lunedì 7 febbraio 2022

Francesco, una voce nel deserto?

Prima di essere cancellato dal rapidissimo tritacarne mediatico, tra la fine del Festival di Sanremo e le ormai prossime "restrizioni delle restrizioni" pandemiche, fa discutere ancora per oggi l'intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco. 

Le parole del Vescovo di Roma non sono nuove, i concetti sono quelli più volte ripetuti nel suo alto Magistero. Ha parlato delle tragedie del mondo attuale, del virus globale, soprattutto delle difficili situazioni provocate dalle guerre e dell'imprescindibile necessità di garantire i diritti dei migranti e di accoglierli ovunque come a casa propria. Sono proposte note, assolutamente nuovo è stato il contenitore, la trasmissione Che Tempo Che Fa, un vero e proprio salotto televisivo capace di portare la parola degli ospiti in milioni di case degli italiani.

C'è chi si è scandalizzato per questa scelta, ritenendola espressione di un impoverimento spirituale se non di una vera e propria desacralizzazione del ruolo apicale del cattolicesimo romano. E c'è chi si è entusiasmato, sia dell'umiltà di un Pontefice volontariamente affidato alle domande di un sia pur famoso conduttore che soprattutto dei contenuti pregni di sacrosanta denuncia e di autorevole speranza.

Condividendo fin dall'inizio , e anche prima! le idee e le prospettive di questo Pontificato, ritengo che esagerino sia i pochi denigratori - alcuni dei quali si spingono a ipotizzare la nullità del conclave seguito alle "dimissioni" di Ratzinger - che i tantissimi estimatori.

I primi sognano un tempo ormai definitivamente superato dallo scorrere del tempo e della storia. Non è più sostenibile la figura di un "pontefice" inteso come mediatore tra il cielo e la terra, staccato dalla base dei fedeli credenti e appartato nel silenzio e nell'assoluto distacco delle stanze vaticane. Francesco corre sulla strada dei suoi predecessori, accentuando intuizioni e atteggiamenti già sdoganati, in particolare da Giovanni Paolo II del quale si ricorda un intervento telefonico in (vera) diretta durante la trasmissione condotta da Bruno Vespa. In questo modo la comunicazione oltrepassa la sfera di coloro che sono d'accordo e raggiunge le case di tutti, credenti o non credenti, convinti o non convinti che siano. 

I secondi, forse anche preso atto del basso livello medio delle proposte ordinarie, sembrano cadere dalle nuvole, esprimendo a gran voce le lodi sperticate nei confronti di colui che "come un buon Padre, sa emozionare le persone", smascherando le terribili violenze del nostro tempo irrorandole con parole piene di impegno e di speranza. In realtà, analizzando il suo dire, si naviga nel mare tranquillo dell'assoluto buon senso e si ha la sensazione di non poter essere altro che d'accordo con ciò che si ascolta, senza quei sobbalzi sulla sedia senza i quali nulla può veramente cambiare, nel profondo delle coscienze come pure in una prassi politica in grado di sovvertire un sistema così ramificato e potente come quello capitalista.

La questione rimane aperta, non certo quella se un papa faccia bene o male ad andare in televisione, ma quella che riguarda la specificità del suo ruolo e di conseguenza dell'incidenza delle sue parole. Francesco, come il Dalai Lama e non molte altre personalità nel Mondo, essenzialmente esprime un richiamo di ordine etico e morale. Quali sono i fondamenti dell'azione umana e in che modo essi devono influenzare il modo di agire di ciascun individuo e dell'intera collettività?

La concezione del mondo radicata nel cristianesimo presuppone la fraternità e sororità universali, per questo l'enciclica Fratelli tutti può essere considerata la sintesi centrale del cattolicesimo "francescano". Se questo è il fondamento etico, la consapevolezza di appartenere alla medesima umana famiglia collocata nello tesso spazio vitale che è la madre Terra, la condanna della guerra, della violenza, del rifiuto dell'accoglienza e della catastrofe ecologica è soltanto un'ovvia e immediata conseguenza morale. Ben venga chi porta questo richiamo a un Pianeta soffocato dalla stretta imperialista delle multinazionali, dalla crescente fame e dalle mille minacce di conflitto generalizzato che da un momento all'altro potrebbero concretizzarsi.

Ciò che non funziona nell'eccessivo entusiasmo dei sostenitori è la mancata distinzione tra il livello etico e quello politico. Non che le due dimensioni siano del tutto separate, ma è necessario guardarsi dall'identificarle. La politica è la traduzione in termini di concreta convivenza civile delle istanze etiche. In un contesto democratico, essa deve per definizione tenere conto delle diverse sensibilità, anzi proprio delle diverse etiche esistenti su un determinato territorio. In questo modo, ciò che sembra ovvio, l'invito a fare la pace piuttosto che la guerra, ad accogliersi reciprocamente piuttosto che rifiutarsi, a trasformare le lance in falci e a contemplare il lupo che pascola beatamente con l'agnello, deve essere attraversato dal vaglio micidiale del consenso, senza il quale le più belle idee restano patrimonio di un'insignificante minoranza. 

Che fare allora? 

Il papa dovrebbe sollecitare quanto prima la fine dello Stato della Città del Vaticano. Solo libero dal ruolo di Capo di uno Stato che possiede enormi capitali e proprietà, totalmente e anche ben inserito nelle dinamiche economiche, politiche e finanziarie del Capitalismo attuale, potrebbe pronunciare discorsi in grado di trascinare in modo nonviolento oltre un miliardo di esseri umani nella contestazione di un ordine planetario gigantesco e disumano.

Il compito dei politici che l'ascoltano con tanto entusiasmo e si spellano letteralmente le mani ascoltando Mattarella nell'intervento di re-insediamento presidenziale, appare decisamente più facile, almeno all'apparenza. Devono chiedersi perché ciò che ascoltano non si trasforma in legge da essi stessi preparata e approvata, in progetto politico riguardante il diritto al lavoro, alla salute, alla libera circolazione in Italia e in Europa, a un'autentica pace fondata sulla giustizia sociale. Se non lo fanno, tutti insieme, sia pur provenendo da diverse visioni della vita e della socialità, gli unanimi entusiasmi difficilmente travalicano il vaso colorato dell'ipocrisia. E le parole mediatiche di un alto magistero quale quello di Francesco si perdono nel vento dell'etere che tutto omologa, riduce e fa sparire dal tempo.  

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