Otliško okno |
Prima di raggiungere Ajdovščina, si raggiunge Lokavec e con ardito percorso, scavato in parte nelle rocce sotto gli ultimi contrafforti del Čaven, si sale fino a Predmeja. Gli sguardi sono attirati dalla magnifica Vipavška dolina, ma non possono passare inosservati alcuni particolari. I tunnel che perforano la pietra carsica sono dei veri e propri cimeli di archeologia industriale, i fragili segni del sacro si alternano alle memorie della Liberazione dal nazifascismo. C'è perfino una statua moderna dedicata alla "Madre". Potrebbe essere un inno alla bellezza della maternità, come pure alla vita faticosa delle genti dell'altopiano. Ma non sarebbe sbagliato interpretarla come una celebrazione della Madre Terra, la Natura particolarmente aspra e affascinante che rende possibile anche in queste zone selvagge il miracolo della Vita.
Oltrepassata Predmeja le formazioni calcaree offrono i migliori spettacoli. E' tutto un susseguirsi di massi scavati e tagliati pazientemente dallo scorrere delle rare acque di superficie, dolci doline e improvvisi inquietanti inghiottitoi, ammassi candidi che ricordano greggi improvvisamente pietrificate. Poi si arriva a Otlica, un villaggio con poche case aggregate l'una all'altra per evitare di rubare spazio agli aridi campi, un tempo unica fonte di sostentamento per uomini e animali. Bisogna mettersi in cammino, il percorso è breve, in poco più di un quarto d'ora si raggiunge il crestone che domina l'alta valle del Vipacco.
Febbraio nel tempo del riscaldamento globale apre le porte di queste lande anche ai visitatori invernali, la neve sta sparendo dalle zone d'ombra. Si attraversano pascoli ancora addormentati in attesa del risveglio primaverile e si raggiunge l'aereo limite, dove il terreno finora sostanzialmente piano, sprofonda improvvisamente verso il fondovalle, con un salto di 700 metri, in una cascata di rocce strapiombanti scavate dalle radici di coraggiosi abeti e faggi superstiti.
E' lì che tra gli alberi appare improvvisamente. Un chiarore strano buca il grigiore carsico, avvicinandosi svanisce la malinconica e avvincente monotonia del bosco. Al di là del foro, quasi come attraverso un immenso cannocchiale naturale, si riconoscono le sagome evanescenti dei paesi adagiati placidamente sulle sponde dell'Hubelj e della Vipava. Sembra quasi di osservare la vita degli altri dal buco di una chiave. Ma questa grande fessura che vince la forza di gravità, sembra invitare anche a guardarsi dentro, a scoprire la propria fragilità di fronte alla potenza misteriosa dell'essere, a percepire ancora una volta il fascino del sublime, il "sacro" tremendum et fascinans che riempie l'Essere di significato e lo proietta al di là del tempo e dello spazio. C'è chi dice che sia stato un corno del diavolo a incastrarsi nella montagna formando questo strano buco, c'è chi spiega il tutto con criteri più scientifici e oggettivi. Ma è difficile sfuggire all'energia che scaturisce, insieme al vento impetuoso, da questa apertura, vera porta spalancata che dalla terra invita a slanciarsi verso il cielo.
Il Nanos da Podnanos |
Ci si chiede perché non si possa vivere sempre in tanta straordinaria Pace. I venti di guerra sembrano - purtroppo soltanto sembrano! - così lontani, la pandemia un incubo strano che aleggia nell'etere, la Sofferenza si stringe in un eterno abbraccio con la Bellezza. Nasce spontaneo il desiderio di concludere con le parole di Ivan Denisovič, "ti ringrazio Signore, è finito un altro giorno".
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