domenica 27 febbraio 2022

Dove sono i pacifisti? Per esserci ci sono, ma...

"Nella guerra gli Stati perdono i loro cannoni, i ricchi i loro buoi, i poveri i loro figli. Dopo la guerra gli Stati si riprendono i loro cannoni, i ricchi ricevono nuovi buoi e i poveri cercano le tombe dei loro figli" (detto popolare serbo)

Disarmare, trattare, accogliere. 

Questi tre verbi, riproposti autorevolmente ieri dal quotidiano Avvenire, sintetizzano bene il "sentire comune" di una parte dell'opinione pubblica italiana e mondiale che vede la guerra come un male assoluto, da disinnescare nel più breve tempo possibile. In effetti, l'immediato cessate il fuoco, la parola ritornata alla diplomazia e la disponibilità ad alleviare le sofferenze delle persone, sono gli obiettivi che tutti vorrebbero vedere realizzati nel più breve tempo possibile. Anche il gesto concreto del digiuno, proposto per il prossimo 2 marzo da papa Francesco, è riempito di questi auspici e significati.

Le piazze in questi giorni si stanno di nuovo riempiendo, le bandiere arcobaleno sventolano davanti a molti davanzali e si moltiplicano le voci preoccupate che gridano a gran voce "no alla guerra", "guerra mai più!" E' importante che il popolo faccia sentire la propria voce, anche con la forza dei numeri e dei simboli. Tuttavia c'è da segnalare qualche evidente fragilità, non per indebolire la forza della contestazione, ma per farne memoria nel prossimo futuro, sempre che non sia troppo tardi.

La prima consiste nel mettersi in movimento con obiettivi precisi soltanto in alcune situazioni e non in altre. Di guerre, purtroppo, ce ne sono state tante e continuano a esserci nel mondo attuale. si pensi ai conflitti africani, nel Sud Sudan e nel Tigray per esempio, ma anche allo stesso Donbass bombardato da otto anni senza grandi scandali da parte di nessuno, alla democrazia soffocata nel sangue in Rojava, alla persecuzione dei Rohingya in Myanmar o agli infiniti focolai del Medio Oriente. E' vero, c'è ogni anno la Perugia-Assisi, ci sono altre iniziative qua e là per l'Italia, ma anch'esse un po' sembrano un po' troppo ritualizzate, lontane dall'incidere sulle scelte politiche ed economiche. Si ha come l'impressione che a dettare gli impegni del cosiddetto "popolo della pace" siano le mosse della grandi potenze e non la quotidiana consapevolezza insita nel concetto stesso di nonviolenza attiva.

La seconda consiste nel percepire una forte lontananza da proposte sostenibili che anni fa sembravano a portata di mano. Si pensi per esempio alla riforma generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e soprattutto alla costituzione delle forze di interposizione nonviolenta, i "corpi civili di pace", da immaginare non fondati su un peraltro lodevole volontariato dei più sensibili, ma su vere e proprie istituzioni alternative quelle militari, pronte a intervenire nei conflitti offrendo la competenza per risolverli in modo radicalmente alternativo all'uso delle armi. E' facile dire "no alla guerra", quando si è lontani dall'orrore, ma senza un organismo in grado di produrre una lettura nonviolenta della situazione del mondo attuale, c'è il serio rischio di rimanere a un livello di superficialità poco, se non per nulla utile all'affronto di cause, ragioni e disragioni per lo più del tutto sconosciute.

La terza riguarda il conflitto attuale, nel quale le manifestazioni pacifiste di questi giorni dimostrano il loro limite. Non essendo chiaro il quadro, manca quella semplificazione a volte certamente un po' ingenua che in altre occasioni ha trascinato milioni di esseri umani sulle strade delle Capitali europee e mondiali. In piazza si incontrano coloro che vogliono difendere il governo ucraino e quelli che stanno dalla parte del Donbass, c'è chi invoca l'uscita dalla NATO e chi al contrario ritiene che una buona difesa possa prevenire qualsiasi attacco. Ci sono rappresentanti di partiti che sostengono il "senza se e senza ma" e di altri che invece propongono di armare militarmente la "resistenza" ucraina (tra questi l'incredibile Letta, per i momento non contestato all'interno del "suo" Partito Democratico). E' inevitabile che quando i variegati partecipanti alle marce e ai sit-in si esprimono, una parte applauda e l'altra fischi, come accaduto ieri a Trieste. Non c'è da scandalizzarsi di ciò, anzi, forse questo potrebbe anche essere interpretato come un buon segno, l'unanimismo di fatto a volte confina con l'insignificanza.

Dunque, è bene scendere in piazza e collocare davanti alle finestre le bandiere della pace. I pacifisti ci sono, non sono spariti nel nulla. Tuttavia la loro attuale debolezza si può davvero tramutare in forza, se sapranno rinnovare contenuti e metodi della loro azione, se riusciranno a sostenere una politica nazionale e internazionale concreta del disarmo nucleare e generale, dei corpi civili di pace e dell'accoglienza senza limiti secondo il principio della libertà di movimento per tutti gli esseri umani, se ritroveranno la strada di un'analisi finalizzata alla costruzione di "un altro mondo possibile", se saranno più uniti, pur nelle loro diversità, se...

Nel frattempo, contro la guerra tra Russia e Ucraina, va bene tutto, anche il più piccolo segno, come il digiuno del mercoledì delle ceneri, sperando che serva, come piccolo tassello nel mosaico generale, a silenziare quanto prima l'urlo macabro delle armi.

1 commento:

  1. Ricordo bene le manifestazioni pacifiste contro la guerra del Vietnam, studenti e operai, gente comune, tutti contro la guerra. A nulla sono servite quelle marce pacifiste. Le guerre sono studiate a tavolino al solo scopo di lucro, come un qualsiasi business. Così è anche per l'attuale. Le mire espansionistiche di chi vuol comandare il mondo sono quelle di un tempo. Nulla è cambiato.

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