sabato 27 febbraio 2021

Bose: il mistero della natura umana e la fatica nella gestione dei conflitti

La questione di fratel Enzo Bianchi e Bose è finita al centro dell'attenzione mediatica. 

Forse ciò non è accaduto soltanto perché il fondatore è una personalità nota in tutta Italia, anche e forse soprattutto fuori dal mondo cattolico. E neppure soltanto perché la Comunità è stata un punto di riferimento importante per tante persone che in essa hanno trovato un messaggio teologico e cristologico fortemente e saldamente radicato nelle Scritture, nonché uno fra i più importanti centri ecumenici e di dialogo interreligioso a livello europeo.

E allora? Allora cosa può aver sconvolto in modo così radicale quello che quasi tutti i visitatori descrivevano come una specie di piccolo paradiso in terra? Che cosa ha devastato il miracolo della fraternità al punto da costringere una persona anziana a fare valigie e a staccarsi dai luoghi che lo hanno visto protagonista di una stagione spirituale feconda e coinvolgente? Che cosa ha portato il fondatore a resistere alle imposizioni comunitarie e pontificie, dichiarando di preferire un silenzio per la verità molto rumoroso? E perché questa vicenda appare così interessante da raggiungere le prime pagine dei giornali più laici, generando tifoserie di sostenitori e denigratori?

Forse perché va al di là del problema in sé, che al fondo nessuno ha ancora capito bene. Non si parla delle grandi idee che hanno sorretto finora Bose, a giudicare da quanto si è scritto in questi giorni non sembra essere stato messo in discussione il carisma originario, forse solo adattato ai nuovi responsabili e alle nuove presenze. Ciò che sembra stare alla base di tutto e che forse per questo suscita tanto interesse, è ciò che riguarda ogni gruppo organizzato di esseri umani, sia esso una comunità religiosa, un partito, una coalizione, un'associazione, perfino una famiglia.

E' il mistero che non siamo abituati a riconoscere, la nostra intrinseca fragilità psicologica, il nostro inesauribile desiderio di essere amati, la censura dei nostri istinti che ci portano naturalmente verso il conflitto, l'incapacità di gestire le relazioni potenzialmente tossiche. Siamo pacifisti fino al giorno in cui qualcuno non muove guerra contro di noi, siamo per la libertà di parola per tutti fino a quando qualcuno non parla per negarla, siamo "fratelli e amici tutti" tranne con coloro che non ci riconoscono come tali. E, anche se non lo vogliamo ammettere, abbiamo bisogno di conferme, consolazioni, gratificazioni, anche se pubblicamente dichiariamo le nostre sicurezze, la nostra perfetta letizia, l'umiltà del sentirsi "servi inutili".

Quante comunità dagli immensi ideali sono miseramente naufragate tra le accuse reciproche di eresia, soltanto perché in realtà non sono stati messi a tema i rapporti umani? Quanti progetti sono falliti, nonostante la convinzione di tutti coloro che li avevano sottoscritti, perché non si sono curate le dimensioni emotiva, sentimentale e affettiva dei partecipanti?

Certo, sono più domande che risposte. Ma è vero che, come scriveva il grande Rilke, "tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta, un po' come si tace una speranza ineffabile". 

venerdì 26 febbraio 2021

Caso Lineadombra: impegno "politico", non "umanitario"

La vicenda dell'indagine poliziesca realizzata nei confronti di Gianandrea Franchi e di conseguenza di Lorena Fornasir e altri volontari dell'associazione Linea d'ombra, ha fatto il giro d'Italia ed è stata riportata in tutte le testate nazionali. Migliaia di persone e associazioni hanno espresso la loro vicinanza e totale accordo. Su www.lineadombra.org interviene con un comunicato stampa lo stesso Gianadrea Franchi. Vale la pena di riportarlo, in quanto esprime un concetto semolice, ma molto forte e vero: la questione non è "umanitaria" bensì "politica". A lui la parola:


Io rivendico il carattere politico, e non umanitario, del mio impegno quinquennale con i migranti.

Impegno umanitario è un impegno che si limita a lenire la sofferenza senza tentar d’intervenire sulle cause che la producono.

Impegno politico, nell’attuale situazione storica, è prima di tutto resistenza nei confronti di un’organizzazione della vita sociale basata sullo sfruttamento degli uomini e della natura portato al limite della devastazione (come la pandemia ci mostra).

È inoltre tentativo di costruire punti di socialità solidale che possano costantemente allargarsi e approfondirsi.

Su questo impegno è balzato lunedì alle cinque del mattino, con una perquisizione in casa mia, un intervento calunnioso di magistratura e questura che, basandosi su un aiuto effettivo di assistenza e ospitalità, dato nel luglio del 2019 a una famiglia iraniana, composta da padre, madre e due bambini, vogliono collegarmi a una rete di sfruttatori (passeur) che avrebbe, prima e dopo il mio intervento, approfittato della famiglia profuga.

Secondo il mio sentire non sarebbe nemmeno il caso di alzare le spalle nei confronti di questa insinuazione, che neanche giuridicamente mostra prove ma crea solo insinuanti parallelismi temporali.

Tuttavia, ci sono di mezzo oltre alla mia persona, anche coloro che collaborano con me. Credo, allora, doveroso affermare pubblicamente che non esiste neanche uno straccetto di prova.

Esiste solo l’insinuazione che, essendo stata questa famiglia contattata e usata da alcuni trafficanti (secondo gli inquirenti), io avrei potuto non solo esserne a conoscenza ma trarne addirittura un mio personale profitto.

Ritengo che ciò, che nel documento presentatomi è mera allusione, sia soltanto una sorta di macchina del fango che si vuol gettare non tanto sulla mia persona ma su un lavoro collettivo di solidarietà.

Gian Andrea Franchi

Trieste, 24/02/2021

martedì 23 febbraio 2021

Solidarietà come reato...

Quello che è accaduto questa mattina a Trieste è davvero inaccettabile. Da questo blog si esprime piena solidarietà a Lorena Fornasir e Gianandrea Franchi, punti di riferimento e di speranza per tutti coloro che vogliono una società equa, solidale e accogliente. Segue il comunicato stampa della loro associazione, da www.lineadombra.org. 

Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV.

Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla rierca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà.

Siamo indignati e sconcertati nel constatare che la solidarietà sia vista come un reato dalle forze dell’ordine.

Oggi, in Italia, regalare scarpe, vestiti e cibo a chi ne ha bisogno per sopravvivere è un’azione perseguitata più che l’apologia al fascismo, come abbiamo potuto vedere il 24 ottobre scorso sempre in Piazza Libertà.

Condanniamo le azioni repressive nei confronti di chi è solidale, chiediamo giustizia e rispetto di quei valori di libertà, dignità ed uguaglianza, scritti nella costituzione, che invece lo Stato tende a dimenticare.

Chiediamo la solidarietà di tutta la società civile, per tutte le persone attaccate perché solidali.

domenica 21 febbraio 2021

Enzo Bianchi di Bose, un caso emblematico

Sono stato a Bose un paio di volte, ormai qualche anno fa. 

Mi avevano colpito da una parte il clima di intensa spiritualità, il forte accento ecumenico e interreligioso, la capacità di leggere e interpretare le Scritture secondo criteri improntati all'esegesi scientifica e all'ermeneutica spirituale. Sinceramente, dall'altra parte, mi aveva un po' infastidito la "presenza" del priore un po' ovunque, nelle narrazioni dei frequentatori della comunità, nella libreria con la bibliografia se non a senso unico certamente di gran lunga prevalente, nelle bacheche dove gli incontri di Bianchi con i vip politici e culturali dell'epoca venivano puntualmente fotografati e commentati, come trofei di caccia.

Mi dispiace per ciò che sta accadendo tra le mura di quello che sempre di più sembra avvicinarsi a un normale "monastero" e forse sarebbe bene non dare giudizi affrettati, senza conoscere a sufficienza la realtà. Certo, dai frequenti messaggi che invia sui social, padre Enzo si manifesta come un uomo ferito, convinto che le sue ragioni prima o poi prevarranno sulla verità calpestata. Lo si può ben comprendere, dal punto di vista umano. L'età è abbastanza avanzata per affrontare cambiamenti così radicali di abitazione e di modalità esistenziale.

E' un po' più difficile capirlo dal punto di vista religioso. Uno degli elementi fondamentali dell'appartenenza alla chiesa cattolica è l'obbedienza all'autorità. Certo, non si tratta dell'inquadramento dei pecoroni che altro non possono fare che seguire il pastore e neppure del "signorsì" dovuto al capo militare. L'obbedienza prevista nella chiesa è quella "filiale", che presuppone cioè il dialogo, il confronto serrato e al termine, piaccia o meno, la decisione che può premiare l'uno o l'altro dei protagonisti. 

Nel caso di Bose, da una parte c'è un monaco cattolico, tenuto quindi per scelta e diritto all'obbedienza a chi guida la comunità e all'autorità ecclesiastica. Dall'altra c'è l'attuale dirigenza e il delegato pontificio che - almeno formalmente, stante il silenzio di papa Francesco che comunque è colui che lo ha inviato - rappresenta l'autorità ecclesiastica. C'è stato il tempo del confronto, della discussione che si intravvede abbastanza vivace, forse del litigio. Ed è poi arrivato il tempo della decisione, come accaduto in altri tempi a grandi profeti, quali don Milani, don Mazzolari, Gerardo Lutte, Padre Franzoni e tanti altri. Alcuni hanno deciso di obbedire, anche se a modo loro e affrontando incredibili sacrifici, diventando segni ineludibili per la chiesa ma anche per la società del loro tempo (don Milani, per esempio o don Alberto De Nadai, per rimanere nel goriziano), altri hanno scelto strade diverse, svincolandosi dalla regola dell'obbedienza, come padre Franzoni che ha continuato la sua "via" di annuncio di un cristianesimo socialista, portando sulla propria pelle tutta la conseguente fase di ricerca di un lavoro per sopravvivere, di ricostruzione di una vita affettiva, di solitudine ideologica e ideale.

Ecco dunque, se ci si può permettere senza entrare in alcun modo nella coscienza delle persone, in sintesi il problema sollevato dal caso Bose. Si può essere nella Chiesa accettandone le regole e obbedendo, senza per questo venire meno alla propria convinzione e trasformando il proprio "sì" più o meno costretto in forza vitale da investire per il bene degli altri. Oppure ci si può staccare dall'appartenenza formale, assumendosi la responsabilità dello scegliere in modo diverso, rinunciando alle "sicurezze" offerte dal più o meno comodo "tetto ecclesiale" e accettando il martirio di una solitudine guidata soltanto dalla fedeltà alla propria coscienza.

E' un po' più difficile che si possano affermare contemporaneamente i due estremi e che si possa trovare una via mediana tra un'obbedienza critica e costruttiva e una disobbedienza sofferta e altrettanto generativa. Il rischio è di incrementare in chi comanda la tragedia dell'imposizione di un'obbedienza pedissequa , di stampo militare come quella dei gerarchi nazisti che si giustificavano a Norimberga dicendo di "aver obbedito agli ordini". All'opposto, è quello di ingenerare in chi sostiene il "disobbediente fedele" un giudizio generalizzante negativo ("il nuovo medioevo nella Chiesa") su tutto ciò che riguarda la struttura di riferimento, senza riflettere che ogni dinamica strutturale ha delle regole che richiedono rispetto, pena la sua totale dissoluzione.

In altre parole, per seguire e testimoniare il vangelo, occorre essere "dentro" una Chiesa? Se si risponde di sì, occorre accettarla, anche se senz'altro con diritto di critica, così come essa è. Altrimenti si risponde di no e ci si confronta con serenità e piena libertà, portandone le conseguenze e continuando in ogni caso a costruire relazioni di amicizia e di comunità seguendo l'unico comandamento che sintetizza tutti gli altri: "Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze; ama il tuo prossimo come te stesso".

giovedì 18 febbraio 2021

Nomi delle vie in un paese del Friuli: Uomini-Donne 25-1. Parità di genere?

Che cosa si vuole dimostrare? Se i nomi delle strade in una città o in un paese rappresentano la situazione politica e culturale di un determinato territorio, gli agglomerati più consistenti come quelli più piccoli avrebbero bisogno di un urgente aggiornamento. Certo, si comprendono bene le difficoltà tecniche che dovrebbero essere affrontate sia dagli uffici comunali che dai singoli cittadini costretti a modificare i loro documenti. Tuttavia sarà necessario prima o poi affrontare la questione.

Nel post di ieri si è visto come la toponomastica del centro di Gorizia non tenga in alcun conto la parità di genere e come non sia affatto influenzata dal suo retroterra storico, dedicando moltissime vie a personaggi e fatti dell'Italia Risorgimentale e soprattutto della prima guerra mondiale lasciando quasi nessuno spazio a quelli riguardanti la comunità slovena o il retroterra storico austro-ungarico. 

Il riferimento odierno va a un piccolo Comune, quello di Aiello del Friuli, dove si constata più o meno, ovviamente in percentuale, la stessa situazione. Su 26 nomi di persone, 25 sono di uomini, 1 (!) di donne (la scrittrice Caterina Percoto). Su 47 vie, 24 riguardano toponimi locali sopravvissuti all'italianizzazione, ma ben 23 sono legati al Risorgimento italiano e alla prima guerra mondiale. Non esiste, se non nella lodevole intenzione di chi ha voluto affiggere i bei cartelli che richiamano i nomi antichi, alcun riferimento esplicito al lungo passato austro-ungarico.

Certo, con una punta di "benaltrismo" ci si può chiedere, con tutti i problemi che ci sono in questo periodo, se poi questa sia una questione così importante. La risposta sarebbe "no", se l'obiettivo fosse quello di perdere tempo per attuare qualsiasi tipo di cambiamento mentre la gente è impegnata nelle emergenze sanitaria sociale lavorativa ambientale ed economica. La risposta è "sì", se la questione viene considerata dal solo punto di vista di un interesse culturale, che possa trovare, nel momento opportuno, un'adeguata traduzione formale, nel rispetto della parità di genere oltre che della situazione passata e presente di una determinata comunità.     

mercoledì 17 febbraio 2021

Nomi delle principali vie di Gorizia: Uomini - Donne 112-7. Altro che parità di genere!

Sì, può essere molto scomodo, sia per le amministrazioni comunali che per i cittadini, rivedere la toponomastica. Tuttavia essa riflette le varie situazioni storiche nelle quali vivono le città e i paesi.

Si scelga come esempio una realtà come quella delle Gorizia che si preparano a essere capitale europea della Cultura 2025. Di che cosa parlano le vie della "vecchia" e della "nova"?

Prendendo per ora in esame la Gorizia millenaria, escludendo i quartieri periferici e limitandosi alle circa 200 strade maggiormente ricercate dai visitatori (dato internet), si rilevano dei dati sicuramente interessanti. Pur comprendendo l'intento riabilitativo di alcune figure importanti, non si prendono in considerazione larghi, scalinate e viuzze prive di abitazioni nei dintorni. Certamente non è un'indagine scientifica, ci possono essere errori e dimenticanze, ben vengano eventuali segnalazioni.

La prima constatazione, macroscopica, riguarda la "gara" tra uomini e donne, con un risultato umiliante, 112-7. Già che ci si è e per la cronaca, le donne sono Santa Chiara e Sant'Angela Merici, Eleonora Duse, Angiolina d'Austria, Adelaide Ristori, Giuseppina Furlani e Carolina Luzzatto. 

La seconda rileva il rapporto tra la comunità di lingua italiana e le altre componenti, del passato e del presente, della città. Anche qua le proporzioni sono da brivido, 75 strade o piazze sono legate alla storia d'Italia, in gran parte al Risorgimento (più di 40) e alla prima guerra mondiale (ben 28 tra generali sopravvissuti, giovani soldati massacrati, brigate e reggimenti combattenti). A personaggi della vecchia Gorizia austro-ungarica sono dedicate 3 vie, 4 sono i rappresentanti della cultura slovena, Henrik Tuma l'unico del XX secolo.

Si salvano numerosi toponimi locali, una sessantina, legati a particolari luoghi della città, dalla Riva del Corno alla Piazzutta, dalla via del Cotonificio alla Via Poligono, dalla Via della Cappella alla Via del Seminario e così via.

Si tratta di una considerazione puramente statistica, ma da tenere presente. Se "le" Gorizia vogliono essere unite nella loro straordinaria interessante diversità, è indispensabile valorizzare chi ha contribuito a raggiungere i traguardi attuali, oltre che donarsi reciprocamente nomi, luoghi e vicende storiche che hanno costruito pace, bellezza, fraternità, cultura e giustizia sul territorio. 

Pensieri del mercoledì delle ceneri

Il simbolo della cenere è particolarmente efficace, soprattutto se lo si accoglie su un piano antropologico.

La cenere è il prodotto di una trasformazione, resa possibile dal fuoco che consuma la materia. Evaporata l'acqua, rimane un pulviscolo grigio che viene sollevato e disperso dal vento, se diffusa nella terra risulta anche essere un buon concime, dal quale la natura troverà nuova forza creativa.

Il segno è immediatamente allegorico. La vita è come una fiamma che brucia più o meno rapidamente la carne che ci costituisce, trasformata in terra o in polvere al di là della misteriosa soglia della morte. La constatazione dell'impressionante fragilità della realtà può portare ad aggrapparsi a ciò che è temporaneo e caduco. La negazione del Limite è il fondamento dell'imperialismo, dell'egoismo, in una parola, dell'orgia del Potere. La sua cosciente affermazione genera il miracolo della compassione e della solidarietà, nella certezza che il senso dell'umana esistenza consista nel condividere questo breve tratto, alleviando il dolore e incrementando il piacere, le sensazioni che sfuggono al dominio quasi incontrastato dell'immaginazione. 

Nel rito religioso il presidente, nello spargere sul capo dei fedeli le ceneri tratte dalla combustione dei rami d'ulivo utilizzato nella domenica delle palme dell'anno precedente, utilizza due frasi. La prima - "ricordati che sei polvere e polvere tornerai" - è tratta dal libro della Genesi. Adamo ed Eva hanno mangiato dell'albero della conoscenza del bene e del male e per questo, come scrive la Bibbia, "sono diventati come dei". La memoria della propria contingenza ridicolizza la pretesa del dominio sulla Natura, sugli altri e su di sé. Se il percorso ha un limite, occorre che sia affrontato con la massima concentrazione, fondando così i valori della giustizia, dell'altruismo e del rispetto nei confronti di ogni essere, vivente o meno che sia.

L'altra frase - "convertiti e credi al vangelo" - richiede due precisazioni etimologiche. Il tema della conversione, molto presente nei vangeli sinottici, traduce il termine greco μετανοια che letteralmente significa "pensiero oltre". Non si tratta di aderire a una religione o a una comunità di credenti, ma di "trasgredire", cioè di andare al di là di quella apparente noiosità dell'ordinario che il giovane Michelstaedter definiva "rettorica". Andare dove cioè? Riconoscere la verità della "buona notizia (ευαγγελιον)" che cioè "il Regno di Dio è in mezzo a noi". Ciò non ha niente a che vedere con la struttura di una chiesa o qualsivoglia sistema di liturgie e credenze. E' invece l'affermazione secondo la quale ciò che è effimero è soltanto apparente, la vera realtà invece è eterna e infinita, realizzandosi in una delle sconfinate possibilità che è quel particolare "istante" vissuto dal frammento nel tutto cosmico.

Tale realtà che esisteva esiste ed esisterà, è "l'Amor che move il Sole e l'altre stelle" e che permea nello Spirito la Materia e che consente il permanere nel continuo divenire, il mistero dell'Uno che si manifesta nel Molteplice, l'unione simbiotica del femminile e del maschile, la scoperta del paradiso già presente e della pura apparenza della morte. 

Tutto questo fa pensare la cenere, in questo giorno santo perché profano, o profano perché santo, come ciascuno preferisca ritenere.

domenica 14 febbraio 2021

Nova Gorica/Gorizia Capitale della Cultura: la sfida dell'accoglienza

Dal Sabotino, Nova e vecchia Gorica, a destra Isonzo/Soča
La seguente riflessione prende come esempio il territorio goriziano, ma può valere in senso più ampio e generale per molte simili situazioni.
Limitando l'analisi agli ultimi 40 anni, si nota che la città di Gorizia (stara, antica...) nel 1981 aveva 41.557 residenti, nel 2021 ne risultano presenti 33.569, con una diminuzione di quasi 8.000 unità. Nova Gorica, nel suo nucleo centrale, aveva nel 1981 17.480 abitanti, divenuti 12.968 nelle ultime rilevazioni, quindi un calo di oltre 4500 residenti. L'intero Comune di Nova Gorica, comprendente numerosi nuclei abitati nella Vipavška dolina e sull'altopiano della Bajnšica, conta attualmente 31.638 abitanti.
Iniziano i percorsi progettuali che condurranno la zona al prestigioso traguardo del 2025, capitale europea della Cultura. L'analisi della questione demografica implica la convinzione che la Cultura sia effettivamente il fondamento della Politica e dell'Economia. Senza una convinta proposta, in grado di attrarre sul territorio persone provenienti da altre parti dei due Stati, dell'Europa e del Mondo, l'emorragia della popolazione rischia di diventare cronica e di rendere assai difficile prevedere un'adeguata accoglienza e ospitalità per i (si spera!) milioni di turisti che potrebbero giungere da queste parti.
Si è già visto con le commemorazioni del centenario della prima guerra mondiale che il numero di visitatori è stato molto al di sotto delle aspettative, anche per una sicuramente tardiva e non sempre efficace preparazione e promozione.
Certo, il Goriziano nel suo insieme ha molto da offrire e l'occasione è di quelle che non ci si può permettere di lasciarsi sfuggire. 
Dal punto di vista storico, oltre a una testimonianza di presenza umana che affonda le radici nella protostoria e a un inevitabile richiamo alla grande vicenda aquileiese, in pochi, forse in nessun altro luogo in Europa è possibile studiare il XX, drammatico secolo, come a Gorizia/Gorica. Per quanto riguarda il paesaggio, le valli dell'Isonzo e del Vipacco, sono meravigliose, alla base di colline e montagne ricche di bellezza e di segreti. Il cibo e il vino sono espressione dell'unità nella varietà degli stili e dei gusti, le persone sono ovunque disponibili al dialogo e all'incontro.
E' indispensabile colmare il vuoto e riempire i circa 12.500 posti vuoti che "la due città" ora riscontra. Come realizzare questo obiettivo, per permettere la realizzazione e il funzionamento delle infrastrutture che serviranno alla Capitale della Cultura, ma anche ai percorsi successivi sul territorio?
Un primo, inevitabile e auspicabile passo, è una decisione congiunta, convinta e urgente, a favore dell'accoglienza. E' necessaria un'accoglienza senza remore di chiunque, in qualsiasi modo, intravveda una possibilità di lavoro e di realizzazione di sé. Le conseguenze sociali della pandemia porteranno probabilmente una terribile ventata di disoccupazione ovunque. Nova Gorica e Gorizia, ma anche i Comuni limitrofi in Italia e in Slovenia, collaborando insieme, potrebbero contare ancora su un numero di abitanti intorno agli 80-90mila. Ragionando da soli, costituirebbero piccoli agglomerati urbani e periferici, con ben poca forza contrattuale a livello locale e continentale. Uniti nella loro diversità, potrebbero invece essere un punto di riferimento molto importante e costituire davvero un grande luogo di costruzione di pace, giustizia e salvaguardia dell'ambiente nel cuore dell'Europa.
Le idee non mancano, le risorse per generare tanto lavoro dovrebbero esserci, anche grazie ai contributi europei. Per le abitazioni nessun problema, 12.500 abitanti in meno dimostrano che "c'è spazio per tutti". Occorre soltanto decidere di accettare la sfida dell'accoglienza in tutte le sue dimensioni, comprese quelle legate alle situazioni emergenziali senza paure, censure e privilegi.

sabato 13 febbraio 2021

Solidarietà a Eric Gobetti, autore del libro "E allora le foibe?"

Eric Gobetti è uno storico serio e documentato, al quale si deve esprimere plauso e piena solidarietà. Per aver svolto onestamente il suo lavoro, cioè scrivendo un testo dedicato agli eventi precedenti, concomitanti e immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, ha ricevuto, lui e la sua famiglia, addirittura minacce di morte, a testimonianza di un clima sempre più preoccupante per ciò che concerne la Cultura e l'autentica ricerca e divulgazione storica. Il modo migliore per esprimergli vicinanza è sicuramente quello di comprare il libro e soprattutto leggerlo.
Ha scritto un libro dedicato a "chi non sa" e a "chi crede di sapere", smontando pezzo per pezzo la retorica antistorica che sta alla base della Giornata del Ricordo. Intendiamoci, non minimizza in alcun modo la terribile violenza che ha caratterizzato, sostanzialmente dallo scoppio della prima al periodo conclusivo della seconda guerra mondiale, il territorio dell'Alto Adriatico (così lo chiama notando che quello che ordinariamente si definisce "confine orientale" è quello "occidentale" per chi vive dall'altra parte). Evidenzia semplicemente come le tragedie che si sono verificate devono essere collocate in un preciso contesto, là dove spesso le deportazioni, i processi sommari e le condanne sono state conseguenza - non per questo dall'autore giustificata - di altrettante e ben più prolungate deportazioni, incendi di interi villaggi, fucilazioni di massa, campi di concentramento dalle condizioni disumane, perpetuate dai fascisti e dai nazisti nel ventennio di occupazione e nel corso della guerra.
Con un linguaggio avvincente e una straordinaria capacità logica, Gobetti in breve - il volume, edito da Laterza, consta di poco più di cento pagine - rileva come sotto i termini "foibe" ed "esodo" si semplifichino fenomeni estremamente complessi, portando l'opinione pubblica a un venefico corto circuito. Perfino due Presidenti della Repubblica Italiana, Napolitano e Mattarella, sono caduti nel tranello della "pulizia etnica", quando, secondo l'autore, non esiste realmente alcun documento in grado di dimostrare che la violenza del 1943 e del 1945 possa essere riportata a una volontà di "genocidio" degli italiani in quanto tali.
Molto interessante è l'analisi iniziale del passaggio dagli Imperi multiculturali agli Stati nazionali, dove l'organizzazione politica si caratterizza per la volontà di imporre a tutti gli abitanti di un determinato territorio la specifica nazionalità, conculcando i diritti degli oppressi, costretti a cambiare i loro cognomi, a non parlare la propria lingua, alla persecuzione culturale. Ciò si verifica già dopo il Trattato di Rapallo, che tanta sofferenza ha portato alle popolazioni slovene del Litorale, ma si accentua con il ventennio, che porta all'estremo l'identificazione tra "italiano" e "fascista". Tale correlazione, fortemente voluta a imposta dai governanti nel periodo fra le due guerre e in modo oltremodo drammatico nell'occupazione della Provincia di Lubiana tra il 1941 e il 1943, non appare nel mondo partigiano, dove le armate di Tito arruolano numerosi italiani (si parla di qualche decina di migliaia) e distinguono con chiarezza le responsabilità del fascismo dall'appartenenza alla comunità italiana. 
Certo, il clima del periodo porta senz'altro a vendette politiche e anche personali, a errori disumani che hanno provocato grandi sofferenze e vittime innocenti. Ma tutto ciò, appunto, se da una parte suscita una giusta pietas nei confronti di chi ha perso la vita e dei familiari che hanno vissuto momenti così tragici, dall'altra non può fermare uno studio critico e sistematico della storia, in modo da poter cercare in modo oggettivo e condiviso un "giudizio" storico in grado di riportare gli avvenimenti in un quadro completo e articolato.
La relativizzazione dei "numeri" dei deportati e degli scomparsi (che sono da "contare" in modo diversificato, come dimostra la paradossale vicenda del monumento goriziano nel Parco della Rimembranza), non ha assolutamente lo scopo di minimizzare un dramma - anche una sola vittima innocente dovrebbe suscitare orrore e compassione - ma quello di riportare il tutto all'esame di documenti, come si conviene a ogni ricerca storica degna di questo nome.
Una critica? Sì, forse la bibliografia avrebbe potuto essere arricchita anche dalla menzione dei lavori di molte storiche e storici del nostro territorio. Accanto ai più volte citati Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Nevenka Troha, ci sarebbero state bene anche Anna Di Gianantonio, Claudia Cernigoj e Alessandra Kersevan (tra l'altro non nominata neppure nella ricostruzione del famoso episodio del quale è stata protagonista, con la denuncia del clamoroso sbaglio di fotografia durante la trasmissione Porta a Porta), oltre a personaggi da sempre impegnati nella conoscenza degli eventi, come gli storici sloveni e italiani che hanno collaborato alla stesura del "Documento congiunto" del 2000 o come Tristano Matta, grande conoscitore delle vicende legate alla Risiera di San Sabba. Sarebbe stato opportuno anche richiamare il ruolo di una parte della stampa, anche divulgativa e non soltanto specialistica, come per esempio le centinaia di articoli dedicati al tema dalla rivista goriziana Isonzo/Soča o il ruolo di una parte del mondo di ispirazione cattolica, incentrato sul movimento italo/sloveno Concordia et Pax. Così, solo per dire qualche esperienza che sarebbe stata bene in elenco, di certo accanto a tante altre...
ERIC GOBETTI, E allora le foibe?, Laterza 2021 

mercoledì 10 febbraio 2021

Ancora confusione nelle rilevazioni dei contagi

Riprendendo un tema già affrontato, si rileva il "numero" dei contagiati proposto dai quotidiani locali sulla base delle indicazioni della Protezione Civile, rispetto a quello ufficiale inviato dall'azienda sanitaria territoriale.

I dati odierni di un paese x indicano, da parte della Protezione Civile n.20 casi di soggetti tuttora "positivi", da parte dell'Azienda Sanitaria il dato scende a n.5 "positivi" e una quarantena. Il quotidiano, sotto la cartina multicolore del Friuli-Venezia Giulia, avvisa che l'indicazione giornalistica non sostituisce quella ufficiale e che i dati sono comunque aggiornati una volta ogni settimana.

Il problema rimane, la differenza tra 20 e 5 è enorme, in un Comune abbastanza piccolo. E una settimana fa i dati non erano diversi. 

Ci si chiede da dove siano stati ricavati i numeri, che rapporto ci sia tra Azienda Sanitaria e Protezione Civile, quali dati siano inviati ai vertici regionali e nazionali chiamati a stabilire le zone rosse, arancioni e gialle. Perché se la questione sembra curiosa in rapporto a dati riferiti a situazioni relativamente minuscole, diventa molto complessa se analizzata in un contesto più vasto, con tutte le conseguenze che ne possono derivare.   

martedì 9 febbraio 2021

Suggestioni aquileiesi...

 

Nella cripta degli affreschi, sotto l'abside della Basilica di Aquileia - oltre ai bellissimi affreschi delle lunette che raccontano la passione morte, deposizione dalla croce di Gesù e la dormizione della Vergine, oltre alle volte che narrano la storia leggendaria della fondazione della chiesa aquileiese da parte dell'evangelista Marco - ci sono delle rappresentazioni misteriose che sembrano quasi svanire sotto lo sguardo del visitatore. Una di queste, esattamente al centro dell'absidiola, permette di cogliere le sembianze di un uomo che, seduto su una specie di trono in mezzo a due alberi, suona la lira. Da una parte e dall'altra accorrono verso di lui gli animali, uccelli, cammelli, bestie feroci, perfino sembra di intravvedere una giraffa e un cagnolino. Chi può essere questo personaggio? Forse il re Davide, al quale la tradizione attribuisce la composizione dei Salmi? Oppure Orfeo, l'incantatore che con la sua musica seduce perfino i demoni e riesce a raggiungere negli inferi al sua bella Euridice? In un contesto basilicale forse occorre fondere le due suggestioni, riconoscendo nell'uomo che suona lo strumento musicale lo stesso Cristo, discendente della stirpe di Davide, Colui che dopo la morte discende agli inferi per liberare coloro che le sono prigionieri. E' uno straordinario messaggio di speranza, la Vita vince la Morte, in una simbiosi nella quale il Salvatore e il Salvato si scambiano misteriosamente i ruoli e raggiungono una definitiva e nel contempo sempre dinamica Unità.

Certo, non è facile raggiungere questa profonda comunione di intenti e questa indescrivibile partecipazione alla dimensione divino-umana che caratterizza ogni essere vivente. Se da una parte c'è Colui che viene dall'Alto per liberare con la musica divina il prigioniero dell'apparenza e della frammentarietà, dall'altra l'annuncio del Regno presente sulla Terra implica l'accettazione del dramma

della storia, sempre sospesa tra edificazione e rovina. Accanto alla serena contemplazione del suonatore seduto, si svolgono altre scene, quasi una rappresentazione della gloria e del dolore universale. Un uomo, con gli occhi spalancati verso un orizzonte di sofferenza, viene trascinato nudo, con una corda, verso una specie di piazza. Agli ordini forse di un soldato - ma il dipinto è troppo deteriorato per esserne sicuri - qualcuno sembra essere dilaniato da una belva. Sono martiri cristiani? Prigionieri di qualche guerra che fin quasi ai giorni nostri si osava definire in modo sacrilego "santa"? Oppure sono semplicemente la descrizione di ciò che è avvenuto e avviene in ogni tempo, la creatura chiamata alla Vita si sente misteriosamente attratta dalla Morte, la Luce sfolgorante della Fede che trascende il "qui e ora" viene soffocata dai pogrom e dai massacri di ogni secolo?

Altre scene rappresentano battaglie tra soldati vestiti con abiti curiosi e originali, poi un corteo di (forse) pellegrini che offrono - o ricevono - doni da personaggi altolocati, sovrastati da scritte che non risolvono ma complicano l'enigma. Tutto ciò non viene mostrato nella sua immediata evidenza, ma parzialmente nascosto dietro a un artistico velo, trattenuto in alto da maschere quasi grottesche. Ciò che è chiaro e immediatamente percepibile è il Mistero Pasquale affrescato nelle lunette o la storia della comunità cristiana di Aquileia, con i suoi fondatori, i suoi santi e i suoi martiri. Tutto il resto rimane comprensibile soltanto grazie a una luce soffusa, che non  si impone e forse neppure si propone. Così è e basta rendersene conto, senza sprofondare nel baratro della disperazione o senza innalzarsi alle vette della presunzione. Questo è il teatro sul quale si svolge la nostra personale rappresentazione esistenziale. E se passa la scena di questo mondo, non è detto che al di là del Velo non ci sia un'altra realtà, non più condizionata dalle categorie dello spazio e del tempo, svincolata dalle austere leggi della fisica e dagli spazi speculativi della metafisica, un universo di energie fluttuanti nel vuoto cosmico o nell'assoluta pienezza dell'imperscrutabile Mistero. 

lunedì 8 febbraio 2021

8 febbraio 1849 - 8 febbraio 2021, vse najboljše Slovenija, nella festa della Cultura


France Prešeren
Oggi, 8 febbraio, la Slovenia è in festa. Perché? Perché ricorda l'anniversario della scomparsa del proprio "Poeta", France Prešeren, nato a Vrba il 3 dicembre 1800 e morto a Kranj l'8 febbraio 1849.

Non si tratta solo del ricordo di un grande autore, uno dei più significativi della letteratura romantica europea, ma anche della sua convinzione della necessità di intensificare la coscienza di appartenenza nazionale attraverso la valorizzazione della Cultura. In questo senso la vita inquieta e appassionata dell'autore, è divenuta di per sé stessa un punto di riferimento ineludibile per la consapevolezza di un popolo. Privi di uno stato nazionale fino alla fine del XX secolo,, gli sloveni sono riusciti ad attraversare frangenti drammatici della Storia, valorizzando i propri artisti, la propria lingua, le proprie musiche e tradizioni. Grazie allo studio intenso e alla memoria dei propri scrittori, hanno resistito alle umiliazioni e alle persecuzioni, sia da parte dell'autorità imperiale austroungarica che - in misura maggiore e tragica - alle sofferenze inflitte dall'occupazione fascista e nazista.

Oggi la Slovenia, con il suo vivace Stato affacciato sull'Adriatico e confinante con Italia, Austria, Ungheria e Croazia, si colloca al centro della nuova Europa e si appresta a presiedere il Consiglio Europeo. 

"Liberate la Cultura!"
Nello stesso tempo, le pacifiche e - guarda caso - artistiche rivendicazioni di libertà, giustizia e autentica democrazia che si propongono settimanalmente lungo le strade di Lubiana, compatibilmente con le restrizioni anti-covid, costituiscono un richiamo sempre più potente alla lotta contro ogni tentazione totalitarista e neofascista. Nella foto, scattata durante i cortei "del venerdì", i manifestanti hanno "incatenato" la statua del Poeta, collocata nella principale piazza del centro storico di Lubiana, vedendo in lui e nella sua opera la vera Libertà di uno spirito indomito che non si piega davanti all'oppressione. Questo gesto di contestazione esprime una preoccupazione che ha trovato purtroppo conferma in queste ultime settimane, con la distruzione di Rog, un centro di cultura alternativa - intesa come accoglienza, convivenza e arte - nel cuore della capitale slovena. I fermenti di rinnovamento procedono dalla valorizzazione di un Poeta vissuto duecento anni fa, le sue parole e il suo esempio riescono ancora a mobilitare la parte più consapevole e impegnata della popolazione, in particolare i più giovani, coinvolti più di ogni altro nel desiderio di una Democrazia radicata nel confronto fra le idee e non certo nell'ottusità della repressione.

In questo senso Prešeren può essere considerato un precursore, o almeno un ispiratore. Se Krst pri Savici (Il battesimo presso la Sava) è una composizione storico-poetica finalizzata a ricordare le radici profonde della comunità, Zdravljica (il brindisi) è un poema che esalta l'identità senza contrapporla, anzi evidenziandola come auspicio e profezia di un mondo nuovo, dove "la discordia sarà sradicata dal mondo" e il (popolo) vicino "sarà considerato un amico". Quante Nazioni hanno un inno che celebra la pace e l'amicizia tra i popoli?

In quest'anno, l'Italia chiede all'Europa di ri-conoscere insieme Dante Alighieri nel 700° anniversario della morte. Nova Gorica e Gorizia sono ormai avviate verso lo straordinario appuntamento della "capitale europea della cultura 2025". In questo quadro, la festa odierna assume un particolare significato e porta a preconizzare una simbolica stretta di mano fra Prešeren e Dante, disponibili a intraprendere l'affascinante sentiero che porta a considerare la Cultura l'unico vero fondamento di ogni azione politica, sociale, economica, urbanistica, ambientale.

Vse najboljše, Slovenija, auguri tanti, "brindiamo" insieme affinché "vivano a lungo tutti gli uomini buoni". 

venerdì 5 febbraio 2021

Fermenti planetari (2): martirologio dei cercatori della Verità.

(continua dal post precedente) 

Qualche esempio recente? Eccone otto, talmente eclatanti da sconvolgere non solo i governi, ma anche le cittadine e i cittadini del mondo.

1. Giulio Regeni, ucciso in Egitto proprio in quanto "pro-feta", cioè come colui che svela ciò che è occulto e denuncia l'ingiustizia, il sopruso del Potere. Il movimento in Italia e non solo che chiede "Verità e Giustizia per Giulio Regeni" è l'esempio di come la tenacia e l'intelligenza possano mantenere in atto una protesta sistematica, in grado di imbarazzare chi è abituato a stendere le cortine del silenzio sulla violenza dei dittatori. 

2. Daphne Anne Vella (Caruana Galizia), vittima di un attentato dinamitardo a Malta nel 2017, è stata una giornalista di inchiesta, che ha denunciato corruzione e loschi interesse, nel suo Paese e in Europa. Anche lei è stata azzittita, cancellata dall'esistenza, evidentemente per aver toccato i veri nervi scoperti dell'ennesimo "sistema". 

3. Ritornando in Egitto, la richiesta di giustizia non può che trasformarsi in pressione affinché Patrick Zaki, da un anno chiuso in un carcere e perseguitato per il suo desiderio di conoscere e informare, sia immediatamente liberato. E' uno scandalo che i governi, anche quello italiano, trattino commesse commerciali e militari con un Paese che viola in modo così palese i diritti umani.

4. Marielle Franco, straordinaria attivista e sostenitrice dei diritti umani, consigliera comunale a Rio de Janeiro, uccisa il 14 marzo 2018. Era un punto di riferimento per i movimenti pacifisti e femministi del brasile e dell'intera America Latina. Il suo assassinio è stato un tragico preludio alla stagione di repressione antidemocratica sostenuta dal 2019 dal nuovo presidente Bolsonaro.

5. Juljan Assange, straordinario giornalista, autore di incredibili reportage sul funzionamento dei meccanismi di violenza e guerra, nei Paesi più potenti del mondo, da oltre dieci anni vive la sofferenza della prigionia, dell'umiliazione e della malattia. E' un altro colpevole del reato di ricerca e testimonianza della verità, dimenticato e spesso vilipeso dai suoi stessi colleghi, forse preda di un certo senso di inferiorità di fronte a una persona che ha rinunciato alla libertà per non venire meno alla professionalità.

6. Malalai Maiwand è stata anche lei giornalista e ha difeso i diritti delle persone, soprattutto delle donne, in un Paese nel quale schierarsi in questo senso è molto pericoloso. E così anche il suo nome si iscrive nel novero dei troppi martiri della verità, uccisa con il suo autista in un attacco, a jalalabad, in Afghanistan, il 9 dicembre 2020.

7. In questi giorni la Russia è in fiamme, Aleksej Naval'njy, dopo l'avvelenamento che lo ha portato sulle soglie della morte, è ritornato in patria. Immediatamente arrestato - e con lui subito dopo la moglie e altri compagni di protesta - è stato condannato a rimanere in carcere dopo un processo lampo. Mentre il popolo scende in piazza a suo favore contro Putin, giunge la notizia della morte improvvisa del suo medico, quello che aveva denunciato l'avvelenamento.

8. Infine Zhang Zhan, ottima giornalista cinese, arrestata e condannata a quattro anni di carcere per essere stata "sulla notizia" nell'occhio del ciclone pandemico. E' lei che ha documentato le prima fasi del contagio da covid-19 a Wuhan ed è stata denunciata e condannata perché con i suoi servizi avrebbe "provocato litigi e problemi". 

Sì, l'elenco è molto lungo e potrebbe certamente ancora continuare. Sono tempi difficili ma importanti. In momenti come questi, occorre essere pronti a tutto, per cercare di aggirare e a cancellare la cortina del silenzio e del segreto che consente a chi comanda di perpetuare ogni obbrobrio pur di mantenersi saldi sulle poltrone che contano. Grazie a Giulio, Anne, Patrick, Marielle, Juljan,  Malalai, Aleksej, Zhang e a tutte e tutti coloro che perdono o rischiano la vita per poterci aprire gli occhi sulle malattie della democrazia.

Fermenti planetari (1): eppure si muove...

Sono tempi di grandi movimenti, l'effetto indiretto della pandemia comincia a farsi sentire in diverse parti del mondo. In realtà qualcosa di molto nuovo si intravvedeva anche prima, con le grandi manifestazioni di popolo, per citarne una fra tante, quella promossa dai "Fridays for future" che hanno portato milioni di ragazzi nelle piazze. Negli USA il grande movimento "Black lives matter" contro il razzismo, in Italia i cortei "Prima le persone" per l'accoglienza e contro i respingimenti dei migranti, in Slovenia le artistiche performance contro la deriva autoritaria governativa, in America del Sud, in Asia, anche in alcuni paesi dell'Africa, in Ucraina e ora in Russia... è tutto un grande fermento, coltivato in una profonda insoddisfazione per lo stato sociale e ambientale del Pianeta, incentivato dalle oscure prospettive che si intravvedono oltre il tunnel dell'epidemia globale. Sembra di essere tornati ai primi anni del nuovo millennio, alle mille riunioni per "un altro mondo possibile" del G8 di Genova, alle decine di milioni sulle strade per scongiurare la seconda guerra in Iraq. E non è un caso che ovunque si muovono i cultori dello status quo, i potentati politico-economici preoccupati di assicurarsi il massimo profitto dalla "guerra" contro il virus. Come anche non è un caso che sia stata marginalizzata la democrazia rappresentativa, ormai teatro di uno squallido gioco di potere, dove maggioranze e minoranze si scontrano con l'unico scopo di assicurarsi un posto al sole, senza idealità e parvenze di coerenza, dove - come per esempio in Italia - la destra neofascista si erge a paladina delle Costituzione e la sinistra sedicente riformista si allinea alle celebrazioni del nuovo Capo del Governo, il banchiere dei banchieri europei. Naturalmente la stessa cosa si può dire degli altri Paesi, dove governativi e oppositori siedono da una parte o dall'altra degli emicicli parlamentari dando voce più o meno allo stesso gioco.

Ci sono delle eccezioni? Sì, certo, ma sono sempre più minoritarie. Ci sono politici, giornalisti, personaggi della cultura, ma anche operai, agricoltori, studenti che mettono a repentaglio la propria vita per denunciare l'ingiustizia, per far conoscere la verità, per rivendicare i diritti di tutti. Sfidano un sistema che è potentissimo, soprattutto in termini di controllo dell'informazione e a volte la loro posizione riesce a raggiungere vertici di rischio talmente importanti da "bucare" il muro di gomma costruito dal Capitale. Si dice che un vero profeta lo si riconosce dal fatto che non potrebbe essere altro che perseguitato e forse davvero questo è un criterio per scoprire i veri e i falsi testimoni della Verità, anche oggi. 

(continua)

mercoledì 3 febbraio 2021

Il tempo dei Draghi

E così, è giunto il momento di Mario Draghi.

Intendiamoci, così non si poteva andare avanti. La debolezza del governo cosiddetto giallorosso (forse meglio giallo rosa) stava nell'anomalia di un presidente double face e in una coalizione comunque difficile da governare. Non è un caso che proprio chi ha reso possibile la "svolta del Papeete" nell'estate 2019, sia stato il protagonista della demolizione del progetto da lui stesso propugnato. Sarebbe stato opportuno andare alle elezioni subito, dopo il tracollo del funesto tentativo giallo verde, ma così non è stato a causa di un Renzi tuttora in caduta libera nei sondaggi.

Il discorso di Mattarella, ieri sera, è stato indiscutibile. In una situazione come quella che si è creata la strada "normale" sarebbe quella dello scioglimento delle Camere e del ricorso alle nuove elezioni. Tuttavia, in piena crisi sanitaria, sociale ed economica, "perdere" almeno cinque mesi senza un Governo nel pieno esercizio dei suoi poteri, sarebbe davvero un'incoscienza che l'Italia non si può permettere. Per questo la scelta non avrebbe potuto essere diversa, un Governo tecnico, nella speranza di larghe intese.

Certo, la scelta di Draghi non è casuale, sarebbe stato meglio una guida "morale" piuttosto che uno dei massimi rappresentanti dei potentati finanziari europei e mondiali. L'indirizzo del nuovo Governo dipenderà molto dalla disponibilità e dall'influenza che avranno su di esso i partiti che accetteranno l'invito di Mattarella e lo sosterranno. Anche chi non entrerà nel "gruppone" avrà una responsabilità importante. Ciò non riguarderà tanto i 5 stelle, in vista di possibili divisioni e ancora del tutto privi di un programma politico sostenibile. Sarà invece importante l'azione della Sinistra politica, quella parlamentare che dovrà scegliere se continuare nella simbiosi con il Pd e soprattutto quella non rappresentata in Parlamento, che ha un'occasione formidabile per riorganizzarsi, riunirsi e riproporsi con nuova forza, organizzazione e convinzione alle prossime elezioni, siano esse - come ormai probabile - fra due anni - oppure prima.

Chi governerà dovrà compiere scelte difficili e impopolari che metteranno a dura prova maggioranze e opposizioni parlamentari. Una visione alternativa, con forte carattere sociale, ambientale e autenticamente politico potrebbe in questi due anni crescere, contestando il potere dei "banchieri" e costruendo un percorso - più possibile unitario - verso una società equa e solidale, finalizzata a riorganizzare il mondo del lavoro, della sanità, della cooperazione, dell'accoglienza. Una società post-pandemica e post-capitalista, in grado di realizzare l'obiettivo, "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue esigenze".

lunedì 1 febbraio 2021

Largo ai giovani!

La svolta generazionale non è questione di età, ma di consapevolezza della diversità dei ruoli. Il mondo che verrà, dopo la pandemia, sarà radicalmente diverso da quello precedente. Migliore o peggiore? 
L'esperienza di eventi traumatici come le due guerre mondiali dimostra che la risposta non è scontata. Dopo la prima guerra mondiale e la bufera della febbre gialla, ci sono stati cambiamenti radicali e non si può certo dire che "sia andato tutto bene". Sulle macerie si sono sviluppati i semi della violenza e sono nati gli alberi velenosi del fascismo e del nazismo che hanno condotto il Pianeta sull'orlo - e moralmente anche oltre l'orlo - del baratro. Dopo la seconda guerra mondiale, la situazione si è evoluta in modo migliore, almeno per ciò che concerne l'Europa rasa al suolo. Senza dimenticare la sofferenza crescente del Sud del mondo, è vero che gli eroi della Resistenza, con le loro diverse ispirazioni, hanno consentito una crescita straordinaria, grazie agli accordi politici, economici e in parte anche culturali. Fatto sta che un 76enne della parte occidentale dell'Europa ha potuto vivere tutta la sua esistenza senza ordinariamente sapere per esperienza diretta che cosa siano la guerra, la fame, la persecuzione ideologica o religiosa.
Quale differenza tra il primo e il secondo dopoguerra? Tra le tante, una sembra particolarmente significativa per ciò che concerne l'analogia con la guerra e il dopoguerra "pandemici". I giovani che sono saliti sulle montagne per combattere il fascismo hanno riversato tutto il loro entusiasmo nella costruzione della Costituzione Repubblicana, aiutati dalla saggezza dei (pochi) anziani che avevano scelto, a rischio della propria vita, di stare dalla parte della giustizia e della libertà. Per portare qualche esempio, Aldo Moro aveva 30 anni, Nilde Iotti 26, Paolo Emilio Taviani 34, mentre i "vecchi" che stavano con loro erano personaggi dai nomi molto noti, Togliatti, 57 anni, Emilio Lussu e Piero Calamandrei 56, quando furono chiamati al difficile compito di stilare la nuova Carta fondamentale della Repubblica Italiana. 
Che cosa si vuol dire con ciò? Semplicemente che dopo questo periodo di minaccia per la salute e presto per la vita sociale ed economica dei Paesi dell'Europa e del mondo, si dovrebbe lasciare molto spazio ai giovani, alla generazione del Millennio e dintorni. Sono loro che dovranno essere i protagonisti, con la passione per la vita e la giustizia, con le capacità tecnologiche e le virtù morali, con nel sangue la consapevolezza di quanto sia legittima la diversità di cultura, di lingua, di opinione, di religione. Certo, i "vecchi" non dovranno essere rottamati, si è visto fin dove possono arrivare i "rottamatori". Ma dovranno rimanere al loro posto che non sarà più quello della militanza o del Potere, bensì quello della discrezione e del buon consiglio.
Non si può affidare il compito di ricostruire a chi ha contribuito in vari modi a distruggere. L'esperienza degli errori potrà essere molto utile a chi viene dopo, ma è indispensabile lasciare ai giovani spazi importanti, non solo oggetto dell'attenzione dei più adulti, ma soprattutto soggetto protagonista e capace di innovazione e di responsabilità. Il mondo che verrà sarà un mondo totalmente nuovo e i vecchi schemi e i linguaggi desueti non potranno funzionare più.