venerdì 31 maggio 2024

Materani a Gorizia: incontri immaginari tra capitali europee della cultura (3: Solkan e Sveta gora)

 

Non c'è la possibilità del bagno in mare, ma aprire le finestre sul Collio di prima mattina, è un'esperienza elettrizzante. Le colline si rincorrono l'una con l'altra, divise da valli scavate da torrenti impercettibili, i colori dei vigneti si mescolano con quelli degli alberi da frutta, risuonano ovunque i festosi rintocchi delle campane che sembrano voler collegare i paesi in un meraviglioso concerto all'aria aperta. E' uno scenario da sogno, che ricorda qualche parte della Toscana, ci sono perfino i paesi abbarbicati sulle cime e i tozzi castelli dall'aria ammiccante... 

La colazione non fu da meno, tra una marmellata e una fetta di salame, Carmelo, Nunziata e Ninetto ebbero la possibilità di scambiare due parole con la famiglia di ospiti seduta al tavolo vicino. Il giovane, che cominciava a essere un po' stufo della compagnia dei soli suoi genitori, aveva adocchiato la ragazza e aveva cercato di capire da dove venissero. Un po' con il suo stentato inglese, un po' con gesti e tirando fuori dalla borsa una cartina, riuscì a capire che anch'essi erano venuti a visitare la capitale europea della cultura e che provenivano da un'altra "capitale", di qualche anno prima: Maribor. Si stupì che anche Jana avesse la stessa guida del territorio, ma ben presto si accorse che era l'edizione in lingua slovena: Gorica Nova Gorica, povezani mesti. Non c'era molto tempo per i convenevoli, Carmelo disse: "Su dai, dobbiamo andare, ci troveremo di sicuro in giornata da qualche parte". In qualche modo si salutarono e, per farla breve, ripresero l'auto e ridiscesero verso la città. 

Giunsero a Solkan proprio mentre dal ponte della strada cosiddetta di Osimo, alcuni ardimentosi si gettavano a capofitto verso l'Isonzo, sostenuti da corde elastiche che consentivano voli impressionanti. Trascurarono per il momento l'originale museo della falegnameria - "Ci passeremo domani!" - e giunsero a Vila Bartolomej, la sede del Goriški Muzej, dove li aspettava un'importante disanima della storia del Novecento: l'inizio sotto l'Impero Austro-Ungarico, la prima guerra mondiale, poi l'Italia e il fascismo, la seconda guerra mondiale e la liberazione, la presenza dell'esercito jugoslavo e poi quella degli alleati, la linea di confine, il tempo della Jugoslavia con la nascita di Nova Gorica e poi della Slovenia indipendente, l'ingresso nell'Unione europea, poi in area Schengen e infine la capitale europea della cultura. "E' un viaggio incredibile nel cuore dell'Europa", disse Ninetto emozionato. "Nel cuore del mondo", aggiunse Nunziata. "Avete visto molto, ma al vicino castello di Kromberk vi potrete godere alcuni grandi pittori, Zoran Mušič, Lojze Spacal, Tone Kralj, Avgust Černigoj, conoscere le storie e le opere di letterati straordinari, entrare nel cuore di una delle più vivaci e interessanti storie culturali della Mitteleuropa". Le parole del direttore del Museo erano alquanto convincenti. Era necessario rimanere ancora qualche giorno a Gorizia e Nova Gorica, avere anche il tempo per una corsa su per la strada dell?Isonzo, verso Kanal e Kobarid... "Ah Kobarid, quello della rotta di Caporetto", non si trattenne Ninetto, che ricordava ancora il suo professore di storia che parlava del Sabotino, del Podgora e delle battaglie della Bainsizza. "I luoghi di Uomini contro, il film con Gian Maria Volonté!" disse Carmelo per fare il saputello, confondendo peraltro il Carso e il Collio con l'altopiano di Asiago. "Sì - aggiunse Nunzia - ma oggi cerchiamo almeno di finire il percorso della grande mostra della capitale della cultura. Ci manca Monte Santo". "Sveta Gora" si sentì una voce dietro di loro. Era Jana con i suoi: "se volete, andiamo su insieme - disse in un ottimo inglese - tra l'altro lassù si mangia anche molto bene!".

Fu così che i sei risalirono i tornanti, lanciando sguardi sempre più interessati al panorama che si andava aprendo sull'intera piana di Gorizia, là dove le città sembravano essere un unico grande agglomerato raccolto tra dolci colline. La visita al santuario fu molto interessante, un giovane francescano raccontava la storia del sito, Jana cercava di tradurre in inglese per Ninetto e lui a sua volta parlava in italiano con i suoi. Era un modo un po' complicato per comunicare, ma alla fin fine parlavano più i sorrisi della comprensione dei termini, tanto che Jana e Ninetto uscirono dalla chiesa tenendosi per mano. A Nord si stagliavano le Alpi Giulie, il Kanin, il Krn e il Triglav salutavano i visitatori, a Sud, facendo capolino dietro la mole massiccia del Sabotin, salutavano le due Gorizia unite, risplendenti sotto il sole dell'estate. L'Isonzo si intuiva nel profondo della valle, sembrava quasi di ascoltare il suo fragoroso e allegro mormorio. Era tempo di entrare nei locali interni del santuario, dove era allestita la parte della mostra riguardante la storia del popolo sloveno e della conversione al cristianesimo negli oscuri secoli tra il VII e il IX. I gitanti di Maribor sembravano ovviamente conoscere meglio quelle storie, per gli italiani era tutta una novità: il ruolo del patriarcato di Aquileia, i contrasti con Salisburgo, Carlo Magno e la conversione forzata dei popoli provenienti dall'est, Paolino d'Aquileia e la proposta di convertire con la convinzione e non con la costrizione, il grande poeta sloveno France Prešeren e il racconto dei leggendari Črtomir, Bogomila, Valjhun... Era una storia estremamente interessante, raccontava incontri e scontri tra culture, lingue intrecciate e poi disciolte, vicende di pace e di guerra. Era così chiaro adesso il percorso, erano poste le radici, erano spuntati i tronchi, cresciuti i rami, prodotte le foglie, generati i fiori. E ora ci si poteva godere in tutta la sua ampiezza quel territorio, lontano da Maribor, lontanissimo da Matera. "Grazie a chi ha realizzato questa mostra in così tante e differenziate sedi. Ci avete aiutato a entrare nella vostra vita". Aveva scritto Carmelo sul libro dei visitatori e gli altri due avevano firmato. Ninetto aveva lanciato un'occhiata anche a Jana che stava scrivendo qualcosa dopo di loro. Non aveva capito nulla di ciò che era scritto, ma presentiva che quell'incontro non sarebbe stato l'ultimo.

Visitata la grande mostra della capitale europea della cultura, era tempo di tornare a valle e di conoscere le "due città in una", possibilmente camminando oppure, perché no? andando in bicicletta. I tre materani telefonarono al bed and breakfast della sera prima, sarebbero rimasti in zona almeno altri tre o quattro giorni. "ora che non dobbiamo più seguire il percorso dal preromano al postmoderno, tira fuori la guida, con quel magnifico colore, decidiamo che fare nei prossimi giorni" ordinò quasi ridendo Nunzia al suo Ninetto, che vedeva un po' smarrito. "Sì, dai, verranno anche gli amici di Maribor, magari piano paino impariamo qualche parola di sloveno!" Carmelo disse: "Vediamo di affrontare già oggi pomeriggio il primo degli otto itinerari proposti da Nova Gorica Gorizia, due città in una". "Chissà chi è questo autore, dal cognome promettente?" "Mah, chissà, forse lo incontriamo, camminando per il centro della parte vecchia o della parte nuova. Sarebbe bello farci guidare da lui..."   

Finito il sontuoso arrosto e consumato l'ultimo bicchiere di cabernet, assai soddisfatti si tuffarono nella ripida e stretta strada che li avrebbe riportati in città. (3. Fine)

mercoledì 29 maggio 2024

Materani a Gorizia: incontri immaginari tra capitali europee della cultura (2: Santa Chiara, Castagnavizza, Transalpina)

 

La mattina dopo, dopo il bagno mattutino in mare, i tre lasciarono Grado per dirigersi verso Gorizia. Questa volta avevano affittato un auto, per essere più  liberi e avevano pensato di seguire un'altra strada, per fermarsi almeno una mezz'ora a san Canzian d'Isonzo, citato dalla guida come "secondo sito archeologico più importante della Regione". Nunziata aveva un po' protestato perché avrebbe voluto vedere i casoni della Laguna - "mi hanno detto che assomigliano ai trulli", aveva detto rivendicando ancora una volta le sue origini pugliesi distinte da quelle del marito e del figlio rigorosamente lucani. "Avremo tempo nei prossimi giorni, adesso non vediamo l'ora di essere a Gorizia!"

Conobbero la fulgida storia dei santi martiri canziani e proseguirono verso Sagrado e Gradisca, salirono sul san Michele e diedero uno sguardo, col cuore triste, alle innumerevoli trincee e ai segni della sanguinosa Grande Guerra. Scesero verso la città, adagiata fra i colli, sotto la collina del castello che - come recitava la guida alla mostra pluricentrica del 2025, "aveva dato il nome alla città, riportato in un documento con il quale l'imperatore Ottone III donava al Patriarca di Aquileia Giovanni villa quae sclavorum lingua vocatur Goriza", cioè piccola montagna, ovvero collina.

"Andiamo subito in centro, a vedere la mostra nel museo di Santa Chiara". Tutti tre una volta tanto erano d'accordo, parcheggiarono vicino al bel mercato coperto e tirarono fuori il biglietto cumulativo: dopo i musei di Aquileia, era la volta di quelli del Goriziano. Anche qua l'argomento era il rapporto tra popolo, religiosità e arte. Un piano permetteva di contemplare i bei reperti del tesoro della Cattedrale di Gorizia, dettagliati pannelli illustrativi ne raccontavano la storia, dal 1751, anno della soppressione del Patriarcato di Aquileia e dell'erezione della nuova Arcidiocesi. In un altro piano venivano presentati altri culti e opere d'arte presenti sul territorio. Si parlava della predicazione di Primož Trubar, della sua grande figura di fondamento della letteratura slovena, del primo  protestantesimo diffuso a macchia d'olio fino alla scelta per il cattolicesimo degli Asburgo. Si invitavano i visitatori a visitare le chiese della città, come pure a un passaggio presso quella evangelica metodista, costruita a metà dell'800 dalla famiglia degli industriali tedeschi Ritter, ai quali tanto si deve della sopravvivenza del territorio. All'ultimo piano si raccontava la storia dell'ebraismo, dei ghetti della Cocevia e dell'attuale via Ascoli, della costruzione della Sinagoga, di Graziadio Isaia Ascoli, dei Michelstaedter, di Carolina Luzzato, dei Morpurgo. "Qua c'è scritto che non si può andare via dalla zona senza aver visto il cimitero ebraico di Valdirose. Io ci andrei subito dopo la visita a questo interessantissimo museo" - propose Ninetto, aggiungendo che nella guida acquistata ancora a Matera c'era scritto che in Slovenia avrebbero trovato delle ottime "gostilne", cioè ristoranti. "In effetti, mi sta venendo su una fame indescrivibile" - chiosò Carmelo, invitando gli altri due ad affrettarsi.

E fu così. Attraversarono il confine alla Casa Rossa e andarono a vedere la suggestive tombe ebraiche, nomi importanti, simboli affascinanti, l'acqua versata sulla terra, Giona inghiottito dal pesce. Si rinfrancarono con un breve spuntino e notarono come il santuario della Castagnavizza, successiva meta del museo diffuso "dal preromano al postmoderno", fosse proprio sopra di loro. decisero di andarci a piedi, costeggiando lo spettacolare parco Rafut e la villa Laščak. Sotto il sole non  fu proprio una passeggiatina, ma appena arrivati furono ampiamente ripagati.  Il monastero era bellissimo, con una chiesa, ricostruita quasi interamente dopo la prima guerra mondiale, molto accogliente e riservata. Sotto il pavimento c'erano le tombe dell'ultimo re di Francia Carlo X e di diversi dignitari della sua corte, finiti a Goriyia seguendo il bizzarro scorrere degli eventi storici. Una gentilissima studiosa parlò loro del grande linguista Stanislav Škrabec, vissuto oltre 40 anni nel convento, responsabile dell'avvio dell'ormai quasi bicentenario meraviglioso giardino delle rose: "ma per capirne la bellezza dovete tornare in maggio,  potrete vedere i colori e sentire i profumi... Per ora accontentatevi della quarta parte della nostra mostra del 2025, sulla religiosità popolare. I  tre materani erano veramente colpiti, non si sarebbero mai aspettati tanti reperti, cassapanche, ex voto, semplici tavolette di legno, a ricordare la fede semplice  e nello stesso tempo solida dei contadini e dei montanari delle valli dell'Isonzo e del Vipacco. "E non è tutto - vedrete tantissime altre testimonianze, anche molto misteriose e originali, al Goriški Muzej di Solkan. E' la penultima tappa della mostra, dedicata agli eventi dell'ultimo secolo... Però prima godetevi gli incunaboli del Monastero e anche, in esclusiva per questo periodo, le incredibili miniature dei codici aquileiesi".

"Carmelo - disse Nunzia uscendo dal santuario e contemplando la città di Nova Gorica ai loro piedi - ma qua le mostre ci stanno raccontando una storia straordinaria, ma se non ci fermiamo di più rischiamo di non goderci le città". "Già - disse Ninetto - perché non cerchiamo da dormire da queste parti questa notte." Provo in qualche paese sul Collio, dicono che siano molto accoglienti e che abbiano un vino straordinario...". "Affare fatto" - dissero all'unisono Ninetto e Carmela.

Scesero così alla Transalpina, la stazione antica, meravigliosa. Notarono che la piazza in Slovenia si chiama Piazza dell'Europa, ricordando l'ingresso della Slovenia nell'Unione europea. Videro il piccolo museo della stazione e chiesero notizie. Un gentilissimo custode disse. "Vi conviene finire la mostra principale, vi mancano il museo di Solkan e Sveta Gora (in italiano Monte Santo). Se poi vi fermate ancora qualche giorno, vi consiglio il museo diffuso sul confine: ci sono tanti piccoli luoghi di esposizione che raccontano come si viveva quando qua c'era il confine. Non certo una cortina di ferro, ma senz'altro uno sbarramento che oggi non esiste più."

E fu così che i tre, sempre più entusiasti di aver deciso di venire a Gorizia e a Nova Gorica, ordinarono una birra al bar della stazione e decisero di rinviare al giorno successivo la visita agli ultimi due luoghi di esposizione della grande mostra "dal preromano al postmoderno", anche perché sapevano che avrebbero dovuto affrontare il tema più complesso dell'intero lungo itinerario: il Novecento Goriziano. Prenotarono su internet le stanze di un bed and breakfast in un paese che si chiama Medana e si prepararono a un indimenticabile tramonto, condito dalla locale ribolla gialla e da uno strepitoso piatto di čevapčiči. (2. continua)

martedì 28 maggio 2024

Materani a Gorizia. Incontri immaginari tra capitali europee della cultura (1: Aquileia)

 

Madonna annunziata, chiesa S.Spirito a Gorizia
"Nova Gorica e Gorizia... le ho sentite nominare delle volte. Erano in Jugoslavia, mi pare." "Ma no, Carmelo, una è in Jugoslavia, l'altra in Italia, l'hanno divisa in due dopo la guerra, almeno così mi hanno insegnato a scuola". "Ma siete proprio come i nostri antenati che vivevano nei Sassi! La Jugoslavia non esiste più da trent'anni, da quelle parti. Nova Gorica è una città modernissima e Gorizia è antica. Ne parlano ora al telegiornale perché sono diventate proprio come noi nel 2018, capitale europea della cultura." "E cosa hanno di bello?". "Hanno che se le sono date di anta ragione per mezzo secolo e ora si vogliono talmente bene da essere la prima capitale della cultura condivisa tra due stati, Ma scusate, per capire meglio, perché non ci andiamo?" "Sei matto? Fino lassù?". "Ma dai, saranno sì e non quatto ore tutto compreso con l'aereo, non siamo mica all'età della pietra...". "Sì, dai Carmelo, andiamo! Hai sentito, c'è un itinerario che permette di capire tutta la loro storia, chissà che interessante!".

E così Carmelo, Nunziata e Ninetto giunsero all'aeroporto di Ronchi e andarono subito all'albergo. L'agenzia aveva proposto loro di andar ea dormire a Grado e da lì cominciare il loro percorso. Un bel bagno mattutino nono glielo avrebbe tolto nessuno, uno sguardo al centro storico - "ma è proprio una piccola Venezia!" - e via in corriera ad Aquileia. Non si poteva che cominciare dal museo archeologico. Ninetto era stato a Roma ma qui, grazie anche all'aiuto della guida delle mostre della capitale culturale, era molto più facile orientarsi e comprendere. C'erano i culti preromani, l'arte legata agli dei classici della Grecia e di Roma, le novità delle are a Mitra e a Beleno, perfino i segni degli Egizi, statuette di Iside e di Osirirde... Che immensa emozione. 

E poi arrivò il cristianesimo. I tre di Matera furono grati a chi consigliò loro una bella passeggiata, Videro il suggestivo sepolcreto, camminarono sulle pietre della strada di Aratria Galla, si goderono il Foro e arrivarono al museo paleocristiano di Monastero. Entrarono quasi in punta di piedi, videro con stupore i mosaici delle tre basiliche, sempre sostenuti dalla guida completa alla conoscenza del territorio, "dal preromano al postmoderno". Scoprirono i segreti delle incredibili lapidi che parlavano delle questioni ordinarie e straordinarie della vita, dell'amore e della morte. Non si stancarono di contemplare, fin quando Carmelo, molto pratico, disse che era ora di andare a mangiare. Non sapevano cosa li avrebbe aspettati nel lungo pomeriggio estivo. Visitarono il porto antico e la casa di Tito Macro, poi arrivarono nella piazza del Capitolo e  rimasero folgorati da tanta bellezza. "Ma chi se lo sarebbe mai aspettato?" - si dicevano l'un l'altro. Non si può neppure descrivere l'emozione dell'entrata nella Basilica, prima il luminoso battistero con la Sud Halle, poi gli strabilianti mosaici dell'inizio del IV secolo, le cripte, le absidi medievali, un tripudio di luci, di suoni e di sensazioni. I tre non volevano più andarsene, ma sapevano che erano appena all'inizio della loro avventura nella capitale europea della cultura. "Andiamo un salto anche la cimitero di guerra dietro alla basilica" - disse Ninetto fresco di studi. "E' lì che ci sono i dieci militi ignoti, protagonisti della scelta di Maria". "Che Maria?" - chiese Nunziata incuriosita. ""Ma la Maria Bergamas! Non ti ricordi la mamma che è svenuta su una bara proprio nella basilica di Aquileia?" "Ah già, hai ragione, adesso mi ricordo bene, ho tanto pianto vedendo quel film... Pensavo come avrei reagito se fosse capitato a te di morire in guerra..." "Ma cosa c'entra? Andiamo, su, andiamo a vedere!"

Ai tre sarebbe piaciuto andare anche sul campanile, ma la guida delle mostre goriziane lo sconsigliava. C'era scritto: "è tempo di andare dall'altra parte della piazza, nel palazzo Mezljk, dove si trova la Mostra del Patriarcato". "Bon dai, saranno le solite robe, quattro calici, tre vesti per preti, un ostensorio" - disse il solito Carmelo. "Chissà? Magari possiamo capire qualcosa di più su Nova Gorica e Gorizia, adesso che abbiamo scoperto la bellezza di Aquileia...". Entrarono, accolti dal mosaico del IV secolo, il buon pastore dell'abito singolare. E poi cominciarono ad addentrarsi in una storia talmente incredibile da far fatica a credere che fosse vera. Sembrava una nuova Pentecoste: ungheresi, austriaci, croati, macedoni, serbi, italiani, sloveni, tedeschi, ebrei sembravano uniti da una forza interiore, mentre parlavano lingue diverse e si donavano reciprocamente la bellezza di storie e culture sconosciute. Il Patriarcato - "Ma che brutto nome" - disse ridendo Nunziata che da giovane aveva partecipato alle lotte femministe assai mal digerite nella sua Puglia. Sì, il Patriarcato occupava buona parte del Centro Europa, per qualche secolo aveva avuto anche giurisdizione civile e in ogni caso aveva delineato fino quasi al giorno d'oggi confini ed enucleato problemi. I reperti esposti erano uno più bello dell'altro, ma la cosa più interessante era capire il ruolo del cristianesimo, poi del cattolicesimo, nella costruzione della nuova Europa. 

"Dopo aver visto tutte queste cose" - disse Carmelo - "non ci resta che tornare in albergo e guardare gli orari delle corriere. Domani ci attendono Nova Gorica e Gorizia." Con espressione fiorita Ninetto commentò: "Un po' come i frutti maturi dei semi gettati ad Aquileia". "Maturi sì ora, ma nel passato anche un po' marci" - chiosò Carmelo che aveva sentito dal padre i racconti della Resistenza che avevano creato in lui uno spirito indipendente e decisamente antifascista". "Sì, la guida dice che non siamo neanche a metà del nostro viaggio" - commentò Nunziata. "Beh insomma, non ci resta che concludere la giornata con un buon bicchiere di Traminer dei patriarchi". "Oh no, ancora 'sti patriarchi!" (1. continua)       

lunedì 27 maggio 2024

Per la Pace, ma dalla parte di chi è di parte...

 

Dopo l'ennesima, ingiustificabile strage di Rafah, nella Striscia di Gaza, non c'è più alcuna alternativa alla chiarezza, non c'è più spazio per l'ambiguità. Se non si è direttamente coinvolti, si rischia di assuefarsi alle tragedie o di anestetizzare l'orrore con un pacifismo da salotto.

Non basta dire di essere per la Pace. E' indispensabile dare un nome preciso agli eventi che stanno accadendo, un giudizio pesante sulle responsabilità, una chiara proposta per uscire dal drammatico vicolo cieco nel quale ci si è infilati.

Cominciamo con il nome preciso agli eventi e la denuncia delle responsabilità. Dire che "non dovrebbero soffrire né gli israeliani né i palestinesi" è affermare una cosa talmente ovvia da essere banale, è come dire tutto e il contrario di tutto. In ciò che accade, è indispensabile prendere posizione, l'equidistanza serve solo a chiamarsi fuori dalla mischia. E se quello compiuto da Hamas il 7 ottobre è definito "terrorismo", si deve dire che ciò che sta perpetrando Israele nella Striscia di Gaza è "genocidio". E se si evidenzia il dolore degli ostaggi e dei loro parenti, non si può non nominare esplicitamente il bombardamento sistematico delle città palestinesi che ha portato all'uccisione di migliaia e migliaia di persone, quasi la metà bambini. E se si condanna - giustamente - il crudele gesto terroristico, come si può sorvolare su quasi ottanta anni di tremende vessazioni subite dal popolo palestinese da parte di Israele, che non giustificano ma spiegano. Se non si dice pane al pane e vino al vino, si rischia uno stucchevole infantilismo, da bandierine sventolate al vento senza tenere conto delle proporzioni della tragedia in corso.

Ciò vale anche per l'interminabile guerra in Ucraina. Coloro che si stracciano le vesti per l'ingiustificabile invasione dell'Ucraina e sostengono come la soluzione sia il continuo invio delle armi al guitto Zelensky, sono gli stessi che giustificano l'invasione di Israele nei confronti della Striscia di Gaza, ritenendo necessario disarmare radicalmente gli invasi. E' fin troppo facile capire come dietro a posizioni così contradittorie, non ci sia affatto una ragione ideologica, ma soltanto la tutela di interessi macroscopici, non ultimi quelli legati alla produzione e alla vendita - legale e illegale - delle armi. Le industrie belliche stanno andando a gonfie vele, compresa la Leonardo in Italia e i suoi "successi" sono salutati dagli inchini e dalle visite di alti esponenti del centro destra e anche del centro sinistra. Quella che si sta svolgendo in Ucraina è un'inutile strage cronicizzata e mentre i soldati cadono sotto i colpi reciproci e i civili muoiono bombardati perfino nei supermercati, qualcuno pensa di riproporre il mito del povero Milite Ignoto per appellarsi a una cultura di pace. Sì, l'intera generazione di europei (e non solo), falcidiata nell'orrenda carneficina che è stata la prima guerra mondiale, dovrebbe urlare al Mondo: basta con le guerre, basta con le armi e con gli eserciti, basta. E si dovrebbero additare come esempio, più che gli incolpevoli militi ignoti mandati al macello da politici incoscienti e generali crudeli, le migliaia di disertori che sono stati fucilati dai carabinieri perché si rifiutavano di uscire dalla trincea, di uccidere altri giovani simili a loro, "con lo stesso identico umore, ma con la divisa di un altro colore", come cantava il grande Faber.

Non si può farla passare liscia a Netanyahu che se ne frega dei pronunciamenti della Corte dell'Aia e perfino delle implorazioni del suo amico Biden, trascinando i suoi elettori davanti al tribunale della storia e seminando - lui sì - pericolosi semi di antisemitismo pronti ad attecchire nel terreno del neonazismo europeo. Non bastano le parole di circostanza di Meloni e Tajani, occorre riconoscere immediatamente lo Stato Palestinese, come hanno fatto la Spagna e la Slovenia. Gutierrez, dal seggio più importante dell'ONU e Bergoglio, dalla sede principale della cattolicità, hanno indicato la strada della diplomazia e della nonviolenza attiva come unica possibilità per uscire da questa situazione con una speranza di pace e non con la sempre più concreta possibilità di catastrofe globale.

Si è ancora in tempo per invertire la rotta. Ma accadrà soltanto se si avrà il coraggio di lasciare la facile strada lastricata di buone intenzioni di chi semina ovunque la parola "pace" senza dare a essa contenuti precisi e renderla fondamento di scelte pratiche efficaci. Finora chi si è smarcato da questo sdolcinamento finalizzato a far dimenticare gli autentici problemi oppure - soprattutto le nuove generazioni - è stato azzittito dai media oppure ha assaggiato i colpi dei manganelli. Se i gesti non disturbano, anzi sono lodati dai manovratori, significa che sono inefficaci. Forse è il momento di pagare di persona, pur di aiutare a crescere un'opinione pubblica che è sicuramente contro la guerra ovunque, ma non riesce a far sentire la propria voce, a trasformare in voti - e quindi in consenso - l'istanza accorata, documentata e competente di chi ai vani terribili massacri oppone la necessità del dialogo e non dell'omologazione tra le diverse parti, della diplomazia, della nonviolenza attiva e del disarmo universale.

sabato 25 maggio 2024

Hvala, grazie Pogi!

 

Foto Nevio Costanzo
Non è il Monte Grappa e la maglia non è rosa. Con il suo 8% comunque la salita ci mette del suo, senza contare il panorama, tra i monti goriziani, presso i binari che si proiettano orgogliosi verso il ponte di Solkan. E insomma, una pedalata dopo l'altra da qualche parte prima o poi si arriva...

No, non sono andato fuori di testa, ma non potendo inserire le foto del gran Tadej in quanto coperte da copyright, uno spunto dovevo pur trovarlo per scrivere due righe, un po' più leggere di quanto ordinariamente il periodo non consenta.

Andai a Komenda quattro anni fa, quando solo gli appassionati di ciclismo avevano fino a quel momento sentito nominare Tadej Pogačar, che proprio in quel giorno stava portandosi a casa le varie maglie del suo primo Tour de France. La gente era entusiasta, avevano creato un tendone per l'occasione, l'epica "battaglia" era stata contro il connazionale Primož Roglič e riproponeva le storiche rivalità fra Coppi e Bartali o, più tardi, tra Saronni e Moser o chi per loro. Si respirava un clima di grande riconoscenza, un paese sperduto nella Gorenjska diventava improvvisamente nominato ovunque. "Sarà vera gloria", dicevano tutti, raccontando gustosi aneddoti sul bambino che pochi anni prima si era iscritto al club del ciclismo e veniva compatito da tutti perché staccato dal gruppo, salvo poi accorgersi che era in testa, avendo percorso già un giro in più degli altri. Sì, da quella volta Pogačar ne ha fatta tanta di strada, anche nel senso letterale del termine, raggiungendo obiettivi straordinari: un altro Tour e due secondi posti determinati dalla troppa voglia di vincere tutto, un terzo posto alla Vuelta di Spagna, il giro di Slovenia del 2023 e un'infinità di corse classiche di un giorno. Fortissimo a cronometro, in montagna, non disdegna perfino le volate. Il tutto è condito dal vento della gioventù, non avendo ancora compiuto 26 anni!

Oggi sul Monte Grappa ha mantenuto la promessa e ha dato grande spettacolo, vincendo la sua sesta tappa e relegando il secondo in classifica generale a quasi dieci minuti di distanza, un abisso che non si riscontrava da decenni. Lasciando perdere le note troppo tecniche e rinviando al Tour de France la domanda fatidica sulla reale forza del vincitore e sulla presunta debolezza degli sconfitti, si deve dire che Pogi - come tutti ormai lo chiamano - come già del resto Roglič lo scorso anno con la "conquista" del Giro sul Monte Lussari, ha compiuto un'impresa forse perfino più importante del suo successo individuale.

Ha infatti riacceso la passione per il ciclismo, sempre stata presente negli italiani ma fortemente ridimensionata dagli scandali doping dei due decenni precedenti, come pure dalla noiosa routine del periodo successivo. La memoria del "pirata" Pantani era l'unica in grado di suscitare forti emozioni, ma il tran tran di Giri e Tour determinati dal controllo reciproco tra i protagonisti di turno aveva allontanato la gente dalle strade e dagli schermi televisivi. Il bravissimo Tadej ha ricostruito giorno dopo giorno l'entusiasmo, riportando "sulle strade del Giro" le masse, per qualche giorno alleggerite dalle preoccupazioni planetarie, dimentiche delle rivalità politiche, libere perfino dal tradizionale nazionalismo italico. E' ritornato il "campione", senza ulteriori connotazioni, come Sinner quasi perdonato perfino della "macchia" della comoda residenza a Montecarlo, talmente forte da essere superiore a qualsiasi catalogazione o critica, il "cannibale", come l'indimenticabile Eddy Merckx e pochi altri.

Per gli abitanti della/e Gorici ("le due Gorizia"), il trionfo di Pogačar ha un'ulteriore valore. Quod non fecerunt barbari fecerunt barberini, ma in senso contrario, del tutto positivo. Quello che non riuscirono a fare Schengen e la proclamazione della capitale europea della cultura, lo fece Pogačar. E vedere tanti goriziani che avevano giurato di "non mettere mai piede in Jugo", sventolare con gioia la bandiera slovena, non può che essere motivo di grande soddisfazione e di speranza. Chissà, forse ci voleva un fenomeno sportivo per risvegliare i dormienti e per comprendere quanto - al di là delle performance del giovanotto della Gorenjska - sia meraviglioso esser uniti nella diversità delle lingue, delle culture e delle concezioni della vita.

Grazie quindi a Tadej Pogačar per questo bellissimo Giro d'Italia, arrivederci al 2025, quando i ciclisti celebreranno la capitale europea della Cultura su Trg Evrope/Piazza della Transalpina. Nel frattempo domani a Komenda si festeggerà ben più solennemente che nel 2020, e non solo perché non ci saranno le mascherine! E l'individuo della foto, insieme al fotografo-ciclista potrà tentare di nuovo Sveta Gora o il Sabotin da Kojsko, per provare le stesse incommensurabili emozioni.

venerdì 24 maggio 2024

Povezani mesti pri Maksu

 

Giovedì 30 maggio, alle ore 19, verrà presentato "pri Maksu", il libro Nova Gorica - Nova Gorica, povezani mesti. Dopo le bellissime presentazioni al Kulturni dom di Gorizia, alla knjižnica Bevk di Nova Gorica, a Vicino/Lontano a Udine, all'agriturismo Albafiorita di Latisana, nella sala civica di Cormons per iniziativa della libreria Vecchiet, c'è molta attesa per questo nuovo passo, dato il luogo e i protagonisti dell'iniziativa. 

La libreria/caffetteria MAKS, a Nova Gorica, sta infatti diventando di giorno in giorno di più, un luogo di amicizia, incontro ed elaborazione culturale. Ogni mese c'è un fitto calendario di incontri, presentazioni e confronti, ma soprattutto in ogni momento si possono incrociare - approfittando per bere un caffé insieme - persone provenienti dall'intera "Gorici" (= le due Gorizia). E' proprio ciò che si vorrebbe dalla capitale europea della cultura, un luogo in cui l'incontro tra lingue e culture diverse sia la normalità e non l'eccezionalità e lo sguardo amichevole tra gli abitanti sia il fondamento di ogni percorso e iniziativa comuni.

E' quindi con particolare gioia che ci si troverà il prossimo giovedì. Si parlerà soprattutto sloveno, ma si realizzerà anche un curioso intreccio di idiomi, punti di vista e modi di osservare la realtà. Esso consentirà a ogni partecipante di sentirsi a casa, coinvolto in un'esperienza di immersione nella meravigliosa pluralità culturale che caratterizza il territorio e la cui valorizzazione è uno degli obiettivi del libro/guida, edito in sloveno da ZTT e in italiano da Ediciclo, anche in vista degli eventi connessi all'anno 2025.

Introdurrà e modererà l'incontro Klavdija Figelj, saranno presenti l'autore e Pia Lešnik, che con pazienza e competenza ha adeguato il testo alla sensibilità e alla comprensione dei lettori sloveni. Ci saranno naturalmente anche i responsabili e gli operatori della Libreria MAKS che sta trasformando la già bella realtà della Delpinova ulica in un vero e proprio costruttivo salotto culturale cittadino. 


domenica 19 maggio 2024

Buona Pentecoste, fuoco, comprensione delle lingue, colomba

 

La festa di Pentecoste ricorda i "cinquanta giorni" trascorsi dalla Pasqua. Per i cristiani, è la memoria della "discesa" dello Spirito Santo su Maria, le altre donne che avevano amato Gesù e gli apostoli riuniti nel cenacolo.

Un gruppo di persone, ancora terrorizzate dalla possibilità di essere arrestate e di fare la stessa fine del Maestro, nonostante l'esperienza personale e intime della risurrezione, diventano all'improvviso annunciatrici del Vangelo e testimoni in tutto il mondo.

I simboli della Pentecoste sono numerosi, tra essi si richiamano in questo contesto il fuoco, il dono delle lingue e la colomba.

A pensarci bene, sono tutti elementi ambivalenti. Il fuoco, il cui dominio ha consentito passi da gigante al percorso di homo sapiens, può rendere migliore la vita o la può distruggere. Può forgiare gli strumenti attraverso i quali costruire meraviglie o può annientare la natura e tutti i viventi. Il fuoco è il prodotto della combustione che mantiene in essere le stelle, che trasmette il calore necessario a far germogliare il seme e a far crescere la pianta. E' la furia devastante che non teme ostacoli nella sua azione di bruciare, estirpare, devastare. C'è un fuoco di Pace che anima i costruttori di una civiltà nella quale le relazioni interumane siano determinate dalla scelta della nonviolenza attiva. E c'è il fuoco della guerra, fomentato dagli interessi disumani di chi specula sulla pelle dei poveri per arricchirsi e prolungare il tempo dell'ingiustizia e della viltà. E' il fuoco che spinge le discepole e i discepoli a uscire dal rifugio per affrontare con immenso coraggio il Potere, armati soltanto con la forza della Fede e la potenza dell'umana intelligenza. E' la chiesa nascente, quella della sequela del vangelo e non dei dogmi. E' la comunità che condivide ogni cosa, nella quale non ci sono poveri perché tutto è di tutti. E' la celebrazione di una Chiesa senza chiese, di un servizio senza gerarchie, di una religione senza sacerdozio, di un potere dei senza potere, di spazi e tempi sacralizzati dall'irruzione della profanità, del Verbo che si è fatto Carne. E' il fuoco della Pentecoste...

L'esito di tale annuncio è la ricomposizione delle lingue disperse dalla pretesa imperialistica dell'uomo che si vuole sostituire al Mistero fondante l'Essere di tutte le cose. In altre parole, si tratta dell'unità nella diversità, compito supremo e obiettivo di ogni economia di comunione e politica fondata sulla relazione. essi parlavano - raccontano gli Atti degli Apostoli - e tutti comprendevano. E' un po' come quello che a Gorizia e Nova Gorica viene chiamato il plurilinguismo passivo, ognuno parla la sua lingua e tutti sono in grado di capirlo. La ricostruzione dell'unità linguistica è il segno del rinnovamento delle relazioni. Non è l'unico segno, ci sono luoghi in cui ci si capisce benissimo ma ciò non impedisce l'insorgere di terribili guerre. Così come la non comprensione linguistica no impedisce di per sé il realizzarsi di laicissimi miracoli, come la nomina transfrontaliera della Capitale europea della Cultura 2025. Dove le differenze hanno provocato violenze, persecuzioni e privazioni di libertà, oggi si cerca di costruire un mondo migliore, le diversità sono considerate ricchezza e la regola del rapporto interpersonale e interculturale diventa il dono e non l'omologazione. E' il dono delle lingue della Pentecoste, la possibilità di sperare in un Pianeta finalmente pacificato, radicato sui principi della libertà, della giustizia sociale e dell'universale sororità e fraternità.

Infine la colomba, che secondo i vangeli scende su Gesù nel momento del battesimo al Giordano. Dopo il diluvio universale, la colomba torna da Noè portando nel becco un ramo d'ulivo. E' la manifestazione della fine del tempo dell'ira di Dio. Ma Dio non può essere arrabbiato, è il solito vizio di conferire all'inconoscibile le caratteristiche umane. Sono il mancato rispetto delle leggi della natura e l'odio nei confronti dell'altro le vere cause di ogni diluvio esistenziale, non di quello casuale che caratterizza ogni fase dell'evoluzione del cosmo, ma quello derivato dall'esplicita scelta dell'intelligenza e dell'umana volontà. Dall'arca di Noè che è la Terra di questi tempi, è tempo di lanciare una metaforica colomba - le parole del Papa all'Arena di Verona ieri, l'abbraccio dei giovani palestinese e israeliano colpiti nei loro affetti da tanta violenza omicida - che si innalzi sopra le acque della sofferenza ovunque diffuse. C'è da sperare che tale messaggio non finisca sotto i colpi delle mitragliatrici e delle bombe, ma entri nelle coscienze di ogni essere umano, soprattutto dei decisori insediati nei Palazzi del Mondo. E ritorni nel cuore di ogni uomo, portando il suo nuovo ramoscello d'ulivo. Ad annunciare una nuova stagione di bellezza e di pace. E' la colomba della Pentecoste.

mercoledì 15 maggio 2024

Tone Kralj a Gorizia...


Kruha in iger, panem et circenses. E' il titolo della straordinaria mostra del famoso pittore sloveno Tone Kralj (1900-1975) che si terrà al Kulturni dom di Gorizia, con inaugurazione lunedì 20 maggio, alle ore 18. Nell'occasione parleranno Nataša Robežnik, Tina Fortič Jakopič, Andrea Bellavite, Boris Peric e Igor Komel. La presentazione ufficiale della mostra è affidata a Kaja Širok.

E' un'occasione unica per conoscere il percorso artistico di un autore particolarmente interessante e coraggioso. E' stato un vero innovatore, offrendo un esempio di sperimentalismo modernista, con un'eccezionale capacità di gestione dei colori e delle forme. E' noto soprattutto per il costante collegamento, neanche troppo simbolico, con la situazione del popolo sloveno nel periodo del fascismo e con la realtà della Jugoslavia dell'immediato  secondo dopoguerra. La scelta dei quadri esposti al Kulturni consente un'immersione particolarmente avvincente e drammatica nelle vicende della deportazione, degli incendi, delle fucilazioni di gruppo che hanno interessato la Slovenia, dal Trattato di Rapallo a quello di Parigi. E' soprattutto evidenziata la delicatezza e la compartecipazione, in una singolare commistione di motivi religiosi e civili in grado di suscitare emozione e commozione. La sofferenza derivata dall'oppressione è accomunata a quella dei martiri cristiani dei primi secoli, così come il pensiero al principio neroniano (ahimè, non solo suo!) del "panem et circenses" suscita la speranza che il tempo delle persecuzioni possa finire, con l'avvio di una nuova stagione di serenità e libertà.

Altrettanto interessante è la contemporanea inedita esposizione di alcuni quadri e schizzi per la realizzazione di affreschi nelle chiese, che si tiene presso la Biblioteca Damir Feigl (Trgovski dom). In questo caso l'inaugurazione è prevista il giorno dopo, martedì 21 maggio, sempre alle ore 18, con la presentazione di un significativo catalogo, curato anche da Klavdija Figelj, Luisa Gergolet e Alessandro Quinzi. In questo caso si tratta solo di un piccolo frammento della gigantesca opera compiuta da Tone Kralj in decine di chiese della Primorska e non solo. In questo contesto, si comprende ancora meglio la sensibilità storica, culturale e religiosa dell'artista, impossibile da rinchiudere in uno schema fisso, dal momento che la sua arte è sempre libera e, pur innestata nelle più avanzate suggestioni della modernità, sempre affrancata da qualsiasi inquadramento di ordine tecnico o contenutistico. La sacralità si confonde nella laicità e il paradosso della fede si congiunge alla complessità della Storia.

Insomma, due mostre da non perdere su un grande artista, da conoscere anche accogliendo il suggerimento di prevedere qualche visita agli innumerevoli luoghi di preghiera nobilitati dai suoi affreschi e dalle sue pitture.

domenica 12 maggio 2024

Religione e religioni: in difesa della Costituzione (art.8, 19 e 20)


La questione dei luoghi e dei gesti espliciti di preghiera è sempre molto delicata, coinvolgendo i fondamentali principi di libertà di pensiero e di professione, come pure quelli del rispetto delle opinioni e del "credo" altrui.

Oltre al basilare diritto stabilito dall'articolo 8, che stabilisce la possibilità ma non l'obbligo di stabilire intese con lo Stato, sono da richiamare gli articoli 19 (Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume) e 20 (Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività). Alla luce di queste indicazioni, è facile pronosticare la sentenza di incostituzionalità nei confronti della "Modifica all'articolo 71 del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in materia di compatibilità urbanistica dell'uso delle sedi e dei locali impiegati dalle associazioni di promozione sociale per le loro attività". Tale normativa è stata approvata lo scorso 11 aprile 2024.

In sostanza, si afferma la necessità di regolamentare, in forma restrittiva, l'utilizzo - per la preghiera o il culto - degli ambienti in uso alle aps afferenti a religioni non regolamentate da apposite Intese. E' evidente come tale modifica riguardi soprattutto la religione musulmana ed è possibile che la scelta di intervenire in materia sia stata determinata dalla vicende verificatesi in un Comune del Friuli-Venezia Giulia e dall'attività pubblicistica e libraria da esse derivate.

Commento a latere: ci sono persone appartenenti a partiti che invocano l'inserimento delle "radici cristiane" nella costituzione europea, indicono crociate contro chi esprime perplessità nei confronti della presenza del crocifisso nelle scuole, negli ospedali e nei luoghi pubblici, sostengono a spada tratta il diritto degli insegnanti a pregare e far pregare le formule cattoliche nella scuola di stato... Proprio queste stesse persone e partiti di appartenenza si adoperano per cambiare delle normative, in modo da indebolire oggettivamente il diritto dei musulmani di pregare e svolgere atti di culto dove lo ritengano più opportuno, nel rispetto della già esistente legge che non necessiterebbe di alcuna ulteriore modifica.

Ecco qua il link, per opportuna documentazione: https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/Am0034a.pdf

giovedì 9 maggio 2024

9 maggio: portare la bandiera europea sul castello di Gorizia!

 

Il 9 maggio è la festa dell'Europa, il giorno in cui si ricorda la fine della seconda guerra mondiale nel vecchio Continente. Ed è anche la festa dell'Unione Europea, nella quale si fa memoria della firma del primo trattato che ha dato inizio al percorso della Comunità.

Quest'anno la ricorrenza sarà particolarmente sentita a Nova Gorica, dove con una grande celebrazione si farà un balzo indietro nel tempo, all'indimenticabile notte tra il 30 aprile e il Primo maggio 2004, quando la Slovenia è entrata a far parte dell'Unione.

L'UE è in un momento di grande crisi. Deve trovare una propria strada nel mondo e questa non può essere l'asservimento al liberismo più spinto, alla logica dei produttori e del mercanti d'armi, ai signori della guerra. Un percorso originale dovrebbe puntare al coinvolgimento dell'intera Europa, dall'Atlantico agli Urali, come amava dire papa Woytjla. Alla base della Costituzione europea, sulla base delle plurali radici filosofiche, culturali e religiose, deve essere posto il rispetto per la Persona umana, punto di partenza e di riferimento per qualsiasi azione politica. Porre la Persona al centro non è uno slogan, ma è il riconoscimento profondo del senso della parola Cultura: ciò che appartiene all'intera umanità, nella sua dimensione individuale, di specifica comunità e di appartenenza all'unico genere umano. Insomma, per dirla con uno slogan, via dal liberismo e dalla guerra per percorrere le strade della solidarietà universale e della pace.

Cominciando da Gorizia e Nova Gorica e rilanciando una proposta, già fatta propria dal sindaco Romoli in una risposta a un'interrogazione in Consiglio Comunale intorno al 2010 e mai attuata. E' la proposta, sostenuta anche congiuntamente con il presidente del Kulturni dom di Gorizia Igor Komel, di collocare sul castello, accanto alla bandiera italiana quella europea ed eventualmente, quelle di Gorizia e di Nova Gorica. Sarebbe un bel segno di unione nella diversità, in occasione della capitale europea della Cultura.

domenica 5 maggio 2024

Il link alla magica serata del Kulturni dom: hvala, grazie!

Gorici, due città in una
Un post anomalo e più personale del solito. In un periodo così pieno di preoccupazioni, è stato bello trascorrere una sera dialogando su come sia possibile l'impossibile, cioè sulla trasformazione di un territorio insanguinato da tante guerre in uno spazio di pace e convivenza, dove ciascuno - con le sue peculiarità linguistiche e culturali - possa veramente sentirsi a casa propria. Evropska prestolnica kulture, Capitale europea della cultura, cioè della pace, dell'accoglienza, della giustizia, della sororità e fraternità universali.

Venerdì scorso, 3 maggio, al Kulturni dom di Gorizia c'è stata la prima presentazione dei libri Gorizia Nova Gorica due città in una (Ediciclo) e Gorica Nova Gorica povezani mesti (ZTT).

E' stata una serata magica per le parole condivise, la presenza straordinaria di tantissime persone attente e partecipi, le riflessioni scaturite dalle parole espresse.

Come non scrivere un grandissimo GRAZIE, HVALA, anche in queste Storie Viandanti. Grazie agli ideatori, Pia Lešnik, Boris Peric e Igor Komel. Grazie agli editori Martina Kafol e Vittorio Anastasia con tutti i loro bravissimi collaboratori che hanno curato la grafica, la cartografia, la correzione delle bozze e la diffusione. 

Grazie a Mattia Vecchi al quale si devono quasi tutte le fotografie, tra le quali quella splendida in copertina. Grazie ad Anja Mugerli e ad Angelo Floramo per le loro partecipi e avvincenti prefazioni. Grazie per le prime presentazioni nel mese di maggio e l'incoraggiamento di Romina Kocina e Marko Marinčič (Gorizia, 3 maggio), di Stojan Pelko e Boris Peric (Nova Gorica, 6 maggio, Knižnica Bevk, ore 18), di Barbara Urizzi (Udine, 12 maggio, Libreria Feltrinelli, ore 17), di Nevio Costanzo (Latisana, Agriturismo Albafiorita, ore 18) e di Klavdija Figelj (Nova Gorica, 30 maggio, Libreria Maks, ore 18). 

Un ulteriore e speciale grazie naturalmente a Pia Lešnik che ha tradotto il testo e lo ha sapientemente adattato al lettore sloveno. Un grazie grande ai giornalisti, a coloro che hanno curato e curereranno le recensioni. Ovviamente infine, un grazie a tutte e a tutti, a ciascuna e ciascuno:  con la loro presenza hanno reso e renderanno più interessanti gli incontri di presentazione. 

Un particolare grazie a Nevio Costanzo che ha registrato la serata del Kulturni e l'ha resa disponibile sul web. Chi è interessato, trova il tutto clikkando sul link: https://youtu.be/g2jIEp70VFI

giovedì 2 maggio 2024

Largo ai giovani...

 

Tanti giovani. Le manifestazioni del Primo maggio hanno visto la partecipazione di tanti giovani. In tutto il mondo le nuove generazioni si mobilitano. Ci sono, con non troppo entusiasmo, nelle celebrazioni annuali organizzate dai vari establishment. Ma sono presenti ed efficaci soprattutto in quelle "fuori programma", promosse da loro ma aperte a tutti, dai capelli biondi o neri a quelli grigi e bianchi.

Sono studenti degli ultimi anni di quelle che un tempo si chiamavano scuole superiori, universitari, ragazzi che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro. 

Cantano, gridano slogan, camminano portando con sé la voglia di vivere. Chiedono un mondo migliore, il rispetto per la Natura, la normalità dell'incontro tra persone che provengono da ogni parte di un mondo senza confini, la tutela dei diritti di ogni persona, il lavoro sicuro per tutti, il giusto salario, la fine di ogni guerra.

Desiderano un futuro, quello che sentono minacciato dalle dinamiche di una politica asservita ai poteri forti dell'economia e della finanza. Non accettano i compromessi delle cosiddette destre e sinistre, chiedono di poter vivere ed essere protagonisti nel cambiamento del Mondo. Identificano il grande nemico nell'attuale fase del capitalismo mondiale, nell'imperialismo del denaro e degli interessi che avviliscono la dignità dell'uomo e guidano il Pianeta in un mare di ingiustizia e di sopraffazione.

La loro aspirazione alla libertà, la lotta contro ogni violenza, il chiamare per nome i genocidi e le prese di posizione senza infingimenti provocano. E il Potere reagisce con i suoi soliti sistemi, già visti e riconosciuti a Genova nel 2001: l'infiltrazione di provocatori nelle manifestazioni pacifiche in modo da disinnescarne la carica autenticamente rivoluzionaria, i manganelli usati senza limiti (anche in Italia), le intimidazioni di ogni genere e, in alcune parti del mondo solo per portare qualche esempio, la diretta eliminazione delle manifestanti (Iran), la sparizione dei ricercatori della verità (l'Egitto del caso - non certo unico! - di Giulio Regeni), la carcerazione preventiva illimitata (Ilaria Salis in Ungheria e migliaia di altri ovunque). 

L'esuberanza di chi grida per farsi sentire in un mondo adulto che si dimostra sordo può dare fastidio. Il disagio è accresciuto dal fatto che negli ultimi decenni, soprattutto dopo il soffocamento del "nuovo mondo possibile" all'inizio degli anni 2000, non si erano più visti cortei di questo genere. Il paragone più calzante potrebbe essere quello del mitico '68. La novità di quella primavera è stata sostituita dall'afosa estate del tempo in cui quei ragazzi sono diventati vecchi e hanno spesso dimenticato, perfino rigettato quegli orizzonti di ingenua speranza.

Ora i giovani si fanno di nuovo sentire. Non è che si debba per forza dare loro ragione su tutto. Quello che è veramente indispensabile è ascoltarli e, per quanto possibile, stare accanto a loro. Non si tratta di "guidarli", ma di essere vicini, di sostenerli con convinzione nella forza del loro desiderio. E' la loro ora, facciamoci saggiamente un po' da parte e lasciamo che siano essi i protagonisti del loro e del nostro destino.

mercoledì 1 maggio 2024

Buon Primo Maggio, Živel 1. maj

 

Kresovanje a Rožnik, Ljubljana
Prima di tutto, BUON PRIMO MAGGIO!

Živel 1. maj, viva il Primo Maggio: così si dice e si scrive in Slovenia, dove si celebra la ricorrenza con una serie di interessanti riti collettivi. La sera del 30 aprile c'è il "Kresovanje", l'accensione del fuoco è accompagnata da riflessioni culturali e sindacali. Segue la festa  momenti dedicati all'arte e alla musica. E' un evento dai contorni ancestrali, incentrato sull'attrazione magica esercitata dal fuoco, l'elemento rubato da Prometeo a Zeus e portato in dono agli uomini. Insieme alla parola, è il fondamento dello sviluppo della tecnologia, la possibilità di creare e ricreare la realtà, attraverso la trasformazione degli elementi. Attraverso il lavoro, l'Uomo concretizza la sua prerogativa di "essere come Dio".

Tralasciando ora le significative tradizioni che richiamano valori filosofici e teologici, è indispensabile ricordare come attraverso il Lavoro, secondo l'articolo 1 della Costituzione italiana, le persone assumono la dignità di cittadine e cittadini. Con la loro attività, qualunque essa sia, costruiscono la Repubblica, della quale il lavoro è il fondamento. L'immensa dignità attribuitagli dalla magna charta invita a travalicare i confini nazionali e a meditare sulla situazione generale del lavoro. 

Tre parole - tra tante - dovrebbero caratterizzare questo giorno: diritto, sicurezza, salario.

Nel mondo ci sono miliardi di esseri umani che vivono in situazione di schiavitù. Essa è dettata dalla fame e dallo sfruttamento che trasformano il lavoro in supplizio. Le nuove tecnologie, invece di sostenere un miglioramento delle condizioni e una qualità di vita più alta per tutti, moltiplicano le disuguaglianze, provocano ovunque disoccupazione o condizioni dettate da profonda ingiustizia. Intere popolazioni sono costrette a cercare fonti di sopravvivenza lasciando la propria terra e migrando verso Paesi ricchi dove ancora una volta, invece di trovare sostegno e integrazione, incontrano diffidenza, porte chiuse e vessazioni di ogni genere. I padroni del vapore fomentano guerre di poveri che consentono un ulteriore passo verso l'umiliazione della maggior parte dei lavoratori, a vantaggio dell'arricchimento scandaloso dei pochissimi gestori del potere economico. Il diritto al lavoro dovrebbe essere non soltanto proclamato, ma attuato, in tutte le forme che le potenzialità e le risorse attuali del Pianeta potrebbero permettere.

Al diritto si collega immediatamente la questione della sicurezza. Ovunque si ha notizia di incidenti che provocano la morte o il ferimento di tanti lavoratori. La maggior parte di questi eventi è dovuta proprio allo sfruttamento e alla mancata osservanza delle regole. Le normative non mancano, ma vengono troppo spesso disattese, sacrificate alla "necessità" di aumentare in modo illimitato i profitti. In un mondo globalizzato, nell'incrocio fra competenze e responsabilità, la politica - intesa come capacità di affrontare insieme e risolvere i problemi - stenta ad affrancarsi dallo strapotere dell'economia e dai capestri della finanza. L'obiettivo dell'agire umano non è il benestare e il bene essere di ogni Persona, ma l'accrescimento del Capitale a beneficio di una sparuta minoranza, con tutte le conseguenze funeste che tale orientamento prioritario comporta. Il diritto e la sicurezza sul lavoro sono il termometro dell'attuazione e del rispetto dei diritti sociali conquistati a duro prezzo - peraltro in piccole zone del mondo - dalle lotte sindacali promosse e realizzate dai lavoratori. 

Non secondaria è la questione di quello che con espressione antica viene definito il "giusto salario". Come conciliare la crescita complessiva delle disponibilità con paghe sempre più basse, ai limiti della possibilità di sopravvivenza? In Italia e in Europa si cerca di lottare per il diritto al salario minimo e di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso. E' una battaglia impari che dovrebbe trovare unite tutte le forze politiche, indipendentemente dagli orientamenti ideologici. Invece sembra di combattere contro i mulini a vento e di percorrere un passo avanti e due indietro, riscontrando anche in questo caso l'allargamento impressionante del divario tra pochi straricchi e un immensa moltitudine di poveri. Da questo incredibile dislivello derivano le guerre, l'inquinamento ambientale e tutte le altre miserie che attanagliano la nostra povera Terra.

E' una fase critica del capitalismo. Dentro i bei momenti tradizionali e festosi che caratterizzano questa Giornata, non si dimentichino i problemi, affinché la celebrazione si prolunghi effettivamente in scelte e in azioni concrete.