venerdì 1 dicembre 2023

Un dicembre assai intenso...

Inizia un dicembre pieno di appuntamenti importanti.

Si comincia con un grande convegno che celebra i 25 anni dalla proclamazione del sito UNESCO della Basilica e delle zone archeologiche di Aquileia. Tra il 5 e il 7 dicembre, con inizio martedì 5 alle ore 10.30 nella prestigiosa cornice della Basilica, si alterneranno politici, economisti, operatori culturali, studiosi di fama internazionale per ricordare in modo concreto e prospettico il significato della nomina ottenuta nel dicembre 1998. Patrimonio UNESCO vuole dire impegno affinché ogni essere umano, in qualunque situazione si trovi, possa conoscere ed entrare in relazione con ciò che gli appartiene.

Interessante serata è quella proposta dall'anpi, martedì 5 dicembre, alle ore 17 presso il Kulturni dom di Gorizia. Il titolo è "Che genere di voto". Si tratta di un'interessante indagine sulla rappresentanza femminile nell'isontino alle prime elezioni del secondo dopoguerra. Verrà inaugurata una mostra e ci saranno numerosi interventi di storiche ed esperte del tema, moderate da Anna Di Gianantonio. 

Nel frattempo a Gorizia Lega Coop Friuli Venezia Giulia, propone per mercoledì 6 dicembre, dalle 9.30 in poi in Palazzo Lantieri, la presentazione del proprio bilancio sociale. E' un'ottima occasione per verificare il percorso verso Nova Gorica con Gorizia capitale europea della cultura 2025. Dialogheranno fra loro i responsabili di istituzioni locali e internazionali, di settori importanti della comunicazione, della cooperazione e del commercio del Friuli Venezia Giulia. 

A fine mese, già da appuntarsi sull'agenda, sarà il convegno internazionale promosso da Pax Christi e dal Comitato per la pace di Nova Gorica e Gorizia. Sabato 30 pomeriggio si parlerà delle due città come luogo di formazione dei corpi civili di pace europei, domenica 31 mattina di intelligenza artificiale e pace. Nel pomeriggio di domenica 31 dicembre, a partire dalle ore 16, si svolgerà la "marcia della pace", annualmente proposta in Italia da Pax Christi e Conferenza Episcopale Italiana. per la prima volta transfrontaliera, partirà da Oslavia per raggiungere la con-cattedrale di Nova Gorica.

Insomma, ecco alcune fra le moltissime occasioni di questo periodo. Se ne riparlerà prossimamente, com maggior approfondimento e analisi. Buon Avvento, intanto...

martedì 21 novembre 2023

Vogliamo la bicicletta, vogliamo PEDALARE!

In tutte le città importanti dell'Unione Europea le piste ciclabili consentono spostamenti veloci e sicuri sull'intero territorio. Lasciando da parte i casi di Amsterdam e Copenaghen, dove le biciclette hanno ovunque la precedenza e i trasporti pubblici sono più che efficienti, si può dare uno sguardo a località più vicine.

A Linz in Austria, città 7-8 volte più grande di Gorizia, dalla periferia si può arrivare al lavoro ovunque in bici, il centro storico è conteso tra piste ciclabili e tram elettrificati, poche automobili, traffico sostenibile. Salzburg offre la medesima impressione, con ciclabili molto belle che perforano la montagna sotto il castello, permettendo di raggiungere il centro senza vedere una sola automobile. La vicina Ljubljana, come del resto buona parte della Slovenia, dimostra una spiccata attenzione nei confronti dei ciclisti, anche se alcune criticità vengono rilevate, è presente perfino un informale "sindaco dei ciclisti" che ha lo scopo di tenere alta l'attenzione delle amministrazioni intorno ai diritti dei ciclisti. In questo caso lasciano a desiderare i trasporti pubblici, con conseguente intasamento, nelle ore di punta, delle vie che dalla periferia conducono verso il cuore della città. L'inquinamento dell'aria non rende certo felici i ciclisti che arrancano a lato di strade invase da veri e propri fiumi di automobili. Trieste è un po' particolare, ci sono numerosi tracciati di ciclabili, la maggior parte di essi finisce nel nulla, lasciando sconcertato l'utente che non sa da che parte andare e quali siano i suoi diritti rispetto a quelli dei pedoni. La pista sulle Rive non sarebbe una cattiva idea, se non fosse che in alcuni tratti debba essere ancora finita, in altri il selciato di pietra grezza irregolare mette a dura prova camere d'arie e copertoni, quando arrivano le Grandi Navi (in certi periodi ogni giorno), il tratto migliore della ciclabile viene chiuso per lasciare spazio alle corriere che vengono a raccogliere i turisti. C'è un discreto servizio di bike sharing, non sempre tecnicamente impeccabile, ma con un ottimo personale di riferimento pronto ad affrontare e risolvere eventuali problemi. Verona eccelle, da parecchi anni, con un servizio ai ciclisti di buona qualità, ciclabili sulle carreggiate delle strade principali, può nascere qualche controversia con i pedoni soprattutto in centro. Ottimo è il servizio di bike sharing, funzionale e con postazioni diffuse e ben servite in tutte le zone importanti della città. Normali i mezzi pubblici, senza lode né infamia.

E la Capitale europea della Cultura 2025?

Detto dei nuovi percorsi, culminanti nel ponte ciclabile di Solkan e nella bella kolesarka fino a Plave, le dolenti note vengono dai centri città. Non esiste un sistema di trasporto pubblico coordinato tra le due/una città, se si eccettua il servizio del pionieristico autobus transfrontaliero avviato ancora all'inizio degli anni 2000. A Nova Gorica le ciclabili ci sono, ma non sempre sono funzionali, con frequenti sparizioni in occasione dei principali incroci. Notevole la Nova Gorica-Šempeter, costruita ancora negli anni '50 sul tracciato del mai realizzato secondo binario della ferrovia Transalpina, è ancora oggi un bellissimo percorso di collegamento, indispensabile un tempo per i lavoratori che da casa dovevano raggiungere le fabbriche o gli uffici, non potendo più attraversare il confine. Il centro di Gorizia è buon ultimo in questa pseudo classifica. La dorsale principale, quella che alcuni vorrebbero giustamente chiamare la "ciclovia della cultura", dalla stazione centrale a quella, in Slovenia, di Trg Evrope, è totalmente sprovvista. Il tentativo di portare la pista sulla carreggiata è stato cassato dagli stessi proponenti, con il risultato che oggi percorrere Corso Italia è diventata esperienza abbastanza pericolosa. Altrove si è risolto con pittogrammi, a volte sensati, nella maggior parte risibili, se si vuole rimanere nell'ambito dell'eufemismo. Perfino una parte del centro storico, il Corso Verdi pedonalizzato, è precluso dai segnali di divieto alle bici. Tutto converge a scoraggiare i più convinti, figurarsi coloro che cercano delle buone motivazioni e che si rendono conto di una situazione difficile e delicata, soprattutto per i  bambini.

Eppure Gorizia e Nova Gorica potrebbero essere il territorio ideale per sviluppare un piano del traffico che penalizzi le automobili e favorisca gli spostamenti "a misura d'uomo". Chi va in bicicletta (o a piedi) aumenta la qualità della propria vita, vive la città con maggior attenzione, costruisce più facilmente relazioni sociali, fa salutare movimento e se non ci fosse il traffico motorizzato, respirerebbe aria pura. Il ciclista fa del bene anche agli altri, non consuma combustibili fossili, contribuisce a diminuire l'inquinamento atmosferico. E' un cittadino consapevole e responsabile, anche nelle sue scelte di vita, generali e quotidiane.

Perché non avere il coraggio di un'autentica innovazione, valorizzando le ciclabili ovunque e potenziando il servizio di trasporto pubblico? Perché non disincentivare comportamenti assurdi? Basta andare davanti a una scuola, in particolare in un giorno di pioggia, per vedere con tristezza l'intasamento delle auto di genitori innervositi che scaricano i figli esattamente davanti al cancello. Oppure notare che per andare al posto di lavoro, distante meno di un chilometro, molti tirano fuori l'auto dal garage e passano mezz'ora nel cercare parcheggio più vicino possibile alla porta d'ingresso. Perfino i pensionati usano tanto l'auto, per andare a comprare il giornale sostando esattamente davanti all'edicola o per raggiungere il bar e giocare una partita di carte. Si dice questo non per giudicare, ma per constatare. La battaglia per una città pulita e a misura di bambino si deve combattere tutti insieme, le istituzioni per ciò che è di loro competenza, ogni residente per ciò che concerne gli stili di vita quotidiani.

E se qualcuno ha tempo e volontà, la "ciclovia della cultura" propone per la prossima domenica una bella pedalata, tutta in pianura, lungo la ciclabile sul confine, visitando Miren, Vrtojba e Šempeter. "Andemo di là", propongono gli organizzatori riproponendo un titolo già sperimentato con successo con "Il libro delle 18.03". Ma sì, dài, andiamoci di là, ma in piedi o in bicicletta! Partenza al valico del Rafut, domenica 26 novembre, ore 10.

domenica 19 novembre 2023

L'unica strada è quella della nonviolenza

Lo sguardo materno è stato impresso nella pietra candida di Aurisina da Edmondo Furlan nel 1917. Il monumento si trova nel cimitero di guerra di Aquileia e l'immagine sembra voler portare sotto uno sguardo di consolazione e misericordia tutto il dolore del mondo.

La violenza individuale si mescola con quella sistemica. Mentre tutta Italia si stringe idealmente intorno alla famiglia di Giulia Cecchettin e si interroga sul suo brutale assassinio, in molte lande del mondo si muore in massa a causa della guerra.

In Ucraina si continua a morire, nell'ormai passato in secondo piano conflitto con la Russia. Ciò che era ovvio fin dall'inizio, cioè che l'unica soluzione possibile fosse quella negoziale, ora continua a essere tale, mentre sull'altare delle rigidità di Putin e Zelen'sky e su quello degli interessi di mezzo mondo, si continua inopinatamente a combattere. Troppe giovani vite, civili e militari, sono soffiate alla storia dalla caparbietà di chi non vuole sedersi attorno a un tavolo e a discutere su tutte le risolvibilissime questioni in gioco.

In Palestina prosegue l'invasione di Gaza da parte di Israele. Tra parentesi, in nome del principio dell'inviolabilità delle frontiere degli Stati, si rischia una terza guerra mondiale per contestare l'intervento russo a difesa delle popolazioni russofone in territorio ucraino, mentre in nome della sicurezza, il medesimo principio non viene preso in considerazione, non si riconosce l'autodeterminazione della Palestina e si sostiene Israele nella sua cruenta avanzata nella martoriatissima striscia di Gaza. Migliaia di donne, uomini e bambini stanno soccombendo, uccisi dalle bombe, dalla fame e dalla mancanza di medicinali. Come voltarsi indietro davanti a questo genocidio? La condanna, senza esitazione, degli attentati di Hamas, compiuti lo scorso 7 ottobre, non può impedire un'altrettanto ferma condanna dell'intervento israeliano in Gaza. La guerra scatenata da Netanyahu ha già provocato un numero di vittime immenso e sta contribuendo a valorizzare la strategia criminale di Hamas. Se il giorno dopo gli attentati, una ventata di vicinanza era soffiata da tutto il mondo in direzione di Gerusalemme, i bombardieri israeliani, le uccisioni di massa, gli ospedali e le scuole colpiti, la cancellazione di ogni parvenza di futuro, hanno immediatamente soffocato ogni simpatia. Ovunque si manifesta contro il governo israeliano, le capitali occidentali tremano per la paura di gesti che potrebbero colpirle al cuore, si chiudono le frontiere, cresce addirittura il veleno terribile dell'antisemitismo. E nella stessa Gaza cresce un odio talmente profondo da far ipotizzare che difficilmente nel prossimo futuro si potranno depotenziare uno cento o mille Hamas.

Era questo il modo di garantire la sicurezza di Israele? O di garantire il rispetto dei diritti in Ucraina e in Russia? Certamente no, la violenza e l'uso sistematico delle armi distruttive non porteranno ad altro che a nuovi più allargate sofferenze e lutti. Gli arsenali atomici sono ancora ovunque, pronti all'uso. Non ci si può cullare nel pensiero che si tratti di problemi lontani, perché tutti - nessuno escluso - siamo costantemente coinvolti. L'unica strategia alternativa al piano inclinato che sempre più velocemente sembra portare verso il baratro, non è quella della ritorsione o del massiccio riarmo. E' quella della diplomazia, del dialogo e della trattativa. E' quella della nonviolenza attiva.

L'incredibile vicenda del Messale Romano in lingua friulana

Con tutti i problemi del periodo, questo farebbe sorridere, se non toccasse la sensibilità e la dignità di un'intera comunità culturale.

Il Messale Romano destinato alla celebrazione delle Messe in lingua friulana è stato "cassato" dalla Conferenza Episcopale Italiana. La questione in sé riguarda il diritto dei fedeli cattolici di partecipare all'Eucarestia, pregando nella loro lingua materna.

La "bocciatura" è derivata dalla mancanza dei 2/3 di voti necessari all'approvazione. Qualche decina di vescovi era assente, più di cinquanta hanno votato contro e parecchi si sono astenuti.

Al di là della legittima delusione del popolo cattolico friulano, ciò che rende molto perplessi è il metodo di approvazione. Sulla base di quale competenza ed esperienza, un gruppo di vescovi possono votare l'approvazione o il rigetto di un testo che ha come obiettivo solo quello di valorizzare la lingua di un gruppo di persone che la vogliono utilizzare per pregare? Fa specie il numero di cinquanta che hanno addirittura votato contro. Perché? Con quale arzigogolata motivazione una guida della Chiesa può permettersi di dire di no a un'intera comunità, sostenuta dai vescovi locali di Udine Pordenone e Gorizia? Si capirebbe se ci fosse ancora il latino come lingua ufficiale della Chiesa universale e locale. Ma da sessanta anni, con la pubblicazione della Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, è consentito, anzi raccomandato, l'uso delle lingue parlate. E allora? C'è una serie A e una serie B?

Insomma, nella certezza che prevalga il buon senso e che il Messale Friulano sia utilizzato senza alcun problema da chi lo desidera, sembra davvero inutile e anacronistico mettere ai voti una simile proposta. Si ringrazino invece con tutto il cuore coloro che hanno dedicato tanti anni di lavoro a realizzare un'opera straordinaria, che deve essere da subito portato in tutte le parrocchie e messo a disposizione dei sacerdoti e dei fedeli.

La preghiera e la liturgia nella lingua materna non hanno bisogno di valutazioni e approvazioni, ognuno - se lo crede importante - invochi come gli pare, Dio, se c'è, comprende sicuramente tutte le lingue del mondo. Si proceda quindi senza indugio nel cammino intrapreso, Loro Eccellenze volenti o nolenti... 

sabato 18 novembre 2023

Il dolore per Giulia

Di fronte all'assassinio di Giulia Cecchettin, si resta senza parole. Un po' è la dinamica degli avvenimenti, un'alternanza di speranze e disillusioni, un po' le incursioni mediatiche nella vita delle due persone coinvolte, un po' l'età dell'uno e dell'altra... Un po' tutto questo, di fatto in una settimana la loro tragica vicenda è entrata nelle case di tutti, lasciando nel profondo del cuore una grande amarezza.

Non c'è molto altro da dire che non sia già stato comunicato, per la 104ma volta nell'anno in corso una donna in Italia è vittima della violenza estrema dell'uomo che si sente umiliato dall'abbandono, dalla libera scelta di una persona che egli sente assurdamente come sua "proprietà". E' vero, Giulia è l'ennesima vittima di una cultura maschilista e patriarcale ancora molto, troppo radicata nella nostra società. La magistratura indagherà, non si sa che cosa è o sarà del ragazzo per ora "presunto" omicida, in questa fase non resta altro che chinare la testa di fronte all'ennesima, giovane vittima di questa crescente follia ed esprimere tutto il cordoglio possibile ai familiari, così duramente provati da questa tragedia.

Molti commentatori, nei giorni scorsi, hanno sottolineato la "normalità" delle famiglie nelle quali sono cresciuti Giulia e Filippo, la vita da "bravi ragazzi" che mai avrebbe potuto far immaginare ciò che poi è accaduto. Ecco, pur sottolineando come questa notazione non possa e non debba sminuire nemmeno di un millimetro la gravità dell'accaduto, questa conclamata "normalità" fa veramente pensare. Cosa c'è nel profondo del cuore di ogni uomo? Quali terribili mostri abitano dentro di noi, rinchiusi nei meandri del nostro inconscio, pronti a scardinare i lucchetti e a travolgere le fragili difese della nostra pretesa ragionevolezza? Quanto si è imbevuti di una pseudocultura velenosa che ci impedisce di riconoscere la sottile linea di demarcazione tra la libertà infinita dell'amore e la schiavitù opprimente dell'istinto di possesso? L'ideale del "maschio", capo della famiglia (così nel Codice Civile in Italia fino addirittura al 1975), al quale la donna deve essere "sottomessa" (così nel citatissimo, anche nei matrimoni attuali, passo della lettera di Paolo agli Efesini 5,22-33), nonostante gli aggiornamenti dello Stato e delle visioni religiose, non riesce a tramontare nell'epoca della modernità e della postmodernità, con le conseguenze drammatiche che sono sotto i nostri occhi.

E' importante che non si dia nulla per scontato, che la meditazione su questi fatti non si riduca a una mera compartecipazione al dolore delle vittime e a un'ovvia condanna dell'assassino. Occorre una grande vigilanza, esteriore, ma soprattutto interiore. E' necessario saper cogliere la misura delle proprie debolezze, ammettere la propria fragilità. Bisogna liberarsi dall'assurdo desiderio di corrispondere sempre all'immagine che gli altri si sono fatti di noi, dalla prigione del perbenismo nella quale spesso ci si rinchiude per sfuggire alla bellezza e alla responsabilità del vivere. Sì, occorre il coraggio di essere veramente liberi, anche nell'affrontare le inevitabili sconfitte quotidiane. E' giusto che cambino le leggi, che si impostino efficaci cammini educativi a cominciare dalle scuole, che le filosofie e le religioni adeguino i loro insegnamenti alla situazione attuale. Ma è tanto e altrettanto importante che ogni persona, in particolare ogni maschio, si assuma la responsabilità della sua vita, faccia lo sforzo di conoscersi a fondo, anche lasciandosi aiutare, non lasci che i mostri continuino ad abitare il suo inconscio e non abbia come fine la rispettabilità, bensì l'autentica umanità. Altrimenti, quanti "bravi ragazzi" diventeranno ancora, da un giorno all'altro, dei terribili criminali? 

Nel 2025, un'esposizione "dal preromano al postmoderno"?

Il campanile di Aquileia, nella nebbia
Si parla molto di una "mostra clou" della Capitale europea della Cultura 2025. Sembra che sia dedicata al "Tesoro di Aquileia", intendendo con ciò l'esposizione dei reperti sacri custoditi nelle casseforti dell'Arcivescovado di Gorizia. Almeno, questo è ciò che era stato programmato negli anni precedenti il Covid, quindi anche la prestigiosa "nomination" europea, immaginando le sedi espositive di Palazzo Meizlik ad Aquileia, di Santa Chiara a Gorizia e di Kostanjevica.

Nel contesto attuale, con lo sguardo di un Continente rivolto al territorio Goriziano, l'idea non può che essere rivisitata in termini essenzialmente culturali, con un generale allargamento di visione che possa consentire ai visitatori - ma anche ai residenti - l'approfondimento dei motivi che hanno giustificato la scelta transnazionale effettuata per la prima volta dall'Europa.

Per questo sarebbe necessario percorrere un tempo che va "dal preromano al postmoderno", coinvolgendo le già più che disponibili realtà culturali del territorio. Lo splendido Museo Archeologico Nazionale di Aquileia potrebbe raccontare l'intreccio tra spiritualità e arte nel periodo precedente e seguente la colonizzazione romana del II secolo a.C. Il Paleocristiano di Monastero offrirebbe uno spaccato sulla vita quotidiana dei cristiani del IV secolo, nello spettacolare contesto del sito Unesco, con le zone archeologiche e i mosaici teodoriani della Basilica. Il Palazzo Meizlik, sempre ad Aquileia, potrebbe ospitare i reperti che riguardano la storia del Patriarcato, dalle origini al 1751, mentre Santa Chiara a Gorizia e Kostanjevica potrebbero ospitare le memorie documentarie delle Arcidiocesi di Gorizia e di Udine. La Sinagoga e il cimitero ebraico di Rožna dolina potrebbero raccontare la vicenda dell'ebraismo goriziano, mentre la chiesa metodista di Via Diaz offrirebbe la testimonianza della duplice fase di proposta dell'evangelismo protestante, nel XVI secolo con la predicazione di Primož Trubar e nel XIX con l'iniziativa degli industriali Ritter. Il castello di Miramare potrebbe essere il prestigioso richiamo all'epopea degli Asburgo, fondamentale punto di vista per comprendere le specificità internazionali della zona. Il Goriški Muzej, nelle sue varie sedi, potrebbe narrare la storia dell'insediamento degli sloveni nella terra che dalla "sclavorum lingua" ha preso il nome di "Goriza" (documento di Ottone III al Patriarca Giovanni nel 1001), ma anche sottolineare la fondamentale esperienza del Novecento Goriziano, con le ingiustizie e le tragedie, ma anche con le rinascite, le opere d'arte, i luoghi che hanno visto la transizione da campo di battaglia a capitale europea della cultura, le persone che hanno contribuito all'abbattimento dei muri, i vari Basaglia, Ravnikar, Mušič, Tone Kralj e tantissimi altri. Il santuario di Sveta Gora potrebbe esporre le tante e meravigliose testimonianze artistiche della religiosità popolare, senya dimenticare l'epopea degli "Staroverci", i vecchi credenti vissuti nella semi clandestinità nelle valli dell'Isonzo e del Vipacco.

Ecco, così, solo per dire che sarebbe davvero interessante un'unica mostra su diverse sedi, incentrata non soltanto sul peraltro importante periodo patriarcale, ma sulla celebrazione generale di una Storia drammatica e affascinante che appartiene a ciascuna e ciascun abitante di questa variopinta, multiforme, plurale congerie di popoli e culture. 

giovedì 16 novembre 2023

"Critical zone" del regista iraniano Ali Ahmadzade

 

Quando sentiamo la parola "Iran", pensiamo ordinariamente ai diritti umani, al velo delle donne, alla guerra decennale con l'Iraq e così via.

Il film Critical zone, del regista iraniano Ali Ahmadzade, fa piazza pulita di qualsiasi stereotipo e conduce lo spettatore nel cuore di una totalmente sorprendente Teheran notturna.

"Conduce" è il verbo più adatto perché Amir, il protagonista, è quasi sempre  seduto nella sua sgangherata autovettura e segue strada dopo strada le indicazioni quasi ultraterrene della voce metallica di google maps. Quando non guida o no gironzola per la grande città, sta a casa dove condivide la vita con un simpatico e affettuoso cane.

Cosa fa Amir? E' un piccolo spacciatore di droga, incontra clienti di ogni sorta e non ci guadagna granché, perché la maggior parte delle sue azioni sono rivolte a fornire un aiuto materiale e per così dire, anche spirituale. A uno offre un passaggio conducendolo dalla parte opposta della metropoli, a un'operatrice sociale chiede di poter collaborare nell'alleviare il dolore delle persone. Riempie la sua solitudine trascinando fuori dalla strada una donna che lo guarda con ammirazione, giunge perfino a risollevare, con azioni e parole da santone o da prete, un ragazzo devastato dalle sostanze. Non riesce a risuscitarlo dall'apatia, ma consola la madre affranta che lo ringrazia con gli occhi colmi di lacrime di commozione.

Riceve la droga da un'hostess con la quale "viaggia" a velocità supersonica, in una strepitosa scena che nello stesso istante coinvolge e sconvolge.

Amir non è un modello morale, tutt'altro, ma è un uomo che dimostra come la bontà non si accompagni necessariamente all'eticità e - come in una trama di Dostoevskij o di Graham Green - permette di scoprire gli angeli della risurrezione nei bassifondi più oscuri di un'umanità dimenticata. Il racconto di Ahmadzade non è una denuncia politica né la presentazione di un modello da seguire. E' una parabola simile a quella del buon samaritano, là dove i sacerdoti e i leviti del capitalismo passano oltre alla sofferenza umana senza neppure accorgersene e lo "straniero" si china a curare le ferite di colui che "è stato malmenato dai briganti".

Come ogni parabola, non ci si deve cercare un suggerimento su cosa fare nella vita, ma scoprire l'"allegoria", cioè ciò che va al di là dell'eticamente corretto e del perbenismo di facciata per scoprire cosa c'è nella sfera più profonda del cuore dell'uomo, come pure degli inferi degli ampi viali e dei vicoli oscuri di una città affascinante e inquietante come è l'immensa Teheran. 

Insomma, se avete occasione, non perdete Critical zone, di Ali Ahmadzade.

venerdì 10 novembre 2023

Quando finisce la Politica, inizia la guerra

La sensazione, forse anche la tentazione più prossima nel momento attuale è quella dell'impotenza. Forse è sempre stato così, ma raramente è stata così netta la percezione di un tracollo della Politica, intesa come capacità autenticamente umana di affrontare e risolvere insieme i problemi della Società.

Ci sono tanti conflitti nel mondo che, al di fuori della povera gente che li subisce, per dirla poco elegantemente, non fregano niente a nessuno. Donne, uomini, bambini massacrati nel Sudan "contano" nulla rispetto agli stessi che subiscono la stessa sorte in altre zone del Pianeta dove gli scontri tra le grandi potenze sono portati sotto la lente di ingrandimento mediatica.

Anche in questi casi, è difficile non essere almeno vagamente complottisti. Come pensare che una guerra come quella tra Russia e Ucraina possa continuare, con centinaia di migliaia di vittime e devastazioni di ogni tipo, quando la situazione, dopo oltre un anno e mezzo, è esattamente quella dell'inizio? Come pensare che non ci siano interessi macroscopici che spingono gli USA e l'Unione Europea a inviare ancora sostegni e armi, trascurando qualsiasi sforzo diplomatico sostenibile per raggiungere un accordo che avrebbe dovuto essere siglato all'indomani dell'inizio dei combattimenti?

E come non restare profondamente feriti dall'invasione di Gaza da parte dell'esercito israeliano, passata come reazione agli sconvolgenti atti terroristici di Hamas, in realtà vero e proprio tentativo di risolvere la questione palestinese una volta per tutte? Come non pensare alle conseguenze di una generale destabilizzazione del Medio Oriente, della diffusione dell'insicurezza in un'Europa che non trova di meglio che trincerarsi nelle sue frontiere, della crescita di un totalmente ingiustificabile e molto pericoloso antisemitismo che fa di ogni erba un fascio identificando ebraismo e politiche di Israele (cioè, tra l'altro, esattamente gli obiettivi di Hamas)?

In tutto questo, che cosa si può fare? Sì, cosa può fare il singolo individuo, ma anche la comunità alla quale appartiene?

Sembra che l'unica parola in grado di suscitare qualche riflessione etica sia quella di Papa Francesco. E' encomiabile la sua costante presenza, con la parola e con l'azione diplomatica, relativa ai luoghi dove maggiore è la sofferenza provocata dalla guerra. Ma l'esortazione etica non è sufficiente, forse può scuotere gli animi e suscitare significative testimonianze di costruzione di giustizia e pace nei piccoli ambiti. 

Ma è necessario un soprassalto della vera Politica, anche quella italiana. Invece di riempire la testa dei teledipendenti con interminabili discussioni nelle quali si discute di decine di migliaia di morti come se si commentasse il risultato del derby calcistico di Milano (e viceversa!), non sarebbe fondamentale che i partiti e i loro rappresentanti elaborassero serie proposte alternative all'odio e alla violenza? Pensassero cioè a un sistema alternativo a quello che produce un costante e grave innalzamento della tensione, che potrebbe portare con sé esisti catastrofici?

La fine delle ideologie ha comportato la riduzione dello spazio politico a semplice ricerca e gestione del Potere, spesso svincolate da qualsiasi riferimento etico e valoriale. Ciò vale per tutti i partiti, in particolare oggi per il Partito Democratico. E' un pachiderma che porta dentro di sé una miriade di istanze molto spesso contradditorie, dove il tentativo di Elly Schlein e compagni rischia di naufragare proprio per la difficoltà di riportare al centro le idee in una realtà da almeno un decennio impantanata nella necessità di salvare capra e cavoli, perdendo oggi sia questa che quelli.

Forse la strada per portare una ventata di novità in Italia non era quella di immaginare la rivitalizzazione di un organismo ormai appesantito dalla sua stessa breve storia, ma quella di fondare un partito di sinistra, transnazionale, con uno sguardo europeo e planetario, radicato nella tradizione filosofica e strategica avviata dal pensiero comunitario del cristianesimo delle origini, come anche dalla riflessione marxista originaria, corretta e riformata alla luce dei tragici avvenimenti del XX secolo. Un'impresa del genere implica tempo ed energie, grande convinzione e creatività, capacità di dialogo e di relazione a tutti i livelli. Tuttavia darebbe l'impressione di non restare ancorati al triste "salvare il salvabile", ma di poter ancora contare qualcosa nelle decisioni che determinano il futuro del mondo e dei suoi abitanti.

Non è facile, tanti ci hanno provato senza riuscirci. Ci sono stati molte prove di riunificazione della Sinistra, c'è stato il movimento di Varoufakis Diem25, ci sono state azioni di base incentrate sul pacifismo e sui cambiamenti climatici. Ma nulla ha dato l'impressione di decollare veramente. Siamo in tempo per provarci ancora?

sabato 4 novembre 2023

Dov'è la Vittoria?

 

Il 4 novembre è un giorno di memoria. L'Italia ricorda la "Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze Armate", con uno strano accostamento che sembra voler attribuire alle Forze Armate un ruolo decisivo per ciò che concerne la realizzazione dell'unità della Nazione.

Qualche decennio fa era la "Giornata della Vittoria" e il riferimento era alla fine della prima guerra mondiale e all'arrivo dei soldati italiani a Trieste. Per fortuna gli storici hanno sistemato la retorica e hanno dimostrato quanto sconfitte abbia in realtà generato quell'effimera vittoria.

Si parla di quella che papa Benedetto XV definì "orrenda carneficina" e "inutile strage". La guerra nel complesso ha provocato la morte di oltre 15 milioni di persone, metà militari e metà civili, senza contare i mutilati e i feriti, senza aggiungere gli altri milioni di esseri umani uccisi dalla febbre spagnola, diretta conseguenza degli stenti e della miseria derivate dal conflitto. La prima guerra mondiale ha sconquassato anche gli equilibri politici ed economici del mondo intero, provocando insieme alla fine dei grandi Imperi lo squilibrio politico dal quale germoglieranno i semi venefici del fascismo e del nazismo, le premesse cioè dell'ancor più devastante seconda guerra mondiale.

Quindi, non c'è proprio niente da festeggiare, soprattutto in un periodo in cui la forza delle armi sembra prevalere su quella della ragione e tante nuove battaglie seminano sangue e distruzione in Ucraina, in Palestina, in Sudan e in tanti altri angoli del Pianeta. Ricorrenze come quella odierna dovrebbero allertare chiunque e aiutare ogni persona a formulare pensieri di pace, diplomazia, diritto particolare e universale. Milioni di giovani cancellati dalla Vita dovrebbero esser un monito a una nuova stagione di generale disarmo, di costruzione di arbitrati internazionali efficienti, come del resto prospettato nel lontano 1917 dallo stesso Benedetto XV, unico pontefice ad aver auspicato la distruzione di tutti gli arsenali militari presenti nel mondo, e perfino dal presidente degli Stati Uniti Wilson, nei suoi "punti", condizioni per la sopravvivenza dell'intera umanità.

Per questo la "Giornata" del 4 novembre dovrebbe essere dedicata alla memoria di tutti i morti assassinati in tutte le guerre. E sarebbe necessario che protagonisti siano i veri fondatori dell'unità dell'Italia e dell'Europa, cioè i costruttori di Pace. Bisognerebbe ricordare prima di tutto coloro che hanno rischiato e spesso perso la vita per sostenere le popolazioni provate dagli stenti connessi alla guerra. Si dovrebbe dedicare un pensiero grato ai disertori, a quelli che hanno preferito morire, falciati senza pietà dai carabinieri, piuttosto che uccidere altri soldati "con lo stesso identico umore ma con la divisa di un altro colore". Sarebbe importante ricordare le estreme sofferenza dei civili, che hanno dovuto subire le scelte infauste di politici incoscienti e quelle conseguenti dei generali che si sono succeduti al comando delle forze armate.

Davanti ai milioni e milioni di uccisi, sarebbe ben più giusto promuovere la riflessione e l'educazione alla nonviolenza attiva, unica reale alternativa al perpetuarsi nella storia del flagello non naturale ma artificiale della guerra. Ci si trova invece mestamente a dover contemplare amaramente una guerra assurda come quella che si sta svolgendo in Ucraina, là dove l'incaponimento dell'UE e degli USA continua ad alimentare l'uso delle armi che seminano catastrofi senza senso, invece che promuovere quelle trattative che in ogni caso saranno l'unico esito possibile del conflitto: un anno e mezzo di stragi per essere sempre praticamente al punto di partenza! E ci si trova a prendere atto della sorprendente condivisione di tanti "occidentali" con una vendetta sanguinosa e crudele come quella che Israele sta portando avanti a Gaza, disseminando di cadaveri e di macerie la strada sempre più impraticabile di un accordo in grado di garantire a tutti i contendenti libertà, giustizia e concordia. La violenza estrema di Israele sta di fatto favorendo il raggiungimento degli obiettivi del gesto criminale di Hamas, cioè la destabilizzazione del Medio Oriente, l'accordo tacito o espresso dei Paesi arabi, l'insicurezza che ha portato perfino al ripristino dei confini in Europa, il compattamento dell'opinione pubblica di base, sconcertata dopo gli attentati del 7 ottobre e ora schierata dalla parte delle migliaia di vittime inermi di quella che altro non sembra essere che una rappresaglia non contro Hamas ma contro l'intera Gaza.

Ecco allora, dov'è la Vittoria? L'unica Vittoria (con la V maiuscola) sarà quella della Nonviolenza e i veri eroi saranno i suoi testimoni, profeti e martiri. Il ricordo della carneficina che è stata la prima guerra mondiale diventi la Giornata di valorizzazione e della promozione dei corpi civili di pace, degli studi diplomatici e dei costruttori di relazioni improntate alla giustizia nella verità.

giovedì 2 novembre 2023

Non è ver che sia la morte, il peggior di tutti i mali...

 

La Natura accompagna in modo particolare in quest'anno la commemorazione dei defunti. E' il 2 novembre, il periodo è quello. Le foglie cadono dagli alberi, il buio incombe sui programmi quotidiani, il vento caldo non può che suscitare presagi infausti, il freddo intenso è alle porte, attende il passaggio della perturbazione per farsi sentire.

Le genti vissute nell'emisfero nord hanno dato sempre un particolare significato a questi giorni. Per gli antichi, era tempo di ricordo di coloro che avevano già superato l'autunno della vita ed erano passati dall'altra parte. i cristiani hanno santificato i defunti, congiungendo indissolubilmente il concetto dell'al di là con quello dell'appartenenza alla comunità dei salvati. I postmoderni hanno storpiato, per così dire "all'americana", così "Tutti i santi" sono diventati Halloween. Si è sempre festeggiato, con i riti, con le azioni in famiglia, con i ricordi mesti e gioiosi, perfino con gli alimenti, dalle ossa di morto sintetizzate nelle dolci favette ai cibi tipici della stagione. 

In fondo, dietro a tutto questo, c'è l'ombra oscura della morte. Ognuno tenta in qualche modo di esorcizzarla. Ci si può ridere sopra, mimarla con spavalderia, neutralizzarla con la forza delle liturgie, addolcirla con i sapori dei cibi e con i profumi dei fiori. C'è anche chi, Damian Hirst nell'opera "For the Love of God" (2007), ha utilizzato un teschio e lo ha ricoperto di 8000 diamanti che generano infiniti arcobaleni di luce, ben sapendo di non riuscire, neppure in questo modo, a stemperare nell'arte l'orrore della fine. Ma al fondo resta la domanda delle domande. Chi ero io prima di essere concepito? Che cosa sarà di me dopo la mia morte? 

Sono interrogativi ingenui, eppure tutti ce li poniamo. Sono ingenui, perché la nostra coscienza è dominata dalla ragione e la ragione non può travalicare i propri limiti, ovvero le categorie dello spazio e del tempo. Ci possono essere di aiuto la fede e la speranza, ci può consolare il mistero dell'Amore, ma niente può spiegare che cosa ci sia al di là di quel passaggio misterioso, di quel muro altissimo, di quel con-fine "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Si può constatare, scientificamente, che effettivamente "nulla si crea nulla si distrugge e tutto si trasforma" ed è perfino possibile, con una certa angoscia, scoprire in cosa si trasformi. Ma che cosa ne sia della coscienza di esserci, che cosa comporti questo ultimo salto nel buio del nulla, questo nessuno lo ha mai potuto dire o comunque nessuno che abbia compiuto questo balzo sembra sia tornato indietro per raccontarlo.

Lo stesso inaudito annuncio cristiano della Risurrezione non è una risposta razionale al perché o al cosa della morte. E' evidente in ogni racconto evangelico la distanza infinita tra la presenza precedente e quella seguente l'evento della prima Pasqua. Non si dice che cosa sia accaduto, si interpella la fede, ovvero un dimensione di conoscenza totalmente differente rispetto a quella della ragione. Non solo, del tutto diversa anche da quella della religione, intesa proprio come sistema razionale di miti, riti e regole morali determinate sempre ed essenzialmente dalla ragione.

Si può allora sperare? Si può credere in un destino buono che attende ogni vivente in quello che la tradizione cristiana ha definito "l'ultimo giorno"? Certo che si può, a condizione che non lo si sperimenti come un soluzione consolatoria all'impossibile quesito, ma come richiamo alla dimensione altra, talmente altra rispetto a quella razionale da rendere improbabile, se non addirittura potenzialmente distruttiva, un'effettiva relazione. E' la condizione di una gioia ed è la percezione di una Bellezza, che Agostino definiva "tanto antica e tanto nuova" e che sfugge a ogni possibile comprensione, una sorta di concetto kantiano del "sublime" o di concezione irriducibile del "sacro"

In altre parole, per "salvare" la fede nella "Vita eterna" occorre "rinunciare" all'atto della ragione, riservando quest'ultimo alle vicende della storia, generale e quotidiana, dove appunto il successo e la rovina dell'essere non dipendono da un'imperscrutabile Provvidenza, ma soltanto dalla libera scelta di ogni essere umano oppure dalla struttura fisica e chimica di un Universo totalmente indifferente nei confronti di ogni suo minuscolo e radicalmente solitario frammento.

sabato 21 ottobre 2023

A volte ritornano... i confini

 

Sono scene che non si vorrebbero più vedere. Sono ripresi questo sabato pomeriggio i controlli sul confine.

In nome della dea Sicurezza, si interrompe, sembra momentaneamente, la libera circolazione delle persone entro i confini tracciati dal Trattato di Schengen. L'Italia controlla gli ingressi dalla Slovenia, la Slovenia quelli dalla Croazia.

Perché poi?

La versione ufficiale è il controllo delle frontiere, in modo da impedire che qualche terrorista possa arrivare, transitando per i più importanti e presidiati posti di blocco europei. Il motivo, se la situazione non fosse tragica, sarebbe risibile. Come immaginare infatti che qualche malintenzionato possa lasciarsi spaventare dalle camionette della polizia schierate sui valichi, quando la linea di confine è lunga quasi 200 chilometri e la si potrebbe attraversare senza alcun problema ovunque? E come poi fare di ogni erba un fascio, prendendo spunto dal recente attentato in Belgio per accomunare milioni di persone in fuga dalla fame e dalle guerre a un unico, esasperato "lupo solitario"?

La realtà è un'altra e l'ha proclamata con molta enfasi la stessa presidente del consiglio Meloni: "Abbiamo chiuso la rotta balcanica". In altre parole, si è presa la palla al balzo, strumentalizzando i terribili eventi che si stanno verificando in Israele e in Palestina, per risolvere alla radice la questione degli arrivi quotidiani di migliaia di persone che cercano di entrare in Italia (o in Slovenia, naturalmente). Ancora una volta si evidenzia la strategia esclusivamente difensiva di un mondo ricco che con tutti i mezzi a sua disposizione per affrontare nuove politiche del lavoro e della casa, non trova altro rimedio che il rifiuto e la chiusura in se stesso. La guerra che si combatte è quella dei ricchi contro i poveri, di un cosiddetto Occidente demotivato e denatalizzato, ma terrorizzato, contro un Sud del Mondo ghettizzato e soffocato, ma desideroso di vivere e di prosperare.

No, non sarà la chiusura dei confini a sconfiggere il terrorismo, neppure una riforma di servizi segreti mai così vulnerabili o il riversare tonnellate di bombe - generando ulteriori odio e violenza che impregnano adulti e bambini -  su una città ormai allo stremo come è Gaza. L'unica strada possibile per una pace giusta e duratura è esclusivamente quella di appianare lo spaventoso baratro di iniquità che separa una parte del Pianeta dall'altra, costringendo la prima a una difesa disperata, la seconda a cercare in ogni modo di lottare per la propria stessa sopravvivenza. 

"Niente paura, non ci saranno particolari disagi per gli abitanti di Nova Gorica e Gorizia" - assicura sornione il sindaco Ziberna. In realtà, tirare fuori dal portafoglio una carta d'identità non è certo un problema. La vera preoccupazione è per le folle di migranti che saranno giuridicamente e di fatto rese invisibili, con tutto il disagio che si creerà in loro e nelle popolazioni che incontreranno. Ma la tristezza deriva anche dal constatare quanto sia facile perdere le conquiste degli ultimi decenni, siano esse le libertà democratiche, lo stato sociale, o il diritto di circolare ovunque, spinti soltanto dal desiderio di conoscere e amare.

Emanuele Luzzati e Coca Frigerio a Gorizia

 

Questo fiabesco scenario si trova nel Giardino Farber, intitolato a un bambino di pochi mesi, originario di Gorizia, vittima della barbarie nazista, ad Auschwitz, nel 1943. 

Ci si trova in via Ascoli, esattamente dietro la Sinagoga, una delle più importanti e belle dell'Europa Centrale, frequentata da un'importante Comunità ebraica, annientata nel 1943 dalla deportazione nei campi di sterminio. Sarà aperta ufficialmente al culto fino al 1969, poi resterà come monumento alla memoria e come luogo di numerose celebrazioni decentrate dalla vicina comunità di Trieste.

Il bellissimo scenario realizzato nel Giardino ha dei benefattori che lo hanno restaurato nel 2019, i membri del CTA, Centro del Teatro di Animazione e Figure. Ha un tema avvincente, la festa del Purim, nella quale si ricordano le gesta della regina Ester, raccontate nell'omonimo libro della Bibbia, ma anche i festeggiamenti annuali connessi, con maschere, balli e ogni sorta di cibi e dolciumi naturalmente consentiti dalla tradizione.

Ma ci sono anche due firme notevoli. Il bozzetto è stato richiesto dall'assessorato all'istruzione del Comune di Gorizia, nel 2007, a Emanuele Luzzati (Genova 1921- Genova 2007), un vero genio, maestro di ogni forma di arte applicata, assai conosciuto come scenografo e illustratore. E' stato accanto ai più grandi registi, attori e artisti del XX secolo, giungendo per ben due volte fino alla nomination per il premio Oscar. 

La realizzazione è stata affidata a un'altra personalità straordinaria del teatro di animazione e più in generale dell'arte italiana. Si tratta di Coca Frigerio, un'intera vita professionale impegnata come insegnante, illustratrice, maestra d'arte. Ha collaborato con i più importanti musei italiani, con una particolare attenzione al mondo dei più piccoli. Ha fondato con Bruno Munari, nel 1976, i Laboratori Creativi raccolti sotto il titolo di "Giocare con l'arte". Anche lei genovese, è nata nel 1937 ed è morta soltanto pochi mesi fa, il 31 maggio 2023. E' giusto ricordarla, anche per questa avvincente artistica "parte di lei", lasciata alla contemplazione, nel cuore dei luoghi dell'ebraismo goriziano.

giovedì 19 ottobre 2023

Sul ripristino dei controlli di frontiera. Comunicato stampa di ICS.

Sul tema del ripristino dei controlli di frontiera interni all'Unione Europea, si pubblica un interessante comunicato stampa proposto da ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà). Come al solito, ICS aiuta la comprensione degli avvenimenti, offrendo una serie di spunti che procedono da una straordinaria competenza ed esperienza nell'ambito delle migrazioni. Si consiglia caldamente la lettura.

In base al Codice frontiere Schengen (Regolamento (UE) 2016/399) il ripristino dei controlli di frontiera interni può avvenire “solo come misura di extrema ratio (…) in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico. Le motivazioni fornite dal Governo italiano per giustificare la decisione di ripristinare i controlli di frontiera con la Slovenia appaiono del tutto vaghe e inadeguate; in particolare l’inserimento, nelle motivazioni, dell’esistenza di presunto problema dell’arrivo in tutto il FVG di un modestissimo numero di rifugiati (circa 1.500 persone al mese nel corso del 2023), in assoluta prevalenza provenienti dall’Afghanistan, risulta risibile e del tutto privo di alcuna connessione logico-giuridica con i criteri richiesti dal Codice Schengen per legittimare una scelta così estrema quale il ripristino dei confini interni. ICS ricorda che il ripristino dei controlli di frontiera non può comportare alcuna compressione o limitazione del diritto d’asilo in quanto “gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto (…) del pertinente diritto internazionale, compresa la convenzione relativa allo status dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 («convenzione di Ginevra»), degli obblighi inerenti all'accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non-refoulement (non respingimento), e dei diritti fondamentali”. (Codice, art. 3). Anche durante il periodo di temporaneo ripristino dei controlli di frontiera rimane dunque inalterato, alla frontiera italo-slovena, l’obbligo da parte della polizia, di recepire le domande di asilo degli stranieri che intendono farlo e di ammettere gli stessi al territorio per l’espletamento delle procedure previste dalla legge. Tanto l’inadeguatezza delle motivazioni fornite dal Governo italiano nella decisione del ripristino dei controlli, quanto la strenua e costante difesa delle riammissioni illegali attuate dall’Italia nel 2020 attuata da larga parte della classe politica nazionale e regionale rendono non infondato il sospetto che la decisione del ripristino dei controlli di frontiera attuata dal Governo italiano ben poco abbia a che fare con la difficile situazione internazionale, bensì rappresenti una misura propagandistica e uno stratagemma, attraverso le quasi già annunciate proroghe della misura, per riproporre gravissime condotte illegali al confine italo-sloveno tramite respingimenti di richiedenti asilo che sono tassativamente vietati dal diritto internazionale ed europeo. In un pericolosissimo effetto domino, la situazione potrebbe facilmente degenerare in uno scenario di respingimenti collettivi a catena, radicalmente vietati dal diritto internazionale, in ragione della decisione assunta dalla Slovenia a seguito della decisione italiana di ripristinare a sua volta i controlli di frontiera con la Croazia e l’Ungheria. ICS attuerà nei prossimi giorni uno stretto monitoraggio sull’evoluzione della situazione. 

sabato 14 ottobre 2023

La danza dell'intreccio e la responsabilità dell'"umano"

 

Srebrenica, tragico esempio di genocidio identitario
Quando qualcuno ritiene di essere l'unico possessore della Verità, la Terra degli umani si riempie di cimiteri. In nome di ogni Assoluto, sia esso chiamato con i nomi di Dio o con quelli derivati dalla dea Ragione (con la R maiuscola), si è sempre negato il diritto all'esistenza dell'umile e frammentato "Relativo". Occorre prendere atto che l'Assoluto non c'entra con la Storia, se c'è, si trova nello spazio della trascendenza e della fede, incompatibile con quello immanente della ragione (rigorosamente con la r minuscola). La vicenda terrena è determinata invece dalla gloriosa responsabilità del Relativo, cioè dalla libera e consapevole scelta di ogni essere umano.

Sì, perché in ogni massacro, ovunque e comunque venga compiuto, c'è sempre una presunta "Ragione", in nome della quale si legittima l'uso delle armi costruite e distribuite con un unico scopo, quello di uccidere. L'ipocrisia derivata dalle inenarrabili tragedie del XX secolo porta oggi ogni contendente a mascherare la propria volontà di sopraffazione dell'altro con l'esigenza della "sicurezza". Tutti vogliono garantire un avvenire dignitoso e sicuro agli appartenenti alla propria parte. E chi sta al di fuori - per quanto sia possibile stare al di fuori nell'epoca della globalizzazione - deve necessariamente fare proprie le posizioni degli uni o degli altri, radicalmente, come si suol dire dai tempi del secondo conflitto iracheno, "senza se e senza ma".

E' un modo totalmente sbagliato di affrontare le questioni. Deriva essenzialmente dall'incapacità di sentirsi parte di una comune umanità, nella quale le differenze di lingua, cultura, religione, concezione della vita, dovrebbero essere considerate una grande occasione di reciproco arricchimento. E' la fregatura dell'innalzamento del vessillo dell'"identità". Chi sono io? Sono un essere umano, che vive su un potenzialmente meraviglioso Pianeta, dove anche la Natura invoca, ahimé inascoltata, rispetto. Ma sono anche una persona cresciuta in uno specifico ambiente culturale, che è stata trasformata dalle migliaia di incontri quotidiani, che - volente o nolente - si è sentita interpellare e cambiare nel profondo, da ogni parola ascoltata, stretta di mano, sorriso offerto e ricevuto, chiacchierata intensa o superficiale. Come diceva Hegel (riportato magistralmente dal filosofo Mirt Komel in un'assemblea in Transalpina la scorsa domenica) io sono io, ma anche non io. In questo essere e non essere sta lo spazio di un rapporto con l'"altro da me" che si costruisce nella vicinanza, ma anche nel riconoscimento della distanza. In questa "danza dell'intreccio" si crea lo spazio intermedio dell'incontro, nel quale entrare e uscire continuamente. E' un vero e proprio amplesso, dal quale si concepisce e genera ininterrottamente il mistero dell'autentica Cultura, manifestazione sublime e sempre in cambiamento dell'unione nella diversità delle culture.

Perché allora schierarsi sempre, o totalmente da una parte o totalmente dall'altra? Perché non riconoscere il diritto di ciascuno - soggetto individuo o società collettiva - a possedere delle "ragioni", le une diverse dalle altre? Perché non promuovere costantemente la possibilità di sedersi attorno a un tavolo o al centro di un ponte, per discutere le diverse "ragioni", anche solo per ascoltarle e capirle, pur senza necessariamente condividerle? Perché ritenere che l'unico deterrente alla violenza sia produrre altra e più potente violenza? Eppure dovrebbe essere sotto gli occhi di ognuno che ragioni, svincolandosi un attimo dalle "passioni dell'appartenenza" o dalla "difesa dell'Identità", la prova evidente della totale inutilità di ogni escalation di guerra scatenata per vendicarsi di un'altra azione bellicosa, a sua volta determinata da una precedente offesa cruenta, a sua volta scaturita da un'altra ingiustizia e così via all'infinito, fin dalla fondazione del mondo... E non giova chiedersi chi ha cominciato prima, se non per una giusta esigenza scientifica di comprensione dell'evolversi delle situazioni storiche. Sì, perché ci sarà sempre un "prima" che potrà spiegare ogni "dopo", ma se non si andrà oltre alla logica del "prima" e del "dopo", si rischierà di perdere l'"Adesso", cioè quell'unico infinitesimale frammento del tempo nel quale si determina il destino dell'universo. 

Insomma, utopia delle utopie. Questi giorni di grande angoscia non devono far dimenticare tante altre simili sofferenze che si stanno verificando ovunque, non soltanto in Israele e Palestina, non soltanto in Ucraina e in Russia. Potranno aiutare a riflettere e a superare la logica degli Assolutismi, trovando la strada del dialogo e superando la logica del farsi tanto del male per difendere le ragioni degli uni o degli altri? Ogni ragione che per affermarsi ha bisogno di soffocare quella dell'altro diventa immediatamente un inaccettabile torto. Ogni ragione che si confronta umanamente con quella dell'altro, costruisce una nuova civiltà, una società nella quale le identità non si contrappongono ma si mescolano in un meraviglioso esempio di generativo moto perpetuo. 

domenica 8 ottobre 2023

Non solo Barcolana

 

Come criticare un evento popolare come la Barcolana?

Non si può, senza offendere il comune senso della bellezza. Le migliaia di barche a vela che riempiono il golfo di Trieste sono uno spettacolo indimenticabile. A chi poi ama appassionatamente questo sport, come negare la possibilità di vedere da vicino la barca vincitrice, Argo, il Moro di Venezia, famoso ai tempi dei mondiali di Auckland, quella del Prosecco, ecc., veri bolidi da competizione, gioielli di bellezza e di tecnologia, come le automobili della Formula uno?

Infatti non c'è niente da criticare, tanto più camminando in mezzo a una folla immensa di gente soddisfatta, di giovani che si incontrano e celebrano il gusto della chiacchierata, della musica a volte un po' assordante, della gioia di affrontare con leggerezza il mistero della Vita. E' bello anche che ci siano gli spazi per dire altro, per esprimere accordi e disaccordi, anche in modo simpatico e colorato come quello espresso dai contestatori dell'edificanda - Dio, o chi per lui, ci restituisca il tram de Opcina, finché siamo ancora in tempo! - ovovia. Una complessa organizzazione si è dimostrata impeccabile e tutti hanno avuto la possibilità di immergersi in questo oceano di spensieratezza.

Tutto è stato bello, tutto buono, anche gli innumerevoli eventi intorno all'iniziativa. C'eravamo perfino noi, con lo spettacolare mosaico, il nodo di Salomone del gruppo mosaicisti di Ravenna, esposto all'Immaginario Scientifico (che meraviglia, non perdetevelo!!! L'immaginario scientifico di Trieste, intendo, ma ovviamente anche il nodo di Salomone che ritornerà mercoledì nella Basilica di Aquileia), esempio di arte "accessibile" a ogni forma di disabilità.

Strano che tutto vada bene. No, non va affatto bene, ma non è colpa dell'incriticabile e immarcescibile Barcolana! E' colpa di un mondo che divide i poveri dai ricchi, le barche fantascientifiche che affrontano l'Adriatico davanti al castello di Miramare dai barconi fatiscenti che trasportano i migranti nel Mediterraneo, esposti ai frequenti naufragi che comportano incredibili stragi. E' colpa di un Pianeta nel quale decine di migliaia di persone godono di una magnifica serata triestina, mentre altre centinaia raggiungono la Piazza davanti alla stazione di Trieste, qualche metro più in là rispetto all'epicentro della festa, dove pochi volontari - per lo più ridicolizzati invece che esaltati dalle istituzioni cosiddette democratiche - cercano di alleviare le ferite delle mani, dei piedi e delle schiene provate dalla rotta balcanica. E' colpa di un'opinione pubblica che ritiene giusto mettere a disposizione metà piazza Unità delle forze militari - esercito marina, polizia e carabinieri - con tanto di invito ai bambini a visitare i mezzi costruiti per fare la guerra, senza dedicare neppure una piccola tenda alle miriadi di "costruttori di pace" che ritengono che si possa ancora superare la conflittualità con la sola forza della nonviolenza. Poveri illusi? O deboli fiammelle incapaci di farsi notare?

Ecco tutto, emozioni e sentimenti di una serata di vigilia della Barcolana 2023.

Niente bandiere oggi, solo solidarietà agli oppressi

Niente bandiere oggi, se non quella piuttosto consunta della pace.

Pur comprendendo la sofferenza cronica del popolo palestinese, in particolare quello rinchiuso nella striscia di Gaza e nei Territori, non riesco a provare solidarietà nei confronti delle azioni di Hamas. Capisco bene che in una guerra ad armi totalmente impari, l'unico strumento a disposizione della parte militarmente più debole sia l'azione terroristica, ma non posso accettare che una qualsiasi causa, per quanto condivisibile, debba essere sostenuta con mezzi che prevedano l'uccisione di civili inermi. Quindi, esprimo tanta solidarietà nei confronti delle vittime delle crudeli repressioni israeliane, ma non penso che la soluzione dei problemi stia nella "chiamata alle armi" dei kamikaze pronti a far saltare in aria i luoghi della vita ordinaria in Israele e nel resto del mondo.

Non comprendo e non giustifico in alcun modo né l'atteggiamento ottuso di Israele né il sistematico rifiuto di un dialogo urgente e oltremodo indispensabile con la realtà palestinese, costretta di fatto alla fame dalle politiche di Netanyahu e complici. Tali posizioni non meritano alcun sostegno, la reazione cieca e furiosa delle armate israeliane è totalmente inaccettabile e non porterà altro che ulteriore violenza e vendetta. Ciò non impedisce di esprimere solidarietà alle tante vittime innocenti degli attacchi di Hamas, così come a tutta la povera gente che in ogni guerra deve pagare il conto delle incoscienze e incapacità dei loro governanti.

Quindi, l'auspicio - ahimé, facile prevedere che siano parole al vento - è che cessino immediatamente tutte le forme di azione violenta e che i contendenti si ritrovino intorno a un tavolo negoziale, sotto l'egida dell'ONU. E, ancora una volta, perché non offrire gli spazi  già individuati a Nova Gorica e Gorizia per favorire l'avvio di colloqui che possano portare a una pace equa e duratura?

martedì 3 ottobre 2023

La frontiera insapettata, Luisa Contin al Kulturni dom.

E' molto bello e interessante il libro di Luisa Contin che sarà presentato giovedì alle 18.03 presso il Kulturni dom, nell'ambito dell'edizione autunnale della tradizionale rassegna.

Il concetto di frontiera non viene indagato attraverso un'analisi storiografica, ma con la mediazione dello sguardo del presente e del passato, rivolto a un momento particolarissimo della storia della nostra terra.

E' il momento in cui, finita la prima guerra mondiale, tornano i reduci in un'Aquileia dilaniata tra le memorie del dissolto impero Austro-Ungarico e i primi inquietanti passi degli invasori (o liberatori, secondo gli opposti punti di vista) italiani.

Alla base c'è una profonda e radicata conoscenza, ma essa viene tradotta in un linguaggio avvincente, dove i protagonisti reali della stagione delle lotte contadine nella Bassa Friulana intrecciano la loro vicenda con quella - assai delicata e affascinante - di creature "inventate" dall'autrice, fantasiose certo, ma del tutto plausibili e compatibili con l'"esprit du temps".

La "frontiera inaspettata", azzeccatissimo titolo dell'opera, è certamente quella del trattato di Rapallo che ha diviso popoli e culture precedentemente caratterizzato da una relazione dialettica e simpatetica. Ma è anche quella tra i ricchi e i poveri, tra la speranza e la delusione, tra la fedeltà e il tradimento, tra la libertà e la dittatura, tra la gioventù e la vecchiaia, tra il passato e il presente. Si discuterà un po' di tutto questo giovedì al Kulturni, ascoltando, riflettendo e approfondendo insieme.

Per chi non vorrà perdersi Patty Smith, sarà un'ottima introduzione, anche per raggiungere in seconda serata la piazza della Casa Rossa, ascoltare un'icona della musica contemporanea e forse scoprire un'altra frontiera inaspettata, quella tra chi si può godere una serata di grande musica e quella di chi è costretto a dormire al freddo o sotto la pioggia, meno di cento metri più in là, aiutato da pochi volontari che impiegano ogni notte le proprie energie per portare un po' di conforto a chi sembra essere dimenticato da tutti.

Giornata della memoria e dell'accoglienza

 

Un pensiero mesto,  al termine della ricorrenza odierna.

Sono state 368 le vittime della tragedia di Lampedusa, avvenuta il 3 ottobre 2013. Se ne è parlato molto oggi, in concomitanza con la "Giornata di memoria e di accoglienza" stabilita per legge nel 2016.

Di memoria si è parlato molto, senza dimenticare che prima e dopo la catastrofe di allora, di momenti altrettanto drammatici se ne sono verificati tanti, si parla di 27.000 morti nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni. 27.000 persone, ciascuna delle quali soggetto unico e irripetibile. 27.000 sorelle e fratelli, colpevoli solo di cercare una vita migliore, di fuggire dalla fame, dalle guerre, dalle persecuzioni decise dal Nord del Mondo e pagate dal Sud. 27.000 nomi e cognomi, reti di relazioni familiari e amicali, gioie e dolori, speranze e delusioni. 27.000, uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, deici, unidici, dodici,..................

Il Papa ha sintetizzato il tutto con una sola parola: "Vergogna". Ma "vergogna" per chi? Per un'Europa incapace da decenni di assumere una posizione comune e di attuare un piano sostenibile di coordinamento del lavoro, reperimento della casa, facilitazione dei ricongiungimenti familiari. Per un'Italia divisa tra fallimentari politiche del centro sinistra e del centro destra, entrambi paralizzati dalla paura di aprire le frontiere, decisi a "difendere i propri confini" da eserciti di poveri che hanno speso tutto ciò che avevano per darlo ad altri poveracci poco meno sfortunati dei primi, manovrati a proprio piacimento e senza alcun deterrente dalle mafie internazionali. Per chi vuole impedire il salvataggio in mare di tanti naufraghi aiutati anche dalle encomiabili organizzazioni non governative. Per chi gira la testa dall'altra parte e fa finta di non accorgersi di nulla, sia di ciò che accade nel mare che di quello che avviene sulla rotta balcanica, compresi gli incredibili, gelidi bivacchi presso la Casa Rossa di Gorizia che si appresta a festeggiare nella stessa piazza il tutto esaurito per l'arrivo di Patty Smith. Vergogna per ciascuna e ciascuno di noi, forse anche per lo stesso Pontefice e la Chiesa cattolica da lui guidata, perché se tutti ci si fosse impegnati di più, oggi i morti non sarebbero 27.000 e i sopravvissuti non sarebbero rinchiusi in Centri per il Rimpatrio orribili come quello di Gradisca d'Isonzo, dove le sbarre di ferro disseminate ovunque sono molto più inquietanti di quelle che si costruiscono al circo per impedire la fuoriuscita delle bestie. 

Per questo la Giornata di oggi, pur indispensabile per la memoria, non è triste soltanto perché si ricordano tanti morti, ma anche perché all'orizzonte non si vedono motivi di speranza. Perfino l'accoglienza diffusa, con il sistema sprar/siproimi/sai sembra voler essere cancellata dalla costruzione di nuovi enormi hotspot, disumani e costosissimi. Sembra che solo il settore non governativo e il mondo del volontariato tentino di alleviare la sofferenza dei nuovi arrivati. Le istituzioni non sanno che pesci pigliare, giungendo perfino a dichiarare la propria totale impotenza: "se offro un tetto ai cento che questa notte dormono all'addiaccio sotto la pioggia, domani ne arriveranno duecento. Meglio lasciarli in queste condizioni, sarà un deterrente per chi non si è ancora messo in viaggio". Sì, è stato detto anche questo... 

Ecco tutto, ecco perché trovo difficile celebrare questa "Giornata" senza rischiare l'ipocrisia di quel "mai più!" che risuona molto spesso come una formula autoassolutoria che non giova a nulla, neppure a confortare la propria coscienza.

domenica 1 ottobre 2023

Domenica 1 pomeriggio: Aquileia, San Martino del Carso, Transalpina: le radici, le ferite, la rinascita.

 

Si conclude oggi pomeriggio, domenica 1 ottobre, la quattro giorni del Convegno "Scònfinati o Sconfìnati" del Centro Culturale d'accoglienza Ernesto Balducci di Zugliano.

L'appuntamento, nel segno dell'avvicinamento all'EPK/CEC2025, è alle 14 davanti alla Basilica di Aquileia. Si rifletterà sulle Radici storiche e spirituali di un territorio caratterizzato per millenni dall'incrocio tra popoli e culture, a volte realizzato nella pace, altre volte reso incerto dai conflitti identitari.

Ci si recherà poi a San Martino del Carso, dove Marko Marinčič aiuterà i partecipanti a contemplare le terribili ferite inferte dalla prima guerra mondiale a un territorio, diventato suo malgrado memoria di tanto sangue versato e inizio di quella che Luisa Contin ha opportunamente chiamato "La frontiera inaspettata", nel suo ultimo bel romanzo che sarà presentato giovedì 7 ottobre alle 18.03 presso il Kulturni dom di Gorizia.

Si arriverà infine alla piazza della Transalpina/Trg Evrope - una piazza, due nomi, segno di permanete divisione o affermazione dell'unità nella diversità? Si ascolteranno riflessioni e testimonianze sulla possibile rinascita di un territorio e delle persone che lo abitano. Igor Komel, del Kulturni dom e don Alberto De Nadai spiegheranno il senso dell'incontrarsi sulla piazza che ha visto lo smantellamento della rete confinaria che aveva diviso il territorio per quasi sessanta anni. Il filosofo Mirt Komel offrirà una vera e propria Lectio Magistralis sul concetto di identità nel mondo e a Gorizia, proponendo un'originale e avvincente lettura di Hegel. Eva Susnik e Yuliya Furiv racconteranno il presente e il futuro di un'"architettura di confine". Alcuni testimoni porteranno un contributo di buone prassi, Majda Smrekar, responsabile del centro umanitario Kid di Nova Gorica, Massimo e Tamara, volontari impegnati ogni notte nell'assistenza ai profughi nella stazione ferroviaria di Gorizia, Elisabetta Tofful, referente della Marcia internazionale della Pace che si terrà tra Gorizia e Nova Gorica il prossimo 31 dicembre 2023.

Accompagneranno gli interventi le note musicali della Scuola di Musica San Paolino di Aquileia, diretta dal Maestro Flavio Sgubin. Il presidente del Centro Balducci Paolo Iannaccone proporrà l'introduzione e la conclusione dei lavori. Al termine è previsto un breve, simpatico rinfresco presso la storica stazione della ferrovia Transalpina.

Davvero un pomeriggio straordinario, da non perdere!

sabato 30 settembre 2023

Con Angelo Floramo, per la libertà di stampa

Angelo Floramo ad Aquileia. Foto IoDeposito
La scelta della testata giornalistica Il Friuli di proporre ad Angelo Floramo la scelta fra la rinuncia alla pubblicazione di un articolo e la cessazione della collaborazione, è di una gravità inaudita.

Il nome dell'involontario protagonista di questa incredibile vicenda è un'assoluta garanzia di serietà e di competenza. Una delle figure più importanti della Cultura (con la C maiuscola) del Friuli Venezia Giulia, viene di fatto censurata perché vuole esprimere - con l'intelligenza e la delicatezza che gli sono proprie - una critica alla costruzione dell'acciaieria di san Giorgio di Nogaro. Ovviamente ogni lettore può essere d'accordo o meno con il punto di vista di Angelo, inaccettabile è che un giornale possa impedire perfino il confronto e il dialogo. E' un danno incalcolabile anche per la stessa testata, dal momento che tanti hanno preso finora in considerazione Il Friuli soltanto per approfondire la propria conoscenza attraverso la lettura dei sempre profondi e spesso avvincenti articoli di Floramo. 

Uomo di enorme cultura, capace di accompagnare chi lo apprezza in viaggi indimenticabili nella storia e nella geografia, Angelo Floramo è anche un punto di riferimento per tutti coloro che immaginano una società aperta e accogliente, oltre che un apprezzatissimo insegnante di scuola superiore, con una rara capacità di valorizzare ogni singola persona e far sentire in ogni momento "a casa propria". 

Impedire a una simile personalità di esprimere un proprio parere, sempre con argomentazioni ampiamente documentate e competenti, è compiere un gesto incomprensibile ma anche alquanto preoccupante. Insieme all'ovvia piena solidarietà ad Angelo, come non chiedersi dove stia andando la nostra società. Che fine farà la libertà di stampa, già a livelli minimi, anche se garantita dall'art. 21 della Costituzione? Fin dove ci porterà questa deriva antidemocratica e liberticida?

venerdì 29 settembre 2023

Il libro delle 18.03 alla ripartenza autunnale...

 

Inizia domenica 1 ottobre, alle ore 11.03 a Mossa, l'edizione autunnale dell'attesissima Rassegna "Il libro delle 18.03", curata come sempre da Paolo Polli e collaboratori.

Ci saranno ben 11 appuntamenti, uno più interessante dell'altro. Già la prima settimana si apre con una serie di incontri imperdibili.

Domenica, introdotta dalla sindaca di Mossa Emanuela Russian, ci sarà la lectio magistralis di Marco Ansaldo, che parlerà del suo libro "La marcia turca". E' un'ottima occasione per conoscere meglio - tramite uno dei più attenti osservatori di tali vicende - non solo la storia recente della Turchia, ma anche il ruolo controverso e importante sullo scacchiere mondiale del suo presidente Erdogan. 

Giovedì 5, alle 18.03 presso il Kulturni dom di Gorizia, sarà presentato il libro "La frontiera inaspettata". L'autrice è Luisa Contin, stimata insegnante e operatrice culturale conosciuta anche al di là dei confini della sua Bassa Friulana. Ha scritto un bellissimo romanzo storico, nel quale la descrizione storicamente e accuratamente documentata della situazione del Friuli orientale all'indomani della prima guerra mondiale, si intreccia con un avvincente e assai piacevole trama di fantasia. Da non perdere!

Sabato 7 ottobre si terrà invece la prima delle due tradizionali "uscite", con partenza alle ore 10.03 dalla piazza antistante la chiesa di Pevma. Si andrà alla ricerca dei segni lasciati dal pittore Tone Kralj, uno dei maggiori artisti sloveni del XX secolo. Nelle chiese di Pevma, Štandrež, Šempeter e Vrtojba si potranno contemplare i dipinti realizzati per le rispettive chiese, notando la sua forte ispirazione non soltanto artistica e religiosa, ma anche politica e sociale.

Il programma del Libro delle 18.03 proseguirà poi per tutto il mese di ottobre, con presentazioni che toccheranno diversi luoghi di Cultura, tra i quali anche il Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, giovedì 12 ottobre, sempre alle 18.03, con la partecipazione dello scrittore e poeta Andrea Molesini in dialogo con l'ottima giornalista Elisa Michellut. Introdurrà la direttrice del Museo Marta Novello. 

mercoledì 27 settembre 2023

L'ultimo film di Almodovar

 

Se potete, non lasciatevelo sfuggire. Il film Strange way of life, di Almodovar, è veramente bello e interessante.

I due attori principali - Ethan Hawke e Pedro Pascal - offrono una storia speciale. Il contesto paesaggistico è quello dei grandi western alla Sergio Leone, ma la narrazione rompe tutti gli schemi classici e ruota intorno al mistero dell'amore. Due uomini si ritrovano dopo aver vissuto, venticinque anni prima, una breve relazione intrisa di erotismo. Il nuovo incontro, determinato dai ruoli di sceriffo del primo e di padre di un giovane omicida ricercato il secondo, è l'occasione per il risorgere di una passione raccontata con un erotismo pieno di dolcezza e di poesia. Non manca l'aspetto tragico, sottolineato dall'esplodere degli spari dei fucili e della pistole. La vicinanza della morte, l'amorevolezza della cura, l'addolcirsi dei caratteri bilanciati tra l'attrazione e la repulsione, fanno della narrazione filmica un'allegoria straordinaria della vita e dei suoi affascinanti e imprevedibili percorsi. Ci si incontra e ci si scontra, ci si abbraccia e ci si respinge, ci si spara e ci si redime. L'incredibile rapidità del consumarsi delle scene - circa 35 minuti - non lascia scampo, si è dal primo istante all'ultimo trascinati in un vortice senza soste e interruzioni, se non nello spazio dei titoli di coda, dove una mandria di cavalli passeggia e scalpita tranquillamente in un recinto, accompagnata da una musica meditativa (eccezionale la colonna sonora!) che consente di scaricare le mille emozioni prima di uscire dalla sala. La brevità, lungi dall'infastidire lo spettatore che da un western si attenderebbe forse tempi molto più dilatati, è un elemento in più, un motivo ulteriore di pregio. Si rimane un attimo storditi e il film continua nella testa di ognuno, quasi a prolungare - ciascuno a proprio modo - l'enigmatico sorriso finale che può preludere a un odio definitivo o al compiersi pienamente del desiderio per tanto tempo sopito e al pieno realizzarsi dell'amore fra i due uomini. 

martedì 26 settembre 2023

Un breve ricordo di Anna Maria Fabbroni

E' difficile immaginare Gorizia senza Anna Maria Fabbroni. 

Ciò non soltanto perché la sua era una presenza che si notava, un po' in tutti gli ambiti della vita cittadina, presenza assidua e costante in ogni occasione, lieta o triste, della vita delle persone.

Soprattutto Anna Maria Fabbroni mancherà per la straordinaria capacità di portare una ventata di sorriso e di pace in qualunque posto transitasse. Era una di quelle personalità nello stesso tempo semplici e complesse, capaci di relazionarsi con i cosiddetti vip e con i più deboli, con una netta preferenza nei confronti di coloro che don Milani chiamava "gli ultimi".

Anche Anna Maria aveva il dono raro di una profonda umiltà. E' stata una delle voci poetiche più importanti dell'Italia degli ultimi decenni, eppure non si tirava mai indietro quando si trattava di celebrare un evento, un anniversario o una particolare situazione, portando sempre la sua parola poetica. A volte sosteneva il pianto dei sofferenti, altre la risata dei gaudenti, sapeva mescolare con sapienza gli ingredienti della vita, la gioia e il dolore, la serenità e l'inquietudine, la pace e l'amore.

Aveva un rapporto speciale con ogni persona che aveva a che fare con lei e ognuno la ricambiava con affetto e amore, come dimostrato dalle innumerevoli testimonianze di questi giorni.

E possedeva il dono della saggezza, così importante in una realtà di confine complicata come quella Goriziana. Si tratta della capacità di sdrammatizzare, di collegare chi è lontano, di mettere al centro delle relazioni il bene dell'altro e il perdono reciproco. E' l'intelligenza di chi sa disarmare il violento e il nervoso con il più delicato dei sorrisi e con la più intensa delle parole poetiche.

Ha attraversato tante espressioni artistiche, immettendo nelle forme dei colori e delle parole tutto sé stessa, celebrando con esse la sua profonda fede nell'amicizia e nei rapporti umani. 

Non c'è molto da aggiungere, se non la parola che sorge dal cuore di ogni persona che l'abbia conosciuta: GRAZIE!

Napolitano ad Aquileia

 

Si sono svolti oggi a Roma i funerali di Giorgio Napolitano, per nove anni Presidente della Repubblica. In questi giorni si è scritto tanto di lui, nel bene e nel male un uomo che ha trascorso diverse stagioni della politica e della cultura italiane. Ecco il ricordo del suo passaggio ad Aquileia, il 7 luglio 2014, testimoniato dalla firma sul libro degli ospiti e dalla bella dedica: Ammirazione per questo tesoro che tanto ho tardato a conoscere.

martedì 19 settembre 2023

Save the date: alba dell'equinozio nella Basilica di Aquileia

 

La mattina del 23 settembre inizierà l'autunno. Come ormai da tradizione, la Basilica di Aquileia ospiterà l'"alba dell'equinozio", con inizio alle 6.15, poco prima del sorgere del Sole.

Si uniranno diverse suggestioni. Con la sapiente regia di Mattia Vecchi, le straordinarie opere d'arte saranno progressivamente illuminate, suscitando emozioni piene di bellezza. La musica d'arpa, proposta come nelle altre occasioni dalla bravissima Maestra Ester Pavlic, permetterà di coniugare mirabilmente il senso dell'udito con quello della vista. L'introduzione sarà curata con testi di Chiara Corbatto e Andrea Bellavite, con riferimento al cambio della stagione, alle spalle il calore dell'estate, davanti i colori dell'autunno che preludono all'apparente sonno della Natura, con le memorie santorali cristiane e i miti antichi legati al passaggio.

Nell'occasione, l'"alba" sarà dedicata alle donne. Grazie alla voce di Claudia Giordani e Antonella Testa, prenderanno vita alcune figure femminili importanti nella storia della Chiesa che dialogheranno con le matrone, le lavoratrici e le umili figure rappresentate nei mosaici teodoriani (inizio IV secolo!). Sarà un bellissimo tuffo nella storia, non privo di addentellati e proposte attualizzanti.

Insomma, è un grande spettacolo, ma soprattutto un avvincente momento di cultura e di profonda umanità, al quale tutti sono invitati. In un momento così difficile della storia europea e mondiale, partecipare e gustare a istanti intrisi di arte e di bellezza vuol dire cercare e trovare la forza e la pace interiore, necessari a impegnarsi per migliorare il mondo.

Per facilitare l'organizzazione, è consigliata ma non obbligatoria, la prenotazione scrivendo alla mail: comunicazione@basilicadiaquileia.it.

domenica 17 settembre 2023

Non nominare il nome di Dio

 

Non nominare il nome di Dio! "Invano", ci insegnavano da piccoli, quando si andava al catechismo per preparare la prima confessione. Quell'"invano" riusciva a trasformare la potenza di un principio straordinariamente importante nell'ottusità di un invito pseudomorale a evitare il turpiloquio.

In realtà il "comandamento", o meglio la "parola" incisa secondo la tradizione ebraica nelle tavole di pietra consegnate sul monte Sinai a Mosè, vuole ricordare all'uomo che Dio è il "totalmente altro" (come proposto soprattutto dalla teologia protestante)e che quindi nessuno - ma proprio nessuno! - si può permettere di trascinarlo dentro gli angusti spazi della ragione, condizionata dallo spazio e dal tempo. La fede autentica non ritiene che Dio "c'entri" con nulla di ciò che appartiene alla natura e alla storia, regni nei quali il dominio è affidato alla casualità degli eventi e, per ciò che concerne l'esperienza umana, alla responsabilità delle scelte determinate dalla libertà della coscienza.

Quante guerre, violenze e sofferenza di ogni sorta sarebbero state evitate dalla consapevolezza dell'inaccessibilità di Dio alle misere strategie umane! Quante vite sarebbero state salvate se non ci fosse stato qualcuno ad agitare il crocifisso o a impugnare i passi della Bibbia e del Koran per gridare "in nome di Dio" o per far sapere agli "altri" che "Dio è con noi". Terribili dittature, guerre mondiali, leggi razziste sono state emanate nel nome di quel "Dio Patria Famiglia", assurdamente di nuovo evocato da Meloni e Orban nel loro recente incontro.

Dio non c'entra con la destra, ma non c'entra neppure con la sinistra. Non c'è alcun bisogno di "difendere Dio" da una parte, ma neppure dall'altra. Meloni e Orban, come prima Mussolini e tanti altri, non sbagliano tanto perché ritengono di sapere che cosa voglia Dio, ma perché lo nominano invano, pensando di poter esserne interpreti, piegando religione e scritture alla loro parziale e fragile ragione. Lo stesso accade dalla parte opposta, quando si rintuzzano Meloni e Orban sostenendo una diversa interpretazione, come se fosse possibile dire chi ha con sé Dio e chi invece non l'ha. Nel nome del Vangelo sono stati perpetuati orribili delitti e nel nome del Vangelo sono state edificate meravigliose opere di solidarietà e di condivisione. 

Chi interpreta giusto e chi interpreta sbagliato? Nessuno lo può sapere. Per questo è meglio accogliere il "comandamento" ed evitare di trascinare Dio dentro ciò che è soltanto degli uomini. E impegnarsi in ogni modo possibile, nell'alleviare l'immenso dolore che alberga nel mondo, nel custodire tutto ciò che esiste e appartiene a ogni essere vivente, nel servire ogni persona, soprattutto chi è più fragile, debole e sofferente, nel costruire con le proprie forze un sistema sociale che sia veramente incentrato sulla giustizia universale, sulla pace tra i popoli e sulla salvaguardia del bene e dei beni comuni.

In tutto ciò, Dio non c'entra.