martedì 31 gennaio 2023

Nel cimitero ebraico di Rožna dolina

 

Fa sempre bene trascorrere qualche minuto in uno dei luoghi più affascinanti e coinvolgenti del Goriziano. Il cimitero ebraico di Rožna dolina è un gioiello di arte e di cultura. Sono sepolti in esso numerosi goriziani illustri, distinti nei diversi campi della linguistica, della filosofia, delle scienze mediche, del giornalismo.

L'ambiente è molto suggestivo e l'apparente disordine delle tombe suggerisce un rispettoso silenzio. Il clima di intensa tensione spirituale non è interrotto neppure dal correre delle auto sulla statale che costeggia il muro meridionale.

Ci sono simboli interessanti che richiamano storie antiche, con una sorprendente somiglianza con alcuni temi paleocristiani. Da un vaso l'acqua scende dolcemente in un vaso, così come la vita che si svuota progressivamente, con l'avanzare degli anni e lo scorrere inesorabile del tempo. C'è Giona inghiottito dal pesce, o forse da esso rigettato, richiamo arcano a una speranza che trascende perfino il muro oscuro che la ragione, con tutte le sue potenzialità, non è riuscita a scavalcare. Ci sono le scritte in ebraico antico, tra le quali campeggia quasi ovunque la parola שָׁלוֹם (shalom-pace). Certo, è una pace riferita all'al di là, perché l'al di qua è difficile per tutti, tanto più per gli appartenenti a un popolo che qualche anno dopo l'ultima inumazione in Valdirose è stato annientato dal nazismo, l'intera comunità di Gorizia cancellata in breve tempo dalla storia.

Tra le varie tombe, c'è quella di Carlo Michelstaedter, filosofo, poeta, pittore. La sua tesi di laurea, La retorica e la persuasione, lo colloca a buon diritto tra i grandi pensatori dell'inizio del XX secolo nel Centro Europa. Essere persuasi significa assaporare la libertà assoluta di un'esistenza intensamente vissuta, fuori dalle logiche ripetitive della dipendenza dall'impero intramontabile del Cronos. L'ideale di "possedere" così pienamente il mistero della Vita da poterne determinare lucidamente e appassionatamente anche la fine. Che sia questo forse il segreto del colpo di pistola con il quale Carlo si è ucciso il 17 ottobre 1910, a soli 23 anni?

In ogni caso fino a un po' di anni fa, la piccola stele, dominata - quasi come un'ombra pesante - da quella molto più alta del padre Alberto, si trovava sotto un bellissimo sempreverde giapponese, un albero con i diversi rami che si protendevano verso il cielo, una specie di gigantesco e naturale pugno semiaperto, un silente interrogativo rivolto verso l'infinito.

Non c'è più quell'albero, purtroppo, ma anche le tombe dei Michelstaedter non se la passano troppo bene. Il nome e il cognome del filosofo non si leggono quasi più, la pietra pesante posta sulla memoria del padre è spezzata e nella fessura si intravvedono triati segni di incuria. Forse è tempo di sistemare un po' il tutto, il disordine va bene, ma non può sconfinare nella dimenticanza. Questo brano assai importante della storia del Goriziano merita di essere rispettato e valorizzato sempre più.

Infine una segnalazione. Fino al 26 febbraio, nell'ex cappella mortuaria del cimitero, è allestita una mostra, nella sua semplicità molto toccante. Il titolo è "Slike spomina, dipingere per ricordare", l'autore Alexander Dettmar. Sono state disegnate tutte le sinagoghe europee demolite o incendiate durante il nazismo, dopo la notte dei cristalli, tra il 9 e il 10 novembre 1938. Un video consente di scoprire il rapporto tra il disegno e le foto scattate prima della guerra. E' una lezione di storia, là dove a essere soppresse, oltre alle vite umane, sono anche le loro memorie e i segni espliciti della loro spiritualità. Da vedere!

domenica 29 gennaio 2023

Più armi più guerra, meno armi meno guerra.

 

Il tragico equivoco che accompagna quasi da un anno la sanguinosa guerra in corso nell'Europa orientale è dettato dalla convinzione - offerta in pasto all'opinione pubblica - che essa possa essere fermata soltanto inviando armi all'Ucraina.

A causa di questa balzana idea, degna dei tempi dell'equilibrio del terrore atomico, secondo la quale l'aumento delle armi in campo potrebbe favorire la fine del conflitto. hanno perso la vita centinaia di migliaia di persone, tra civili e militari, gran parte dei quali giovani.

Anche l'Italia non è da meno e il Parlamento, dove su quasi ogni materia c'è contrapposizione, ha votato compatto, salvo rare eccezioni, a favore dell'invio di armi in Ucraina. Ciò è particolarmente sorprendente, quando si nota che tra i sostenitori di tale decisioni ci sono pacifisti della prima ora e anche - spiace dirlo - componenti del PD molto vicine a Elly Schlein, candidata "da sinistra" alla successione dell'elmettizzato Enrico Letta. Evidentemente la ragione di stato altero lo stato della ragione.

E allora? Cosa dovrebbe fare un povero Paese invaso da una potenza soverchiante? Non è anche la loro una forma di Resistenza simile a quella che nel corso della seconda guerra mondiale ha reso possibile la liberazione dal nazismo e dal fascismo? E come gli ucraini potrebbero resistere, senza l'aiuto delle armi "occidentali"?

Sono domande indubbiamente importanti e devono essere prese seriamente in considerazione. Quello che tuttavia non si può negare è che sostanzialmente, dall'inizio dei combattimenti a oggi, si è parlato tanto di armi e quasi nulla di trattative. Anzi, chi ha osato proporre il dialogo come strumento principale per una pace duratura, è stato immediatamente tacciato di putinismo e confinato tra i simpatizzanti dell'inquietante zar russo. E chi ha richiamato, anche timidamente, il protocollo di Minsk che imponeva all'Ucraina di riconoscere l'autonomia di Crimea e Donbass, è stato accusato di miopia e partigianeria filorussa. 

Perché l'anniversario dell'inizio degli scontri non passi invano, o addirittura sia celebrato con una nuova offensiva dall'una o dall'altra parte, occorre cambiare immediatamente registro e imporre ai contendenti di sedersi al tavolo del confronto, alla ricerca di una soluzione equa e rispettosa dei diritti di tutti. Facile a dirsi? Sì, ma quale è l'alternativa, se non una crescita costante del livello di distruzione delle armi sul campo, un possibile allargamento delle alleanze internazionali dato il prolungarsi indefinito delle operazioni e in ultima analisi la scelta di premere il famoso bottoncino rosso, anticamera dell'Apocalisse?

In Italia, poi, si è specialisti nel buttarla in caciara. E' mai possibile che una questione così seria e tremendamente delicata, sia offerta al pubblico televisivo come espediente per creare audience, tra una canzonetta e l'altra al festival di Sanremo? No, è davvero assurdo, anche perché ovviamente non ci sarà alcuna possibilità di dibattito, meno che meno di contraddittorio. Se la Rai e l'Italia con i suoi Governo e Parlamento, volessero veramente realizzare qualcosa di utile - e tra l'altro anche centrare uno scoop di livello planetario - dovrebbero impiegare tutti i loro mezzi mediatici e diplomatici per realizzare una tavola rotonda, non certo nel contesto di un festival della musica leggera, con Putin e Zelensky. Potrebbe essere estremamente interessante e forse avviare quella trattativa diplomatica che sembra essere l'unica soluzione possibile  sostenibile per evitare la catastrofe definitiva.

sabato 28 gennaio 2023

Del "simbolo" e della sua complessità.

 

Quando si parla di "simbolo", sono da tenere presenti almeno tre elementi: il significante, il significato e il contesto. La parola proviene dal greco e si può tradurre con "ciò che mette insieme" ed è il contrario del diabolos che vuol dire "ciò che distoglie".

Il significante in certi casi sembra essere immediato. Si percepisce una forma, alla quale si attribuisce un nome. Nel caso della foto, è evidente che ci si trova davanti a un cesto contenente delle chiocciole. Non sempre in realtà il riconoscimento risulta così immediato, anche per la difficoltà di lasciarsi aiutare dagli altri sensi, cioè da una possibilità di conoscenza avulsa dalla sola vista.

La questione del significato è alquanto complessa, in quanto connessa a un orizzonte di senso che può risultare chiaro ed evidente per alcuni, del tutto oscuro o equivocabile per altri. Che cosa significano le chiocciole? Che cosa voleva comunicare chi le ha rappresentate o chi ha commissionato l'opera? 

Per trovare una molto parziale risposta occorre studiare il contesto e ciò porta a risultati spesso incerti e frammentari, tanto più quando ci si trova di fronte a reperti molto antichi. In ogni caso, quando ci si riferisce alla connessione tra significante e significato diventa indispensabile introdurre un'altra parola chiave, cioè la "comunità".

Un simbolo produce il suo significato nell'ambito di una comunità che lo determina. Ciò presuppone la possibilità di conoscere quella comunità e di cercare di capire la connessione con la dimensione simbolica che la esprime. In altri termini e allargando un po' il discorso, si può dire che il simbolo da una parte manifesta il mito fondatore di una comunità, dall'altra, contestualmente, genera e rafforza il senso di appartenenza a quello stesso gruppo umano, distinguendolo per definizione da qualsiasi altro.

Per dare un significato alle chiocciole, occorre allora conoscere il ruolo di questo animaletto nell'orizzonte simbolico di una comunità che ha attraversato la storia in uno specifico periodo. Era una comunità religiosa? Era un gruppo politico? Era un consesso di artisti? E che cosa rappresentava per loro la chiocciola? Ci sono altri contesti in cui la stessa immagine è stata rappresentata? Come sembra evidente, non è assolutamente facile dare risposte soddisfacenti a questi interrogativi, tanto più vivendo in un contesto simbolico completamente diverso dal precedente.

Sì, d'accordo, bisognerebbe approfondire molto e forse una volta all'altra si avrà il tempo di farlo. Qui si propone solo una breve attualizzazione.

Quando il simbolo non esprime più il mito fondatore, una comunità smarrisce l'elemento che la teneva unita. L'assoluta ignoranza - pressoché generalizzata - intorno al valore dei simboli cristiani, è contestuale alla perdita del senso di appartenenza alla comunità che li esprimeva. Il risultato è il formalismo di chi rimane ancorato a una tradizione ormai spenta e l'allontanamento di chi non ne sente alcuna necessità. Ciò vale anche per altri concetti similari come la patria o la famiglia, che scontano la rapida trasformazione dei simboli producendo disaffezione o avvicinamento ad altre dinamiche, percepite come maggiormente corrispondenti ai propri desideri e alle proprie intuizioni.

Insomma, il simbolo continua a produrre significato in una comunità consapevole dei propri miti. Il rito è la celebrazione simbolica che rappresenta (nel senso di "rende di nuovo presente") il senso di appartenenza a una comunità. La dimenticanza del mito rende insignificante o totalmente incomprensibile il simbolo, la dimenticanza del simbolo rende impossibile il rapporto con il mito. E' importante chiedersi tutto questo, anche in rapporto a tante celebrazioni civili che rischiano di apparire come stanche ripetizioni di riti che non generano più simboliche cariche di significato. Ed è necessario chiedersi come uscirne, se rinnovando la potenza del mito (ma come?) o se generando un nuovo sistema di simboli maggiormente efficaci e comprensibili nell'orizzonte culturale del tempo in cui viviamo.

E le chiocciole? 

Mah, io credo che allo stato attuale delle conoscenze della simbolica della pluriculturale Aquileia dei primi tre secoli dell'era cristiana, sia impossibile dire che cosa significhino. 

Lep govor patra Bogdana Knavsa v Morskem. Bel discorso di pater Bogdan Knavs a Morsko

 

Sabato 28 gennaio, a Morsko presso Kanal, si è tenuta la commemorazione della marcia che i partigiani hanno compiuto il 31 gennaio 1944, attraversando la Soča/Isonzo e portando la lotta di Liberazione nella Benečija e nell'alto Friuli.

Ci sono stati i saluti introduttivi, i cori e le musiche partigiane. E c'è stato anche il discorso ufficiale, pronunciato da pater Bogdan Knavs, francescano guardiano del Monastero di Sveta Gora (Monte Santo) sopra Gorica.

I temi da lui trattati hanno consentito di farsi un'idea dell'impresa compiuta dalla Divisione partigiana che ha affrontato le gelide acque del fiume, spinta soltanto dal desiderio di cacciare via gli invasori e garantire un futuro alla lingua e alla cultura slovene. Tutto è stato interessante nella sua riflessione. Già all'inizio, dopo aver salutato, come si fa sempre, le autorità presenti, ha notato come ogni partecipante al'incontro, nessuno escluso, avesse la stessa dignità e lo stesso diritto di essere salutato personalmente. Si è infatti tutti parte della stessa famiglia umana, là dove ognuno è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.

Molto suggestivo e originale è stato il tentativo – assai ben riuscito – di accostare l'ideale comunista, nel senso originario ed etimologico del termine, a quello cristiano. Padre Bogdan ha parlato »alle compagne e ai compagni« degli ideali di libertà, di giustizia e di solidarietà internazionale che hanno guidato migliaia di donne e uomini a rischiare e spesso a perdere la vita, per liberare il proprio popolo dalla barbarie nazifascista. Ha poi sottolineato come tali valori si siano uniti a quelli legati alla necessità di salvaguardare la cultura, l'arte, la letteratura, come dimostrato dai nomi delle Brigate partigiane, dedicate ai grandi poeti sloveni, da Gradnik a Kosovel, da Gregorčič fino agli »eroi di Basovizza«, fucilati nel 1930 in quanto appartenenti al primo movimento antifascista europeo.

Ma si è rivolto anche »alle sorelle e ai fratelli«, evidenziando come i caduti nella lotta di Liberazione richiamano l'impegno e la responsabilità della fratellanza universale, che i credenti riconoscono fondata sul comune riconoscimento della paternità di Dio. Particolarmente commovente è stato per tutti, convinti o meno del messaggio cristiano, l'invito a pregare insieme con le parole del Padre Nostro, Oče naš, ki si v nebesih. Ci si è sentiti veramente uniti, nella sala gremita all'inverosimile, anche nell'emozione di ascoltare da un sacerdote parole piene di forza e consapevolezza, all'interno di un raduno partigiano. Certo, un prete sensibile e coraggioso come Bogdan Knavs.

giovedì 26 gennaio 2023

Si può ancora parlare di Dio dopo Auschwitz?

 

Il filosofo Hans Jonas, all'indomani della fine della seconda guerra mondiale, aveva posto un interrogativo divenuto poi molto noto: si può ancora parlare di Dio dopo Auschwitz?

Cambiando il nome del luogo, forse la stessa domanda se la sono posta gli indios o i pellerossa qualche secolo prima. Si sono chiesti probabilmente la stessa cosa gli abitanti di Srebrenica o i tutsi e gli hutu del Ruanda, oppure anche i bambini che stavano per affogare nel Mediterraneo, naufraghi di uno dei tanti cosiddetti viaggi della speranza.

Tutti questi avrebbero potuto porre un quesito abbastanza simile, se cioè si possa parlare ancora di Uomo dopo Auschwitz e tutto il resto, dal momento che tutte le tragedie citate sono attribuibili essenzialmente alla malvagità dell'essere umano e non alle forze della Natura - come potrebbero essere un terremoto, uno tsunami o un'inondazione, senza dimenticare la responsabilità umana anche in alcune di queste catastrofi.

Allora, si può parlare di Dio dopo Auschwitz? La risposta è "no"!". Non si può "parlare" di Dio. La domanda pone in termini drammatici la questione non tanto dell'esistenza di un Dio personale, che la ragione non può in alcun modo dimostrare, quanto la possibilità di "parlarne", ovvero di portare ciò che per definizione è "trascendente" nelle categorie spazio-temporali dell'"immanente".

Il mistero del "male", inteso nel suo duplice significato di dolore provocato da un carnefice e di sofferenza sopportata da una vittima, pone sul banco degli imputati non un Dio misterioso, totalmente altro rispetto a tutto ciò che esiste, bensì il "padre" che tutto può e che tutto vuole. Come sintetizza bene Fred Uhlman nel bel romanzo "L'amico ritrovato", se Dio è onnipotente e non evita lo strazio dell'innocente è un padre malvagio, se invece non può farci nulla, perché invocarlo, se in realtà non gli si può attribuire alcuna influenza sugli eventi della storia?

Il problema non è certo nuovo, è al centro della filosofia, della letteratura e dell'arte da quando la coscienza umana ha iniziato a riflettere sul mistero della vita. Ma Auschwitz impone il crisma della definitività alla riflessione. E' il male assoluto, fondato su nessun altro scopo che quello di annientare tutto ciò che è umano, in nome della presunta superiorità di alcuni esseri umani rispetto ad altri. La soppressione sistematica degli ebrei, dei rom, delle persone con disabilità, dei testimoni di Geova, degli oppositori politici è il frutto di menti perverse che nel nome di ideologie criminali come il nazismo e il fascismo, hanno trascinato dietro a sé interi popoli, nel nome del concetto disumano e irrazionale di razza. La crudeltà inenarrabile, se non nella descrizione sconvolgente dei pochi sopravvissuti, non può permettere a Dio di cavarsela, attribuendo alla libertà umana la potenzialità di una cattiveria illimitata. Cosa c'entra con un "creatore buono" il bambino con il cranio sfracellato da una pallottola, cosa c'entrano milioni di vittime "passate per un camino"? Cosa c'entra con i massacri di ogni tempo? 

Forse, dopo Auschwitz, il modo migliore per "salvare" Dio, per "aiutarlo" - come si prefiggeva l'indimenticabile Etty Hillesum - è proprio quello di non "parlare di Lui", lasciandolo esistere nell'iperuranio, totalmente al di là di ogni limite, oltre il confine labile e mobile fino al quale riesce, timidamente o arrogantemente, a giungere la Ragione. Ammettere che "Dio non c'entra" con la storia, che non esiste una divina Provvidenza, significa rendergli la Libertà assoluta (cioè sciolta da tutto) e piegarsi al comandamento che accomuna - o dovrebbe accomunare - le religioni mediterranee: "Non nominare il nome di Dio e non farti di Lui alcuna immagine (chissà perché nell'apprendimento catechistico si è sempre evitato di riportare la formula completa, compreso il divieto di farsi immagini)". 

C'è un ulteriore vantaggio, nel concepire Dio come il "totalmente Altro" (K.Barth) o "come se non esistesse (D.Bonhoeffer). Ed è che tutto ciò che accade e che dipende dall'Uomo, nel bene e nel male, deve essere riportato solo ed esclusivamente alla scelta e all'immane responsabilità dell'individuo. La storia può essere di salvezza o di rovina, ma ciò dipende dalla concreta e quotidiana decisione - questa sì, umanamente libera - di ogni persona. Dio non c'entra. O meglio, se c'entra, c'entra con ciò che è al di là della vita individuale e della storia collettiva, in un orizzonte fiduciale che riguarda la sfera dell'emozione e del sentimento, non quella della ragione. Insomma, non se ne può parlare, nessun ragionamento lo può dimostrare, il che non significa che non ci sia, ma che, se c'è, può essere conosciuto soltanto nella dimensione irrazionale della spiritualità (cfr. Gv.4).

Ah sì, e di Uomo? Si può ancora parlare di Uomo dopo Auschwitz? Di questo domani, in occasione della Giornata internazionale della Memoria.

martedì 24 gennaio 2023

Stasera al Kinemax di Gorizia, "Trieste è bella di notte". Un film da non perdere, comunque la si pensi...

 

Questa sera alle 20.30 presso il Kinemax di Gorizia, alla presenza del regista Andrea Segre che dialogherà con il pubblico, sarà presentato l'importante film "Trieste è bella di notte", interessante per tutti, in particolare per chi vive nella nostra terra di confine.

Ci sono film che consentono di comprendere. Sono utili sia a chi vuole approfondire un tema che a chi ne deve scrivere. Ma sono indispensabili anche per formare le proprie opinioni politiche, qualunque esse siano.

Prima di parlare, pensa e per pensare bene, informati! Così hanno sempre insegnato i migliori maestri. 

Questo film è uno strumento straordinario per conoscere "dal di dentro" la storia della rotta balcanica, il difficile e pericoloso percorso che migliaia di migranti intraprendono per raggiungere l'Unione europea. Attraverso immagini e testimonianze, viene descritto l'itinerario che essi sperano si concluda con l'accoglienza della richiesta d'asilo o comunque con la prospettiva di una vita migliore. Il passaggio dai confini settentrionali della Bosnia alla Croazia è il momento più delicato, il tempo del "game", il tentativo di farcela quasi sempre respinto con un pesante contorno di maltrattamenti. 

Soprattutto si tratta dell'arrivo in Italia, dello sguardo su Trieste bella di notte, lanciato da chi per arrivarci ha camminato mesi e superato grandi ostacoli. Per un lungo periodo l'anno scorso, molti dei nuovi arrivati sono stati "riammessi" in Slovenia, modo eufemistico per dire "respinti", attraverso un triste viaggio senza ritorno verso il punto di partenza in Bosnia. E segnali sempre più frequenti indicano la volontà del nuovo governo di riprendere tale pratica, riconosciuta già dal sistema giudiziario come illegale.

Ci sono tante opinioni e tante posizioni politiche e culturale riguardo a questi temi. Il caldo invito è quello di vedere il film, per poter conoscere il punto di vista - o meglio la situazione esistenziale, le emozioni, le attese, le delusioni... - delle tante persone in marcia verso un avvenire migliore. Poi ciascuno può mantenere o cambiare la propria idea, ma sulla base non del "sentito dire", ma di una conoscenza più approfondita.

Più che mai, un film da non perdere!

domenica 22 gennaio 2023

La Luna è vicina

 

Questa notte la Luna sarà distante dalla Terra 356.568 km. La distanza media è di 382.500 km.

Embè?

Non è mai stata così vicina da 997 anni (dal 1030, quando stava per essere consacrata la nuova Basilica Patriarcale di Aquileia, 24 anni prima dello scisma tra Oriente e Occidente, ecc.) e non lo sarà fino al 2368, quando si spingerà fino a soli 356.359 km da noi.

A me 'sta cosa fa pensare, non so a voi?

La fine di Let'sGo?

Forse è tempo di cambiare i totem prodotti dal Comune, sotto il logo Let'sGo. Con intenzione del tutto costruttiva, è da notare che essi corrispondono a una fase delle relazioni tra Gorizia e Nova Gorica ormai del tutto superata.

La "finestra sul cielo" è la mappa su vetro collocata davanti al Municipio, comprende opportunamente la vecchia città, la Nova Gorica e la zona di Šempeter/Vrtojba. Il titolo dell'opera è riportato soltanto in italiano, inglese e tedesco, mentre il link rinvia all'app del Comune di Gorizia Let'sGo, offerta esclusivamente in lingua italiana. I punti nevralgici delle città sono scritti in italiano, tedesco e inglese, mentre solo la pagina esplicativa riporta un testo in lingua slovena, peraltro aggiunto - bene! - dopo diverse segnalazioni di cittadini. In tale testo si parla ancora di "candidatura" di Nova Gorica e Gorizia a capitale europea della cultura, ormai fatto acquisito da un bel po' di tempo. Tutti gli altri totem diffusi in città, compreso addirittura quello collocato nella piazza della Transalpina, sono in italiano, tedesco e inglese. 

Ergo. 

Supponendo che la questione sia già in studio da parte sia italiana che slovena, in ogni caso occorre integrare o ancor meglio superare del tutto il logo Let'sGo. E' tempo di sostituire immediatamente tutti i totem legati a tale logo, immaginando di collocare una nuova significativa segnaletica condivisa a livello inter-nazionale, nell'intero territorio. I nuovi cartelli dovranno necessariamente essere aggiornati e  ovviamente scritti in sloveno, italiano, inglese, tedesco e, perché no?, anche friulano. Non è da dimenticare il braille, per consentire anche ai non vedenti l'accesso ai siti più importanti.

venerdì 20 gennaio 2023

Hvala gospod Župan, grazie sindaco Samo Turel!

 

Mestna opčina Nova Gorica
Interviene il Comune di Nova Gorica, con una vibrante dichiarazione contro l'accoglienza dei reduci della X Mas nel Municipio a Gorizia. Ogni anno sempre la stessa storia. Ha un senso che il sindaco Ziberna o i rappresentanti di un Comune di un Paese democratico, ricevano ancora i nostalgici della guerra fascista? Ma alla domanda retorica - ovvio che no! - questa volta risponde con chiarezza niente meno che il nuovo sindaco Samo Turel, sul sito ufficiale del suo Comune. E finalmente non si vuole chiudere gli occhi davanti alla storia, ma affrontarla con rispetto della verità. Solo così ha un senso procedere insieme, verso la Capitale europea della Cultura. Ecco le parole del sindaco Turel:

Sprašujem se o primernosti dejstva, da župan Rodolfo Ziberna na sedežu Občine Gorica (I), ki je uradna institucija lokalne samouprave v italijanski republiki, sprejema veterane in podpornike odreda X. MAS. Vsak se ima pravico pokloniti žrtvam, vendar je vzporedno obujanje nostalgije po fašizmu čisto nekaj drugega. Gre za organizacijo, ki ima za Slovence na obeh straneh meje skrajno negativen zgodovinski pečat. Uradno se pripadniki te organizacije razglašajo za domoljube, v resnici pa ideje in simbole črpajo iz italijanskega fašizma. Prepričan sem, da kot napredna in svobodna družba tega ne bi smeli dopustiti, sploh pa ne uradno sprejemati skrajnih ideoloških skupin. Z Evropsko prestolnico kulture, nazivom, ki ga bo Nova Gorica v sodelovanju z Gorico nosila leta 2025, želimo našim ljudem in širši evropski javnosti posredovati sporočilo demokratičnih vrednot, ne pa poveličevanja vsakršnih ideologij zatiranja. Kam lahko poveličevanje tovrstnih ideologij privede, lahko žal spremljamo marsikje po svetu tudi v sedanjosti, ne zgolj v zgodovini.

Mi interrogo sull'opportunità del fatto che il sindaco Rodolfo Ziberna presso la sede del Comune di Gorizia (I), che è un ente ufficiale di autogoverno locale nella Repubblica Italiana, accolga reduci e simpatizzanti della X MAS . Tutti hanno il diritto di rendere omaggio alle vittime, ma il parallelo revival della nostalgia per il fascismo è tutt'altra cosa. È un'organizzazione che ha un'impronta storica estremamente negativa sugli sloveni su entrambi i lati del confine. Ufficialmente i membri di questa organizzazione si dichiarano patrioti, ma in realtà traggono idee e simboli dal fascismo italiano. Sono convinto che come società progressista e libera non dovremmo permetterlo, figuriamoci accettare ufficialmente gruppi ideologici estremi. Con la Capitale europea della cultura, un titolo che Nova Gorica porterà in collaborazione con Gorizia nel 2025, vogliamo trasmettere alla nostra gente e al più ampio pubblico europeo un messaggio di valori democratici, ma non di glorificazione di alcuna ideologia di oppressione. Dove può portare la glorificazione di tali ideologie, purtroppo possiamo seguirla in molti luoghi del mondo anche nel presente, non solo nella storia.

lunedì 16 gennaio 2023

Nostalgia dei simboli politici?

La crisi della politica è anche crisi di nomi e di simboli.

C'è stato un tempo, neppure troppo lontano, nel quale la democrazia era caratterizzata da un confronto tra diverse concezioni della vita, chiaramente esplicitate, che si riconoscevano in determinati simboli.

I rappresentanti della "Democrazia cristiana", almeno teoricamente, proponevano una concezione delle pubbliche relazioni che tentava di mediare la visione cristiana della vita. Quelli del "Partito comunista" sostenevano le idee di Karl Marx, attualizzate e contestualizzate in una fase ben diversa del capitalismo. Gli appartenenti al "Partito liberale" erano d'accordo con le prospettive del libero mercato, mentre i nostalgici del fascismo, essendo giustamente vietato il nome del partito che aveva portato l'Italia alla catastrofe, fondando il "Movimento sociale italiano", credevano in una destra sociale moderna e - dal loro punto di vista - illuminata. C'erano anche i repubblicani, i socialisti, i socialdemocratici e così via.

Ogni visione ideologica trovava la propria sintesi in un simbolo, fosse esso lo scudo crociato, la falce e martello, la bandiera italiana, la fiamma tricolore, il Sole nascente, l'edera e chi più ne ha più ne metta.

Dall'inizio degli anni '90, dopo il cosiddetto crollo dei muri (peraltro ben presto ricostruiti dalla parte opposta per impedire ai poveri di entrare nell'Europa dei ricchi), c'è stato un fuggi fuggi dalle ideologie. Guai chiamarsi cristiani, comunisti, socialisti o liberali, occorre stemperare i toni e darsi una parvenza di impegno morale, talmente generico da non poter essere che sottoscritto anche dagli "avversari". C'è un partito "democratico", ma quale compagine, almeno in linea di principio, non si autodefinisce "democratica"? Ci sono "Forza Italia", i "Fratelli d'Italia", la "Lega", ma non sono molti gli italiani che, indipendentemente dalle loro convinzioni partitiche, ai mondiali di calcio non tifano "forza Italia!" o non cantano con convinzione le (orribili) parole dell'inno nazionale. E' da riconoscere che i pochi sopravvissuti alla distruzione delle ideologie, proponendo una visione definita anche dal nome, "Rifondazione comunista" e "Sinistra italiana" per esempio, non navigano certo in buone acque, in fatto di numeri percentuali alle elezioni.

Se dall'orizzonte nazionale si passa a quello locale, la situazione si fa ancora più evidente, anche grazie alla nascita di una miriade di liste "civiche" di diverso orientamento, che vogliono portare avanti una politica svincolata da un'appartenenza ideologica e unite da una specie di "filosofia del fare". Non è importante definirsi pubblicamente con un simbolo riconoscibile o con un nome immediatamente identificabile. E' importante che le posizioni siano rese visibile dalle azioni, al servizio di una città o di una regione. La prospettiva può essere in parte condivisibile, anche sul piano strategico, dal momento che l'elettorato sembra aver smarrito buona parte della propria fiducia nei partiti e nei simboli che li esprimono. Inoltre consente di intessere alleanze tra persone appartenenti a diversi gruppi d'opinione, riuniti dalla necessità di avere più forza e convergenti sulla base di linee programmatiche di massima, che non escludono l'autonomia e la libertà d'azione di ciascuno.

Tuttavia, questo timore dell'idea di fondo, della weltanschauung alla base dell'orientamento politico o partitico, del simbolo identificante una concezione precisa della politica, porta con sé anche tanta debolezza. Senza una visione che travalichi l'angusto orizzonte della scelta quotidiana, sia pur involontariamente, si finisce per rendere forte e senza alternative il Potere dominante, ovvero il turbocapitalismo che sta letteralmente soffocando il mondo. Senza l'orgoglio di un'appartenenza, sia pur svincolata da forme di obbedienza acritica e passiva, l'unico cemento in grado di aggregare le persone è quello dell'interesse immediato o nel migliore dei casi dell'amicizia, fattore indubbiamente importante, ma sottoposto ai rischi dell'emozione del momento e comunque non sufficiente per imprimere all'andamento del Pianeta una forza di cambiamento autenticamente alternativa.

Se tutto sembra suggerire il tramonto definitivo dei nomi identificanti e dei simboli, forse ci si dovrebbe fermare un momento e chiedersi se davvero non esistano altre possibilità. E se dietro alla disaffezione clamorosa nei confronti della politica rappresentativa non ci fosse proprio l'impossibilità di riconoscersi nei pur lodevoli percorsi civici? Se cioè ci fosse proprio una nostalgia, non tanto delle ideologie quanto delle idee che trovavano la loro rappresentazione simbolica nella falce e martello o nello scudo crociato? I due esempi non sono a caso, si tratta delle due teorie che hanno proposto le più alte forme di umanesimo, sia nella concezione della persona che in quella delle relazioni sociali. E sono accomunate anche dal frequente tradimento del fin troppo elevato obiettivo, giungendo, "in nomine Christi" o "in nomine Caroli", a fomentare tremende tragedie nel corso della storia. Forse che il valore ideale del Vangelo è stato cancellato dagli orrori delle crociate, della repressione nel sangue delle eresie, delle guerre di religione? E perché l'analisi a suo modo profetica del Capitale non dovrebbe essere ripresa in mano e valorizzata nella sua interezza, invece di demonizzarla e confinarla negli archivi dimenticati della storia? La teoria cristiana e quella comunista hanno posto al centro della loro concezione la suprema dignità di ogni uomo e la liberazione dei rapporti sociali da ogni radicale ingiustizia, anche se l'una e l'altra sono state spesso travisate e tradite.

Certo, si può obiettare che ci sono state ideologie e simboli orribili, che hanno portato all'orrore assoluto, il fascismo e il nazismo. Esse devono essere radiate dalla storia, perché nella loro essenza teorica hanno espresso il razzismo, la violenza, la distruzione sistematica di tutto ciò che è umano e fraterno. Le loro sanguinarie dittature, la seconda guerra mondiale e la Shoah, non sono state un "errore", un "tradimento" o un travisamento, bensì l'esito diretto e inevitabile delle loro teorie. Per questo i loro simboli non possono trovare cittadinanza in un ordinamento democratico.

In conclusione, se strategicamente la politica chiede a volte lo sforzo dell'accordo e del compromesso, è importante non dimenticare la forza potente delle idee costruttive, dei simboli che le esprimono e delle visioni globali, senza le quali il localismo rischia di essere debole e miope.

domenica 15 gennaio 2023

Fantasie estive in pieno inverno...

 

Non ricordo chi lo avesse scritto, ma al termine dell'iniziativa mi ero fatto consegnare il testo. Non era male, vagamente fantascientifico, ma anche un po' profetico, tenuto conto della proclamazione della Capitale europea della Cultura 2025, avvenuta un bel po' di tempo dopo. In ogni caso, prescindendo dai Giardini pubblici e dalla bella iniziativa delle "Kaplice" ("Gocce" di cultura, promosse dai circoli culturali sloveni di Gorizia) estive del 2018, non sarebbe male se le cose andassero più o meno così. Quindi, a chi non avesse nulla di meglio da fare in questa uggiosa domenica invernale, auguro buona lettura... (ab)

La calda serata di inizio agosto aveva favorito la presenza di molte persone nei vialetti dei Giardini Pubblici. Le kulturne kaplice si alternavano alle gocce di culture e alli gottis de kultura. Tutti i presenti seguivano lo svolgersi delle varie performance in un religioso silenzio interrotto soltanto dagli applausi scroscianti.

Le luci erano molto forti e così soltanto pochi si resero subito conto di un fenomeno che si stava verificando nel cielo sopra i Giardini. In effetti sembrava che un astro luminoso si avvicinasse sempre più velocemente. Quando raggiunse l’altezza degli alberi un rumore assordante rovinò l’atmosfera carica di interesse e tutti trascurarono le gocce di cultura per volgere lo sguardo verso l’alto. Una nave spaziale – così almeno sembrava essere quello strano oggetto metallico dalla classica forma di disco – stava rumorosamente atterrando nella fontana al centro dei giardini.

Inutile dire che tutti i presenti, compresi gli organizzatori dell’evento culturale estivo, si divisero in due gruppi. Una parte di folla, terrorizzata, cercò di allontanarsi quanto più velocemente possibile. Un’altra parte, più curiosa, si dispose in cerchio intorno all’oggetto metallico letteralmente piovuto dal cielo, in attesa dello svolgersi degli eventi.

In effetti non dovettero aspettare molto. Un tremendo cigolìo accompagnò l’apertura di una specie di porta che nessuno prima aveva notato, al posto del rumore assordante dei motori si scatenò una musica travolgente, più simile a una samba brasiliana che a un pezzo di classica mozartiana. Passò parecchio tempo e non accadde nulla, soltanto cigolii sinistri e musica avvolgente.

Si sentirono i passi. Un colpo dopo l’altro, quasi come una serie di battiti del cuore, ma non si vedeva ancora nulla e nessuno. Tump tump, tump tump, tump tump. Poi, improvvisamente, più nulla. La porta si rinchiuse nell’assoluto silenzio e il disco volante ripartì, esattamente come era venuto, ma questa volta sparì quasi subito, o risucchiato dalla velocità della luce o perché diventato trasparente.

Tutto tornò come prima. I partecipanti alle kaplice ritornarono ai loro posti per seguire le ultime performance e anche coloro che erano fuggiti non ebbero problemi a ritrovare la strada dei giardini. Qualcuno pensò a un geniale trucco illusionista realizzato da qualche artista della serata, qualcun altro a un improvviso sogno collettivo.

Lo spettacolo riprese e fu il turno di un lungo racconto in lingua slovena. Era una storia avvincente e tutti la seguivano con passione. Allo scadere del decimo minuto uno dei collaboratori, originario di Bari, si rese conto, con grande stupore, di comprendere tutto ciò che veniva detto. Per farsi apprezzare sapeva dire sì e no doberdan, con un accento che rendeva subito evidente la provenienza. Si guardò in giro e vide che anche gli altri italiani provavano lo stesso stupore, la lingua slovena sembrava essere diventata patrimonio di tutti. Non ci fu il tempo di approfondire l’evento, toccava al famoso poeta friulano e molti erano venuti da lontano per ascoltarlo. Un gruppo di sloveni, venuti apposta da Maribor per portare il loro contributo alle kaplice, restarono stupefatti: comprendevano perfettamente il difficile friulano del Poeta e ne gustavano le minime pieghe lessicali e sintattiche. Un gruppo di pakistani e afghani che sostavano sulle panchine del parco, si avvicinarono attratti dalle parole che ascoltavano e perfettamente comprendevano. In lingua pastuun uno di loro domandò se c’era la possibilità di offrire un canto della loro tradizione. Gli organizzatori, comprendendo tutto ciò che veniva chiesto, acconsentirono volentieri e – ormai non vi stupirete più – tutti capirono le lingue dell’Afghanistan e del Pakistan…

Quella sera tutti parlavano la propria lingua e tutti comprendevano quella dell’altro, era il miracolo del polilinguismo passivo. Nessuno fece caso a un puntino nero, esattamente sotto il lobo dell’orecchio. Se ne fossero accorti, avrebbero certamente pensato a qualcosa di simile a un’epidemia, anche se quel puntino non dava alcun fastidio, neppure un pizzico di prurito.

Cosa era accaduto? In un mondo ormai travolto dal razzismo e portato alle soglie della guerra globale, proprio a Gorizia e proprio nella sera delle Kaplice, era atterrata l’astronave del popolo dei puntini neri. Molti di questi pacifici invasori erano scesi nel parco, mentre l’astronave se ne era ripartita. Si erano attaccati subito agli esseri umani, fissandosi dietro al lobo dell’orecchio. Avevano iniettato il farmaco Babbeel che aveva disseminato nei cuori e nelle menti sentimenti di reciproca comprensione, gioia di vivere e autentica pace.

Era iniziata una nuova era, quella dell’uomo planetario e del mondo senza confini. E i primi testimoni, come i puntini neri venuti dagli spazi divini, erano partiti entusiasti dai Giardini di Gorizia, la sera del primo agosto 2018, al termine della terza serata di “gocce di cultura”.

sabato 14 gennaio 2023

Le "riammissioni" al confine dei richiedenti asilo sono illegali

Il Consorzio Italiano di Solidarietà interviene con una nota chiarificatrice sulla questione delle "riammissioni" dei migranti al confine italo-sloveno. Vale la pena di pubblicare il comunicato stampa, anche perché il tema, molto discusso l'anno scorso, ora sembra interessare poco la pubblica opinione. Buona lettura. (ab)

Le dichiarazioni rilasciate dal ministro Piantedosi sulla presunta legittimità delle riammissioni al confine italo-sloveno sono di un’inaudita gravità per chi svolge una funzione istituzionale che dovrebbe essere a presidio della legalità. Lo stesso Governo italiano, rispondendo alla interrogazione dell’On. Magi alla Camera dei Deputati nell’ottobre 2021, aveva riconosciuto che in presenza della manifestazione della volontà del cittadino straniero di chiedere asilo «non si da luogo alla riammissione», un’espressione in linguaggio burocratico che riconosceva, a denti stretti, l'illegalità delle riammissioni dei richiedenti asilo avvenute in precedenza sulla frontiera italo-slovena, condotta che era stata già oggetto della censura del Tribunale di Roma (ordinanza del 18 gennaio 2021) a seguito della quale le riammissioni furono sospese. 

Perché dunque Piantedosi ora smentisce quanto riconosciuto dallo stesso Viminale? Cosa c’è dietro l’ossessione di volere riprendere una condotta illegale che getta vergogna sulle istituzioni italiane? Inoltre il Ministro, già distintosi in tutta Europa per i suoi tentativi di forzare le normative internazionali sul soccorso in mare, sembra dimenticare che nessuna riammissione, anche di quei cittadini stranieri che non chiedono asilo, può essere “informale” perché in uno stato di diritto ogni decisione della pubblica amministrazione deve sempre avere consistere in un provvedimento scritto, motivato e notificato alla persona affinché la decisione possa eventualmente essere impugnata in giudizio. La natura informale delle riammissioni le rende quindi chiaramente illegali in qualunque caso e circostanza esse vengano fatte, trasformandole in deportazioni di fatto, incompatibili con un ordinamento democratico.
Come avvenuto in passato ICS agirà in tutte le sedi necessarie verso ogni violazione della legalità.

Un laghetto in inverno...

 

E' bello fermarsi un attimo, sedersi su un tronco abbandonato e contemplare i giochi d'acqua. Il canneto vorrebbe soffocare il laghetto, togliere spazio vitale alle anatre che si rincorrono, almeno apparentemente allegre. Ma non ci riesce, lo specchio è profondo e resiste.

Quanta vita, visibile e nascosta, celebra il proprio rituale. Uccelli, insetti, qualche capriolo smarrito, tutti trovano un istante per riposare, per lanciarsi in arditi giochi d'amore sulla superficie o semplicemente per bere. Non ci sono pericoli, non c'è da attendersi il coccodrillo che risale improvviso e inghiotte in un solo boccone un cigno imprudente. 

Voci di bambini distraggono i pensieri e lasciando da parte per un po' il mistero dell'esistenza che come un lampo si consuma lungo il fiume e sull'acqua, si concentrano sulla frenesia di un tempo che scorre rapidissimo, senza concedere nulla all'approfondimento e alla riflessione. La tecnica procede a passi spediti, l'informazione celebra ogni secondo miliardi di miliardi di notizie messaggi persuasioni, la comunicazione paradossalmente tra gli esseri umani langue, oppressa dall'interpretazione di sé stessa.

Rinchiusi nella solitudine di un computer o di un telefonino, sbattiamo contro al vicino come un tempo i distratti incocciavano contro il palo oppure ricostruiamo le antiche paratie dei treni, autoisolandoci con lo sguardo fisso su uno schermo, cercando di carpire, nell'oceano pressoché infinito dell'informazione globale, un frammento disperso di verità.

Eppure la coscienza sembra rispondere a impulsi ancestrali ed arcani, la gioia apre ancora le labbra a un semplice sorriso e il dolore - oh sì, il dolore soprattutto - è lo stesso di Edipo e Antigone, di Siddartha e Confucio, della vittima e del carnefice, del fedele e del non credente, del soldato e dell'innocente. E' il dolore di una madre in Mozambico, che alza le braccia al cielo alla ricerca di risposte, guardando il suo decimo figlio annichilito dalla fame. E' il dolore del padre che vede la propria bimba travolta dalle acque del fiume Mirno (già, proprio pacifico), a pochi passi dall'arrivo nella terra di un'effimera speranza. E' il dolore che attraversa il volto emaciato di chi ha il destino segnato da una malattia e sa che il big ben sta per dire stop. 

Cosa c'entra tutto questo con il laghetto, le anatrelle, il canneto ondeggiante al vento di gennaio? Non lo so, forse niente, forse tutto. Forse soltanto perché questi momenti di bellezza invitano a riprendere il ritmo della Natura, anche di quella umana. E a riscoprire la semplice felicità di un incontro, di una stretta di mano, di una parola buona. O anche, semplicemente, di guardare l'acqua e dire "che bello!". Prima di alzare lo sguardo e capire dove ci si trova.

martedì 10 gennaio 2023

Un premio meritatissimo, il "France Prešeren" a Jelinčič e a Gadjiev

 Non sempre i premi e le onorificenze sono appannaggio dei più meritevoli, ma questa volta sì. Il "Prešeren", il più prestigioso riconoscimento in ambito culturale della Slovenija, viene conferito quest'anno a Dušan Jelinčič e Alexander Gadjiev.

Il primo è uno dei più interessanti scrittori viventi del Centro Europa. Importante alpinista, attento e sempre documentato storico, ottimo traduttore di splendidi testi dallo sloveno all'italiano, giornalista e collaboratore di numerose testate, avvincente narratore, riesce a coniugare in modo straordinario lo "spirito" di una terra di confine. Sfugge a qualsiasi definizione, dal momento che scrive sia in sloveno che in italiano, ma riuscendo nella non semplice impresa di inserirsi in quella specifica forma culturale che valorizza nello stesso momento le due culture, contribuendo così a creane una nuova, arricchita dalla conoscenza dell'una e dell'altra. Figlio di Zorko, un grande protagonista della lotta contro il fascismo noto al pubblico grazie al bel libro "Sotto un sole di piombo" curato dallo stesso Dušan, continua anche oggi a tenere desta in tutti la lotta contro ogni forma di oppressione, per la giustizia e la libertà. 

Il secondo è il giovane pianista che in breve tempo è diventato una celebrità internazionale. Originario di Gorizia, è un altro esempio di come sia possibile fondere nella propria persona la ricchezza delle culture slovena e italiana. A chi gli chiedeva se si sentisse più uno o più l'altro, Alexander rispondeva argutamente, già parecchio tempo fa, di sentirsi "goriziano". Con questa battuta, smontava ogni forma di nazionalismo, sottolineando come l'identità sia costruttiva soltanto quando apre l'orizzonte e permette di sentirsi "cittadini del mondo". E Gadjiev cittadino del mondo lo è veramente, portando in ogni Continente la bellezza della musica - in particolare di quello Chopin del quale è diventato uno fra i più importanti interpreti planetari. 

L'8 febbraio, festa nazionale in Slovenia nel ricordo della data di morte del sommo poeta France Prešeren, anche come abitanti della Capitale europea della Cultura 2025, accompagneremo idealmente, con gioia e convinzione la consegna del prestigioso premio a Dušan Jelinčič e a Alexander Gadjiev. Hvala in čestitam!

lunedì 9 gennaio 2023

Kropa, Jamnik, Dražgoše. Una giornata nella Natura e nella Storia.

Dicono che sia uno degli scorci più fotografati dell'intera Slovenija. 

E' la chiesa gotica - datata prima metà del XVI secolo - dei santi Primo e Feliciano, martiri cristiani dell'epoca dell'imperatore Diocleziano. Si trova al centro di un anfiteatro paesaggistico e storico di grande interesse. 

Con il bel tempo, è possibile spaziare con lo sguardo dalle alte vette delle Giulie Orientali alle Alpi di Kamnik, ma anche sulla piana di Kranj e Škofja Loka e, oltre a Šmarna gora, sulla capitale Ljubljana. Insomma, un panorama mozzafiato!

Anche la storia non scherza, c'è stata molta vita intorno a questo luogo. Provenendo dalla zona di Radovljica, si risale una stretta valle e, quando meno ce lo si aspetta, si incontra la cittadina di Kropa. Già i lampioni e le ordinarie bacheche comunali raccontano di un'attività artigianale molto particolare. E' stata, e per certi versi lo è ancora, la capitale del lavoro in ferro battuto. Attorno all'impetuoso torrente, dal quale viene ricavata l'acqua necessaria a realizzare questa speciale arte, ci sono due chiese e numerose case, a testimoniare un ricco passato reso possibile da un'occupazione difficile ma sicura. C'è anche un bel museo, che racconta della maestria degli artigiani e della loro fama, diffusa in tutto il mondo.

Continuando ad andare su, fino a un passo alto poco più di 600 metri, la strada attraversa fitti boschi e sfiora paesi abbarbicati sulla montagna. Anche in questo caso, si può solo immaginare l'esistenza delle persone da queste parti, la fatica del fieno, l'allevamento di qualche capo di bestiame, l'orto dal quale strappare qualcosa con cui sopravvivere, spesso al gelo, con i campi sotto la neve per quasi tutto l'inverno. Oggi non è certo così, le strade asfaltate e le case ricostruite e rinfrescate, parlano di una nuova stagione, di una vita meno dura che non vuole tuttavia dimenticare le proprie radici e le proprie tradizioni.

In questo contesto, meglio se a piedi, si raggiunge l'abitato di Dražgoše, dove ogni anno si ricorda una delle tante, troppe tragedie della seconda guerra mondiale. Un gruppo di partigiani era riuscito a costituire una piccola realtà libera, nel cuore dell'occupazione nazi fascista della Jugoslavja. Si era all'inizio del 1942 e ancora molta acqua doveva passare sotto i ponti, prima che il Fronte di Liberazione diventasse talmente forte da rovesciare le sorti della guerra. Tra l'11 e il 12 gennaio 1942, un intero plotone di soldati tedeschi raggiunge il paese per stroncare questa esperienza di autogestione ante litteram. La resistenza dei partigiani è eroica, l'intera valle risuona di esplosioni e di spari. Il battaglione Cankar riesce a fermare per ore le forze enormemente superiori degli aggressori. Purtroppo la speranza viene soffocata nel sangue, nove partigiani perdono la vita nel combattimento e nella successiva odiosa rappresaglia vengono presi in ostaggio e poi uccisi 41 abitanti. Buona parte del villaggio viene incendiata o distrutta, dopo la fine del conflitto diventa un simbolo della lotta contro l'invasore, di anelito alla libertà e dell'orrore di ogni guerra.

sabato 7 gennaio 2023

Michelangelo Pistoletto alla Cukrarna di Ljubljana

La Cukrarna di Ljubljana era un'enorme fabbrica, dove si lavorava lo zucchero. Dopo tante discussioni e progetti, l'edificio è stato completamente ristrutturato, con un ingente finanziamento. Inaugurato l'anno scorso, è diventata in breve tempo un punto di riferimento fondamentale per la Cultura in Slovenia e ospita interessanti mostre permanenti e temporanee.

Dallo scorso 29 settembre, fino al prossimo 5 marzo, è allestita una mostra personale di Michelangelo Pistoletto, uno dei più grandi artisti del nostro tempo.

Nei due piani a lui dedicati, sono esposte opere che percorrono alcuni momenti importanti del suo percorso artistico, dai quadri specchio degli anni '60 del XX secolo alle sculture della memoria degli anni '80, dall'"arte povera" riproposta nel 2022 sulla base delle prima "Venere degli stracci" realizzata nel 1967, dalle realizzazioni dell'"arte dello squallore", anch'esse datate tra il 1985 e il 1988, fino al "Terzo Paradiso", progetto assai attuale avviato nel 2002.

Quella di un "terzo paradiso" nel quale l'uomo, dopo essere stato dipendente dalla natura e dopo averla dominata con la tecnica, diventerà capace di interagire armonicamente con la natura e con la tecnica, sembra effettivamente essere uno dei motivi conduttori principali della mostra. Non a caso, il contesto è creato da una straordinaria riflessione simbolico matematica sulla creazione, cosmico scontro tra lo spazio/tempo e la massa/energia. L'infinito viene scisso dal contatto e la realtà si ritrova generata per separazione, una specie di buco nero, frammento radicalmente condizionato dalla diversità, sospeso nell'Oceano indistinto dell'Essere senza limite e senza tempo. L'anelito alla ricongiunzione - una specie di de-siderio platonico della neo-simbiosi tra il femminile e il maschile, produce nuove forma, cosicché dall'unione degli opposti si generano altre dimensioni della realtà, le quali suggeriscono e in qualche misura anche oltrepassano, la nostalgia del Paradiso perduto.

In effetti, il dipinto di 70 metri che occupa l'intera parete della Cukrarna, rispecchiato nella sculture, in parte formali, in parte in-formali o de-formi, sembra voler presentare una continua intersezione tra lo spazio cosmico attraversato da linee di luce crepuscolare e la speranza che in questo apparente grigiore, la realtà effettivamente esista, fuga di frammenti condensati dallo spazio, dal tempo, dalla massa e dalla materia. E' questo l'approdo del percorso universale, la riacquisizione della Vita perduta a causa del peccato originale, dello sciagurato furto del fuoco grazie al quale Prometeo ha consegnato all'uomo la tecnica, il vero frutto della conoscenza del bene e del male? Se sì, questo definitivo fondersi del Frammento perduto, recuperato nella Totalità, non può essere detto né rappresentato - "Non nominerai il signore tuo Dio e non ti farai alcuna immagine di ciò che Egli è" - ma soltanto presagito attraverso segni tenebrosi che velano ma non cancellano la speranza che scaturisce dalle fonti inesauribili del Mistero.

Il primo piano è più politico, pone le basi di un'ascesa che deve misurarsi inevitabilmente con la Storia. Pistoletto propone la quotidianità come protagonista dell'arte più sublime. E' chiaro nella scelta dei temi, dai personaggi che vivono esperienze normali di ogni giorno e che accolgono il visitatore come "uno di loro", ai materiali più ovvi e facili da reperire, il cartone, le lampadine, le pagine del giornale, i panni, le cassette della frutta, di legno o di plastica. In questa fase, si è immersi nella tragicità e nel fascino del mondo attuale. Prima del ritorno al terzo paradiso è necessario ritrovarsi nella selva oscura, dove la retta via è inevitabilmente smarrita. Gli inferi non sono riconoscibili dalle Malebolge dantesche o dal fuoco eterno, bensì dall'immersione nella banalità di ogni giorno. La Bellezza, nostalgia di un origine fuori dal tempo e dallo spazio, è soffocata dall'overdose comunicativa del mondo attuale e uno dei suoi simboli artistici, la Venere di Milo, si trasforma in Venere degli stracci che non soccombe, ma neppure redime la montagna di panni disordinati che cercano in ogni modo di sostituirla. In questa luminosa distanza, a mo' di provocazione, c'è una tabella con la scritta che riporta le parole più potenti che si possa non dire e ascoltare nella Vita: TI AMO! 

E' la denuncia di quanto anche questa espressione sia subissata dal chiacchiericcio dell'istante o invece è la porta che dal regno artistico dello squallore - così definito dallo stesso artista - invita a salire le scale, la montagna dalle sette balze che conduce Dante nell'empireo? Sì, è proprio così, l'Amore redime la storia e non la riporta al punto di partenza, al presunto Eden del "principio", ma la proietta nell'ultima dimensione, quella in cui finalmente quello della conoscenza del bene e del male non è più il Peccato prototipo, bensì la condizione normale dello spirito universale che in ogni sua forma particolare si manifesta al di fuori delle categorie dello spazio e del tempo. Almeno fino alla prossima Creazione.

Mastro Mosaico...

 

Le tessere che compongono il mosaico dell'aula teodoriana della Basilica di Aquileia (inizio IV secolo), sono circa 2.736.000. Sì, due milioni settecentotrentaseimila!

E' fin troppo facile riflettere.

Ogni pezzetto di pietra, preso da solo, non è particolarmente attraente. Collegato con gli altri offre alla contemplazione un meraviglioso pavimento, dove s riconoscono piante, pesci, uccelli, animali di tante specie, volti umani.

In sintesi, il mosaico esiste, nella sua straordinaria bellezza, perché ogni suo minimo frammento si trova lì dove deve essere. Se fosse staccato dal tessuto, il "buco" sarebbe immediatamente evidente.

Ecco cosa insegnano 2.736.000 tessere. Nessuna in sé è più importante delle altre, ma collocata nel punto giusto contribuisce a formare lo spettacolare disegno. 

Meditate genti, meditate...

giovedì 5 gennaio 2023

Un breve "punto" sulle politiche migratorie

 

L'inizio di un "game", in una notte di Bosnia
Come previsto, la politica sulle migrazioni portata avanti dal governo Meloni, è destinata da una parte a incrementare i disagi di centinaia di migliaia di persone in cammino, dall'altra ad alimentare, sia pur progressivamente, lo scontro sociale. 

I fronti principali di questa lotta sono due, il Mare Mediterraneo e, meno "gettonata" dai media, la Rotta Balcanica. Il contesto vede ancora chiusi i flussi che regolano il numero di persone che possono accedere in Italia e in Europa avendo in mano un contratto di lavoro. Ciò implica che l'unico modo per varcare la porte dell'Unione europea è la richiesta d'asilo. La crisi economica e le guerre endemiche hanno portato intere popolazioni sull'orlo (e anche oltre l'orlo) della morte per fame. Non è certo strano il fatto che tra questi miliardi di persone - sì, miliardi, perché di questo si tratta - ce ne sia qualche milione che tenta di cercare una strada per liberare le proprie famiglie dall'incubo della guerra, della persecuzione ideologica e religiosa, nonché - perché poi non dovrebbero farlo - della fame. 

L'altro contesto debole è quello della relativamente ricca Unione europea, che non riesce a generare politiche di accoglienza, ma solo di respingimento di chi cerca una vita migliore. La soddisfazione per la "caduta" della frontiera tra Slovenia e Croazia, che ha suscitato la gioia dei tanti turisti che non incontreranno più le file chilometriche dell'estate, corrisponde al rafforzamento dei controlli e all'inasprimento della repressione al confine fra Croazia e Bosnia, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

In questo quadro, non ci si poteva aspettare che un governo di destra portasse avanti una politica di sinistra. Per la verità, anche i governi precedenti, autodefiniti di centro sinistra se non anche di sinistra, non hanno certo promosso e portato avanti normative molto più "aperte" rispetto a quelle attuali. Gli accordi con i lager libici risalgono a un ministro di un governo di centro sinistra, le riammissioni in Slovenia sono state avviate dalla ministra Lamorgese, le odissee sulle navi delle ong non sono opera solo del Conte1. Tuttavia, in ciò che si percepisce dal modo di muoversi dell'esecutivo, all'inizio del suo percorso, c'è anche qualcosa di nuovo - non di meglio - nel metodo, non certo nel merito che rimane lo stesso. A differenza dei tempi del Salvini ministro dell'interno, quando tutto era addirittura motivo di pavoneggiamento da parte del tristo "Capitano", ora prevale la posizione del "dire e non dire", evitando più possibile scontri diretti con il coinvolgimento dell'opinione pubblica.

Per quanto riguarda il mare, il nuovo atteggiamento legislativo del Governo non impedisce gli attracchi delle imbarcazioni delle ong, ma "costringendole" a violare le leggi per poter portare in salvo i naufraghi, le sottopone a fermo amministrativo prima, a confisca poi. Ciò da una parte avvia una serie di cause senza fine, dai tempi prevedibilmente molto lunghi, dall'altra paralizza il servizio delle "non governative", costrette a lunghe attese nei porti, mentre i traffici di persone continuano, nelle esclusive mani di nuovi negrieri senza scrupoli. Tutto ciò suscita l'ovvia indignazione delle associazioni sensibili ai temi dell'accoglienza e della fraternità universale, l'entusiastica approvazione dei sostenitori dell'attuale governo e l'apatia di gran parte dei cittadini, un tempo commossi dalla situazione di centinaia di donne uomini e bambini abbandonati per settimane sulle navi tra le onde, attualmente del tutto indifferenti di fronte ai "fermi" che sembrano solo burocratici espedienti amministrativi. 

L'attraversamento dei Balcani è sempre più complicato e continuano ormai da anni i tentativi dei migranti di "saltare" la Bosnia per entrare nell'Unione a piedi. La fatica e la frustrazione sono enormi, riscontrabile fisicamente nei campi profughi allestiti nel nord della Bosnia. Anche le sofferenze sono notevoli, come testimoniato dalle tremende piaghe curate dai volontari della Piazza dei Popoli (quella davanti alla stazione di Trieste). Sono le condizioni nelle quali versano i pochi che, rocambolescamente, riescono a eludere la sempre più sofisticata rete elettronica di controlli e ad arrivare in Italia. Giunti nel Bel Paese, li attende una nuova, sgradita sorpresa. Il Governo, per voce di funzionari che affermano sommessamente e poi chiariscono ambiguamente, fa sapere che c'è la volontà si riprendere le cosiddette "riammissioni informali" che altro non sono che respingimenti in Slovenia e successivo rientro coatto attraverso la Croazia in Bosnia. In realtà, c'è una variabile non indifferente ed è il cambio del governo in Slovenia, fatto questo che spiega l'incertezza comunicativa di Meloni/Piantedosi. Ciò costringe a più miti consigli, tenendo presente che l'esecutivo Golob sembra intenzionato a smarcarsi più possibile dalle posizioni politiche del predecessore Janša.

In questa situazione, è da segnalare anche il "caso Gorizia", con caratteristiche diverse rispetto a quelle del tempo della "Galleria Bombi". Mentre il sindaco di Gorizia perfino nel suo augurio di Natale si vanta di aver ripulito la galleria Bombi dai richiedenti asilo, rifiutando un'accoglienza ben più agevole che sarebbe stata di sua competenza, decine di persone ogni sera dormono all'addiaccio vicino alla stazione ferroviaria. Sono aiutate e sostenute da un gruppo di volontari che hanno l'unico obiettivo di alleviare le loro sofferenze. Ma veramente è difficile capire perché non si lascino aperte le porte della stazione durante la notte, almeno in questo periodo di intemperie e umidità, se non ancora di freddo. Chi ha l'autorità per agire in qualsiasi modo perché ciò avvenga, agisca!

martedì 3 gennaio 2023

Koren/Corno, un fiume sfortunato

 

Il Koren/Corno nella Valletta
Quanti fiumi possono essere sfortunati quanto il Koren/Corno?

Fino a un secolo fa, scorreva limpido e gioioso. Le due sorgenti - una sul Monte San Gabriele, l'altra nel bel bosco del Panovec - alimentavano freschi ruscelli, nei quali era possibile perfino pescare i gamberoni. Dopo la loro confluenza, il corso d'acqua diventava più grande e, quando la pioggia lo rendeva minaccioso, era libero di spaziare negli ampie praterie che costeggiavano l'antico cimitero di Gorizia. Poi si restringeva docilmente e attraversava le zone più belle della città, offrendo scorci romantici e soprattutto consentendo alle donne di lavare i panni sulle sue rive. Formava una bella valle e saltellando tra i sassi levigati si gettava fiducioso tra le braccia dell'Isonzo/Soča, dai colori di smeraldo.

Poi gli è capitato di tutto. Le esigenze urbanistiche della "vecchia" Gorizia hanno portato al suo "tombamento". Il termine è un po' sinistro, ma rende l'idea. Una lunga galleria di cemento, dall'attuale confine di via san Gabriele fino alla "Valletta", sostituisce i riflessi argentei. L'asfalto prende possesso di ogni metro e dei fasti antichi non resta più nulla, se non una statua di San Giovanni Nepomuceno in via Brass, dove c'era un ponte ormai dimenticato da tutti. Nel frattempo la vegetazione rigogliosa ha reso impraticabile qualsiasi comodo accesso, fatto sta che quasi nessuno abitante ha più potuto avvicinarsi, respinto da liane e piante infestanti. 

Del resto, anche la storia ci ha messo del suo. La ridefinizione dei confini. dopo la seconda guerra mondiale, ha portato alla fondazione di Nova Gorica, una straordinaria opera di popolo, dove lavoratrici e lavoratori provenienti da tutte le repubbliche della Jugoslavija, hanno orgogliosamente realizzato la profezia di Celentano, "là dove c'era l'erba, ora c'è una città". Ed è una città bellissima, esempio ante litteram di convivenza tra diverse lingue e culture, oltre che custode di inattese ricchezze culturali e artistiche che - si auspica - diverranno sempre più patrimonio comune, avvicinandoci alla fatidica scadenza del 2025. Il povero Koren/Corno ha versato il suo tributo alla nuova città. Una piccola diga ha ridotto le sue piene a più miti consigli e profondi argini erbosi lo hanno reso innocuo e inoffensivo, rendendo possibile la vita della nuova comunità nascente. Certo, non è la triste copertura di cemento che lo attende appena valicato il confine, ma la libertà di scorrere nelle paludi sotto Kostanjevica è ormai solo un ricordo.

Da alcuni anni, impegnativi lavori sembrano voler restituire ai cittadini almeno una parte dell'antico corso del fiume, quello che attraversa la Valletta a lui dedicata. Se lo merita davvero e ci sia augura che l'impresa sia conclusa entro tempi decenti. Un breve tratto potrà tornare a vivificare un parco ordinato, che inviterà gli abitanti a cercare in esso momenti di pace e di contemplazione. Quando? Speriamo presto, sarà bello rivedere alla luce del Sole un fiume che nel passato è stato tanto importante per Gorizia e per il suo territorio.