mercoledì 4 maggio 2022

Pot spominov in tovarištva. In cammino perché la memoria diventi impegno.

Almeno una volta nella vita, vale la pena di partecipare alla “Pot ob ziči” che si celebra ogni anno, il sabato più vicino all’anniversario del 9 maggio (nel 2022 , il 7 maggio). Durante tutta la giornata, decine di migliaia di abitanti di Ljubljana e del vicinato si riversano sul sentiero che circonda la città, percorrono chi tutti, chi una parte dei 33 chilometri, illustrano volentieri ai visitatori da lontano, anche dall’Italia, gli avvenimenti legati alla chiusura ermetica della capitale slovena, nel quadriennio di oppressione nazi-fascista. E’ un giorno di triste ricordo, ma anche di festa, nella consapevolezza che il miglior modo per fare memoria è quello di passare dalla vergogna all’impegno, nella concordia tra i popoli e nell’edificazione della vera pace. Le radici dell'evento annuale sono molto lontane...

Lo scorso 6 aprile, piazza Transalpina/Trg Evrope ha ospitato un flash mob dedicato all’81mo anniversario dell’inizio dell’invasione nazifascista della Jugoslavia. E’ stato proposto di dichiarare tale occasione “Giornata nazionale della vergogna”, nel ricordo della vergognosa azione di guerra che ha portato alla spartizione anche della Slovenia, dilaniata e divisa tra Germania, Ungheria e Italia mussoliniana.

In realtà, di “giornate della vergogna” ce ne sarebbero tante da celebrare e quella del 6 aprile potrebbe essere una tappa simbolica con la quale sintetizzare tutte le altre.

Per quanto riguarda la via crucis del popolo sloveno della Primorska, la regione che si appresta a celebrare con Gorizia la capitale europea della cultura, la prima stazione è senz’altro il 13 luglio 1920, con l’incendio del Narodni dom di Trieste che è stato il punto di avvio della feroce persecuzione fascista nei confronti degli sloveni. Un secondo passo è stato il Trattato di Rapallo, altra giornata della vergogna internazionale, 12 novembre 1920, con il quale una parte importante del regno degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi veniva assegnata al Regno d’Italia, avviato a essere dominato dal regime fascista. Da allora i motivi di rossore si sono moltiplicati, come testimoniato da France Bevk, Zorko Jelinčič, Ciril Kosmač, Drago Bajc e tanti altri autori che hanno vissuto e raccontato quell’oscuro periodo di oppressione e soffocamento di ogni libertà. Come dimenticare i due processi di Trieste, con l’esecuzione delle condanne a morte dei quattro “eroi di Basovizza”, il 6 settembre 1930 e di Pinko Tomažič e altri quattro compagni a Opicina, il 12 dicembre 1941? Sono state tutte condanne emesse da tribunali illegali, che hanno suscitato indignazione sulla stampa internazionale dell’epoca, come documentato nell’ottimo libro di Milan Pahor, Borba, recentemente tradotto in lingua italiana e dedicato proprio alle sistematiche vessazioni del regime nella zona del litorale.

Se possibile, ancora più tragica è stata la vicenda di un’intera città, Ljubljana, divenuta provincia militarmente occupata dagli italiani tra l’11 aprile 1941 e l’8 settembre 1943. La capitale slovena e i paesi del circondario hanno assistito a una guerra feroce, non soltanto combattuta tra fronte di liberazione jugoslavo e forze occupanti, ma anche caratterizzata da fucilazioni di gruppo, incendio di paesi inermi, deportazione di decine di migliaia di persone condotte nei campi di concentramento, costrette a subire ogni sorta di disagi, fino ai limiti della morte per fame.  La città è stata circondata da una lunga cortina di filo spinato, “inaugurata” il 23 febbraio 1942 su un perimetro originario di 29663 metri, larghezza di 8-10 metri, con decine di torri di controllo e migliaia di guardie pronte ad aprire il fuoco su chiunque avesse cercato di uscire o entrare senza autorizzazione. La situazione è perdurata anche dopo la caduta del fascismo, quando il territorio è stato preso sotto la dominazione nazista e Ljubljana è stata ufficialmente liberata solo il 9 maggio 1945.

La vergogna dell’impenetrabile filo spinato realizzato dagli italiani e mantenuto per ben 1171 giorni, è stata trasformata alla fine degli anni ’50 in un percorso dedicato al ricordo di quei tragici eventi. Un ring che oggi misura 33 chilometri è divenuto un lungo sentiero, circondato da un parco verde, significativamente chiamato “Pot spominov in tovarištva”, il percorso dei ricordi e della fratellanza. Chi percorre la via, oggi facilmente accessibile a piedi e in bicicletta, può incontrare cartelli illustrativi delle vicende storiche, monumenti dedicati alle numerose vittime dei feroci occupanti, pietre della memoria e segni della presenza ebraica, quasi totalmente cancellata dallo sterminio. Potrebbe davvero essere un cammino nella vergogna per chi vive in uno Stato come l’Italia che non ha ancora del tutto fatto i conti con questo e con gli orrori della seconda guerra mondiale, voluta da Hitler e da Mussolini. In realtà, là dove c’era la recinzione di quello che potrebbe essere definito il più grande campo di concentramento a cielo aperto in Europa, ora si può camminare, correre, giocare, ammirare il bel panorama verso la città, il barje e le colline circostanti. Si è immersi nel verde e si possono incontrare sempre tante persone, di diverse nazionalità, una specie di passeggiata permanente, plurilingue e pluriculturale. E’ molto bello “ricordare” in questo modo, celebrare il sacrificio di chi ha perso la vita o ha subito l’onta della deportazione o ha visto il proprio villaggio bruciare inesorabilmente, non con un pensiero cupo e portatore di vendetta, ma con la valorizzazione della bellezza, dell’amicizia e della vera pace.

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