Poi c'è chi vive la montagna in altro modo, per passione, per turismo, anche semplicemente per sport. Ci sono gli Alpinisti, con la A maiuscola, che non soltanto compiono imprese straordinarie ma sono autentici maestri di vita e, si può osare scriverlo, anche di spiritualità.
E' il caso raccontato da due splendidi cortometraggi presentati oggi nell'ottima rassegna Montifilm, che si svolge a Trieste dopo le prime indimenticabili presentazioni Goriziane.
Il primo si intitola Fissure. Racconta la storia di due amici, entrambi straordinari rocciatori, entrambi accomunati dal gusto dell'impossibile. Uno dei due, Fred è un ottimo fotografo, l'altro, Didier, una delle più grandi promesse dell'alpinismo del XXI secolo. Il loro dialogo virtuale ruota attorno alle imprese ai limiti e oltre i limiti delle capacità umane, ma anche intorno a una ricerca interiore che condurrà Didier, dopo una lunga riflessione, a lasciare l'alpinismo per la vocazione religiosa. Le riprese dell'amico permettono prima di contemplare la danza del giovane sulle più esigue fessure che attraversano le pareti più lisce, poi il suo lento incedere verso la consacrazione nella Fraternità Eucaristica, nell'anno 2018. Belle le parole di Didier sulle fessure, "qualcosa di puro che attraversa la durezza della pietra" e sulla vita, "l'alpinismo e la vocazione religiosa si assomigliano, entrambe sono vere e proprie concezioni della vita". Affascinante è anche la sua ricerca interiore che lo porta dal desiderio di "essere il più forte rocciatore del mondo" alla domanda sulla realizzazione delle aspirazioni più profonde. "La scelta di diventare religioso è il raggiungimento di un obiettivo molto più alto o semplicemente la risposta alle proprie domande e alle proprie debolezze, soprattutto nel mondo delle relazioni con gli altri?" Sono domande che ogni essere umano si pone, in tutti i contesti nei quali si trova immerso. E ognuno è chiamato a trovare la propria strada, o meglio la propria via verso il senso della vita.
Il secondo film è dedicato a un "Cercatore di infinito". Si tratta "prima di un uomo poi di uno straordinario alpinista", come definito da uno degli amici intervistati. E' Adriano Aste da Rovereto, recentemente scomparso. La sua vita è un romanzo, anche se la cornice è molto semplice, quella di un robusto lavoratore del Trentino che incontra la passione della montagna. Compie spedizioni in Patagonia e scala le più imponenti cattedrali rocciose delle Dolomiti, giunge perfino sull'Eiger, con una delle prime cordate italiane che si sono cimentate nella sfida alla terribile parete nord. Cosa cerca Aste nel suo salire verso il cielo? Cerca ciò che secondo lui manca all'umanità contemporanea e all'alpinismo attuale, cioè la Poesia. Perché, dice lui "la Poesia è Bellezza e Dio è la Bellezza infinita". Salire con questo spirito le montagne vuol dire quindi avvicinarsi al mondo divino, cercare quell'infinito che è fuori ma anche dentro di noi. Una malattia del fratello stacca Adriano Aste per sempre dalla montagna. Ritiene che il suo compito sia quello di stare accanto a chi soffre e ne ha bisogno, perché la sofferenza dell'altro è più importante dell'"egoismo" di chi vuole superare sé stesso scalando le vette più impervie. Tutti i guadagni di una vita vengono inviati in una missione in Africa, per poter realizzare un dispensario per le madri in attesa e per i bambini appena nati. E' un altro gesto di generosità gratuita e del tutto disinteressata, l'entità della sua donazione diventa nota solo dopo la sua morte e l'intitolazione alla sua memoria del nuovo ospedale è un omaggio doveroso ma postumo. Perché questo slancio verso gli altri, perché questo amore ai più piccoli? Perché, dice Aste e forse questo è il suo insegnamento più alto, "una sola vita umana vale più di tutte le montagne del mondo".
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