Almeno una volta nella vita, vale la pena di partecipare alla “Pot ob ziči” che si celebra ogni anno, il sabato più vicino all’anniversario del 9 maggio (nel 2022 , il 7 maggio). Durante tutta la giornata, decine di migliaia di abitanti di Ljubljana e del vicinato si riversano sul sentiero che circonda la città, percorrono chi tutti, chi una parte dei 33 chilometri, illustrano volentieri ai visitatori da lontano, anche dall’Italia, gli avvenimenti legati alla chiusura ermetica della capitale slovena, nel quadriennio di oppressione nazi-fascista. E’ un giorno di triste ricordo, ma anche di festa, nella consapevolezza che il miglior modo per fare memoria è quello di passare dalla vergogna all’impegno, nella concordia tra i popoli e nell’edificazione della vera pace. Le radici dell'evento annuale sono molto lontane...
Lo scorso 6 aprile, piazza Transalpina/Trg Evrope ha ospitato un flash mob dedicato all’81mo anniversario dell’inizio dell’invasione nazifascista della Jugoslavia. E’ stato proposto di dichiarare tale occasione “Giornata nazionale della vergogna”, nel ricordo della vergognosa azione di guerra che ha portato alla spartizione anche della Slovenia, dilaniata e divisa tra Germania, Ungheria e Italia mussoliniana.
In realtà, di “giornate della vergogna” ce ne sarebbero
tante da celebrare e quella del 6 aprile potrebbe essere una tappa simbolica con
la quale sintetizzare tutte le altre.
Per quanto riguarda la via crucis del popolo sloveno della
Primorska, la regione che si appresta a celebrare con Gorizia la capitale
europea della cultura, la prima stazione è senz’altro il 13 luglio 1920, con
l’incendio del Narodni dom di Trieste che è stato il punto di avvio della
feroce persecuzione fascista nei confronti degli sloveni. Un secondo passo è
stato il Trattato di Rapallo, altra giornata della vergogna internazionale, 12
novembre 1920, con il quale una parte importante del regno degli Sloveni, dei
Croati e dei Serbi veniva assegnata al Regno d’Italia, avviato a essere
dominato dal regime fascista. Da allora i motivi di rossore si sono
moltiplicati, come testimoniato da France Bevk, Zorko Jelinčič, Ciril Kosmač, Drago Bajc e tanti altri autori che
hanno vissuto e raccontato quell’oscuro periodo di oppressione e soffocamento
di ogni libertà. Come dimenticare i due processi di Trieste, con l’esecuzione
delle condanne a morte dei quattro “eroi di Basovizza”, il 6 settembre 1930 e di
Pinko Tomažič e altri quattro
compagni a Opicina, il 12 dicembre 1941? Sono state tutte condanne emesse da
tribunali illegali, che hanno suscitato indignazione sulla stampa
internazionale dell’epoca, come documentato nell’ottimo libro di Milan Pahor,
Borba, recentemente tradotto in lingua italiana e dedicato proprio alle sistematiche
vessazioni del regime nella zona del litorale.
Se possibile, ancora più tragica è stata la vicenda di
un’intera città, Ljubljana, divenuta provincia militarmente occupata dagli
italiani tra l’11 aprile 1941 e l’8 settembre 1943. La capitale slovena e i
paesi del circondario hanno assistito a una guerra feroce, non soltanto
combattuta tra fronte di liberazione jugoslavo e forze occupanti, ma anche caratterizzata
da fucilazioni di gruppo, incendio di paesi inermi, deportazione di decine di
migliaia di persone condotte nei campi di concentramento, costrette a subire
ogni sorta di disagi, fino ai limiti della morte per fame. La città è stata circondata da una lunga
cortina di filo spinato, “inaugurata” il 23 febbraio 1942 su un perimetro
originario di 29663 metri, larghezza di 8-10 metri, con decine di torri di
controllo e migliaia di guardie pronte ad aprire il fuoco su chiunque avesse
cercato di uscire o entrare senza autorizzazione. La situazione è perdurata
anche dopo la caduta del fascismo, quando il territorio è stato preso sotto la
dominazione nazista e Ljubljana è stata ufficialmente liberata solo il 9 maggio
1945.
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