mercoledì 23 febbraio 2022

No alla guerra, con i se e con i ma...

No alla guerra. D'accordo, senza alcun dubbio, ieri, oggi e sempre. Talmente d'accordo da ritenere necessario, ma un po' troppo poco dire semplicemente "no alla guerra". 

E l'ONU? Dov'è l'ONU?

Molti si chiedono dove sia sparito l'organismo preposto alla conservazione della pace e alla risoluzione delle controversie internazionali.

La risposta è molto semplice. L'ONU non è da nessuna parte. E non c'è, non per cattiva volontà dei suoi attuali responsabili, ma per il suo obsoleto Statuto, sostanzialmente fermo all'indomani della seconda guerra mondiale. Per essere concreti, l'organismo principale è il Consiglio di Sicurezza, formato da cinque membri permanenti e cinque eletti per due anni a rotazione fra tutti gli altri. I permanenti sono gli Stati vincitori della seconda guerra mondiale, tra i quali - guarda un po' - la Russia e gli Stati Uniti. Stando così le cose, il tavolo dell'ONU, anche se esistesse, sarebbe del tutto ininfluente sulle decisioni dei singoli Stati.

Il secondo elemento di estrema debolezza è il sistema del voto. Ammesso e purtroppo non concesso che si arrivi a una riforma che limiti l'importanza del Consiglio di Sicurezza a vantaggio dell'Assemblea generale, quali sarebbero i rapporti di forza? Uno vale uno? Se così fosse, la repubblica di San Marino, con i suoi neppure 30.000 abitanti, conterebbe come la Cina, con un miliardo e mezzo. Valore del voto proporzionale agli abitanti? Se così fosse, la Cina possederebbe in partenza la maggioranza relativa, con il potere di bloccare di fatto qualsiasi iniziativa, anche congiunta, di tutti gli altri messi insieme. Insomma, l'ONU non c'è perché il meccanismo decisionale è da lungo tempo inceppato. Sono passati quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Non si è riusciti a trovare un modo efficace e democratico per una reale riforma e quindi è inutile domandarsi dove sia l'ONU in questa e in tutte le crisi internazionali degli ultimi decenni.

Un altro capitolo riguarda le divisioni intrinseche all'interno dell'Unione europea, non nuove ma particolarmente significative in questa fase della controversia tra Russia e Ucraina. Emergono chiaramente gli schieramenti, da una parte i filoNATO, tra i quali gli italiani che senza un voto parlamentare hanno già pensato bene di inviare truppe verso i possibili fronti orientali (ma è possibile???), dall'altra i filoRUSSI, protesi verso il massimo guadagno possibile dalla situazione di instabilità.

La stragrande parte dell'opinione pubblica segue attonita gli avvenimenti. Come accaduto recentemente con il covid, ora gente che fino a ieri non aveva neppure sentito nominare il "Donbass" e aveva saputo dell'esistenza dell'Ucraina grazie alla nazionale di calcio, ora pontifica sulle ragioni degli uni o degli altri, schierandosi dalla parte di Putin o di Biden. Purtroppo anche il movimento per la pace, frettolosamente mobilitato nell'ultimo paio d settimane, non sa bene come comportarsi. "Fate l'amore, non fate la guerra!". Sì, ma si sa come vanno a finire i buoni consigli se accanto a essi non c'è una conoscenza reale della situazione e soprattutto se non sono accompagnati da proposte precise e concrete. Queste ultime, piaccia o meno, non possono evitare di entrare nel merito delle questioni.

Fate la pace! Vuol dire accettare lo status quo e soffocare ulteriormente le istanze autonomiste della popolazione russa del Donbass? Oppure sostenere la politica imperialistica e la violazione dei diritti che caratterizzano l'attuale "zar" di Mosca? Vuol dire garantire l'impunità al governo Ucraino per le sue vessazioni nei confronti dei fermenti indipendentisti e barattare il silenzio con l'allargamento della NATO? Oppure chiedere che gli USA fermino la loro campagna destabilizzante contro la Russia, rinunciando ad allargare la NATO e non accettando le richieste pressanti dell'Ucraina? Oppure ancora, vuol dire che anche l'Italia debba uscire immediatamente dalla NATO proclamando un'assoluta neutralità rispetto al possibile conflitto, con una gesto che però sa tanto di pilatesco lavarsi le mani?

La situazione è assai complessa e anche qua vale il discorso riguardante l'ONU. Il movimento per la pace in realtà ha tentato di proporre un'alternativa che non fosse semplicemente il rifiuto della guerra, ma la costruzione di un nuovo sistema economico e politico, "un altro mondo possibile", si diceva alla grande settimana precedente il G8 di Genova del 2001. La soppressione nel sangue delle istanze dibattute in quei giorni è una delle (tante) responsabilità dei governi Berlusconi. Tuttavia, la paralisi della ricerca dei gruppi allora sbrigativamente definiti "no-global", non era stata obiettivo solo dello squallido clan di potere italico, ma di tutte le espressioni degli interessi economici e politici multinazionali. Da allora sono passati più di venti anni e il pacifismo non ha compiuto altri passi in avanti, se non attraverso il richiamo di lodevoli realtà di testimonianza - impegnate anche sui fronti dell'accoglienza, dei diritti e dell'affronto delle antiche e nuove povertà -, di interventi puntuali di isolati esponenti religiosi e laici, di gesti sempre meno partecipati e sempre più rituali.

Che fare allora, sempre che non sia troppo tardi? Nel caso della situazione contingente, non c'è molto altro da proporre che incrociare le dita e - per chi ci crede - affidarsi a un'Autorità divina, sperando che si tratti solo di una dimostrazione di muscoli finalizzata a ottenere più guadagni possibili dalla minacciosa tensione che come si è creata, così anche si stempererà. In tempi più lunghi occorre invece cogliere questa occasione per rilanciare l'urgenza di una riforma e di una ripresa. La riforma urgente è quella dell'ONU e spetta alle nuove generazioni di governanti. La ripresa è quella di un pacifismo attivo e costruttivo e questo impegno spetta a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà. Occorre ricominciare a incontrarsi, in comunità di base, nei paesi e nei quartieri cittadini. Occorre ripensare un intero Sistema, sollecitati dalla necessità di difendere la giustizia e la verità, di sostenere le istanze ambientaliste, di avviare percorsi produttivi e occupazionali rigorosamente equi e solidali. Come agire perché ciò che oggi è prerogativa di pochi, maggiormente attenti e sensibili a tutto ciò che è umano,  possa diventare autentico Progetto Politico alla base delle Costituzioni e delle Legislazioni nazionali e internazionali?

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