troviamo infatti segretario dell’Arcivescovo Ambrosi e poi severo vicerettore di un Seminario diocesano ancora molto legato agli schemi preconciliari.

E’ la parrocchia a cambiare il suo punto di vista, in un certo senso a “convertirlo” a una Chiesa diversa, autenticamente popolo di Dio, là dove il prete non è il “capo”, ma il “servitore” di una comunità di base che, confrontandosi con il Vangelo, vuole leggere la storia con gli occhi di chi crede nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità. Quando don Alberto viene inviato nel nascente quartiere di sant’Anna, si è spenta da poco la voce profetica di don Lorenzo Milani e molti giovani sono ancora influenzati dalle letture di don Primo Mazzolari e dalla testimonianza di dom Helder Camara e dei primi teologi della liberazione. Il giovane parroco comprende subito la sfida di trasformare un agglomerato di persone che non si conoscono fra loro e che cominciano ad abitare la nuova zona, in vera comunità, prima di tutto civile e, per i credenti, anche cristiana. Insieme a tanti altri collaboratori, si creano i primi centri sociali, si rivendicano i più elementari diritti e la realizzazione degli indispensabili servizi alla collettività e prende piede una delle prime comunità di base italiane. Si intessono rapporti con altre realtà, in Italia e all’estero, nomi ben noti come quelli dell’abate Franzoni, di Gerardo Lutte, di don Mazzi e della sua Comunità dell’Isolotto a Firenze diventano “di casa” anche a Gorizia. Si respira un’aria costruttiva di forza creativa, di fermento popolare, di cultura dell’amicizia e della solidarietà. Il “don” diventa punto di riferimento non solo per i cattolici, ma anche e soprattutto per donne e uomini di buona volontà, animati dal desiderio di fare di sant’Anna una realtà accogliente per tutti. Il pensiero sociale comunista e quello cristiano sembrano trovare una straordinaria sintesi dove ciascuno, restando fedele alla propria storia e identità, si rimbocca le maniche e lavora fianco a fianco per edificare una città pacifica e giusta. Naturalmente non tutti guardavano di buon occhio quell’esperimento profetico, le critiche pubbliche, firmate e anonime, non mancavano. La goccia che fece traboccare il vaso fu una questione economica e burocratica, riguardante l’uso delle offerte raccolte nel quartiere che la comunità aveva deciso di devolvere alle esigenze del quartiere invece che versarle nelle casse della Curia diocesana. Apriti cielo. L’Arcivescovo Cocolin compì l’atto forse più doloroso dell’intero suo episcopato. Don Alberto ci rimise non solo la parrocchia, ma anche l’insegnamento della religione nelle scuole. Divenne, pur non avendolo programmato, un prete operaio, mantenendosi facendo il gommista in un’officina gestita da amici, vivendo un periodo in alloggi di fortuna prima di approdare al mitico alloggio di Via Canova 11.

Inizia così la terza fase della vita di un prete che è sempre rimasto fedele alla sua vocazione, anche quando tutto lo avrebbe indotto a lasciar perdere tutto e a dedicarsi in modo laico ai suoi progetti di bene. Questa nuova “conversione” avviene per opera di una categoria per lo più dimenticata in città, quella rappresentata dai più poveri e più fragili. Andando ad abitare in via Canova, don Alberto scopre la realtà di cittadine e cittadini che dormono all’aperto, trovando spesso rifugio negli anfratti dei resti del monumento ai caduti dell’antistante parco della Rimembranza. La sua casa diventa subito un rifugio per chi non ha dimora, ma don De Nadai si accorge subito di non poter dare risposte sufficienti a un bisogno riconosciuto come molto ampio e diffuso. Nasce così la Comunità Arcobaleno, esempio di buone pratiche tra volontariato e istituzione pubblica, in particolare il comune che mette a disposizione un alloggio in via San Michele. Ma anche questo non è sufficiente, non basta fornire un alloggio, per garantire rispetto e dignità alle persone è necessario dare loro l’opportunità di lavorare. E si avvia la Cooperativa Arcobaleno, inizialmente finalizzata a creare piccole e grandi occasioni di impiego per chi frequentava la comunità. E’ la volta poi della Tempesta, centro terapeutico originale e anche in questo caso innovativo, per l’uscita dalle tossicodipendenze senza dover abbandonare i propri luoghi di crescita e di vita. Non poteva mancare una speciale attenzione alla salute mentale, sulla scia degli insegnamenti di Franco Basaglia. Si crea così l’Oasi del Preval, nelle intenzioni un piccolo paradiso di convivenza e di impegno. Ma l’amore più grande è per don Alberto la Casa Circondariale di Via Barzellini, frequentata per decenni quasi quotidianamente, come semplice volontario e poi anche come Garante provinciale delle persone private della libertà individuale. Anche oggi, a 90 anni suonati, ogni giorno le porte della prigione si aprono per lasciare entrare quest’uomo che porta una parola di conforto a detenuti e agenti di custodia, una preghiera laica e rispettosa delle diversità di religione e di culto, soprattutto tanto aggiornamento culturale e tanto aiuto nel momento dell’”uscita”.

Certo, intendiamoci, lo spirito di un “fondatore” non sempre si adatta alle banali necessità del quotidiano. Don Alberto, con il suo carattere forte e le sue a volte ferree convinzioni, ha spesso sperimentato e a volte ha anche lui stesso dimostrato momenti di fatica e incomprensione da parte e nei confronti di chi ha avuto occasione di stargli accanto e di lottare insieme a lui. Non sono mancate le rotture, i cambiamenti di rotta, gli abbandoni e i ritrovamenti, così come si addice a qualsiasi esperienza profondamente e autenticamente umana. Tuttavia, anche quando alcune delle realtà da lui fondate sono andate avanti su strade diverse da quelle previste originariamente, la stima è sempre rimasta intatta, anche per una rara capacità del “don” di superare con pazienza e spirito di tolleranza ogni crisi, nella convinzione che la salvaguardia della relazione interpersonale sia più importante dell’incaponirsi sulle proprie pretese e visioni del presente.

Tutta questa attività non ha impedito ad Alberto di svolgere anche una sua particolare missione di vicinanza a tutti i goriziani, trovandosi vicino a ogni famiglia nei momenti del dolore e in quelli della gioia. Questo suo particolare modo di essere prete, fuori dagli schemi e dai mandati ufficiali, l’ha portato a essere forse la prona in assoluto più conosciuta e in buona parte amata della città. Chi non l’ha visto sfrecciare con il suo vespino lungo il Corso o le vie centrali e periferiche? Chi non si è sentito chiamare per nome o chiedere informazioni sullo stato di salute? Chi non si è sentito trattare pienamente da “persona”, indipendentemente da ogni lingua parlata, concezione della vita o classe sociale di appartenenza?

Ecco, questo e molto altro è don Alberto De Nadai, un “uomo” prima di qualsiasi altra definizione. Un uomo al quale, dopo aver raggiunto il traguardo dei 90, auguriamo di cuore ancora tanti ma tanti anni di vita e di servizio alla nostra città, che mai come in questo momento ha bisogno di valorizzare e imparare dai suoi più qualificati testimoni.

giovedì 8 dicembre 2022

In bici da Aquileia a Tallin, sulla via dell'ambra

 

Molto interessante è stato mercoledì sera il racconto di Roberto Tomat ad Aquileia. Chi è Roberto Tomat? E’ un simpatico signore di 71 anni che nella vita ha fatto molte cose, tra esse il custode nel Museo Archeologico Nazionale, nonché anche il sindaco di Aquileia. Dopo il raggiungimento della pensione, ha iniziato a dedicarsi allo sport da sempre amato ma raramente praticato. E così ha iniziato a correre, a piedi e in bicicletta. Si è talmente impegnato da diventare un campione nazionale della sua categoria d’età, si è dedicato alla maratona e alle corse con lunghe distanze, con risultati straordinari. In bicicletta, ormai da nove anni, percorre distanze e dislivelli incredibili, con un lungo viaggio ogni anno, con sempre lo stesso punto di partenza, la sua abitazione ad Aquileia. Ha iniziato ad andare fino alla Puglia per partecipare alla festa della taranta, poi si è fatto in bici il cammino di Santiago, il giro della Grecia, la Sicilia e ha raggiunto tante altre mete, portando con sé il messaggio di pace, di unità nella diversità delle lingue e delle culture, si amicizia tra i popoli che deriva dalla lunga storia della città friulana.

Quest’anno Roberto ha voluto percorrere la Via dell’Ambra, alla ricerca dei luoghi di origine di questo prezioso materiale fossile che ha consentito la realizzazione di tanti meravigliosi gioielli custoditi nel museo aquileiese. Inforcata la sua bicicletta, preparato un carico del peso che si addice a chi vuole percorrere tanta strada fidandosi della forza delle proprie gambe, è partito verso la sua meta, Tallin, la capitale dell’Estonia, sul lontano mare Baltico. I primi giorni sono stati faticosi, prevedendo il superamento di alcune catene di montagne, quelli successivi meno impegnativi dal punto di vista delle salite, ma sempre molto per ciò che concerne le distanze. Il “cammino” è stato costellato di incontri, favoriti dal carattere molto estroverso del bravo corridore, capace di farsi capire e di dialogare con il linguaggio delle mani e con le espressioni degli occhi con chiunque. Del resto, come non essere ben disposti nei confronti di chi viaggia munito soltanto di una bicicletta e di uno zainetto, tanto più se con una barba bianca che inevitabilmente fa pensare a Babbo Natale. Le porte sono sempre aperte e lo scambio di pensieri, di racconti e di complimenti è quasi inevitabile.

Il Tomat si è sciroppato ben nove Stati, attraversando contesti linguistici, culturali, religiosi, storici alquanto diversificati. Partito dall’Italia, ha oltrepassato di seguito i confini con la Slovenia, con l’Austria, con la Slovacchia, con la Repubblica Ceca, con la Polonia, con la Lituania, con la Lettonia, infine con l’Estonia, oltre duemila chilometri di sforzo fisico, relazioni interpersonali, piccole e grandi avventure, memorie storiche, monumenti bellissimi e architetture diversificate. Nove frontiere, senza mai mostrare una carta d’identità, sarebbe molto bello se questo privilegio non fosse riservato solo ai cittadini dell’Unione europea e se chi arriva da altre parti del mondo, fuggendo fame, guerre e persecuzioni, non fosse rifiutato e rinviato senza complimenti nel Paese d’origine.

Nella serata aquileiese c’è stato lo spazio anche per la generosità. Roberto non corre soltanto per sé stesso, ma anche per promuovere la conoscenza e il sostegno di iniziative umanitarie, in particolare quelle dell’associazione “Gli amici di Federico” che aiuta famiglie in difficoltà. Oltre a ciò, diffonde un importante certezza. Ognuno, se lo vuole, può raggiungere gli obiettivi che si prefigge, in armonia con il proprio stato fisico. Non ci si deve fermare davanti alle inevitabili difficoltà e occorre uno sguardo sempre simpatetico nei confronti di un’umanità che, nella sua essenza, è accogliente e aperta all’incontro con l’altro. Ciò non significa dimenticare, al contrario vuol dire intensificare l’attenzione nei confronti di tutti, soprattutto di chi soffre nella povertà o in qualche guerra, come quella assurda che si combatte in Ucraina, “sfiorata” da Tomat nella sua lunga corsa. Un grazie a Roberto per aver reso tutti compartecipi della sua intensa esperienza.

martedì 6 dicembre 2022

Il "caso" ecclesiastico del giorno

 

Piove sul bagnato. In una chiesa cattolica colpita da scandali legati ai "misteri" della sparizione dell'Orlandi, del terribile caso dell'assassinio del generale delle guardie svizzere, della ricorrente débacle della gestione finanziaria, della piaga della pedofilia del clero, si affaccia la questione di un noto gesuita. Se il fatto non fosse stato sollevato la scorsa settimana dal sito left.it. non se ne sarebbe più sentito parlare. Invece il primo articolo è stato un cerino che ha acceso il falò della stampa, anche cattolica, internazionale. L'imbarazzo è molto grande, anche perché il personaggio in questione è da titoli cubitali. Valente pittore (secondo chi apprezza la sua arte, compresi gli ultimi Pontefici), predicatore straordinario, fecondo scrittore, è stato accusato di aver usato violenza psicologica nei confronti di alcune suore di una comunità da lui stesso co-fondata, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Il caso è stato trattato "internamente" dal suo ordine religioso, con una sentenza di "prescrizione" dei reati da parte della specifica Congregazione Vaticana, il che significa con la sostanziale ammissione di atteggiamenti evidentemente poco corretti, anche se attuati circa trenta anni fa.

Pur conoscendo e ricordando molto bene gli avvenimenti di quel periodo - il gesuita in questione era stato ospite della Stella Matutina a Gorizia per alcuni anni, tra il 1988 e il 1991 e per almeno un paio di essi siamo stati strettissimi collaboratori - sento di far mie le famose parole di Francesco: "chi sono io per giudicare?" 

Tuttavia vorrei proporre alcuni pensieri particolari.

Il primo riguarda il solito "silenzio vaticano". Perché non essere, come dice il Vangelo, semplici come le colombe e prudenti come i serpenti? Perché parlare di un caso significativo, sempre e solo dopo che per qualche strada è divenuto patrimonio generale? Anche per la dignità delle persone che hanno sofferto, come pure dello stesso protagonista della vicenda, non sarebbe meglio dire pane al pane e vino al vino? Non è proprio il "silenzio coatto" a enfatizzare le normali e umane più o meno gravi debolezze, offrendo in questo modo al tritacarne mediatico il godimento di tagliare a fettine il potente, improvvisamente trascinato giù dal piedistallo?

Il secondo riguarda la storia in sé. Si parla di violenza psicologica, manipolazione e di plagio. Forse tuttavia la "disgrazia" del gesuita è stata quella di essere uomo di successo. A quei tempi era persona capace di incantare le folle, tenendole a bocca aperta per ore ad ammirare il suo eloquio, a far proprie le sue intuizioni, perfino a imitarne l'accento, il modo di agire e di parlare. Era normale che suscitasse simpatie traboccanti fino a sfiorare l'amore spirituale più elevato, come pure cocenti delusioni in grado di scatenare autentici rigurgiti di irrefrenabile odio. Decine di persone avevano scelto a volte con gioia, più raramente quasi costrette, la loro strada nella vita, sollecitate da una capacità non comune di utilizzare la Parola di Dio per determinare i destini individuali. Altre lo avevano tagliato dall'orizzonte della loro esistenza, in preda alla classica disillusione di chi crede di aver trovato il Messia e si accorge di essersi sbagliato.

In fondo, a lui riusciva ciò che alla maggior parte dei preti non riesce, ovvero farsi ascoltare fino al punto da arrivare a controllare le decisioni fondamentali della vita. Il problema è perché o per chi lo si fa. Molto spesso, probabilmente in modo inconsapevole e in piena buona fede, la "presa di possesso" delle anime consente di sentirsi forti, di alleviare e coprire quella solitudine esistenziale profonda che spesso attanaglia chi, per scelta non sempre del tutto libera, vive nell'orizzonte del celibato ecclesiastico. Certo, a volte questo desiderio diventa malsano e si trasforma in manipolazione, soprattutto quando si rivolge a soggetti fragili o che attraversano momenti complessi della loro vita. Del resto, fino a quando non si ha a che fare con il reato di pedofilia, è difficile riconoscere, nei soggetti coinvolti in queste dinamiche, il labile confine esistente tra autentico discernimento spirituale che sostiene le scelte e manipolazione patologica che violenta le coscienze.

Il caso in sé probabilmente si sgonfierebbe da solo o comunque sarebbe riportato nella sua ordinaria dimensione, se esplicitato, per il bene di tutti, in modo meno diplomatico e gesuitico rispetto all'asettica dichiarazione stampa emessa quando proprio non se ne poteva più fare a meno. Ma la domanda sulla cosiddetta "direzione spirituale" è particolarmente importante e delicata. Fino a che punto il consigliere/confessore può spingersi nell'ascoltare e guidare le persone, senza arrivare a violare la loro fondamentale libertà di coscienza? Un eccesso di interferenza porterebbe a un condizionamento venefico, ma un richiamo all'esclusivo primato del giudizio individuale renderebbe sostanzialmente inutile il ruolo stesso di chi ritiene di svolgere un compito educativo. 

Non si può negare che tra i due estremi ci sia anche l'equilibrio di tanti personaggi che hanno saputo tenere un meno eclatante ma più rispettoso atteggiamento, offrendo gli strumenti per "pensare con la propria testa", senza per questo abbandonare i soggetti a sé stessi. Si pensi a un don Milani o a un don Mazzolari, per portare qualche esempio del passato o anche alla cara, sofferta testimonianza di Pierluigi Di Piazza, "uno di noi", che ha fatto della libertà e della giustizia - per sé e per tutti - il proprio programma di vita. 

E' un discorso lungo e delicato, è giusto lasciarsi interpellare dalla cronaca per cercare nuovi e sempre provvisori equilibri.

domenica 4 dicembre 2022

Lokalne volitve v Novi Gorici. Auguri a Samo Turel, nuovo sindaco di Nova Gorica

Nova Gorica (foto Massimo Crivellari)

Il nuovo sindaco di Nova Gorica è Samo Turel, eletto al ballottaggio con il 55,86% dei voti, mentre il sindaco uscente Klemen Miklavec, è rimasto indietro, avendo raggranellato soltanto il 44,14%. Il nuovo primo cittadino è nato a Nova Gorica il 25 maggio 1975. Laureato in giurisprudenza, ha lavorato prima nella locale Camera di Commercio, successivamente, da oltre 20 anni fa parte del tribunale distrettuale di Nova Gorica, di cui è attualmente direttore. Segue con attenzione le vicende scolastiche, facendo parte come genitore dei vari consigli finalizzati a collaborare nella gestione degli istituti. Si autodefinisce “appassionato corridore e ciclista”. Fa parte del gruppo politico Gibanje SvoboDa (che significa “movimento libertà sì”), lo stesso del capo del governo sloveno Robert Golob e del ministro per gli sloveni all’estero Matej Arčon, già sindaco fino a quattro anni fa.

Come sarà formato il nuovo Consiglio comunale di Nova Gorica?

La parte del leone per i 32 seggi previsti, spetta al movimento del sindaco, SvoboDa, che porta in dote ben 15 consiglieri. Al secondo posto c’è Slovenska Demokratka Stranka (SDS), il principale partito della destra di Janez Janša, con 5 consiglieri. Il sindaco uscente fa parte di Goriška.si, che ha eletto 4 rappresentanti. Seguono la Lista za razvoj (civica »per il progresso«), Nsi (Nuova Slovenija) e SD (Socialni Demokrati), ciascuno con 2 eletti. Un solo consigliere porterà la voce di Levica (dragi prijatelji Andrej Pelicon, già candidato sindaco) e delle liste civiche MDRUZI e di Zveza za Primorsko ZZP (Alleanza per il Litorale).

Come è andata a Šempeter-Vrtojba, comune che fa parte del GECT/EZTS? E a Kanal? E a Vogrsko?

A Šempeter Vtojba è stato riconfermato al primo turno Milan Turk, espressione di una lita civica che ha sbaragliato i concorrenti di SvoboDa e di SD.

A Kanal, test interessante per comprendere le reazioni delle popolazione alle criticità derivate dall'inquinamento ambientale provocato dal cementificio di Anhovo e altre realtà industriali, la sindaca uscente, Tina Gerbec di SD, è stata sorprendentemente sconfitta al ballottaggio, dopo un testa a testa con Miha Stegel, su cui si sono riversati al secondo turno i voti del mondo ambientalista. Il nuovo sindaco è stato eletto con il 50,79% dei voti, mentre la »ex« ha raggiunto il 49,21%. La forza dell'area »verde« e in ogni caso di sinistra è dimostrata anche dall'ottimo risultato al primo turno della Mateja Sattler, paladina della lotta a favore della salute e dei diritti della popolazione. E' stata eletta in consiglio comunale con il numero di voti maggiore di tutti.

A Vogrsko è stato eletto al primo turno Tarik Zigon, qurantenne esponente di una lista civica di sinistra che ha superato, anche in questo caso, i candidati di SvoboDa e di SD.

Si ha finalmente un quadro chiaro dei programmi e delle persone che li cerceranno di attuare. Non c'è più tempo da perdere, da una parte e dall'altra della frontiera, da ora in poi è spianata la strada verso gli imperdibili appuntamenti dell'EPK2025.

Per ulteriori valutazioni politiche e prospettive per il futuro, si rinvia all'articolo che uscirà la prossima settimana sul numero di dicembre/gennaio di Gorizia news&views.

 

Venerdì 9 alle 18 l'atteso incontro con don Alberto De Nadai al Kulturni dom di Gorizia. Srečanje v petek 9.12. ob 18. uri Kulturni dom Gorica

 

Ecco il comunicato, in lingua italiana e slovena, del Kulturni dom che "annuncia" l'intervista con don Alberto De Nadai, il 9 dicembre alle ore 18. Assolutamente da diffondere, un incontro da non perdere!

Per ricordare i suoi 90 anni appena compiuti e per ripercorrere la storia della Gorizia dal dopoguerra ai nostri giorni attraverso gli occhi e il cuore di don De Nadai, il Kulturni dom di Via Brass 20 e la coop. culturale Maja, propongono un momento di incontro e riflessione che si terrà venerdì 9 dicembre, alle ore 18, sotto la forma di un’intervista a don Alberto, introdotta dal direttore Igor Komel e condotta dal giornalista Andrea Bellavite.

 Don Alberto De Nadai è nato a Salgareda (TV), il 27 novembre 1932. Trapiantato ben presto dalle rive del Piave a quelle dell’Isonzo, è diventato prete nell’Arcidiocesi di Gorizia alla fine degli anni ’50, ordinato dall’Arcivescovo veneto Giacinto Ambrosi. Il suo ministero è nettamente diviso in due parti. La prima lo ha visto vicino al vescovo, come segretario e collaboratore, poi vice rettore del Seminario diocesano, allora situato in Via Alviano, nel grande edificio dove oggi c’è la sezione di Gorizia dell’Università di Trieste. La seconda parte inizia con l’invio del giovane sacerdote nel nuovo quartiere di Sant’Anna, con l’incarico di costruire relazioni tra le persone più che efficaci strutture pastorali. 

A Sant’Anna si prodiga per anni, vicino a ogni parrocchiano, credente o meno, povero o ricco, con una netta predilezione per i più fragili e per i più deboli. Alcune scelte, decise insieme a una delle prime comunità di base d’Italia, portano don Alberto a una vera e propria defenestrazione. Gli anni del Concilio hanno ormai esaurito la loro forza propulsiva e manca il coraggio di incentivare una delle più originali forme di realizzazione comunitaria dei dettami del Vaticano II. Don Alberto viene rimosso dalla parrocchia, non insegna più la religione nelle scuole e si trova costretto a guadagnarsi da vivere svolgendo le mansioni di operaio presso un amico gommista. Prima vive in ricoveri di fortuna, poi riceve un appartamento, in Via Canova 11, che diventerà il suo quartier generale per le grandi imprese sociali che grazie al suo apporto saranno realizzate in città.

Scoprendo con stupore quante persone vivevano tra gli anfratti del monumento demolito al centro del Parco della Rimembranza, fa, per quanto possibile, della sua casa un centro di accoglienza e di conforto. Comprende quanto sia necessario un “luogo” ospitale per tutti coloro che sono senza dimora e fonda la Comunità Arcobaleno, per dare riparo e prospettiva di vita. Avvia poi la Cooperativa Arcobaleno, per favorire l’inserimento lavorativo di quelli che don Milani definiva “gli ultimi”. E’ poi la volta della Tempesta, originale comunità terapeutica per l’uscita dalle dipendenze, autonoma e autogestita. Da instancabile fondatore propone l’apertura dell’Oasi del Preval, per una particolare attenzione ai problemi legati alla salute mentale. Non rigetta mai la scelta di essere nel sacerdozio, la cui dignità difende in ogni modo, anche quando la chiesa diocesana sembra emarginarlo in una sorta di nebbiosa dimenticanza. Esercita il suo ministero sulla strada, incrociando con una parola e con un sorriso ogni cittadina e cittadino, partecipando delle gioie e dei dolori che ogni umana esistenza porta con sé. Questo “servizio sulla via” lo ha portato a essere forse il “goriziano” più conosciuto e apprezzato della città, nonostante una naturale ritrosia alle lodi e alle celebrazioni che lo ha sempre contraddistinto.

In tutta la sua storia, c’è un luogo che non ha lasciato mai, ed è la Casa Circondariale di Via Barzellini, una sorta di seconda casa per lui. Ogni giorno, anche ora che ha varcato la soglia dei 90 anni, don Alberto è “dentro”, per ascoltare, sostenere, aiutare, confortare, ma anche consigliare e se necessario rimproverare. E’ un lavoro culturale e autenticamente spirituale, esercitato volontariamente e gratuitamente, con il solo obiettivo di aiutare i detenuti a riscoprire il senso della vita e la speranza di un ritorno nell’ordinario scorrere dei tempi della società. Il suo è un importante servizio, non tanto alla Chiesa, quanto alla realtà civile del territorio, il richiamo costante alla sofferenza di chi vive nel palazzo più centrale di Gorizia, nel massimo oblio da parte della stragrande parte dei cittadini.

Come in ogni umana avventura, anche in quella di don Alberto non ci sono soltanto rose e fiori, ma anche spine e cardi che hanno segnato il suo percorso, rendendo ancora più forte e più vera la sua esperienza e la sua testimonianza.

L’incontro (ad ingresso libero) è promosso dal Kulturni dom di Gorizia e dalla cooperativa  culturale Maja di Gorizia, nell’ambito del progetto “Čedermaci našega časa” (I protagonisti del nostro tempo), in collaborazione con l’associazione “1001” di Gorizia e con il patrocinio della Regione FVG e l’Unione economica culturale slovena (Skgz) di Gorizia


V petek, 9. decembra 2022 ob 18. uri, bo v Kulturnem domu v Gorici (ul. Brass, 20), srečanje z goriškim župnikom - delavcem Don Albertom De Nadaijem, ob njegovi 90-letnici. Z njim se bo pogovarjal goriški novinar in pisatelj Andrea Bellavite, medtem ko bo uvodno misel podal predsednik Kulturnega doma Igor Komel.

Don Alberto De Nadai je na Goriškem stvaren simbol solidarnosti in vzajemnosti, saj je vse svoje življenje dobesedno »daroval« bližnjemu, oziroma »zadnjim« na družbeni lestvici: revežem, zapornikom, emigrantom, itd. V letih ’80 je bil med osrednjimi pobudniki ustanovitve socialne zadruge Arcobaleno v Gorici, ki se je v naslednjih desetletjih izkazala, kot nadvse pomembno in dobrodošlo zatočišče mnogim, ki jim življenjska pot ni bila posejana s cvetjem. Don Alberto je pri raznih socialnih, mirovnih in solidarnostnih pobudah redno sodeloval z mnogimi goriškimi ustanovami, kamor gre prišteti tudi sodelovanje s Kulturnim domom v Gorici in kulturno zadrugo Maja (Sonce miru, »Kdor takoj pomaga, dvakrat pomaga«, Manifestacija za mir »6. avgust – Hirošima '45« itd.).

Svojevrstni večer prirejata Kulturni dom v Gorici in kulturna zadruga Maja iz  Gorice, (v okviru projekta »Čedermaci našega časa»), v sodelovanju z goriškim Odborom za mir, združenjem Apertamente, zadrugo Arcobaleno in združenjem »1001« ter pod pokroviteljstvom Dežele Fjk.

sabato 3 dicembre 2022

Decine di migliaia di persone in corteo a Roma

 

Grande manifestazione oggi a Roma, con la presenza di qualche decina di migliaia di persone, provenienti da varie parti d'Italia. E' stato un corteo molto incisivo, di quelli che "disturbano" e per questo sostanzialmente silenziati dai media e dai detentori del Potere.

Promossa dai Sindacati di Base Cobas e da varie realtà politiche, partitiche e associative di Sinistra, la protesta ha toccato varie tematiche. Con una certa coerenza rispetto al recente passato, quando le medesime critiche sono state rivolte ai precedenti governi nazionali, i manifestanti hanno ribadito il loro disagio rispetto alla manovra finanziaria varata dal governo Meloni. E' giudicata devastante, perché colpisce il diritto al lavoro e non si preoccupa di salvaguardare le categorie più colpite dal carovita, i cui effetti ancora non si fanno sentire del tutto.

Richiedendo tutele su tutti i settori della vita pubblica italiana, dalla scuola alla sanità, dai trasporti alle infrastrutture fino alle garanzie sindacali, non sufficientemente tutelate dalle tradizionali sigle CGIL CISL e UIL, il lungo serpentone dei partecipanti ha ricordato la penalizzazione e la penalizzante (non)  politica delle migrazioni e ha anche richiesto a gran voce la fine del conflitto in Ucraina. "Più salari e meno armi", è stato lo slogan più scandito durante il percorso.

Come previsto, le persone si sentono prese in giro e spesso anche tradite. Non trovano una sponda rappresentativa nei partiti e nei loro rappresentanti che disputano in Parlamento di questioni importanti, ma con soluzioni percepite come distanti dalle difficoltà della vita reale e quotidiana. Per questo il desiderio di "contare" e di poter far sentire in qualche modo la propria voce, non può che passare dalla strada e dalla piazza. Non è in sé una contestazione o un rifiuto tout court della democrazia rappresentativa. E' piuttosto l'espressione di un profondo disagio, la percezione di non essere ascoltati, l consapevolezza che le decisioni che vengono prese siano pilotate da macrointeressi incontrollabili, ai quali la destra e il sedicente centro sinistra non hanno fatto e continuano a fare altro che allinearsi.

Insomma, l'inverno si preannuncia intenso e assai caldo, nonostante le temperature...  

Su un affresco in Via dei Cappuccini

 

Via dei Cappuccini, Gorizia. Alzando lo sguardo si può ammirare un affresco sulla parete di una casa, più o meno sopra lo storico negozio Godina, i cui proprietari hanno reso possibile il restauro,

Si è tra il XVII e il il XVIII secolo, l'autore è ignoto. Interessante l'iconografia, con due Madonne con il Bambino simmetriche che circondano, quasi inglobandola in un ideale cerchio, una suggestiva e un po' evanescente fuga in Egitto. Sulla destra si riconosce un soldato a cavallo che infilza con energia una specie di drago, quasi un'ombra oscura che vorrebbe uscire dalla terra, ma viene fermata dalla lancia, impugnata, probabilmente, da san Giorgio. Sulla sinistra, una figura femminile. Si può presumibilmente ipotizzare una santa Maria Maddalena penitente, rivolge lo sguardo alle due "maternità", è istruita dal Vangelo e osservata da un fragile crocifisso. Potrebbe essere anche qualche personaggio maggiormente legato al territorio, una figura molto legata alla parola di Dio e alla contemplazione. Chi può saperlo?

Perché questo dipinto, in una zona nella quale non c'è memoria della presenza di una chiesa? Forse, ma sottolineando il forse, potrebbe trattarsi di un ex voto. Una famiglia ringrazia in questo modo la Madonna per qualche grazia ricevuta, oppure, come in altri casi a Gorizia e altrove, si vuole attribuire all'intervento divino l'essere stati risparmiati, da un'epidemia o da qualche altra sciagura.

Il richiamo natalizio alla fuga in Egitto può richiamare proprio l'essere scampati a qualche tragedia, come Gesù bambino che viene salvato dalla mano provvidente di Dio dalla strage degli innocenti (perché poi Dio debba salvarne uno, senza far nulla per impedire il massacro di tutti gli altri, è una domanda che apre la questione teologica più delicata e drammatica riguardante il rapporto tra volontà di Dio e libertà della Storia...). San Giorgio, o chi per lui, che combatte con il drago vuole infondere la fiducia che alla fin fine la luce vince sempre sulle tenebre (ma è poi davvero così? altra questione teologica di non poco conto, sulla quale prima o poi tornare). E Maria Maddalena, la donna più vicina a Gesù, richiama che per rendere presente il suo Amore, occorre ascoltare la sua Parola ma anche essere certi che attraverso la croce avvengono la redenzione e la liberazione da ogni forma di male.

Ecco, quante riflessioni suscitano questi popolari segni di fede del passato, che invitano a pensieri che riguardano il presente e che come tali interpellano -  e si lasciano interpellare - dalla post modernità.

Naturalmente, se qualcuno che ne sa di più su questa pittura volesse aggiungere qualche altra informazione o spunto ermeneutico, sarebbe più che bene accetto!

Capovolgimenti cristiani: tu es Petrus o surteP se uT?

Un piccione del tutto indifferente cerca qualcosa da racimolare tra i sanpietrini un po' sconnessi. E' del tutto indifferente allo spettacolo della cupola rovesciata nella pozzanghera, mentre i turisti affamati di aneddoti si affollano, dopo aver scoperto l'originale inquadratura. Il Sole ha fatto capolino e le pietre lucide riflettono i suoi rari raggi.

La cupola capovolta, come nel momento del martirio del buon Pietro, che si fece crocifiggere a testa in giù perché temeva fosse un onore immeritato quello di subire lo stesso supplizio subito dal Maestro.

La Chiesa è capovolta. Non da oggi. L'impressione è sempre la stessa, ogni volta che si ha la ventura di scendere nella necropoli vaticana. A parte l'emozionante percorso dei primi scopritori, con l'accompagnamento di straordinari archeologi, la discesa nell'antichissima città dei morti, rimasta coperta e ignota al mondo dal tempo di Costantino fino al 1939, è veramente affascinante. Si scende a una quota inferiore di molti metri rispetto alle "Grotte Vaticane", il pavimento delle quali è quello della Basilica Costantiniana iniziata nell'anno 317. Si calca lo stesso sentiero che duemila anni fa portava i parenti a far visita alle tombe affrescate dei loro cari, consumando in loro onore il refrigerium sul tetto dei vari sacelli. E poi si vede una delle due colonnine del "tropayon" il trofeo che secondo Eusebio di Cesaea (IV secolo) il presbitero Gaio (II secolo) aveva visto sulla via Trionfale presso il colle Vaticano. Si vede il muro rosso, il muretto col graffito greco che annuncia che "Pietro è qui", le ossa avvolte in plastiche a prova di bomba, salvaguardate dopo le scoperte del XX secolo. Pietro è qui, "Tu sei Pietro", secondo il Vangelo avrebbe detto Gesù. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la Chiesa. Una lastra da una parte, una lastra dall'altra del corpo martoriato dalle torture e dall'uccisione, nel Circo di Nerone, a pochi passi dal sepolcro. E' la tomba dei più poveri dei poveri, di quelli che non hanno alcuna possibilità di una memoria legata alle pietre e alle opere d'arte. Questo è Pietro, fedele al vangelo, alla coscienza e al suo ruolo di responsabilità nella Comunità delle origini, fra costruzione dell'idea della fede e tempo di gioiosa sofferenza nell'affronto delle persecuzioni. Questo è Pietro, prima del capovolgimento della Chiesa.

Ci ha pensato per primo Costantino, spianando il Colle Vaticano per creare un enorme terrapieno su cui edificare la prima, grande e affascinante Basilica a cinque navate. Ci ha pensato ben di più Giulio II, demolendo il capolavoro dell'Imperatore che promulgò l'editto di tolleranza di Milano (312), per iniziare a costruire il nuovo San Pietro. Il XVI secolo è occupato tutto da questa ostentazione clamorosa di ricchezza, di affermazione del triplice potere dei Pontefici, che legano e sciolgono chi desidera la Salvezza, nei cieli sulla terra e sotto terra. Alla fine del secolo, ecco slanciarsi verso il cielo la nuova torre di Babele, la meravigliosa cupola almeno pensata, se non realizzata da Michelangelo. 130 metri di pura Arte, sulla linea a piombo della misera tomba alla cappuccina dell'Uomo Pietro, più che del santo proclamato quando si sentì l'esigenza di separare luoghi profani e luoghi sacri, tempi profani e tempi sacri, uomini normale e uomini santi. Ciò che Gesù aveva abolito, i Papi rinascimentali ricostruiscono, succhiando il denaro dai poveri con l'empia dottrina delle indulgenze e portando in trionfo la struttura umana della Cattolicità ferita dalle costruttive intenzioni e riflessioni della prima Riforma di Lutero. Certo, a chi arriva nella piazza 500 anni dopo, tutto sembra immenso e spettacolare, la Bellezza sembra chiamarsi fuori, definirsi estranea alle intenzioni e alle manie di potenza di chi ne ha consentito l'espressione. E le immagini e i simboli colpiscono e coinvolgono, trascinano verso una dimensione che travalica il tempo e lo spazio, stempera il giudizio e costringe a misurarsi con la verità di sé, di questa maestosa e drammatica, pacifica e tremenda nostra Umanità.

E' un nuovo capovolgimento della cupola di San Pietro, la parola dell'attuale vescovo di Roma Francesco, che riempie la piazza antistante con la memora dei naufragi dei migranti nel Mediterraneo e che invita ad abbassare lo sguardo, a sentire un senso di sottile colpa nel gustare i vertici dell'arte di ogni tempo, senza accorgersi dei milioni di poveri Cristi (e di poveri Pietri!), così smaccatamente lontani dalle segrete stanze vaticane e così chiaramente vicini a quella apparentemente insignificante "tomba alla cappuccina". 

Quale è il vero San Pietro? La cupola o il suo rovesciamento? Gesù ha detto: Tu es Petrus? E chi l'ha trasformato nel suo opposto: surteP se uT?