E' un monito che risuona fortemente anche in questi giorni. Dopo decenni trascorsi a esaltare la nonviolenza gandhiana, a manifestare contro gli interventi armati e le guerre più o meno note combattute costantemente ovunque, anche il movimento per la pace mostra in questo momento gravi incrinature.
Non sono gravi perché esistono, anzi! Un pacifismo che non inquieta, non demolisce certezze, non rischia la derisione o la persecuzione, non rifiuta troppo comodi consensi, è del tutto insignificante e inefficace.
Le incrinature sono gravi per il motivo opposto, perché dimostrano che nel momento solenne delle scelte importanti, molti "viandanti di pace" si sfilano e, più o meno a malincuore, affermano il contrario di ciò che finora avevano sempre detto: le armi non possono mai essere considerate uno strumento per risolvere i conflitti tra i popoli e le persone.
Questo conta almeno in due sensi, la prevenzione e la cessazione.
Per quanto riguarda la prevenzione, ci sono due modi antitetici per attuarla. Il primo è la corsa agli armamenti, deterrente che ha condotto il Pianeta sulla soglia della catastrofe nucleare, minaccia non certo stinta dai deboli tentativi di trovare accordi per lo smantellamento delle testate. Il secondo è cancellare gli arsenali nucleari e anche convenzionali, percorrendo una strada totalmente nuova, quella della sparizione degli strumenti di offesa costruiti per ferire e per uccidere, in modo sempre più micidiale e universale. Lo si è detto tante volte, forse l'eccessivo timore di offendere politici, industriali e trafficanti ha impedito di rivelare nomi e cognomi, costringendo la denuncia in termini troppo generici. E così ci sono armi dappertutto, marchi di tutti i Paesi industrializzati, compresa (abbondantemente) l'Italia, si combattono fra loro a suon di carri armati, missili, bombardieri... Difficile pensare che queste micidiali forniture di morte, vendute per accrescere il pil dei più ricchi, siano acquistate solo per stoccarle in oscuri magazzini. Quindi, oggi e sempre, DISARMO IMMEDIATO!
Una volta scoppiata una guerra che fare? "Si lascia morire la gente vittima di un'invasione?", si domandano gli ex pacifisti che ora invocano l'invio delle armi in Ucraina per sostenere quella che essi definiscono la "resistenza". No, assolutamente, ma se si è stati sempre convinti che le armi non risolvono ma aggravano i problemi, come pensare improvvisamente che solo le armi potrebbero risolvere la questione? Inoltre, la storia insegna - sempre che la storia insegni qualcosa! - che alla crescita del livello della difesa corrisponde sempre un aumento della potenzialità dell'offesa. L'Europa è piena di fortezze neppure usate perché rese inutili dallo sviluppo della tecnologia militare, di linee Maginot o Gotiche scavalcate senza alcun problema dai missili di nuova generazione. Intervenire in Ucraina portando le sofisticate armi europee significa inevitabilmente attendersi che dalla parte russa si innalzi la posta in gioco, in una spirale di crescente violenza dagli esiti purtroppo tragicamente prevedibili.
Una volta scoppiata una guerra, anche qua i casi sono due. O si incrementa il massacro cercando di uccidere e distruggere più di quanto possa fare l'avversario oppure si incentiva con tutti i mezzi possibili il dialogo tra le parti, creando spazi di trattativa, offrendo personale diplomatico iper-specializzato e orientando l'opinione pubblica a una visione di pace e non di guerra. Ogni paragone con la seconda guerra mondiale o addirittura con la gloriosa Resistenza partigiana è fuori luogo. Sono passati ottanta anni e la scienza delle relazioni internazionali è molto cambiata, l'interdipendenza economica e politica tra i Paesi del Pianeta è imparagonabile a quella di allora. Non c'è poi la possibilità di dividere in modo manicheo i buoni dai cattivi, c'è invece una maggiore conoscenza delle radici e delle cause dei conflitti, che dovrebbe facilitare e non ostacolare lo spegnimento di ogni fuoco sul nascere. Per questo, condannando l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, come ogni altra forma di violenza precedente perpetuata dall'Ucraina stessa, è sbagliato innalzare la tensione in modo del tutto unilaterale, portando armi e soldati, preparando la guerra invece che favorendo la pace.
Questa è l'ora solenne della Nonviolenza attiva, delle ragioni della diplomazia e non di quelle devastanti delle armi, della fedeltà e coerenza con gli ideali professati in tutti questi anni, sulle strade, nelle piazze, davanti alle basi militari, nelle aule della politica internazionale.
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