giovedì 31 ottobre 2024

Una gita sull'Olševa

 

Per onorare Primož Trubar e la Festa della Riforma, cosa meglio di una bella gita sui monti, favorita da un tempo spettacolare e da una temperatura che non si sa se definire piacevole o preoccupante?

La meta è stata il massiccio dell'Olševa, sopra il paese di Solčava. Certo, prima di arrivare al punto di partenza, c'è stato il tempo per riflettere sui cambiamenti climatici e sulla terribile tragedia di questi giorni in Spagna. Non vi si poteva non pensare, attraversando Ljubno e Luče, poi Črno na Koroškem. Sono tutti paesi che portano ancora ben evidenti le ferite dell'alluvione di un anno fa, che ha trascinato con sé case, campi, strade e ponti. Ed è un puro caso il fatto che nessuno si sia fatto male. 

Da Solčava si percorre una ripida stradina di montagna, passando accanto a romantiche kmetije, fattorie che ospitano non solo mucche, pecore e galline, ma anche turisti che desiderano sperimentare l'accoglienza della gente della montagna.

Si arriva così nei pressi di una chiesa, dedicata a Sveti Duh, lo Spirito Santo. Lo sfondo è mozzafiato, con il Kamniško Sedlo, dominante Logarska Dolina e alla sua destra la vetta della Brana, tondeggiante. Tutto è immerso nella tranquillità del mezzogiorno, con il Sole che ha già iniziato la sua parabola discendente, ma non per questo si è stancato di scaldare la terra, in questo scorcio finale di un estate prolungata ben oltre le annuali scadenze astronomiche. Tra una casa contadina e un gregge con gli agnellini che giocano e saltano in modo talmente simpatico da suscitare penosi sensi di colpa a chi non dimentica gli arrosticini dell'Abruzzo, si comincia a salire. Per arrivare in cima, ci sono oltre 800 metri di dislivello da superare, ma la meta intermedia è alla portata, anche se si è partiti in orario da spiaggia e non da escursione alpina.

Il bosco è bellissimo, il profumo dei funghi domina ovunque e si cammina sul muschio come su una meravigliosa moquette. All'improvviso, proprio dove minacciosi cartelli annunciano l'attraversamento clandestino del confine fra la Slovenia e l'Austria, il sentiero si fa stretto e comincia a farsi molto ripido. Si oltrepassa senza difficoltà un grande balzo roccioso e in breve tempo si arriva a Potočka Zijalka, dove, come racconta la seconda parola, si rimane a bocca aperta.

Nella roccia si apre un'immensa cavità, si addentra nella montagna per oltre cento metri. E' possibile entrare e camminare tra gli sfasciumi di rocce crollate chissà quando.
Opportuni cartelli informativi raccontano dei ritrovamenti del secolo scorso. Prima uno studente di medicina scoprì le ossa degli orsi che avevano per millenni abitato l'antro, prima di essere soppiantati dal solito essere umano. La datazione dell'arrivo dei nuovi inquilini si aggira intorno ai 35.000 anni fa. Erano i "Cro Magnon" che non sembra fossero particolarmente aggressivi, anche perché difficilmente a qualche concorrente sarebbe venuto in mente di attaccare un alloggio così difficilmente accessibile. E così, sembra che i buoni Crommy si dedicassero all'arte musicale, nella grotta è stato trovato un flauto ricavato da osso d'orso più giovane di "soli" 10mila anni rispetto a quello dei Neanderthal nascosti nelle Divje Babe di Šebrelje. Può darsi che siano stati tra gli antenati dei sarti della storia, qui è stato trovato anche un ago, il primo conosciuto al mondo, per cucire le pelli che scaldavano gli esseri umani. Bon sì, è ovvio, per quanto romantici e sognatori, dovevano pur vivere e quindi erano anche cacciatori, mangiavano gli orsi e le capre selvatiche, si coprivano con il loro cuoio.

Ad avere tempo, sarebbe bello salire ancora un po', fin sulla vetta più alta del massiccio. Ma il percorso, facilitato anche da corde di ferro ben salde nelle rocce, si può affrontare quando si parte al sorgere della nostra grande Stella e non in prossimità del suo tramonto.

Per il momento, è meglio scendere godendosi i sussurri degli alberi nel bosco. Molti sono minacciati dalla scure, sono stati colpiti a morte dalle tempeste del 2023. Altri l'hanno scampata e si leccano reciprocamente le ferite. Tutti si domandano la data dell'arrivo della prima neve. Sì, dal loro mormorio concitato, non disdegnano di succhiare la luce solare, ma dimostrano anche una certa apprensione. 15 gradi, a 1600 metri, alle quattro del pomeriggio, anche per i più vecchi sono una novità...

mercoledì 23 ottobre 2024

Memorie di guerra in tempo di pace

 

So che l’argomento è delicato e mi assumo ogni responsabilità personale su ciò che scrivo.

Se ogni significante rimanda a un significato, ogni segno linguistico ha una certa importanza, in quanto esprime una determinata concezione della vita e della storia.

Ciò vale anche per la toponomastica e per le lapidi o i monumenti che caratterizzano il panorama cittadino. Per fortuna nessuno la nota, ma cosa potrebbe pensare un visitatore che si trova davanti alla lapide riprodotta nella foto?

A parte il contenuto che nel complesso potrebbe sembrare ridicolo, se non fosse riferito a una vicenda che ha provocato centinaia di migliaia di morti, che dire del termine “servaggio”? E’ possibile violentare la storia fino a questo punto?

E’ un linguaggio che ben si coniuga con il ventennio fascista che ha fatto del razzismo, del nazionalismo e della guerra le proprie funeste barriere. Tuttavia non può essere accettato in un contesto nel quale si vorrebbe trasformare Nova Gorica con Gorizia in una vera capitale europea della giustizia, della libertà, dell’accoglienza e della pace.

Non si tratta di voler cancellare la memoria, ma bisognerebbe lasciare a una commissione di storici il compito di stabilire che cosa lasciare e che cosa no. Uno è infatti il ricordo dei fatti del passato, altro è presentare come irriformabile un’unica loro interpretazione. Non si tratta affatto di damnatio memoriae, nessuno chiede di togliere lapidi storiche come per esempio quella all'esterno del Duomo di Gorizia, dove si fa riferimento all'iniziativa di Mussolini per la ricostruzione postbellica di quell'"insigne testimonianza dell'arte italica" (c'è scritto proprio così!).

Si tratta invece di confinare nei meandri del tempo ciò che testimonia l'odio tra i popoli e ciò che ha provocato tanto dolore e tanta umana sofferenza. Preoccupante è in questo senso l’imbarazzo dimostrato nell’ovvia attuazione della richiesta di cancellazione della cittadinanza onoraria al dittatore Mussolini che ha trascinato la Nazione nella catastrofe delle leggi razziste e della seconda guerra mondiale. Ciò dimostra quanto in realtà i simboli abbiano ancora una loro forza di coesione, anche quando riferiti a una stagione politica solo teoricamente conclusa 80 anni fa, ma in realtà ancora ben viva nella mente di tante persone.

Togliamo quindi memorie guerrafondaie, anacronistiche e violente come quelle testimoniate nella lapide che inneggia al IX agosto, togliamo dall’albo dei cittadini onorari Benito Mussolini. Mettiamo il tutto negli archivi della storia e nei depositi del Comune, sostituiamo queste scritte offensive con altre, che inneggino alla concordia tra i popoli e alla reciproca integrazione tra le lingue e le culture.

Si tratta di costruire una nuova storia, lasciando alle guerre del passato e del presente soltanto il compito di ricordare l’assurdità di ogni forma di violenza, l’inutilità delle armi come strumento per risolvere i conflitti e la mesta memoria di intere generazioni spazzate via da scelte politiche e da posizioni strategiche che hanno trasformato l’Europa e tante altre parti del mondo in un immenso mattatoio di carne umana.

martedì 22 ottobre 2024

L'unico confine da difendere è l'umanità

 

L'unico confine da difendere è quello che separa l'umanità dalla disumanità.

Quella scatenata contro i migranti è una vera guerra. Non lo è perché qualcuno armato stia minacciando l'Italia e abbia assembrato carri armati e truppe d'assalto per impadronirsi dello Stato.

Lo è perché il Governo ha ritenuto di "difendere i confini", impedendo con tutti i modi possibili a migliaia di poveri che fuggono da fame guerra e persecuzioni di raggiungere il Bel Paese.

Salvini, accusato di aver sequestrato oltre cento persone su una nave al largo nel Mediterraneo, afferma di averlo fatto per difendere i confini. Meloni, smessi i panni del feroce condottiero militare che istituisce un impossibile blocco navale, utile solo a raccogliere facili consensi elettorali, difende i confini trattando con assai loschi governi del NordAfrica, versando abbondante denaro in cambio del trattenimento dei migranti nei campi di concentramento. La stessa, per difendere i confini, escogita l'affare Albania, dilapidando un miliardo di euro per deportare qualche centinaio di persone fuori dai confini dell'Italia e dentro quelli del Paese delle aquile. La stessa, insieme al Governo, inventa da un giorno all'altro un Decreto Legge per stabilire - non si sa con quali criteri - quali siano i Paesi sicuri e quelli insicuri nel mondo, naturalmente, sempre "per difendere i confini".

Nel frattempo, ormai da quasi un anno, per difendere i confini è stato sospeso il trattato di Schengen e sono stati ripristinati i controlli di polizia sui vecchi valichi, dove occorre rallentare o fermarsi all'ALT per dimostrare di non essere terroristi. No, ovviamente non per questo, ma per impedire ai poveri di oltrepassare i ritornati sacri confini della Patria.

L'altra scusa è "per fermare i trafficanti di persone". Meloni sa bene, come lo sanno tutti quelli del suo Governo, che anche questa è una sciocchezza. Non sono certo i conducenti di navi fatiscenti che per una miseria rischiano la vita con i loro compagni di viaggio a gestire i traffici di persone. Insieme alle armi e alla droga, è una delle più fiorenti entrate delle mafie internazionali, quelle, per intenderci, che nessuno Stato e Potenza militare al mondo è in grado oggi di affrontare senza uscirne con le ossa distrutte. L'unico modo per sottrarre alle mafie la gestione delle migrazioni è quello di produrre, a livello europeo e nazionale, mirate ed efficaci politiche del lavoro, della casa, dei ricongiungimenti familiari. E' la scelta dell'accoglienza invece che del rifiuto, quella della reciproca integrazione invece della paura dell'assimilazione, del dialogo costruttivo tra diverse culture invece della chiusura nelle proprie ideologiche roccaforti medievali.

E' un rischio? Forse è invece un'alternativa allo svuotamento di senso che sta dilapidando l'Europa di risorse e di persone. E forse è la prova della verità di ciò che, secondo alcuni che lo avevano conosciuto, diceva un tipo vissuto circa duemila anni fa: "Chi vorrà salvare la propria vita (leggi i propri privilegi, ricchezze, egoismi, confini da difendere, ecc.) la perderà, chi sarà disponibile a perderla (falso concetto di identità, primati e priorità, lusso, ecc.), la salverà (in una nuova meravigliosa dimensione di interrelazione e non di chiusura)".

domenica 20 ottobre 2024

Marco Girardo presenta "Gorici" a Gradisca: il link della serata

 

Foto Nicola Orzan
Davvero una bella presentazione di Gorizia Nova Gorica, due città in una, nella sala comunale di Gradisca d'Isonzo.

Insieme a Marco Girardo, direttore di Avvenire, si è parlato di universali e particolari, spaziando dal tema del confine a quello della pace nel mondo, dalla necessità di politiche di accoglienza fino al ruolo del giornalismo.

Oltre cento persone hanno partecipato con passione e interesse all'incontro che a buon diritto può essere inserito nel percorso di preparazione al grande evento della Capitale europea della Cultura. L'introduzione di Paolo Polli, presidente del "Libro delle 18.03" è stata seguita da un saluto del Sindaco di Gradisca Alessandro Pagotto.

D'altra parte, il libro è occasione di dibattito e approfondimento, proponendosi come strumento per coinvolgere tutta la popolazione in un percorso che riguarda senz'altro amministratori e tecnici, ma che deve coinvolgere ciascuna cittadina e ciascun cittadino, ognuno come vero protagonista dell'evento. Ogni appuntamento si è rivelato assai interessante, nel Goriziano e altrove, come dimostrato anche la scorsa settimana nella Libreria Friuli di Udine, con l'ottima conduzione di Eleonora Sartori.

Di seguito il link per godersi la serata di Gradisca in diretta, come sempre opera preziosa di Nevio Costanzo: https://youtu.be/QBbC8so1imA

martedì 15 ottobre 2024

Le "Giornate" di Gregorčič e della Soča

 

Oggi, 15 ottobre, è la "Giornata" di un grande personaggio sloveno. Ma ricordando lui, tra ieri e oggi si celebra anche la "Giornata" dell'Isonzo, che in sloveno si chiama Soča e, come il sostantivo "reka" (fiume) è di genere femminile. 

Nel paese di Vrsno, sotto l'ombra del massiccio del Krn, poche case rurali tra gli alpeggi, a mezza costa tra la Soča e le alte vette, il 15 ottobre 1844 è nato Simon Gregorčič, poeta, scrittore, patriota, sacerdote, al di là delle definizioni soprattutto Uomo.

Già da bambino ha conosciuto l'asprezza della vita del pastore, vegliando sulle mucche e imparando i fondamenti del mestiere del casaro. Dimostrando fin dalla più tenera età una particolare intelligenza, viene avviato ben presto all'unica istituzione nella quale avrebbe potuto studiare e approfondire gli elementi costitutivi della realtà, il Seminario.

Ed è così che il giovane Simon lascia le erbe e i panorami delle alte vette per studiare e per prepararsi a diventare sacerdote incardinato nell'allora territorialmente enorme Arcidiocesi di Gorizia. Svolgerà il suo ministero prima a Kobarid, non lontano dal paese natale, poi a Branik, sotto l'antico castello di Rifembergo, a Gradiska pri Prvačini e infine a Gorizia.

Per la forza della sua vena poetica, è stato chiamato "l'usignolo di Gorizia" e a lui sono dedicati diversi monumenti, tra essi anche quello collocato nell'Erjavčeva ulica a Nova Gorica.

Si potrebbe sintetizzare il suo messaggio con la parola "amore", declinata in molti modi. Gregorčič ha amato appassionatamente la sua patria, al punto che sulla sua tomba, nel cimitero presso la chiesa di San Lorenzo a Smast, è raffigurato come il nocchiero che conduce la barca Slovenija attraverso i marosi minacciosi del suo tempo. Il suo più noto poema, dedicato alla reka Soči, oltre che essere una vera e propria dichiarazione all'amato corso d'acqua, preconizza con qualche decina di anni d'anticipo la catastrofe della prima guerra mondiale e la sofferenza che attendeva il suo popolo. 

Ha amato la natura, quella conosciuta quando da piccolo percorreva in lungo e in largo le balze del Krn alla ricerca delle mucche e delle capre. In tante sue poesie ritorna la profonda nostalgia della gioventù tra le malghe. Le montagne contemplate dalla pianura portano un messaggio di amicizia e lo stesso fiume ormai lento nel suo percorso verso il mare, ricorda lo splendore e la vivacità delle cascate alpine. In una sua poesia, paragona il suo essere stato pastore felice tra i prati sotto le montagne e il suo svolgere l'incarico di pastore d'anime, pensoso, nostalgico e molto spesso triste, rinchiuso nella sua nera veste. La malinconia che traspare dalle sue parole non gli ha impedito di diventare un punto di riferimento molto importante per i suoi parrocchiani, un prete amatissimo, tanto che al suo funerale si era formato un corteo lunghissimo che aveva attraversato la città di Gorizia e che aveva indotto un altro importante autore sloveno, Alojž Gradnik, a raccontarlo con emozione e sorpresa.

Il suo cuore lo ha avvicinato anche a una donna e l'uragano dei sentimenti corrisposti ma incompatibili con la veste talare si è riversato sia nel suo modo di intendere la Chiesa, polemico con tutto ciò che in essa appare come favoreggiamento alla banalità. al carrierismo e al classismo. E si è manifestato anche in alcuni dei suoi più struggenti versi, là dove esplode con potenza la contraddizione fra il desiderio di vivere il più umano dei sentimenti e la costrizione a una forzata rinuncia, dipendente dalla sua situazione di chierico. E' da questa privazione che peraltro scaturisce la caratteristica malinconia che traspare in tutti i suoi scritti, un senso di piccolezza di fronte al mistero della vita e della storia che non gli impedisce di impegnarsi e di lottare, ma che al fondo rileva sempre il calore di un fuoco che, al di là di tutto, resta inestinguibile. 

Di ogni essere umano si potrebbero scrivere enciclopedie, perché l'esistenza di ognuno è sempre un condensato immenso di pensieri, opere, azioni che in un modo o in un altro hanno contribuito a rendere la storia del mondo così come è. Ancor più vera è questa affermazione se applicata alla vicenda di un uomo e di un poeta come è stato Simon Gregorčič. Per il momento non si può che rinviare alla lettura dei suoi "Canti".     

venerdì 11 ottobre 2024

Dopo Selvelli e Cattunar, anche "Due città in una", con il direttore di Avvenire, alle "18.03"

 

Sono tanti i libri usciti in questi ultimi mesi sulla storia di Nova Gorica e di Gorizia. Tra essi sono da segnalare Capire il confine, spettacolare testo dai mille risvolti di Giustina Selvelli, Storia di una linea bianca, avvincente racconto del confine da parte di uno storico esperto quale è Alessandro Cattunar, SenzaconfiniGorizia Nova Gorica, dalla A alla Ž, pubblicato da UNITRE e presentato questa sera a Cormons (se qualcuno è interessato può rivolgersi direttamente al responsabile di questo blog e averne una copia gratuita).

La profonda Selvelli e il documentatissimo Cattunar sono stati presenti e hanno presentato i loro lavori nell'ambito della prestigiosa rassegna "Il libro delle 18.03", con uno straordinario successo di pubblico e di critica.

Ora anche al nostro Gorizia Nova Gorica, due città in una (o Povezani mesti nella versione sin lingua slovena) tocca l'onore di affrontare l'attento e preparato pubblico delle 18.03. A Gradisca d'Isonzo, sala Comunale, il 18 ottobre. Non è certo la prima presentazione, tutte le precedenti sono state interessanti occasioni di incontro e approfondimento dei temi relativi alla Capitale europea della Cultura 2025. Questa volta l'ospite chiamato a introdurre e a dialogare con l'autore è Marco Girardo, un caro amico oltre che direttore del quotidiano Avvenire - uno dei più attenti, influenti e liberi giornali presenti oggi in Italia. E' un'occasione straordinaria per portare le nostre città a livello di attenzione nazionale e internazionale.

Un grazie speciale a Paolo Polli per questa bellissima opportunità.

lunedì 7 ottobre 2024

L'ora del Satyagraha, la nonviolenza attiva

 

Sono tanti, anzi tantissimi i Paesi in guerra. Centinaia di migliaia di persone stanno morendo, in conflitti dei quali si parla tanto e in altri che non sembrano interessare a nessuno, se non a chi li combatte.

Il problema è la violenza, con la cavernicola pretesa che essa possa in qualche modo servire a risolvere i problemi esistenti fra le persone e i popoli. 

Ci sono dei momenti nei quali un'ombra di disperazione e di impotenza sembra stendersi sui destini degli umani. La violenza domina le relazioni, a livello interpersonale e internazionale, non sembra esserci possibilità di tregua.

La giornata odierna ricorda un terribile atto di violenza, preceduto da 75 anni di oppressione violenta e seguito da una sanguinosa guerra drammatica, della quale sembra non essere all'orizzonte la parola fine.

L'unico modo per celebrare la memoria dei caduti, in Israele, in Gaza, in Libano, in Iran e in tutte le parti del mondo, è riprendere in mano il cammino del Satyagraha, la nonviolenza attiva propugnata in epoca moderna da Gandhi, ma già preconizzata nella bibbia ebraica, nei testi coranici e nel vangelo di Gesù. "Porgi l'altra guancia" è tutt'altro che l'invito a rassegnarsi di fronte alla prepotenza dell'offensore. E' invece l'azione concreta di ribellione, quella che costringe chi vuole picchiare o uccidere a ritrovare la dimensione della propria umanità.

La regola del futuro è quella secondo la quale chi apparentemente vince in realtà perde e chi sembra perdere in realtà vince. Il che è una traduzione del concetto "chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi la perderà per la causa della Pace vera, la troverà". Vive chi muore e muore chi vive, come direbbe il grande Michelstaedter invitando a essere persuasi e a rifiutare la retorica.

Ma come mettere la questione se si esce dalla scelta di una testimonianza personale e ci si trova di fronte alla necessità di salvare dall'oppressione i soggetti più deboli e fragili? Io posso anche accettare di morire piuttosto che uccidere. Ma se di fronte a me vedo un atto di violenza nei confronti di un bambino o di un povero inerme, ho il dovere di intervenire, anche nel caso in cui per stornare la minaccia non ci sia altro mezzo che la coercizione fisica?

Sono domande terribili, che interpellano le coscienze e anche spesso le sconvolgono, come accaduto al grande pastore e pensatore protestante Dietrich Bonhoeffer, sospeso tra la convinzione pacifista e la scelta di attentare a Hitler. Con la proposta di un'etica della situazione in grado di responsabilizzare al massimo sviluppo l'intelligenza umana, Bonhoeffer sceglie il rischio e mette in discussione anche la sua convinzione più profonda, ritenendo così di poter evitare all'umanità intera ulteriori immense sofferenze, oltre a quelle già fino a quel momento provocate dal dittatore nazista. L'attentato, come si sa, non sortì l'effetto sperato e il giovane perse la propria vita a Buchenwald, lasciandoci una testimonianza di straordinaria umanità. Le sue lettere dal carcere, raccolte sotto il titolo di Resistenza e Resa, sono uno dei pilastri capisaldi della letteratura mondiale del XX secolo.

Allora che fare? Sperare contro ogni speranza, direbbe Paolo di Tarso. Ma concretamente significa diffondere la teoria della nonviolenza attiva, contestare le scorciatoie che prevedono l'uccisione e l'assassinio, sotto forma di terrorismo - l'unica arma efficace dei poveri - o di bombe a grappolo che devastano i corpi di decine di migliaia di bambini. Credere nel dialogo e nella trattativa significa imparare dai martiri di ogni tempo a dare la propria vita perché la violenza sia bandita dalla società, la guerra diventi un lontano ricordo e scompaiano la armi dall'orizzonte del mondo.

E' un illusione o è una possibilità reale? E' la basagliana utopia della realtà, che legge l'etimologia del vocabolo premettendo l'eu e non l'ou, il "bel luogo" e non il "non luogo". Se il Pianeta sarà il "bel luogo" della nonviolenza rovescerà il capitalismo liberista, vera fonte di ogni sofferenza e sopravvivrà, in caso contrario il suo destino sarà quello di essere un "non luogo" e la morte globale avrà la sua ultima, tragica parola.

martedì 1 ottobre 2024

Le celle telefoniche tra Nova Gorica e Gorizia, un confine da demolire

 

Alla vigilia della celebrazione della Capitale Europea della Cultura, c'è un ambito nel quale il confine è rimasto in piedi. E' un vero ostacolo, del quale stranamente si parla molto poco. Per essere rimosso non occorrerebbero ruspe o scavatrici, neppure si dovrebbero istituire particolari corsi di approfondimento.

Si tratta delle LINEE TELEFONICHE. Il malcapitato che proviene dalla Slovenia ed entra in Italia deve attendere qualche ora - o almeno una ventina di chilometri se si veleggia verso il casello autostradale di Villesse - prima che si ristabiliscano le normali potenzialità del roaming. Nel frattempo non riesce a telefonare, non gli funziona internet, non può usare applicazioni utili come easy park perché la linea non c'è o è intermittente. Lo stesso vale per l'italiano che è andato a qlandia o semplicemente a far benzina, quando rientra non si raccapezza più.

Non si sa bene perché, ma in molte parti d'Italia il "campo" lascia molto a desiderare. Lo sa bene chi percorre la Costiera verso Trieste o si aggira tra le strade della Bassa Friulana. Non parliamo poi dei treni, dove a ogni "buco nella rete" si innalzano al cielo una lunga serie di improvvisi e condivisi rosari.

Il fenomeno è meno evidente al contrario, quando si entra in Slovenia, passata la frazione di spazio e tempo necessario al cambio di cellula, tutto sembra funzionare a meraviglia.

Ordunque, sarà possibile che le reti cellulari abbattano i rispettivi confini e che i poveri diavoli che arrivano in Italia possano continuare a conversare al telefono o navigare in internet senza doversela prendere con chissà chi, per l'improvvisa scomparsa della voce dell'interlocutore e per la sua sparizione di lunga durata? Capitale della Cultura sì, ma rendiamo possibile una condivisione delle "celle" in una fascia chilometrica almeno simile a quella della vecchia, cara "prepustnica"!

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