sabato 28 maggio 2022

Il "fascismo islamico" a èStoria

Nel sabato di èStoria c'è tempo per un colloquio straordinario. Nel Teatro Verdi sarà infatti possibile ascoltare Hamed Abdel-Samad, storico e politologo nato in Egitto, da anni impegnato presso l'Istituto di Storia e cultura ebraica dell'Università di Monaco in Germania. 

Inizialmente vicino alla corrente islamista dei Fratelli Musulmani, approfondisce il suo pensiero allontanandosi sempre di più dal fondamentalismo, avviando una profonda riflessione sulle relazioni tra il fascismo, il nazismo e alcuni autori e correnti islamici.

Dopo aver presentato il suo punto di vista in una conferenza nella capitale egiziana, viene minacciato di morte dagli islamisti e da allora - siamo nel 2013 - vive sotto stretta scorta.

Nel suo libro, tradotto dal tedesco in molte lingue, propone molti spunti, tutti particolarmente avvincenti e interessanti.

Prima di tutto analizza storicamente i rapporti tra fascismo e islamismo, riconoscendo alcune impressionanti somiglianze: la convinzione di essere superiori a tutti gli altri, un malcelato senso di inferiorità che conduce a riconoscere complotti di "nemici" ovunque, un forte antisemitismo e la volontà di distruzione di qualsiasi oppositore. Sono inoltre dimostrati i contatti e le manifestazioni di simpatia tra Hitler, Mussolini e molti ideologi dell'Islamismo nella prima metà del XX secolo.

In secondo luogo, viene evidenziato come la posizione islamista sappia sfruttare abilmente il disagio delle masse, dimostrando poi ogni volta che in qualche modo essa riesca a raggiungere il potere, di essere incapace di mantenerlo, se non con un'estrema violenza distruttiva ma anche autodistruttiva. Gli esempi relativi a ciò che è accaduto dopo le cosiddette primavere arabe non si contano, con la destabilizzazione completa dei Paesi del Medio Oriente a opera del califfato e del cosiddetto stato islamico.

La radice di questa violenza estrema, coniugata con l'incapacità di governare che costringe a rovesciare le colpe sugli avversari esterni - in primo luogo le stesse correnti musulmane diverse dalla propria -, è secondo Abdel Samad da ricercarsi nelle origini della religione. E' infatti il Corano, insieme alle idee e alle azioni del Profeta, a postulare una relazione fra fede e politica che necessità, in nomine Dei, la supremazia della parte "amata da Dio" nei confronti degli "altri", da sopprimere o da tollerare imponendo a essi ogni sorta di vessazioni.

C'è stato chi ha cercato di aggiornare la visione originaria, cercando collaborazione e non guerra con ebrei e cristiani. In Andalusia come a Damasco si riscontrano periodi di relativa pacificazione, tuttavia ogni tentativo del genere è sempre stato soffocato dal risorgere delle pretese assolutiste dell'islamismo. Per esso infatti è necessario attuare alla lettera il dettato coranico e seguire pedissequamente l'esempio del Profeta. Ogni tradimento è tradimento di Dio e deve essere severamente punito.

Interessante è il rapporto con il cristianesimo, il cui approccio con il mondo viene completamente trasformato dall'invenzione della stampa e dall'accesso di un maggior numero di persone all'istruzione e alla conoscenza dei libri sacri. Si avvia un processo di laicizzazione e di interpretazione che consente - inizialmente soprattutto grazie alla Riforma luterana - una sempre più netta separazione tra le ragioni della fede e quelle della politica. Il cristianesimo riesce in parte a realizzare questo passaggio, da una parte trovando spazio nel mondo moderno e postmoderno, dall'altro purificando gli elementi di Potere che avevano rischiato di paralizzarlo e riproponendosi - almeno come prospettiva - come una proposta essenzialmente spirituale, non determinante le scelte e le modalità con le quali gestire e portare avanti una legislazione statale.

L'Islam nel suo insieme non ha percorso la stessa strada, impedendo perfino fino alla fine del 1800 l'utilizzo della stampa, nel timore di un travisamento globale della parola di Dio trasmessa attraverso il Corano. A questo mancato processo di modernizzazione si deve l'instabilità dei Paesi musulmani, costantemente in bilico fra tentativi di avvicinamento al vituperato Occidente e successivi rovesciamenti di fronte con l'eliminazione, spesso violenta, dei Capi e la sostituzione con altri più accondiscendenti al "verbo" dei custodi dell'Islam tradizionale.

Forse con la rivoluzione informatica, non del tutto controllabile da chi gestisce le leve del potere, qualcosa potrebbe cambiare. Anche all'interno dell'Islam potrebbero germogliare dei semi di rinnovamento che potrebbero portare a un autentico cambiamento. Sarebbe però necessario abbandonare il tradizionale e radicale divieto di interpretare o modernizzare il messaggio originario e soprattutto sarebbe indispensabile purificare la religione da ogni incrostazione politica, affinandone il messaggio spirituale e rinunciando a qualsiasi interferenza nelle sfere di qualsiasi forma di Potere.

Insomma, religione di pace o fenomeno violento preconizzatore di qualsiasi forma di fascismo? L'Islam non è né questo né quello e il miglior servizio che si può rendere a una forma di fede che coinvolge quasi due miliardi di persone nel mondo, è quello di aiutarla a inserirsi nei gangli vitali del mondo globalizzato come proposta capace di dare risposte ai problemi più profondi e intimi dell'uomo. Ma deve dimenticare e cancellare la sharìa, la jihad e tutto ciò che la legge sacra e la guerra santa hanno comportato in termini di perdita di vite umane e di rovina della stessa idea e immagine non solo dell'Islam, ma di tutte le "religioni del Libro".

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