Vogliono la pace anche quelli che scatenano la guerra, pensano che non ci siano altri mezzi perché siano garantite le loro ragioni. Naturalmente, almeno generalmente, le vere motivazioni di un'aggressione devono essere conosciute soltanto da pochi, per questo occorre attribuire al nemico ogni sorta di minaccia nei confronti degli intoccabili dio padre e famiglia. Diversa è la situazione di chi è attaccato, vive in situazioni di evidente oppressione e persecuzione, vede costantemente soffocate la libertà e la giustizia. In questo caso, i motivi per cercare di rovesciare la contingenza sono maggiormente evidenti, anche se è sempre comunque forte la possibilità di una strumentalizzazione da parte di chi vorrebbe soltanto sostituire una forma di oppressione con un'altra o semplicemente continuare a garantirsi un potere non meno oppressivo di quello portato dagli aggressori.
In tutto questo dichiararsi per la pace ed essere contemporaneamente in guerra, di sicuro c'è soltanto la sofferenza. Che il missile sia stato sparato da una parte o dall'altra, che il giovane sia un soldato o un civile, che i bambini siano utilizzati per la propaganda o meno, che siano stati usati ordigni sofisticati o fucili da museo, ciò che c'è di vero è l'orrore della morte, l'urlo dei feriti, il pianto disperato di chi perde le persone amate. Questo grido, come ogni strage degli innocenti, sollecita la coscienza e invita a domandarsi se si siano realmente compiuti tutti gli sforzi possibili per raggiungere una pace vera e duratura.
Nel caso dell'attuale conflitto fra Russia e Ucraina, chi vuole davvero la pace si deve porre domande drammatiche e nel contempo deve cercare di darsi delle risposte sufficientemente convincenti. Non è facile, anche perché finora, a parte gli strateghi politici e militari che governano i militarmente più forti Paesi del mondo, sono molto pochi gli strumenti per comprendere ciò che stia davvero accadendo. All'inizio sembrava che si trattasse di riportare alcune regioni russofone nella sfera della Russia e di impedire l'inserimento dell'Ucraina nella NATO. Dall'altra parte sembrava esserci un irrigidimento e un rifiuto a trattare su tali argomenti a prescindere, mentre gli USA e parte dei Paesi europei soffiavano sul fuoco con parole, opere e (molte) omissioni. Dopo due mesi, oltre a quella dell'umano dolore, l'unica certezza è che se tutti vogliono la pace, sono ben pochi quelli che si stanno adoperando per raggiungerla. Brillano per la loro assenza l'ONU, i diplomatici europei e gli altri arbitrati internazionali. Le chiese si annullano a vicenda, con posizioni antitetiche e spesso contradditorie anche al loro interno, tenendo conto che il loro ruolo non dovrebbe andare al di là di un forte richiamo etico. Nel frattempo, lo scontro sul campo si è trasferito nei talk show dell'Occidente e, grazie anche al martellamento mediatico, nell'ennesima partita tra "buoni e cattivi" ci si divide in tifoserie le une contro le altre scatenate.
Anche il tradizionale mondo pacifista vacilla sotto i colpi delle opposte "ragioni" e anche della non peregrina accusa di "svegliarsi" soltanto in alcune occasioni, sparendo dalla storia nei tempi intermedi. Non è del tutto vero, c'è chi ha sempre tenuta accesa la fiammella, pur essendo quasi del tutto ignorato dagli organi di informazione. In generale la diffidenza attuale potrebbe essere considerata anche un bene, l'unanimismo del passato ha consentito a immense manifestazioni partecipate da milioni di persone di scomparire dalla storia come i titoli di coda di un film. Questa volta occorre maggiore consapevolezza, l'aggressione non può trovare alcuna possibile giustificazione o comprensione e il diritto di un popolo a difendersi da qualsiasi violenta oppressione non può essere liquidato come forma di incoscienza di fronte a un avversario ritenuto militarmente superiore.
Quindi? Quindi una volta affermato - con la stragrande maggioranza della popolazione mondiale - che si è per la pace, occorre prendere una posizione faticosa ma convinta sulla strada per realizzarla.
E qui si torna alla già più volte richiamata alternativa. O si risolve il tutto con la vittoria di una delle due parti in guerra oppure con la trattativa diplomatica. Là dove finisce la Politica inizia la Guerra, si diceva un tempo. Se gli USA e l'Unione Europea ritengono che l'Ucraina debba vincere la guerra non hanno altra alternativa che inviare per ora armi, ma ben presto anche gli eserciti, innescando una spirale di ritorsioni dagli esiti tragicamente immaginabili. Se invece vogliono effettivamente evitare la terza guerra mondiale, l'unica strada possibile è un'efficace, competente e convincente mediazione, cogliendo le istanze degli uni e degli altri, inviando corpi civili di pace, offrendo collaborazione per la ricostruzione delle città distrutte e per il ripristino delle relazioni.
Facile dirlo stando seduti sul divano a vedere la tv? Forse, ma perché vediamo solo azioni militari e non percepiamo alcun segno di diplomazia? Perché sembra che i cosiddetti "grandi" della Terra gettino continuamente benzina invece che acqua? Perché non affrontare anche ciò che sta dietro a questa ormai interminabile battaglia e a questi orrori che fanno da inevitabile contorno di ogni guerra? Perché la Politica, anche in Italia, si lascia soffocare dalla scorciatoia dell'invio degli armamenti e dell'asservimento alle istanze americane?
Il modo migliore per onorare chi è stato trascinato nella sofferenza e nella morte non è quello di fomentare la vendetta dei sopravvissuti, ma di seminare parole di pace, di dialogo e di perdono.
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