Quante volte ci siamo chiesti se il prodotto che si presenta come "bio" lo sia veramente? O quello che proclama l'assoluto rispetto della sostenibilità ambientale sia veramente in buona fede?
In realtà da diverso tempo la pubblicità ha calpestato spesso le buone intenzioni, mentre la sempre più marcata consapevolezza dei consumatori ha portato a un forte incremento della ricerca di prodotti sani e non nocivi, non solo per l'acquirente ma per tutti. L'"equo, ecologico e solidale" costituiva un tempo una nicchia nel settore commerciale, poi ha trovato posto nelle maggiori catene di commercio, con la conseguente necessità di un maggior discernimento.
La questione è sintetizzata da un termine inglese ormai abbastanza familiare, il greenwashing, cioè l'uso distorto della sostenibilità ambientale a fini promozionali. Si tratta cioè di quelle forme di presentazione che non corrispondono alla realtà, sviando così l'attenzione del consumatore, attratto e nel contempo ingannato da una sensibilità ecologica limitata soltanto alle parole.
C'è la possibilità di intervenire? Sì, c'è e per la prima volta una sentenza di un tribunale civile italiano si è pronunciata contro il greenwashing. Da adesso in poi, le pubblicità sulle presunta qualità sostenibili di un prodotto o di un'azienda non potranno più essere "vaghe, generiche o esagerate"!
Quindi, di fronte a presentazioni accattivanti, occorre prestare attenzione. Nel caso in cui si abbiano buoni motivi per ritenere di essere stati presi in giro, non c'è che da segnalarlo, forse ci si trova proprio in un greenwashing!
Ah, un'ultima cosa. Sapete dove è stata emessa questa prima sentenza in Italia? A Gorizia, naturalmente!
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