Tre giorni di tremende battaglie hanno posto fine a una vero e proprio piccolo, breve esperimento di libertà, difeso con il sangue e concluso con una delle troppe efferati stragi dell'esercito tedesco.
I numeri sono terribili. Nel suggestivo, piccolo borgo montano, diviso in tre nuclei ai limiti dei grandi boschi che coprono la Jelovica (nella Gorenjska, una ventina di chilometri da Škofija Loka), lo scontro a fuoco è durato tre giorni. Le forze in gioco erano impari, i tedeschi, molto ben armati erano in numero 14 volte superiore ai partigiani, all'inizio della loro avventura, ancora privi dei mezzi e delle risorse che li avrebbero sostenuti negli anni successivi. I morti sono stati 27 nelle file tedesche, 9 tra i partigiani. Sembra che prima di ritirarsi per non soccombere e continuare a combattere altrove, i partigiani abbiano convinto gli abitanti del luogo - per lo più anziani, donne e bambini - a denunciare la loro presenza, per evitare rappresaglie.
Purtroppo tale gesto di lealtà è stato soffocato dall'invasore e il desiderio di evitare sofferenze al popolo è stato reso vano. I nazisti hanno preso in ostaggio praticamente tutti e in più riprese hanno fucilato 41 persone, tra le quali anche un bambino di 3 anni e due ragazzini di dodici e tredici anni. Poi hanno bruciato il paese e, per dimostrare la loro superiorità e volontà di conquista, sono ritornati un mese dopo radendo al suolo ciò che era rimasto, compreso la chiesa parrocchiale dedicata a Santa Lucia, deportando nei campi di concentramento i sopravvissuti e chiudendo ogni accesso alla zona.E' una delle tante storie di immenso dolore e di follia, ma anche di eroismo e di speranza, che hanno caratterizzato la seconda guerra mondiale. In questo caso assume una particolare rilevanza perché nel forse quasi ingenuo ottimismo dei combattenti di Dražgoše si possono intravvedere i primi segni di quella convinzione profonda e organizzazione sorprendente che avrebbero reso vittorioso negli anni successivi l'esercito di Liberazione Jugoslavo.
In ogni caso, per il popolo sloveno, il ricordo solenne di quanto accaduto 80 anni fa è un momento di memoria collettiva e di orgoglio nazionale. Alla presenza del Presidente della Repubblica Pahor e di un migliaio di perone ordinatamente disposte sui prati innevati, nel rigoroso rispetto dei distanziamenti e delle norma anti covid, è stato reso oggi l'annuale onore ai caduti. Molte corone sono state deposte nel grande monumento-cimitero che sovrasta la valle. L'ex presidente Kučan ha rilevato come le tragedie del passato debbano portare alla cancellazione di qualsiasi segno di fascismo o neonazismo, ma anche come sia necessario evitare ogni pernicioso revisionismo storico e guardare con forte consapevolezza alle tante sfide del presente, compreso quelle della pandemia globale e delle migrazioni attuali.
Sarà stato anche per il contrasto tra il candore della brina sui rami dei boschi sui versanti nord e il verde scuro degli abeti e dei pini radicati in quelli meridionali. Sarà per l'armoniosa bellezza delle valli slovene attraversate dalla Sora e dai suoi affluenti. Sarà per il silenzio dei paesi dl fondovalle, con il fumo bianco dai camini e il sottofondo delle campane che suonano il mezzogiorno. Sarà per tutto questo, ma il contrasto con la barbarie nazista e la follia della guerra è stato particolarmente forte ed evidente, nel ricordo di chi quassù ha perso la vita, vittima di un'ingiusta oppressione, dell'assurda violenza e criminale crudeltà nazi-fascista.
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