Inizia sabato 7 maggio alle 18 nella cappella di sant'Acazio nel Duomo di Gorizia e domenica 8 maggio alle 11 nella chiesa di Sv. Urh a Tolmin, un ciclo di interessanti incontri dedicati alla musica e all'arte e nelle valli dell'Isonzo. La rassegna porta il significativo titolo, riportato da un verso della poesia Soča di Simon Gregorčič, Takrat se spomni, bistra Soča, Rammenta chiaro Isonzo.
L'iniziativa, organizzata dal Centro Giuliano di Musica Sacra Dramsam, si articola in sei incontri, tutti nel territorio Goriziano, tre nella parte in Italia e tre in Slovenia. L'originalità della proposta consiste nel collegamento tra le opere pittoriche presenti in alcune tra le più belle chiese e cappelle della zona e la musica del '400 e del '500. Ciò che unisce infatti la scelta dei luoghi è la presenza di rappresentazioni di angeli che tengono in mano, accordano o suonano gli strumenti musicali maggiormente utilizzati in quell'epoca.
Si inizia con la cappella di sant'Acazio (in sloveno Sv. Ahac), all'interno del complesso della cattedrale dei santi Ilario e Taziano in Gorizia. L'inconfondibile struttura gotica, realizzata nel 1471 come parte aggiunta alla già esistente chiesa dedicata al vescovo e al diacono aquileiesi, consente di riconoscere, nella volta, una serie di affreschi dedicati al mistero centrale della fede cristiana. Anche se in parte deteriorati dal tempo, sono ben riconoscibili i simboli degli evangelisti, presentati secondo l'interpretazione antica fra l'altro fatta propria anche da Cromazio di Aquileia, che collega l'immagine alla scena iniziale di ciascun vangelo. Matteo è rappresentato con l'angelo, perché nei racconti dell'infanzia è protagonista l'angelo che dialoga soprattutto con Giuseppe, rivelandogli la volontà di Dio. Marco ha il leone, che ricorda la predicazione di Giovanni Battista nel deserto, mentre Luca è simboleggiato dal toro, raccontando nelle prime pagine la vita del tempio di Gerusalemme, dove appunto venivano sacrificati i tori e altri animali. Giovanni ha l'aquila, in onore del suo Prologo che invita il lettore o l'ascoltatore ad alzare lo sguardo verso le alte vette dello spirito. Portano tra le mani un cartiglio con il nome di ciascuno dei quattro. Al centro uno degli stemmi della contea di Gorizia, ormai avviata al tramonto della sua storia.
Attorno agli evangelisti, annunciatori del Vangelo della morte e della risurrezione del Cristo, ci sono otto angeli, con vesti di vario colore, che mostrano al visitatore i segni della passione. Sono ben riconoscibili la lancia e la canna, la colonna della flagellazione, naturalmente la croce, gli unguenti preparati per la sepoltura, la corona di spine. Altri angeli, con strumenti musicali, fanno da contorno annunciando gioiosamente la vittoria sulla morte e la liberazione dal sepolcro.
Da non perdere sono i peducci delle colonnine, forse sapientemente inseriti nello stesso contesto delle pitture. Il mistero cristiano della redenzione è strettamente congiunto a quello del peccato originale, rappresentato con il bassorilievo della caduta, Adamo ed Eva, sollecitati da un serpente dal volto umano e da lui sedotti, mangiano il frutto della conoscenza del bene e del male, identificato nell'antichità con una mela (dal latino malum) o con un'arancia. Un'altra scena è quella con tre uomini con le vesti episcopali, uno con in mano una chiave, gli altri due con il bastone pastorale. Sono riconoscibili ai lati il primo vescovo di Aquileia Ermagora e il vescovo Ilario, al quale è stata dedicata in origine la chiesa. Al centro qualcuno propone san Nicola, ma forse la chiave richiama maggiormente san Pietro e il legame tra la chiesa aquileiese - non esisteva ancora l'Arcidiocesi di Gorizia - e quella di Roma. Un terzo peduccio è dedicato alle donne. Sia pur con qualche difficoltà, si possono riconoscere santa Caterina e sant'Anna. Interessanti anche le lastre tombali che sono state incastonate nella parete, ricordano importanti dignitari e benefattori. I gradini conducono alla cripta, nella quale sono sepolti molti degli Arcivescovi di Gorizia.
Ma chi era sant'Acazio, il cui nome deriva probabilmente dal greco e significa "il buono"? Non si hanno dati storici sufficienti per ricostruirne adeguatamente la vita. Secondo gli atti dei martiri venerati sia dalle chiese orientali che da quella latina, era un soldato romano, un centurione che aveva compiuto gesta eroiche come militare, ma non aveva accettato di rinunciare alla propria fede cristiana. Sarebbe morto a Bisanzio intorno al 304, durante la persecuzione scatenata da Diocleziano, secondo alcune versioni più o meno leggendarie sarebbe stato impalato su un albero di noce, insieme a una numerosa schiera di compagni, certi documenti arrivano a segnalare addirittura il numero di 10.000! E' ricordato in un ampio territorio nel Centro Europa, in particolare nella Carniola e nella Carinzia, ma anche nella valle dell'Isonzo/Soča. A Prilesje pri Plavah, neanche dieci chilometri da Solkan, c'è una magnifica chiesetta cimiteriale, con un delizioso presbiterio affrescato. In questo caso, tra le varie raffigurazioni, si fa ben notare la scena del martirio di Ahac e dei suoi compagni, in un bosco dagli alberi appuntiti e insanguinati.
Una volta contemplata con la vista questa preziosa opera d'arte, custodita nella chiesa Metropolitana di Gorizia, è tempo di gustare con l'udito la musica rinascimentale, un salto indietro di oltre 500 anni reso possibile dalla maestria dei musicisti dell'Ensemble Dramsam.
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