Mentre tutti si è con il fiato sospeso e con lo sguardo rivolto alla guerra che infuria nel Nord Est dell'Europa, una categoria di persone vive le stesse paure, moltiplicate dalle sbarre che imprigionano la libertà.
Sono i detenuti nelle carceri e nei centri per il rimpatrio, compresi quelli che vivono nella dimenticata Casa Circondariale di Via Barzellini, letteralmente a due passi dal Municipio cittadino e quelli rinchiusi nell'ex caserma di Gradisca d'Isonzo.
Si può solo immaginare l'angoscia di chi pensa ai propri cari, a come stiano affrontando questo tempo di grande tensione, soprattutto chi è in prigione per reati minori e proviene proprio da Paesi in guerra o molto vicini alle zone di conflitto. Si dovrebbe aiutare in ogni modo chi si trova nell'ansia, garantendo continui contatti con i parenti e nel caso - che si auspica non accada mai! - di un allargamento del conflitto, la possibilità di raggiungerli per confortarli e condividere con loro il momento drammatico.
Inoltre il "sistema" non manca mai di far pensare. La fonte di queste riflessioni e di queste proposte è don Alberto De Nadai, da decenni impegnato quotidianamente a portare, all'interno della prigione, una parola di speranza. Grazie a lui, si è formato internamente un gruppo eccezionale di persone provenienti da ogni Continente e pronte a confrontarsi tra loro nel riconoscere errori, nell'immaginare un futuro migliore, nel rendere meno pesante la convivenza dei ristretti.
Tra le persone presenti, negli ultimi due anni è stato ospite un giovane proveniente dall'Asia. E' stato condannato a un paio di anni di pena, scontati in toto dandosi da fare con gli altri colleghi e con le guardie carcerarie. Sempre di buon umore, ha sollevato il morale di tanti, prestandosi in ogni servizio utile, dalla cucina alle pulizie, dalla lavanderia all'impegno di sacrestano. Ebbene, il nostro amico ha pagato il suo debito con la giustizia e, pieno di trepidazione è uscito dalla Casa Circondariale di Gorizia, felice di poter avviare un percorso di integrazione nella città o nei dintorni.
Invece... Invece è stato immediatamente prelevato e portato al Centro per il Rimpatrio di Gradisca, per essere quanto prima possibile estromesso dall'Italia e rispedito da dove, qualche anno fa, era arrivato. Ma insomma, non è disumano costringere una persona per due anni dietro alle sbarre e poi, finalmente "libero", rinchiuderla di nuovo dietro ad altre sbarre con l'unica prospettiva di ritornare nella sua terra, con la possibilità reale di andare inoltre incontro a guai ancora di gran lunga peggiori?
Quindi..
1. Occorre che le pene detentive inferiori ai tre anni siano scontate in modo alternativo, in strutture convenzionate con lo Stato in grado di garantire riabilitazione e reinserimento sociale.
2. Occorre chiudere quanto prima tutti i CPR in Italia, a cominciare da quello di Gradisca. Sono luoghi di detenzione per reati amministrativi, totalmente inutili per ciò che concerne l'individuazione delle persone da espellere e finalizzati soltanto a suscitare sofferenza e depressione ai malcapitati ospiti. Contestualmente è urgente rivedere la legge sull'immigrazione, ancorata ai capisaldi voluti da Turco e Napolitano e aggravati da Bossi e Fini. E' indispensabile passare a una politica dell'accoglienza reale, incentrata sul lavoro, sulla casa, sulla facilitazione dei ricongiungimenti familiari. Ed è necessario allargare ovunque il sistema SAI (ex SPRAR), unico in grado di gestire le situazioni di emergenza coinvolgendo da protagonisti gli enti locali, convenzionati con gli enti gestori.
3. Occorre che da subito ci sia anche a Gorizia il Garante per i Diritti delle persone recluse, in grado di evidenziare le problematiche individuali e collettive, in accordo armonico con tutto il personale operativo. Si dice che l'assessorato al welfare abbia provveduto alla designazione di una persona, per il momento il suo nome non è stato ufficializzato. Ma non si fa così! Ovunque la procedura prevede un bando al quale possano accedere cittadine e cittadini con determinati e definiti requisiti. La scelta poi, sulla base dei curriculum, deve essere affidata al Consiglio Comunale. Così è stato ovunque e così deve essere anche a Gorizia.
Certo, sono piccoli espedienti in confronto al dolore di chi è coinvolto. Ma da qualche cosa si deve pur cominciare e non è possibile che la concezione della pena sia ancora, dopo oltre trent'anni dalla legge Gozzini, solo sulla carta riabilitativa, praticamente punitiva. E ciò non certo per la volontà degli ottimi operatori e lavoratori che assistono i detenuti, ma per il sovraffollamento, le strutture fatiscenti, le leggi sulle pene alternative applicate con lentezza e scarsa efficacia.
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