venerdì 4 marzo 2022

Srečko Kosovel, poeta del dolore e della speranza, raccontato da Boris Pahor

E' del 1993 la prima edizione in lingua italiana del libro di Boris Pahor dedicato al poeta sloveno Srečko Kosovel.

Dell'opera di Boris Pahor si conosce molto, i numerosi libri del grande scrittore, giunto alla ragguardevole età di 108 anni, sono molto conosciuti e costituiscono un importante punto di riferimento per la conoscenza del mondo sloveno e più in generale europeo nel corso del XX secolo.

Di Kosovel invece, nella parte del Goriziano rimasta in territorio italiano, si sa abbastanza poco e questo volume, opportunamente riedito da LEG dopo trent'anni, è un'ottima chiave per entrare nella sua complessa vicenda interiore e negli autentici capolavori letterari.

La biografia è molto breve. Nato a Sežana, nel 1904, all'inizio della prima guerra mondiale lo troviamo a Ljubljana dove frequenta gli studi liceali e successivamente la facoltà di filosofia. Pur intessendo relazioni importanti con le maggiori personalità della cultura del suo tempo, mantiene costantemente nel cuore una profonda nostalgia per il paese di Tomaj e per la casa nella quale ben presto la famiglia si era trasferita. Fa in tempo a vedere con grande sofferenza la sistematica persecuzione del popolo sloveno del Litorale, conseguenza del famigerato Trattato di Rapallo, culminata con gli incendi fascisti del Narodni dom di Trieste e dei centri culturali del territorio. La prima guerra mondiale lascia in lui uno strascico di profonda tristezza e il dopoguerra ispira in lui una visione nel contempo amorevole e pessimista dell'Europa. Con gli amici lubianesi, triestini e carsici progetta un mondo migliore, con un afflato vagamente socialista ma anche libertario. L'insofferenza a ogni imposizione dittatoriale lo porta a un inequivocabile schieramento dalla parte dei più deboli e dei più poveri, elemento questo caratteristico della letteratura slovena di quel periodo, dominata da figure straordinarie quali quelle di Ivan Cankar o August Černigoj, quest'ultimo per ciò che concerne la pittura. Dopo breve malattia, muore il 26 marzo del 1926, a ventidue anni appena compiuti.

Il libro di Pahor riesce a trasformare in avvincente avventura l'esperienza esistenziale di un uomo eccezionale che, nonostante l'esiguità degli anni, è stato un faro di luce in molti campi. Si è impegnato nella formazione della consapevolezza della dignità e dei diritti del popolo sloveno, percependo sempre la propria vita come slovena, contemporanea, europea ed eterna. Ha lottato per la rivalsa sociale dei più deboli, passando da un'iniziale visione nihilista a una "sinistra sociale", non accettando assolutamente nessuna dittatura. Vive come un'immane catastrofe sia la prima guerra mondiale che vede con gli occhi di un bambino e porta con sé le immagini degli incendi fascisti a Trieste come una tragedia che ritorna - simbolicamente e artisticamente - in alcune sue opere, quasi una discesa nell'inferno dantesco in attesa di risalire verso un improbabile paradiso. In tutto ciò riesce anche a dimostrare un animo simpatico e romantico, quello di un uomo che crede profondamente in un'amicizia che travalica le differenze culturali e linguistiche, come dimostrato dai toccanti capitoli dedicati all'amicizia con il tenente italiano Curcio distaccato a Sežana, alle esperienze familiari con i genitori e le amatissime sorelle, alle relazioni delicatamente romantiche con le donne incontrate nel suo breve frammento di esistenza.

Se la nostalgia dei paesaggi carsici e il tema della futura Europa costituiscono alcuni dei principali contenuti della poetica di Kosovel, ciò che è particolarmente sorprendente è il suo stile. Autore molto versatile e aperto alle correnti della contemporaneità, procede da un'evidente vicinanza al costruttivismo europeo, in particolare russo, sostenuto in questo anche dalle relazioni culturali con lo stesso Černigoj e altri autori del tempo. Tuttavia va oltre allo schematico dettato dei futuristi, "inventando" una nuova modalità di comunicazione, nella quale il simbolo prevale sulla parola, lo schema apriori viene cancellato dall'irrompere del sentimento e l'emozione si trasforma nella dolorosa ed empatica assunzione della sofferenza del mondo. Kosovel introduce il lettore in ciò che è "sempre al di là", come direbbe Montale, dell'immediato e del visibile, aiutandoci a contemplare le forme degli oggetti come finestre aperte su un infinito e un eterno mai pienamente comprensibili o riducibili alla portata della limitata umana natura.

E' proprio la dimensione trascendente quella che irrompe da ogni verso, proiettando in ogni istante l'osservatore dall'immediato al permanente, dal contingente all'assoluto. Ciò non avviene attraverso l'accoglienza di semplici scorciatoie fideistiche, religiose o ideologiche, ma semplicemente assumendo con il cuore aperto lo svelarsi quotidiano del mistero della Realtà. In questo Kosovel è veramente un grande testimone della tradizione mitteleuropea del periodo a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento. L'apparente pessimismo in verità è un grido inesauribile di speranza, come lo sprofondamento nel dolore immenso dell'universo sembra un'autentica invocazione a un Colui del quale non si dovrebbe neppure osar di pronunciare il nome.

La dolcezza e la durezza della vegetazione e della pietra carsica sono la cornice tremenda e affascinante della storia di vita di Srečko Kosovel e della sua straordinaria opera.

Nessun commento:

Posta un commento