lunedì 21 febbraio 2022

Pregare per la Pace...

E' bello pregare per la Pace. Ma perché lo si fa?

Intendendo con "preghiera" una relazione con ciò che trascende la nostra individualità, qualunque nome si voglia attribuire a tale "ciò", ogni essere umano prega, unendosi umilmente a un Dio creatore o immergendosi in un divino cosmico del quale si sente parte oppure assumendo la consapevolezza e la responsabilità di essere "semplicemente" uomo.

Si prega nella solitudine o in compagnia, in particolari momenti o nell'esercizio della vita quotidiana, nella luce o nelle tenebre interiori, nel fascino del bello e nella tragedia dell'orrore.

Si prega ovunque nel mondo, perché ovunque dal 1945 in poi ci sono state guerre e violenze. Si prega quando ci si sente toccati da vicino, minacciati nell'ordinarietà della propria vita, si tratti dell'ombra pesante di un conflitto imminente o del diffondersi di un virus globale.

La parola "preghiera", dalla lingua latina, prima ancora che richiesta significa desiderio e in effetti senza consapevolezza di un'assenza non è possibile in-vocare (cioè chiamare dentro di sé) una presenza.

E' giusto allora in questo momento di tensione pregare, in diversi modi, da soli o in compagnia, per la Pace nel mondo, preoccupati nella contingenza dello spazio europeo, per la situazione che si è venuta a creare ai confini tra Ucraina e Russia. Cosa significa in questo contesto pregare?

Significa riconoscere un problema, abbracciarlo con ragione e sentimento, sperimentare la forza dello spirito, divino o umano che sia, nel suo svelare o almeno aiutare a percepire il mistero nascosto dentro tutto ciò che è che avviene.

Questa compartecipazione al segreto dell'Essere fonda la necessità che la preghiera continui a essere tale trasformandosi in azione, da essa suscitata. Altrimenti rischia di essere addirittura sacrilega. Come pensare infatti che un qualsiasi Dio abbia a che fare direttamente con le vicende umane? Perché dovrebbe intervenire per scongiurare la guerra in Ucraina quando non ha ascoltato le preghiere incessanti che avrebbero voluto scongiurare le due guerre mondiali o i campi di sterminio? Ammesso che si possa ancora parlare di Dio dopo Auschwitz - come si chiedeva Hans Jonas - di certo questo "Dio" non risponde alle chiamate a nostro piacimento. Anzi, constatando l'entità permanente del Male, della sofferenza dell'innocente abbandonato sulla croce delle guerre o delle catastrofi naturali, forse sarebbe meglio lasciarlo in pace nell'alto dei cieli, senza renderlo il benefattore da lodare negli istanti felici o il colpevole da maledire in quelli tragici.

Ben venga allora, da parte di ognuno, la preghiera per la pace in Ucraina. Ma non può limitarsi a una sequela di parole rivolte verso un cielo vuoto, deve necessariamente trasformarsi nella maestà e nella fragilità di quel solenne atto umano che si chiama "scelta". Pregare non esime dal prendere posizione, purtroppo non semplicemente dalla parte di chi "non vuole la guerra", ma di chi cerca una soluzione ai problemi che potrebbero scatenarla. Dalla parte degli ucraini che si sentono minacciati dall'invasione russa? Dei russi in territorio ucraino che temono che la loro minoranza sia cancellata? Degli americani e di parte degli europei che vorrebbero armare l'Ucraina per essere più sicuri da un intervento russo? Di Putin e dei russi che non vogliono avere puntati contro i missili della NATO sulle porte di casa? Degli industriali che si fregano le mani attendendosi grandi affari dalla produzione e vendita delle armi, poi dalla ricostruzione dopo le devastazioni belliche? Degli ormai pochi sopravvissuti convinti "nonviolenti" pronti a farsi scudi umani, mettendo a repentaglio la vita pur di innalzare la protesta nei confronti dell'umana insipienza?

Ecco, questa è la preghiera. E' la forza interiore che rende tremendamente inquieti, perché impedisce di starsene tranquilli, a osservare dall'esterno gli avvenimenti, profondendo magari buoni, ovvi e per questo inutili consigli. E' la passione del cercare, l'intelligenza di scoprire, la disponibilità a confrontarsi gli uni con gli altri. Guardando alle cose grandi del mondo, ma anche alle piccole e spesso irrisolte controversie interpersonali.

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